Cassazione civile Sez. I sentenza n. 2991 del 10 febbraio 2006

(3 massime)

(massima n. 1)

Il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso straordinario per cassazione avverso i provvedimenti definitivi di contenuto decisorio adottati dal tribunale fallimentare, e dunque anche avverso il decreto che pronuncia sul compenso dovuto al curatore, non decorre dalla data del deposito in cancelleria dei suddetti provvedimenti, bensì dalla data della comunicazione o notificazione d'ufficio di essi agli interessati, la quale deve essere eseguita esclusivamente dall'organo competente, ossia dal cancelliere (e dunque non dal curatore) e, proprio in quanto è funzionale alla individuazione del momento di decorrenza di un termine perentorio, non può trovare un equipollente nella conoscenza di fatto, aliunde acquisita, del provvedimento stesso.

(massima n. 2)

Nel caso di concordato fallimentare con assuntore, senza liberazione immediata del fallito, quest'ultimo è abilitato a contestare, dopo l'omologazione e il conseguente suo ritorno in bonis il provvedimento contrario a legge degli organi fallimentari che determina un debito di massa, sia perché egli potrebbe essere chiamato a risponderne personalmente, sia in considerazione del rischio, connesso all'incremento del passivo, di una eventuale risoluzione del concordato, con conseguente riapertura della procedura fallimentare; tuttavia tali ipotesi non sono configurabili nel caso in cui il concordato sia stato integralmente adempiuto e il debito in questione sia stato soddisfatto mediante impiego delle somme liquide già disponibili nell'attivo fallimentare, sicché, per un verso, non si configura, in concreto, il rischio che il fallito possa essere chiamato a rispondere del debito in parola e trovarsi esposto alla risoluzione del concordato, per altro verso nessun beneficio egli ricaverebbe dall'accoglimento dell'impugnativa, dato che il pagamento è andato ad incidere, in negativo, sul patrimonio trasferito agli assuntori, rimanendo in pari tempo esclusa ogni possibilità di regresso degli assuntori nei suoi confronti, avendo egli, tramite la programmata integrale cessione a questi ultimi delle attività fallimentari, adempiuto i propri obblighi verso gli assuntori medesimi. (Nella fattispecie la S.C. ha quindi dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. proposto dal fallito avverso il decreto del tribunale di liquidazione del compenso del curatore).

(massima n. 3)

Nel caso in cui il fallimento si chiuda con un concordato, il compenso al curatore - che è unico e corrisponde anche all'attività svolta dopo l'omologazione (avuto riguardo al compito del curatore di sorvegliare l'adempimento del concordato, unitamente al giudice delegato e al comitato dei creditori, ai sensi dell'art. 136 legge fall.) - va liquidato dopo l'esecuzione del concordato stesso (art. 39, comma secondo, legge fall.), secondo i criteri stabiliti dall'art. 2, comma 2, D.M. 28 luglio 1992, n. 570, che prefigura la possibilità di una valutazione riduttiva dell'opera del curatore rispetto al caso di chiusura del fallimento nei modi ordinari (in logica coerenza col fatto che il curatore, nell'ipotesi di concordato, è sollevato da una parte dei suoi compiti usuali, segnatamente in punto di liquidazione e distribuzione dell'attivo), nel senso che stabilisce che la percentuale sull'attivo, calcolata sull'ammontare di quanto con il concordato viene attribuito ai creditori, non può superare le misure massime previste dall'art. 1 dello stesso d.m., consentendo in tal modo che essa scenda, a seguito di apprezzamento discrezionale del tribunale, anche al di sotto della misura minima. (Nella fattispecie, la S.C. ha quindi cassato il decreto del tribunale, che aveva liquidato, superando i limiti massimi stabiliti dall'art. 2 D.M. cit., un secondo compenso al curatore per l'attività svolta quale «liquidatore» del concordato, qualifica estranea a qualsiasi previsione legislativa, ma attribuitagli dalla sentenza di omologazione in relazione, peraltro, non ad una attività di trasformazione in denaro dei beni residui, bensì al compito assegnatogli di provvedere, in via diretta ed in luogo degli assuntori, al pagamento di parte dei creditori tramite utilizzazione delle somme già a disposizione dell'amministrazione fallimentare e nei limiti delle medesime).

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