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Articolo 936 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Opere fatte da un terzo con materiali propri

Dispositivo dell'art. 936 Codice Civile

Quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo(1) con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle.

Se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore recato al fondo(2).

Se il proprietario del fondo domanda che siano tolte, esse devono togliersi a spese di colui che le ha fatte. Questi può inoltre essere condannato al risarcimento dei danni.

Il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni ed opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede(3).

La rimozione non può essere domandata trascorsi sei mesi(4) dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione.

Note

(1) Terzo è chiunque non possa eseguire le opere. Similmente all'art. 934, non ricorre un'ipotesi di accessione se tra terzo e titolare del suolo sia in essere un appalto, o un titolo a cui possa far capo la realizzazione delle opere stesse.
(2) Si parla in questo caso di obbligazioni alternative (art. 1285 del c.c.).
(3) Il terzo non deve sapere di ledere un diritto altrui.
Per i giudici in questo caso non vale la presunzione dell'art. 1147, quindi il terzo è tenuto a dare la prova della sua buona fede.
(4) Termine di decadenza (art. 2964 del c.c.).

Ratio Legis

L'articolo mira ad impedire che l'accessione abbia delle ricadute di natura patrimoniale favorevoli in modo sproporzionato al titolare del fondo, a scapito del terzo. Esso, richiama, dunque, il principio che vieta l'ingiustificato arricchimento (artt. 2041-2042 c.c.).

Brocardi

Aedificia solo cohaerent
Inaedificatio
Ius soli sequitur aedificium
Omne quod inaedificatur solo cedit
Quidquid inaedificatur solo cedit
Solo cedere solent ea quae aedificantur aut seruntur

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

434 Ho cercato di ricondurre queste materie a una disciplina più agile, semplificando molte norme frammentarie del codice del 1865 e informando tutto il sistema a pochi principi fondamentali. Soppressa la definizione, superflua e di discutibile esattezza, che del diritto di accessione dava l'art. 443 del codice precedente, ho disciplinato negli articoli 934 - 937 l'accessione di cose mobili a immobili. L'art. 934 del c.c. enuncia il principio generale che qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, facendo in pari tempo richiamo alle limitazioni che tale principio incontra sia nell'ammissibilità, di una proprietà superficiaria, esclusa soltanto per le piantagioni, sia nelle disposizioni dei successivi tre articoli e in altre norme di legge. L'art. 935 del c.c. regola l'ipotesi di piantagioni, costruzioni od opere fatte dal proprietario del suolo con materiali altrui. 11 proprietario dei materiali può chiederne la separazione, sempre che questa sia possibile senza recare grave danno all'opera costruita o senza far perire la piantagione. Se la separazione non è chiesta o non è possibile, il proprietario del suolo deve pagare il valore dei materiali, dei quali acquista la proprietà; me se egli è in colpa grave, è inoltre tenuto al risarcimento dei danni anche nel caso in cui abbia luogo la separazione. La facoltà del proprietario dei materiali di chiedere la separazione è circoscritta in limiti più ristretti di quelli stabiliti dall'art. 449 del codice anteriore, poiché, mentre questo negava la separazione quando non fosse possibile senza distruggere l'opera, l'art. 935, dando prevalenza all'interesse sociale sugli interessi individuali in collisione tra loro, la nega anche quando essa arrecherebbe grave danno all'opera costruita. Inoltre — e in ciò risiede l'innovazione più saliente — è stabilito per l'esercizio dell'azione di rivendicazione il termine di sei mesi dal giorno in cui il proprietario dei materiali ha avuto notizia dell'incorporazione. Si evita così che la sorte dei materiali rimanga per lungo tempo incerta. L'art. 936 del c.c. regola l'ipotesi che un terzo, con suoi materiali, esegua piantagioni, costruzioni ad opere su un fondo altrui. In questo caso il proprietario del fondo ha un diritto di scelta, in quanto può ritenere le opere, pagando il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera ovvero, se più gli conviene, l'aumento di valore recato al fondo, come può, invece, costringere il proprietario dei materiali a togliere a proprie spese le piantagioni, costruzioni od opere e chiedere inoltre il risarcimento dei danni. I1 proprietario del fondo non può tuttavia chiedere che le opere siano tolte quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede; in ogni caso non può domandare la rimozione, se sono trascorsi sei mesi dal giorno in cui ha avuto notizia dell'incorporazione. La disciplina dell'ipotesi in esame diverge, per una maggiore limitazione del diritto di scelta del proprietario del suolo, da quella dettata dall'art. 450 del codice del 1865, che non stabiliva alcun termine entro il quale la rimozione delle opere dovesse essere chiesta e non sopprimeva la facoltà di domandare la rimozione, se non quando il terzo fosse un possessore di buona fede che avesse sofferto evizione e per la sua buona fede fosse andato esente dalla restituzione dei frutti. L'art. 937 del c.c., regolando l'ipotesi delle piantagioni, costruzioni od opere eseguite da un terzo non soltanto su un fondo altrui, ma anche con materiali altrui, dà una disciplina più completa di quella contenuta nell'art. 451 del codice del 1865, il quale si limitava a stabilire che il proprietario della materia non aveva diritto di rivendicarla, ma poteva esigere un'indennità dal terzo che ne aveva fatto uso, ed anche dal proprietario del suolo, ma soltanto sul prezzo che da questo fosse ancora dovuto. L'art. 937 distingue l'ipotesi in cui la separazione dei materiali possa ottenersi senza grave danno delle opere e del fondo dall'ipotesi in cui tale separazione non sia possibile. Nel primo caso, il proprietario dei materiali può rivendicarli nel termine di sei mesi dal giorno in cui ha avuto notizia dell'incorporazione, effettuandone la separazione a spese del terzo; nel secondo caso, come nel caso in cui preferisca di non chiedere la separazione, può esigere un'indennità, pari al valore dei materiali stessi, dal terzo che li ha adoperati, ovvero anche dal proprietario del suolo, ma limitatamente al prezzo che da questo fosse al terzo ancora dovuto. Compete inoltre al proprietario dei materiali il diritto al risarcimento dei danni nei confronti del terzo. Alla responsabilità del terzo si aggiunge la responsabilità solidale del proprietario del fondo, così per l'indennità dovuta al proprietario dei materiali come per il risarcimento dei danni, se in mala fede abbia autorizzato l'uso dei materiali medesimi.

Massime relative all'art. 936 Codice Civile

Cass. civ. n. 5086/2022

In favore del convivente "more uxorio" che abbia realizzato a sue spese opere sull'immobile di proprietà del partner e che, cessata la convivenza, pretenda di essere indennizzato per le spese sostenute ed il lavoro compiuto, trova applicazione non l'art. 936 c.c., che ha riguardo solo all'autore delle opere che non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo, bensì la disposizione di cui all'art. 2041 c.c. sull'arricchimento senza causa, purché si accerti, tenuto conto dell'entità delle opere in base alle condizioni personali e patrimoniali dei partners, che le spese erano state sostenute ed il lavoro era stato compiuto senza spirito di liberalità, in vista di un progetto di vita comune, e che, realizzando quelle opere, il convivente non aveva intenzione di adempiere ad alcuna obbligazione naturale.

Cass. civ. n. 27088/2021

L'istituto dell'accessione ex art. 936 c.c. presuppone che i soggetti coinvolti non siano legati da un vincolo contrattuale, sicché deve escludersi l'applicabilità della relativa disciplina allorché l'attività costruttiva costituisca non già l'esercizio di un diritto, ma l'adempimento di un'obbligazione. In tale caso, infatti, l'obbligo restitutorio ex art. 1458 c.c., nascente dalla risoluzione del contratto, è incompatibile con il diritto potestativo del proprietario di ritenere la costruzione avvalendosi dell'accessione.

Cass. civ. n. 26595/2021

In tema di costruzione od opera eseguita dal terzo con materiali propri su suolo altrui, l'art. 936, comma 3, c.c. riconosce il diritto al risarcimento del danno in favore del proprietario del suolo esclusivamente nel caso in cui lo stesso sia legittimato a chiedere la rimozione dell'opera mentre, ove non gli sia o non gli sia più consentito proporre quest'ultima domanda, è il terzo ad avere, viceversa, diritto ad un indennizzo a fronte del vantaggio economico derivato al proprietario del fondo da detta costruzione od opera, vantaggio che è prioritario ed assorbente rispetto al danno dal medesimo eventualmente subito ed incompatibile con la relativa pretesa risarcitoria.

Cass. civ. n. 22730/2019

Ove venga proposta domanda di corresponsione di una somma a titolo di indennità per miglioramenti sulla base degli artt. 192 c.c., 2033 c.c. e 936 c.c., il giudice non può qualificare l'azione ai sensi dell'art. 1150 c.c., giacché il riconoscimento del diritto ivi previsto postula l'allegazione e la prova del possesso del bene da parte del creditore. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva riqualificato la domanda di rimborso delle spese sopportate dal coniuge per la ristrutturazione dell'immobile in proprietà dell'altro coniuge, avanzata ai sensi degli artt. 192, 2033 e 936 c.c., in termini di azione ex art. 1150 c.c., sull'erroneo presupposto che l'attore avesse composseduto il bene ristrutturato per il solo fatto che lo stesso era stato adibito a casa familiare). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 25/11/2016).

Cass. civ. n. 24365/2018

L'edificazione da parte del conduttore di nuovi manufatti sul terreno locato non integra una ipotesi di accessione ai sensi dell'art. 936 c.c., ma deve essere qualificata come addizione ex art. 1593 c.c., atteso che la disciplina dell'art. 936 c.c. è applicabile esclusivamente quando l'autore delle nuove opere sia terzo, ossia non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che lo legittimi a costruire sul suolo, a nulla rilevando che le addizioni apportate dal medesimo conduttore abbiano dato luogo ad un radicale mutamento della struttura del bene e della sua destinazione e che allo stesso non fosse stato concesso lo "ius aedificandi", trattandosi di circostanze che involgono l'operatività o meno della disciplina speciale delle addizioni di cui all'art. 1593 c.c. e non già l'affermazione della configurabilità della posizione del conduttore quale terzo.

Cass. civ. n. 16804/2018

In tema di corresponsione di una somma a titolo di miglioramenti, l'inquadramento della domanda nella fattispecie di cui all'art. 1150 c.c. o in quella di cui all'art. 936 c.c. è rimessa al potere-dovere di qualificazione del giudice di merito; ne discende che una volta proposta la domanda di conseguimento dell'indennità per i miglioramenti ai sensi della prima ipotesi, ben può lo stesso giudice, senza incorrere in una "mutatio libelli" non consentita, accogliere la domanda ai sensi della seconda. (In applicazione del principio, la S.C. ha corretto la motivazione della sentenza d'appello la quale, sebbene avesse correttamente affermato che la domanda ex art. 1150 c.c. presuppone la qualità di possessore e quella ex art. 936 c.c. la qualità di terzo, aveva erroneamente concluso che il giudice di primo grado avesse accolto una domanda diversa da quella originariamente proposta in fattispecie nella quale l'azione era stata esperita da due coniugi promissari acquirenti di un immobile detenuto per un certo tempo in vista della stipulazione del contratto definitivo di acquisto, mai concluso posto che il preliminare fu risolto per inadempimento dei medesimi promissari acquirenti).

Cass. civ. n. 14732/2018

L'art. 936 disciplina la particolare eventualità in cui un terzo, che non vi sia in alcun modo legittimato nè autorizzato, realizzi un'opera su un fondo altrui e detta una disciplina differente per le due diverse ipotesi, quella in cui il proprietario voglia trattenere le opere eseguite sul suo fondo senza autorizzazione (dettando dei criteri di indennizzo per il terzo) e quella in cui invece vuole che siano asportate. Nel caso in esame non è mai stato messo in discussione che la D. non si è intromessa nella costruzione facendo realizzare arbitrariamente opere non autorizzate, piuttosto la stessa ha contribuito con il proprio lavoro, le proprie scelte ed anche economicamente, con ripetuti contributi patrimoniali, alla realizzazione delle opere autorizzate dal proprietario (e scelte, in origine, di comune accordo, perchè la costruzione doveva costituire l'abitazione della coppia), per cui correttamente la fattispecie è stata inquadrata nell'ambito dell'azione generale di arricchimento senza causa e la domanda è stata accolta una volta esclusa l'esistenza di una obbligazione naturale (che avrebbe reso irripetibile la dazione in denaro).

Cass. civ. n. 9093/2018

L'art. 938 cod. civ., che consente al giudice di attribuire al proprietario della costruzione eseguita su una parte dell'altrui fondo attiguo la proprietà del terreno occupato, presuppone la convinzione del costruttore che la sua proprietà abbia confini diversi da quelli reali, a tal punto da ritenere che gli appartenga anche una porzione del terreno del proprio confinante; la buona fede di cui al quarto comma dell'art. 936 c.c., invece, è rappresentata dalla convinzione del costruttore di essere proprietario del fondo su cui realizza la costruzione e richiede la dimostrazione dell'esistenza di un titolo di proprietà, derivativo o originario.

Cass. civ. n. 3873/2018

In tema di accessione, il consenso alla costruzione eseguita da uno dei comproprietari del suolo, manifestato dal comproprietario non costruttore, pur non essendo idoneo a costituire un diritto di superficie o altro diritto reale, preclude l'esercizio dello "ius tollendi". Peraltro, ove tale diritto non venga o non possa essere esercitato, i comproprietari del suolo sono tenuti a rimborsare al comproprietario costruttore, in proporzione alle rispettive quote di proprietà, le spese sostenute per l'edificazione dell'opera.

Cass. civ. n. 14021/2017

Non può essere considerato terzo, avente diritto all'indennità di cui all'art. 936 (o 937) c.c., colui che abbia eseguito l'opera sul suolo altrui in adempimento di un contratto con persona diversa dal proprietario, atteso che egli entra in contatto con la cosa in via esclusivamente secondaria, a seguito o in ragione di un incarico conferitogli - non rileva a quale titolo - da diverso soggetto e si limita ad eseguire la sua volontà.

Cass. civ. n. 6973/2017

L'indennità dovuta, ai sensi dell'art. 936, comma 2, c.c., dal proprietario del suolo al terzo che ivi abbia realizzato opere e costruzioni con materiali propri costituisce debito di valore, mirando non solo a ricostituire il patrimonio dell’avente diritto, ma anche a ricompensarlo dei potenziali incrementi di valore non documentabili, sicché il giudice, nel liquidarla, è tenuto, anche di ufficio, a riconoscere, sulla corrispondente somma, gli interessi compensativi a far data dalla domanda.

Cass. civ. n. 1237/2016

In tema di accessione, ove l'esecuzione delle opere con materiali propri su suolo altrui configuri illecito penale, il terzo non ha diritto all'indennizzo ex art. 936 c.c., salvo che il manufatto sia oggetto di regolarizzazione urbanistica mediante concessione in sanatoria, giacché questa restituisce l'immobile ad uno stato di conformità al diritto, escludendo la sua futura demolizione.

Nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936 c.c., il versamento, da parte del proprietario del fondo, dell'oblazione relativa all'opera abusiva ivi realizzata dal terzo estingue il reato, ex art. 24, della l. n. 136 del 1999, anche nei confronti del costruttore che, pertanto, ha diritto a percepire l'indennizzo ex art. 936 c.c..

Cass. civ. n. 15031/2015

Il possesso di buona fede del bene trasferito alla parte acquirente di una compravendita viene meno qualora, nel corso di un giudizio di risoluzione di tale contratto, il venditore diffidi il medesimo compratore a non eseguire lavori edili sul terreno oggetto di alienazione, dovendosi, pertanto, negare, per le opere fatte dopo tale momento, la buona fede del costruttore, agli effetti dell'art. 936, comma 4, c.c., stante la consapevolezza di questi che l'accoglimento della domanda di risoluzione avrebbe determinato l'effetto di dover restituire la cosa acquistata nella situazione in cui essa si trovava all'epoca della vendita.

Cass. civ. n. 9052/2012

L'art. 936, ultimo comma, c.c., il quale prevede che il proprietario del suolo, su cui un terzo abbia realizzato un'opera, non può più domandarne la rimozione trascorsi sei mesi dalla notizia dell'incorporazione, trova applicazione esclusivamente nell'ambito della particolare disciplina dell'accessione, nel senso che lo stesso proprietario, privato della scelta fra ritenzione e rimozione della costruzione, resta obbligato al pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d'opera (oppure dell'aumento del valore del fondo), ma non interferisce sulla facoltà del proprietario medesimo di agire in rivendicazione, al fine di recuperare la porzione del bene della quale sia stato spossessato con l'esecuzione di quell'opera, e, quindi, di conseguirne la demolizione (fermo restando il suddetto obbligo di pagamento).

Cass. civ. n. 4148/2012

In tema di accessione, è terzo, ai sensi dell'art. 936 c.c., il soggetto che abbia eseguito l'opera senza essere vincolato al proprietario del fondo da alcun rapporto contrattuale, che gli consentisse di costruire sul suolo. Tale è pertanto anche l'Amministrazione che abbia occupato in via d'urgenza, con atto di imperio, un terreno e vi abbia realizzato una costruzione, successivamente riconsegnati al proprietario del suolo per il venir meno delle esigenze che avevano reso necessario il provvedimento di occupazione.

Cass. civ. n. 1378/2012

La disciplina dell'accessione di cui all'art. 936 c.c. è applicabile esclusivamente quando le opere siano state realizzate da un soggetto che non abbia con il proprietario del fondo nessun rapporto giuridico, di natura reale o personale, che gli conferisca la facoltà di costruire sul suolo, mirando la norma a regolare la ricaduta patrimoniale di un'attività di costruzione su suolo altrui che coinvolga soggetti fra loro terzi; tale requisito non sussiste, invece, quando l'attività costruttiva esprima non già l'esercizio di un diritto, bensì l'adempimento di un'obbligazione - nella specie, assunta dall'acquirente di un'area edificabile ceduta ad un prezzo simbolico, con il vincolo, però, di erigervi un impianto industriale - il cui mancato assolvimento, determinando la conseguente risoluzione, implica l'insorgenza di un obbligo restitutorio, ai sensi dell'art. 1458 c.c., da soddisfare in natura, ove possibile, o per equivalente monetario, così da attuare il ripristino delle posizioni economiche rispettive, che vanno ricondotte tendenzialmente alla situazione preesistente alla stipula del contratto.

Cass. civ. n. 26853/2011

Nessun indennizzo può essere preteso, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1150 e 936 c.c., dal terzo possessore che, sul fondo altrui, abbia costruito un'opera in violazione della normativa edilizia, commettendo i reati previsti e puniti dagli artt. 31 e 41 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e 10 e 13 della legge 6 agosto 1967, n. 765, essenzialmente perché quell'indennizzo sarebbe in contrasto con i principi generali dell'ordinamento ed in particolare con la funzione dell'amministrazione della giustizia, in quanto l'agente verrebbe a conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l'attività penalmente illecita e che, in via diretta, gli è precluso dagli artt. 1346 e 1418 c.c..

Cass. civ. n. 26841/2011

L'identificazione dei beni trasferiti a conclusione di un'espropriazione immobiliare deve essere compiuta in base alle indicazioni del decreto di trasferimento di cui all'art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell'art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti ed anche i miglioramenti o le addizioni, ancorché non espressamente menzionati nel predetto decreto. Ne consegue che il prezzo di un fondo oggetto di vendita forzata include il valore di quanto è esistente sul bene medesimo e, dunque, anche quello delle opere su di esso realizzate (nella specie, un frutteto), con l'ulteriore conseguenza che l'aggiudicatario non è tenuto al pagamento dell'indennizzo di cui all'art. 936 c.c..

Cass. civ. n. 17895/2011

Il termine di sei mesi, trascorso il quale, il proprietario del suolo non può, a norma dell'art 936, quinto comma, c.c., chiedere al terzo la rimozione delle costruzioni da questi eseguite con materiali propri sul detto fondo, integra un termine di decadenza disposto in materia non sottratta alla disponibilità delle parti. Pertanto, il decorso di questo termine non può essere rilevato dal giudice d'ufficio, ma deve essere eccepito dall'interessato mediante conclusioni specifiche, formulate in modo chiaro ed univoco.

Cass. civ. n. 5420/2011

In tema di accessione, a norma dell'art. 936, secondo comma, c.c., ove il proprietario eserciti il diritto di ritenzione delle opere fatte dal terzo sul fondo, sorge automaticamente, a suo carico, l'obbligo di pagamento della relativa indennità, e ciò indipendentemente dalla prova degli esborsi per eventuali miglioramenti.

Cass. civ. n. 4731/2011

In riferimento alle opere eseguite su fondo altrui da un terzo con materiali propri, quando l'opera è abusiva (eventualmente configurando anche un illecito penale), il proprietario del suolo non è tenuto al pagamento dell'indennizzo di cui all'art. 936, secondo comma, c.c., perché, sul piano civilistico, il manufatto abusivo deve ritenersi carente di valore per il fondo cui accede, il che impedisce al proprietario del suolo di compiere la scelta discrezionale di cui alla norma citata.

Cass. civ. n. 23347/2009

A norma dell'art. 936 c.c., ove un terzo abbia eseguito opere con materiali propri su fondo altrui, il proprietario di quest'ultimo può scegliere se acquisirne la proprietà ovvero obbligare il terzo a rimuoverle; una volta che la rimozione non sia stata chiesta nel termine di sei mesi di cui all'art. 936, ultimo comma, cit., il proprietario acquista a titolo originario ed "ipso iure" la proprietà delle opere realizzate, in virtù del principio generale dell'accessione, poiché l'obbligazione al pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d'opera ovvero dell'incremento di valore - che insorge a suo carico a norma dell'art. 936, secondo comma, c.c. - ha natura di indennizzo e non di prestazione sinallagmatica, e non costituisce quindi condizione per la pienezza dell'atto di acquisto.

Cass. civ. n. 12550/2009

Nel caso in cui le opere fatte dal terzo sul fondo altrui con materiali propri siano state realizzate in esecuzione di un contratto di appalto stipulato con il conduttore del fondo, non trova applicazione l'art. 936 cod. civ., il quale presuppone che l'autore delle opere non sia legato né al proprietario né ad altri cui sia stato concesso il godimento del fondo, da un rapporto negoziale che gli abbia attribuito il diritto di costruire; pertanto, qualora il proprietario non chieda l'eliminazione delle opere, ma preferisca ritenerle, acquisendone l'incremento di valore in danno del costruttore, il problema va risolto sulla base dei principi dettati dagli artt. 2038 e 2041 c.c. in tema di prestazione indebita ed ingiustificato arricchimento. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale, in riferimento ad opere eseguite su un complesso immobiliare concesso in "leasing" per conto dell'utilizzatore, aveva escluso non solo l'applicabilità dell'art. 936 cit., ma anche la proponibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento, in considerazione dell'esperibilita delle azioni derivanti dal contratto di appalto, e dell'insussistenza di un rapporto diretto tra il depauperamento del costruttore e l'arricchimento del proprietario).

Cass. civ. n. 29340/2008

Deve escludersi il riconoscimento dell'indennizzo, richiesto ex art. 936 cod. civ nei confronti della P.A., da parte di chi abbia costruito illecitamente un'opera edilizia nel vigore della legge n. 47 del 1985 su suolo pubblico, senza, neanche, avere successivamente provveduto al versamento degli oneri dovuti al fine di ottenere la sanatoria, in quanto l'applicazione dell'art. 14 della legge n. 47 del 1985, che impone la demolizione dell'opera abusiva realizzata su suolo pubblico e il ripristino dello stato dei luoghi ad opera del sindaco, esclude che l'Amministrazione proprietaria possa esercitare la scelta della ritenzione dell'incorporazione, così come prevista, per le ipotesi di costruzioni non abusive, nell'art. 936 secondo comma cod. civ.

Cass. civ. n. 8657/2006

In tema di accessione, l'indennizzo dovuto ai sensi dell'art. 936 c.c. dal proprietario del suolo al terzo che sullo stesso abbia realizzato opere e costruzioni con materiali propri costituisce debito di valore, sia che si determini in relazione all'incremento arrecato al fondo sia che abbia riguardo al valore dei materiali e al prezzo della mano d'opera; pertanto il relativo importo, riferito all'epoca dell'incorporazione, deve essere rivalutato alla data della liquidazione.

Cass. civ. n. 2273/2005

In tema di opere eseguite dal terzo con materiali propri su suolo altrui, l'espressione «il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera» contenuta nel secondo comma dell'art. 936 c.c. va interpretata come riferentesi a tutte le voci di spesa oggettivamente necessarie per l'esecuzione dell'opera (nel tempo e nel luogo in cui i lavori vennero eseguiti) a prescindere dai prezzi effettivamente pagati; e quindi come riferentesi non solo all'oggettivo valore di mercato, al tempo dell'esecuzione, delle due voci espressamente previste (materiali e mano d'opera), ma anche delle spese di progettazione tecnica necessaria per la costruzione delle opere trattenute, nonché al corrispettivo dovuto all'impresa che ha eseguito i lavori, anche se quest'ultimo non sia stato materialmente erogato, perché il terzo era titolare dell'impresa che ha eseguito le fabbriche con i propri capitali e la propria organizzazione.

Cass. civ. n. 12347/2003

Nell'ipotesi di costruzione realizzata senza concessione edilizia sul suolo altrui, mentre non è configurabile l'indennizzo di cui all'art. 936 c.c. stante la precarietà dell'acquisto, è invece ammissibile l'azione sussidiaria d'indebito arricchimento di cui agli artt. 2041 e 2042 c.c. in considerazione dell'incremento patrimoniale senza giusta causa derivante dall'utilità dell'opera nei limiti dell'altura depauperamento, atteso che la locupletazione del proprietario non è esclusa dalla precarietà del diritto dominicale conseguente all'eventuale demolizione dell'immobile abusivo, dovendosi accertare l'eventuale impiego comunque realizzatone e le utilità economiche in tal modo ricavate dalla costruzione abusiva.

Cass. civ. n. 10441/2002

In tema di costruzione od opera eseguita dal terzo con materiali propri su suolo altrui, il diritto al risarcimento del danno è dall'art. 936, terzo comma, c.c., espressamente riconosciuto in favore del proprietario del suolo nel solo caso in cui il medesimo sia altresì legittimato a chiedere la rimozione dell'opera; quando invece al proprietario non è o non è più consentito proporre quest'ultima domanda, è il terzo ad avere viceversa diritto ad un indennizzo a fronte del vantaggio economico da detta costruzione od opera derivato al proprietario del fondo, vantaggio che è prioritario ed assorbente rispetto al danno dal medesimo eventualmente subito ed incompatibile con la relativa pretesa risarcitoria.

Cass. civ. n. 6777/2001

Nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936 c.c. nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo può essere preteso dal terzo costruttore che abbia realizzato l'opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo nel primo caso, o concorrendo nel secondo, i reati previsti e puniti dagli artt. 31 e 41 della legge n. 1150/42 e 10 e 13 della legge n. 765/67 e ciò non tanto perché possano essere poste in dubbio la sussistenza o l'entità della locupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva di un ordine di demolizione da parte della pubblica amministrazione competente, quanto piuttosto perché è da ritenere in contrasto con i principi generali dell'ordinamento ed in particolare con la funzione dell'amministrazione della giustizia che possa l'agente conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l'attività penalmente illecita e che in via diretta gli è precluso dagli artt. 1346 e 1418 c.c.

Cass. civ. n. 6758/2001

La normativa dell'art. 936 c.c., postula che autore delle opere realizzate su suolo altrui sia un terzo e, pertanto, non potendo qualificarsi come tale il titolare di qualsiasi diritto, di natura reale od obbligatoria avente ad oggetto il fondo su cui l'opera sia stata eseguita, la normativa suddetta non si applica quando l'autore delle opere sia detentore dell'immobile per essere questi assegnatario o parte di un contratto preliminare di vendita concluso con il proprietario del bene. Conseguentemente non deroga al principio secondo cui il proprietario dell'immobile acquista anche la proprietà delle cose che vi vengano incorporate, il fatto che responsabili di tale incorporazione siano stati i detentori dell'immobile medesimo. (Nella specie, la S.C., enunciando il detto principio, ha ritenuto il proprietario dell'edificio responsabile del danno prodotto dal crollo di un cancello automatico fatto installare dagli assegnatari di porzioni di esso per essere stati immessi gli stessi nel possesso del bene a seguito di contratto preliminare di vendita).

Cass. civ. n. 4623/2001

Secondo la disciplina dettata dall'art. 936 c.c., l'utilità dell'opera realizzata su suolo altrui influisce sulla determinazione della misura dell'indennità spettante all'autore dell'opera, dovuta nella minor somma tra il valore dei materiali ed il prezzo della mano d'opera o l'aumento di valore recato al fondo; ne consegue che il proprietario del terreno è tenuto ad indennizzare il terzo solo se ed in quanto dalla realizzata incorporazione sia effettivamente derivato un incremento del suo patrimonio.

Cass. civ. n. 1246/2000

In tema di opera eseguita dal terzo con materiali propri su suolo altrui, ove il terzo abbia trasferito l'opera stessa ad altro soggetto dietro pagamento del valore dei materiali e dell'attività occorsi per la sua realizzazione, il rapporto fra l'obbligo di corrispondere l'indennizzo, gravante ex art. 936 c.c. sul proprietario del fondo il quale intenda esercitare il diritto di ritenzione, ed il diritto ad ottenerlo — non diversamente dall'inverso rapporto tra il diritto di chiedere la rimozione dell'opera e l'obbligo di provvedere al riguardo — devesi riconoscere non più tra il terzo e detto
proprietario bensì tra questi ed il cessionario dell'opera, trovandosi l'uno a beneficiare dell'arricchimento e l'altro a subire il depauperamento in ragione dei quali la ratio della norma tende a ristabilire una situazione di relativo equilibrio.

Cass. civ. n. 713/1998

Non è configurabile un indennizzo ai sensi dell'art. 936 c.c. a favore di colui che illecitamente, anche sotto il profilo penale, abbia realizzato delle opere su fondo altrui, senza avere conseguito la relativa sanatoria.

Cass. civ. n. 3971/1997

La buona fede del terzo, costruttore su suolo altrui, prevista dal quarto comma dell'art. 936 c.c. come ostativa allo ius tollendi del proprietario di esso, non si riferisce all'esecuzione delle opere, e cioè non consiste nel convincimento — da presumere — di tale terzo di aver agito sciente domino, ma deve fondarsi sulla convinzione del medesimo terzo — che deve provarla in base a circostanze obbiettive — di esser proprietario anche del suolo sul quale ha costruito.

Cass. civ. n. 1484/1997

La buona fede che esclude che il proprietario possa obbligare il terzo a togliere dal suo fondo le piantagioni, le costruzioni o le opere dal terzo stesso ivi realizzate (art. 936, comma terzo, c.c.), è presunta, secondo la disposizione dell'art. 1147 c.c., la quale contiene un principio generale non limitato all'ambito del possesso, in cui è stato dettato. Tale presunzione, juris tantum, consente la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, cui il giudice può ricorrere allorché siano acquisiti al processo fatti gravi, precisi e concordanti, che escludano le conclusioni che da quella derivino.

Cass. civ. n. 888/1997

L'art. 936 c.c., in tema di opere fatte su suolo altrui, non richiede per la sua applicabilità l'utilità dell'opera realizzata ed il conseguente incremento di valore del fondo, potendo tale elemento influire indirettamente solo sulla scelta del proprietario del fondo tra lo ius tollendi ed il diritto di ritenere l'opera, ovvero, nei casi in cui lo ius tollendi non è ammesso o non è esercitato, sulla determinazione della misura dell'indennità spettante all'autore dell'opera, dovuta nella minor somma tra il valore dei materiali ed il prezzo della mano d'opera e l'aumento di valore subito dal fondo.

Se l'esecuzione delle opere abusive da parte di un terzo, con materiali propri, su suolo altrui, configura un illecito penale, il proprietario non gli deve corrispondere alcun indennizzo, anche se è decaduto dal diritto di chiedere la rimozione ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 936 c.c.

Cass. civ. n. 845/1997

Poiché è terzo, ai sensi dell'art. 936 c.c., chiunque non è legato al proprietario del suolo da alcun rapporto giuridico, né reale né personale, che gli attribuisca la facoltà di costruirvi, anche al convenuto in rivendica si applica la disciplina prevista da detta norma, se l'occupazione del suolo si è realizzata con l'esecuzione di opere su di esso.

Cass. civ. n. 50/1996

A norma dell'art. 936 c.c., l'obbligo di pagamento dell'indennizzo posto a carico del proprietario del fondo sorge dall'esercizio del diritto di ritenzione delle opere fatte dal terzo con materiali propri, che si verifica automaticamente per la scadenza del termine di sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione. Pertanto, tale obbligo, così come il diritto all'indennizzo da parte del terzo, quali effetti dell'avvenuta incorporazione, non sono correlati alla possibilità di esercitare il diritto di scelta delle modalità di pagamento dell'indennizzo e non vengono meno ove il terzo non provi il quantum in relazione ad entrambi i parametri entro i quali la scelta medesima può operare (valore dei materiali e prezzo della mano d'opera, oppure aumento di valore arrecato al fondo).

Cass. civ. n. 956/1995

La disciplina dettata dall'art. 936 c.c. può trovare applicazione soltanto quando l'autore delle opere sia realmente terzo, non sia cioè legato al proprietario del suolo da alcun rapporto negoziale relativo al suolo stesso o alle opere, ma tale ipotesi si verifica non soltanto nell'originaria assenza di alcun vincolo contrattuale, ma anche allorché un preesistente contratto sia venuto meno per invalidità o per risoluzione, stante l'efficacia retroattiva inter partes della relativa pronuncia.

Cass. civ. n. 12804/1993

Ai fini dell'art. 936 c.c., che disciplina le opere eseguite da un terzo con materiali propri su suolo altrui, deve considerarsi «terzo» colui il quale non abbia avuto alcun rapporto con il proprietario del suolo, onde tale qualità va riconosciuta anche all'occupante, di cui sia stato risolto il contratto che gli consentiva di costruire sul suolo o di eseguirvi miglioramenti, stante l'efficacia retroattiva della risoluzione tra le parti (art. 1458 c.c.).

Cass. civ. n. 2455/1993

Ai sensi dell'art. 936 comma 4 c.c. integra opposizione del proprietario di un fondo all'attività edificatoria sullo stesso intrapresa da un terzo con materiali propri, idonea a conservargli le facoltà riconosciutegli in via alternativa dal primo comma dello stesso articolo, qualsiasi atto o fatto portato a conoscenza del terzo con mezzi idonei, con cui il detto proprietario manifesti tempestivamente (non oltre sei mesi dalla notizia dell'avvenuta incorporazione) ed in modo inequivoco l'intendimento di opporsi all'illecita invasione della propria sfera dominicale. Non può, pertanto, attribuirsi valore di opposizione alla proposizione da parte del proprietario confinante del ricorso in sede amministrativa per l'annullamento, per violazione degli indici di edificabilità imposti nella zona dal locale strumento urbanistico, della concessione edilizia in base alla quale la costruzione è stata effettuata, essendo rivolti lo strumento di tutela prescelto ed i profili d'illegittimità del provvedimento amministrativo con esso denunciati, non a contestare il diritto del terzo a costruire sul fondo de quo, ma a far valere l'interesse legittimo del proprietario del fondo, confinante con quello oggetto dell'attività edificatoria, al rispetto delle norme urbanistiche volte a contenere nella zona la densità edilizia.

Il retratto agrario previsto dall'art. 8 L. 26 maggio 1965 n. 590 costituisce esercizio del diritto potestativo di subentrare nella qualità di acquirente del fondo con effetti ex tunc, mediante una dichiarazione unilaterale ricettizia rivolta al retrattato, configurandosi il pagamento del prezzo da parte del retraente entro il termine di legge unicamente come una condizione sospensiva dell'efficacia del subingresso medesimo (art. 8, comma 8, legge citata), sicché ove non sia in discussione l'avveramento dell'anzidetta condizione sospensiva, l'accoglimento della domanda di riscatto determina il subingresso del retraente al terzo acquirente con effetto dalla data della domanda medesima. Ne deriva che il retrattato che abbia eseguito delle opere edilizie sul fondo dopo tale data deve considerarsi terzo ai fini dell'applicabilità della disciplina di cui all'art. 936 c.c.

Cass. civ. n. 7800/1991

In tema di opera eseguita da un terzo con materiali propri su fondo altrui, l'eccezione di decadenza del proprietario del suolo dalla facoltà di optare per la demolizione dell'opera a spese del terzo, per decorso del termine semestrale di cui all'art. 938, ultimo comma, c.c., non deve necessariamente correlarsi alla richiesta di pagamento dell'indennità prevista dal citato art. 936, secondo comma, essendo il diritto di non essere costretto alla demolizione ed il diritto all'indennità riconosciuti per il soddisfacimento di interessi distinti, suscettibili di essere fatti valere nelle forme ed in termini diversi, con i rispettivi strumenti di tutela giudiziale (l'eccezione e la domanda).

Cass. civ. n. 6450/1991

Nel caso di una gronda sporgente sul suolo altrui, come di una condotta d'immissione di acque luride nel fosso comune, non può trovare applicazione la disciplina di cui all'art. 936 c.c. atteso che tale norma riguardando attività del terzo sul fondo del vicino che possano risultare utili al proprietario del fondo stesso, e che tali devono presumersi in caso di scienza e mancata opposizione, risulta inapplicabile nell'ipotesi che la costruzione realizzi esclusivamente l'interesse altrui con pregiudizio del proprietario del suolo.

Cass. civ. n. 638/1990

Quando il contratto è dichiarato nullo, esso non può venire assunto a base della regolamentazione degli spostamenti di ricchezza sorti dall'esecuzione del rapporto e se questi si presentano nella forma di una piantagione o costruzione fatta da una parte, con materiali propri, sul terreno di un'altra, deve farsi capo alla disciplina dell'accessione per regolare i rapporti tra le stesse parti. Tuttavia, anche nel quadro dell'applicazione dell'art. 936 c.c., si deve tener conto di quanto è stato già ricevuto da chi ha eseguito la piantagione o l'opera e che, per effetto della nullità del contratto, egli sarebbe tenuto a restituire.

Cass. civ. n. 5242/1986

Le disposizioni dettate dall'art. 936 c.c., per le opere fatte da un terzo con materiali propri su un fondo altrui, non trovano applicazione con riguardo ai soggetti che siano legati da preesistenti rapporti giuridici sottoposti a specifica disciplina normativa, sì da non potere essere considerati reciprocamente come terzi. Pertanto, in tema di condominio negli edifici, deve escludersi l'operatività della citata norma nel caso di costruzione eseguita da un condomino sul bene comune, con la conseguenza che in tale ipotesi la comproprietà della nuova opera sorge a favore dei condomini dell'edificio soltanto se essa venga realizzata in conformità della disciplina del condominio, cioè con il rispetto delle norme sulle innovazioni, sulla sopraelevazione ecc.

Cass. civ. n. 1841/1986

Con riguardo all'occupazione di porzione del fondo altrui con la costruzione di edificio e per il caso che non ricorrano le condizioni stabilite dall'art. 938 c.c. per l'accessione invertita, il diritto del proprietario del fondo stesso di chiedere la demolizione della parte di costruzione illegittimamente realizzata e la restituzione della suddetta porzione, va riconosciuto in base alle regole generali sulla tutela del diritto di proprietà, in quanto in tal caso non sono applicabili le limitazioni allo ius tollendi del proprietario del suolo previste dai commi quarto e quinto dell'art. 936 c.c., trattandosi di disposizioni che si riferiscono alla diversa ipotesi delle opere realizzate dal terzo interamente sul suolo altrui, e che trovano giustificazione nella astratta idoneità dell'opera, strutturalmente autonoma, ad arrecare un effettivo incremento di valore al fondo cui accede, e nell'esigenza di evitare che il proprietario di quest'ultimo, ove non intenda rimuovere l'opera dello stesso costruttore, possa conseguire un arricchimento ingiustificato mediante la ritenzione di essa.

Le limitazioni allo ius tollendi del proprietario del suolo previste dai commi quarto e quinto dell'art. 936 c.c. (nei casi di scienza e mancata opposizione del proprietario, di buona fede del costruttore e di decorso di sei mesi dalla notizia dell'incorporazione) non incidono sulla proprietà dell'opera, la quale appartiene al medesimo in forza del principio generale sancito dall'art. 934 c.c., ma soltanto sulla sua facoltà di scelta tra l'esercizio dello ius tollendi a spese del terzo costruttore e la ritenzione dell'opera con l'obbligo di pagare il valore dei materiali e il prezzo della manodopera, oppure l'aumento di valore recato al fondo. Conseguentemente, il proprietario del suolo, pur rimanendo definitivamente obbligato a ritenere l'opera e a eseguire suddetti pagamenti, può sempre provvedere a sue spese alla demolizione dell'opera, esercitando la facoltà di disporre della cosa, a lui spettante quale proprietario.

Cass. civ. n. 3844/1985

La disciplina fissata dall'art. 936 c.c., con riguardo alle opere fatte da un terzo con materiali propri sul fondo altrui, trova applicazione nel caso in cui sia configurabile un interesse del proprietario di detto terreno a ritenere le opere medesime, in quanto idonee ad apportargli un concreto vantaggio e, pertanto, non è invocabile nella diversa ipotesi dello sconfinamento di una costruzione sul fondo del vicino per una porzione di modesta entità, la quale resta regolata dalle disposizioni dell'art. 938 c.c.

Cass. civ. n. 4820/1984

Nel caso di risoluzione di un contratto di appalto, che abbia implicato la costruzione di un edificio su suolo di proprietà del committente, non possono trovare applicazione, con riguardo alle restituzioni ed agli altri diritti delle parti derivanti dalla risoluzione medesima, le disposizioni dell'art. 936 c.c., regolanti il diverso caso dell'esecuzione di opere sul fondo altrui da parte di chi non sia legato da alcun rapporto giuridico con il proprietario.

Cass. civ. n. 1018/1984

L'art. 936 ultimo comma c.c., il quale prevede che il proprietario del suolo su cui un terzo abbia realizzato un'opera non può più chiederne la rimozione dopo il decorso di sei mesi dalla notizia del fatto, trova applicazione esclusivamente nell'ambito della particolare disciplina dell'accessione, nel senso che detto proprietario, privato della scelta fra ritenzione e rimozione della costruzione, resta obbligato al pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d'opera (oppure dell'aumento del valore del fondo), ma non interferisce sulla facoltà del proprietario medesimo di agire in rivendicazione, al fine di recuperare la porzione del bene della quale sia stato spossessato con l'esecuzione di quell'opera, e, quindi, di conseguirne la demolizione (fermo restando il suddetto obbligo di pagamento).

Cass. civ. n. 970/1983

Per l'applicabilità degli artt. 936 e 937 c.c. è necessario che autore delle opere eseguite su suolo altrui sia un terzo, dovendo considerarsi tale colui che non è vincolato al proprietario dell'immobile da alcun rapporto negoziale ovvero da alcun rapporto di altro tipo che comporti una specifica disciplina circa immissioni del genere. Non è, pertanto terzo, né colui che abbia eseguito l'opera in base a contratto concluso col proprietario dell'immobile - salva l'ipotesi che tale contratto venga in seguito meno per invalidità, risoluzione e simili - né colui che già si trovi ad essere parte di un rapporto col proprietario dell'immobile nell'ambito del quale rapporto la legge ponga una specifica disciplina delle addizioni e migliorie, né colui che esegua materialmente l'opera in adempimento di un contratto con persona diversa dal proprietario dell'immobile, in quanto in siffatta ipotesi l'esecutore materiale entra con la cosa medesima in rapporto in via esclusivamente secondaria a seguito e per effetto di un incarico conferitogli a qualsiasi titolo dall'autore e che si limita ad eseguire l'altrui volontà.

Cass. civ. n. 4087/1982

La normativa di cui all'art. 936 c.c. postula che l'autore delle opere realizzate su suolo sia un terzo, occorrendo, a tal fine, che egli non sia titolare di un qualsiasi diritto, di natura reale o personale, avente ad oggetto il fondo cui le opere sono state eseguite, con la conseguenza che la suindicata normativa non è applicabile quando la disponibilità di tale fondo, da parte dell'autore delle opere, tragga origine dall'utilizzazione che quest'ultimo ne abbia fatto dopo la vendita, ritardandone la consegna all'acquirente in violazione dell'obbligo ex art. 1476 n. 1 c.c.

Cass. civ. n. 1688/1982

Il criterio per determinare il limite temporale entro cui il dominus soli deve manifestare la sua opposizione all'opera che il terzo abbia intrapreso sul suo suolo con materiali propri, al fine di far salvo, ai sensi dell'art. 936, quinto comma, c.c., il diritto di chiederne la rimozione, è dato dal compimento dell'opera, onde, finché questa non sia portata a termine, la domanda di rimozione deve ritenersi tempestiva.

Cass. civ. n. 1181/1976

Il proprietario del suolo sul quale viene eseguita una costruzione da parte di un terzo con materiali propri, acquista immediatamente la proprietà della costruzione, ma tale acquisto non è definitivo e si ha come non avvenuto (effetto ex tunc) qualora egli, nel termine di legge, eserciti il potere di rifiuto con l'intimazione di rimuovere la costruzione; consegue che il proprietario il quale abbia ottenuto una sentenza di condanna del terzo alla rimozione non può, ancorché in sede di opposizione all'esecuzione intrapresa sia stata dichiarata prescritta l'actio iudicati nascente da detta sentenza, ottenere successivamente l'accertamento dell'acquisto della proprietà della costruzione per accessione.

Cass. civ. n. 3099/1974

La disposizione contenuta nell'art. 936 c.c., stabilendo che il proprietario del terreno non può obbligare il terzo a rimuovere la costruzione ivi eseguita da quest'ultimo con materiali propri, in buona fede ovvero a scienza e senza opposizione del detto proprietario, si riferisce all'ipotesi di costruzioni fatte interamente sul fondo altrui, e pertanto autonomamente utilizzabili da parte del detto proprietario. Invece, qualora nella costruzione di un edificio si occupi solo con una parte di esso l'altrui fondo contiguo, essendo esclusa per definizione l'utilizzabilità autonoma della parte di edificio che insiste sull'altrui suolo da parte del proprietario di questo, a detto proprietario non è precluso di chiederne la rimozione, salvo, ovviamente, il concorso degli estremi che giustificano l'attribuzione al costruttore della proprietà del terreno da lui occupato a titolo di «accessione invertita».

Cass. civ. n. 1762/1974

L'ignoranza del terzo che ha eseguito costruzioni su suolo altrui con materiali propri, di ledere l'altrui diritto (ignoranza che impedisce al proprietario del suolo di chiedere la rimozione della costruzione) non deve dipendere — secondo il concetto unitario della buona fede posto dall'art. 1147 c.c. — da colpa grave, la cui esistenza va accertata tenendo conto della categoria sociale, della professione ed attività dell'agente, del tempo, del luogo e delle altre modalità dell'azione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 936 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D.G. chiede
mercoledì 20/09/2023
“Vorrei dare in comodato d'uso ad un Impresa Costruttrice e/o Privato il terreno di mia proprietà al momento non edificabile.
Vorrei inserire nel contratto la clausola che se l'Impesa/Privato (Comodatario) riesce a costruire mi concede gratuitamente un appartamento. E' possibile ?”
Consulenza legale i 28/09/2023
La risposta è negativa per le ragioni che qui di seguito vengono esposte.
La prima ragione sta nella circostanza che nel nostro ordinamento giuridico vige il c.d. principio della accessione, in forza del quale è il proprietario del terreno ad acquistare automaticamente (ovvero senza necessità di un contratto di trasferimento) la proprietà di qualsiasi costruzione od opera realizzata sopra o sotto il suo suolo.
In tal senso si esprime abbastanza chiaramente l’art. 936 c.c., rubricato “Opere fatte da un terzo con materiali propri”, il quale dispone che se un terzo ha realizzato costruzioni o altre opere con materiali propri su suolo altrui, il proprietario del fondo ha il diritto di trattenerle oppure di obbligare colui che le ha fatte a toglierle.

Precisa, tuttavia, il quarto comma di quella medesima norma che il proprietario del suolo non può obbligare colui che ha realizzato la costruzione a toglierla nell’ipotesi in cui sia stata realizzata “a sua scienza e senza opposizione”.
In questo caso, che poi coincide con l’ipotesi in esame, al proprietario del suolo rimane solo il diritto di fare propria la costruzione (appunto, per accessione), ma sorge a suo carico il correlativo obbligo di corrispondere al costruttore/comodatario una somma di denaro, la quale dovrà essere pari, a sua scelta, al valore dei materiali più il prezzo della manodopera ovvero all’aumento di valore che il fondo ha conseguito per la presenza della costruzione.

Come può facilmente intuirsi, dunque, finchè le parti non porranno in essere un negozio traslativo della proprietà del suolo (o, quantomeno, un preliminare di vendita in forza del quale il proprietario si obbligherà a trasferire la proprietà di quel suolo), al costruttore/comodatario non rimarrà mai la proprietà di alcun appartamento da trasferire gratuitamente al comodante.

La seconda ragione che induce a dover rispondere negativamente a ciò che viene chiesto sta nel fatto che non è in ogni caso ipotizzabile una promessa di comodato ovvero un impegno semplicemente preliminare non accompagnato dalla consegna della cosa.
Va ricordato, a tal proposito, che il comodato si definisce, insieme al mutuo ed al deposito, come contratto c.d. reale, il che ha indotto la dottrina prevalente a sostenere che prima della consegna, e quindi prima della nascita del contratto, la promessa di comodato sarebbe del tutto irrilevante.
Si afferma, in particolare, che una promessa di comodato è destinata a rimanere nell’ambito dei meri rapporti di cortesia, il che comporta che la sua mancata attuazione non genera alcuna responsabilità a carico del promittente-comodatario.
Solo una parte minoritaria della dottrina ha fatto osservare che, seppure una promessa di tal genere non può certamente generare un obbligo di consegnare, la stessa determina in ogni caso l’insorgere di un’aspettativa nei confronti dell’altra parte, che come tale va tutelata.

In ogni caso, a prescindere dalle varie tesi che possono essere state elaborate al riguardo (come anche quella, senz’altro da respingere, secondo cui la promessa di comodato non sarebbe nient’altro che un preliminare di comodato, che obbliga il promittente a consegnare la cosa, ovvero a concludere il contratto definitivo), resta il fatto che si tratta pur sempre di fattispecie negoziale di dubbia validità, alla quale non pare opportuno affidare il soddisfacimento dei propri interessi.

Infine, un’ultima, ma non meno importante, ragione che induce a dover escludere la validità di un siffatto regolamento di interessi, deve individuarsi nel fatto che il contratto di comodato si caratterizza essenzialmente per la sua gratuità, il che induce a dover comunque escludere che il comodatario possa obbligarsi, in cambio del godimento del terreno (e, quindi, a titolo di corrispettivo) a trasferire al comodante l’appartamento realizzando.

Non resta altra soluzione, dunque, che quella di ricorrere alla fattispecie negoziale che si suole ordinariamente utilizzare per casi del genere, ovvero quella della permuta di cosa presente (il terreno) con cosa futura (uno degli appartamenti del futuro edificio da costruire), subordinando, tuttavia, il prodursi di ogni effetto derivante da tale contratto alla condizione sospensiva del mutamento di destinazione urbanistica del suolo da non edificabile ad edificabile.
Nelle more, si potrà sempre stipulare tra le parti un contratto di comodato, subordinando questa volta la risoluzione dello stesso al verificarsi del medesimo fatto che nel preliminare di permuta viene previsto come condizione sospensiva di efficacia.
Ovviamente si tratta soltanto di una possibile soluzione, ma è ben possibile ipotizzare altre costruzioni negoziali se si riescono a comprendere bene quali reciproci interessi le parti intendono perseguire e realizzare.

F. B. chiede
venerdì 01/04/2022 - Puglia
“Il proprietario del terreno si accorda con il fratello a che lo stesso costruisca a sue spese un immobile. Il costruttore successivamente avrebbe pagato il valore del terreno. Dai documenti in possesso del costruttore si scopre “Per tabulas” che il proprietario del terreno ha agito in malafede onde appropriarsi dell’immobile mediante il diritto di accessione. Cosa prevede la legge? Eventuali sentenze?
Grazie”
Consulenza legale i 07/04/2022
La fattispecie concreta che qui viene descritta deve farsi rientrare a tutti gli effetti nel disposto di cui all’art. 936 c.c., rubricato “Opere fatte da un terzo con materiali propri”.
Sebbene nel quesito si faccia riferimento ad un accordo tra i due fratelli (il proprietario del terreno ed il costruttore), non sembra che tale accordo sia stato trasfuso in qualche documento scritto.
Sia la dottrina che la giurisprudenza, infatti, sono dell’avviso che la disciplina dettata dall’art. 936 c.c. trovi applicazione allorquando l'opera del terzo non venga posta in essere in esecuzione di un rapporto contrattuale che lo lega al proprietario del fondo, ovvero quando il precedente rapporto sia stato giudicato invalido o sia stato risolto.
In tal senso si rinvengono diverse pronunce della giurisprudenza di legittimità, ed in particolare si vogliono qui riportare, per come richiesto espressamente nel quesito, quelle che si ritengono più significative:
Cass. civ., Sez. I, 05/08/2003, n. 11835
La disciplina dell'art. 936 c.c. è applicabile esclusivamente quando le opere siano state realizzate da un soggetto che non abbia con il proprietario del fondo nessun rapporto giuridico, di natura reale o personale, che gli conferisca la facoltà di costruire sul suolo; questa fattispecie deve ritenersi sussistente anche qualora un preesistente contratto sia venuto meno per invalidità o per risoluzione, stante l'efficacia retroattiva "inter partes" della relativa pronuncia, ma non ricorre invece nel caso in cui il terzo abbia realizzato l'opera nell'adempimento di un contratto stipulato con persona diversa dal proprietario dell'immobile, in quanto, in quest'ultima ipotesi, l'opera è riconducibile al rapporto contrattuale instaurato dal proprietario dell'immobile con il soggetto che ha commissionato l'opera.
Cass. civ., Sez. II, 29/03/2001, n. 4623
La disciplina dettata dall'art. 936 c.c. trova applicazione soltanto quando l'autore delle opere sia realmente terzo, ossia non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico, di natura reale o personale, tale da consentirgli la facoltà di costruire sul suolo. Tale ipotesi si verifica non soltanto nell'originaria assenza di alcun vincolo contrattuale, ma anche allorchè un preesistente contratto sia venuto meno per invalidità o per risoluzione, stante l'efficacia retroattiva "inter partes" della relativa pronuncia.
Cass. civ., Sez. III, 16/11/1999, n. 12703
La disciplina dettata dall'art. 936 c.c. trova applicazione soltanto quando l'autore delle opere rivesta realmente la posizione di terzo, non sia cioè legato al proprietario del suolo da alcun rapporto negoziale relativo al suolo stesso o alle opere presenti su di esso. Tale fattispecie si verifica non soltanto nel caso di originaria assenza di vincoli contrattuali ma anche allorchè un preesistente contratto sia venuto meno per invalidità o per risoluzione, stante l'efficacia retroattiva "inter partes" della relativa pronunzia.
Cass. civ., Sez. II, 29/01/1997, n. 895
La disciplina dettata dall'art. 936 c.c. può trovare applicazione soltanto quando l'autore delle opere sia realmente terzo, non sia cioè legato al proprietario del suolo da alcun rapporto negoziale relativo al suolo stesso o alle opere, ma tale ipotesi si verifica non soltanto nell'originaria assenza di alcun vincolo contrattuale, ma anche allorchè un preesistente contratto sia venuto meno per invalidità o per risoluzione, stante l'efficacia retroattiva inter partes della relativa pronuncia. Nella detta ipotesi è pertanto preclusa al contraente che in base al contratto poi risolto abbia edificato sul suolo altrui la proposizione dell'azione di arricchimento contro il proprietario del fondo, stante il carattere sussidiario della stessa.
Cass. civ., Sez. I, 26/01/1995, n. 956
La disciplina dettata dall'art. 936 c.c. può trovare applicazione soltanto quando l'autore delle opere sia realmente terzo, non sia cioè legato al proprietario del suolo da alcun rapporto negoziale relativo al suolo stesso o alle opere, ma tale ipotesi si verifica non soltanto nell'originaria assenza di alcun vincolo contrattuale, ma anche allorchè un preesistente contratto sia venuto meno per invalidità o per risoluzione, stante l'efficacia retroattiva inter partes della relativa pronuncia.
Cass. civ., Sez. II, 27/12/1993, n. 12804
Ai fini dell'art. 936 c.c., che disciplina le opere eseguite da un terzo con materiali propri su suolo altrui, deve considerarsi terzo colui il quale non abbia avuto alcun rapporto con il proprietario del suolo, onde tale qualità va riconosciuta anche all'occupante, di cui sia stato risolto il contratto che gli consentiva di costruire sul suolo o di eseguirvi miglioramenti, stante l'efficacia retroattiva della risoluzione tra le parti (art. 1458 c.c.).
Cass. civ., Sez. II, 27/11/1992, n. 12709
Le costruzioni edificate in esecuzione di un contratto nullo, fino a quando non vengono demolite, raffigurano delle conseguenze vantaggiose per il proprietario del terreno e svantaggiose per il costruttore, ragioni per cui a questi deve corrispondersi l'indennizzo pari alla diminuzione patrimoniale subita, nei limiti dell'arricchimento conseguito dalla controparte.

Sempre in giurisprudenza è stato precisato che l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 936 c.c. non può essere esclusa per il solo fatto che il proprietario abbia prestato il proprio consenso all'esecuzione dell'opera, senza nel contempo costituire validamente un titolo diverso, ossia senza concludere un contratto in forza del quale attribuire al costruttore il diritto di utilizzare la superficie su cui la costruzione si andrà a realizzare.
In tal senso possono citarsi Cass. civ., Sez. III, 09/06/1992, n. 7100 e Cass. civ., Sez. II, 26/11/1988, n. 6380, nella quale ultima viene esplicitamente detto quanto segue:
Poiché, ai sensi dell'art. 936 c. c., terzo è chiunque non abbia con il proprietario del suolo un rapporto giuridico di natura reale o personale in forza del quale sia concessa la facoltà di costruire, è terzo colui che costruisce un manufatto sul fondo altrui in base alla promessa verbale del proprietario del suolo di trasferirgli in corrispettivo di lavori eseguiti la proprietà dello stesso manufatto, atteso che la promessa di trasferimento, avendo ad oggetto un immobile deve ritenersi nulla - e quindi tamquam non esset - per mancanza della forma scritta”.

Sembra più che evidente, dunque, che in ipotesi quale quella in esame, il fratello che ha costruito l’edificio sul suolo di proprietà dell’altro fratello sulla base di un solo accordo verbale, non può che soccombere alla richiesta di quest’ultimo di voler far propria la costruzione, stante l’insussistenza delle condizioni perché possa realizzarsi la c.d. accessione invertita, ossia quel fenomeno giuridico per effetto del quale è la proprietà della costruzione ad attrarre a sé la proprietà del suolo e non viceversa.
Ovviamente, perché il proprietario del suolo possa vedersi riconosciuta la proprietà della costruzione su di esso realizzata, occorre che vengano rispettate le condizioni imposte dallo stesso art. 936 c.c.
In particolare, troverà innanzitutto applicazione il disposto di cui al quarto comma della norma, ove è detto che il proprietario del suolo non può obbligare il terzo a togliere la costruzione se questa è stata realizzata a sua scienza e senza opposizione.
In considerazione di ciò, il fratello proprietario del suolo avrà il solo diritto di far propria la costruzione, con il correlativo obbligo di compensare l’altro fratello costruttore con il pagamento, a sua scelta, di una somma di denaro pari al valore dei materiali ed al prezzo della mano d’opera (ossia pari ai costi di costruzione) ovvero di una somma di denaro pari all’aumento di valore che dalla realizzazione di quella costruzione ne è conseguito al fondo.

Anonimo chiede
sabato 16/01/2021 - Puglia
“Con preliminare di permuta del 20/3/2013 la Costruzioni Edili di A.L.veniva immessa nel possesso del terreno "contestualmente alla firma del presente preliminare, al solo fine della presentazione di tutti gli elaborati tecnico amministrativi necessari o/e propedeutici all'ottenimento del parere favorevole dell'UTC di Trani e del successivo permesso di costruire, presso tutti i competenti uffici pubblici; ferma restando la restituzione di tale diritto nel caso di mancato perfezionamento del contratto definitivo di permuta".
Al punto 8 a): "Il presente contratto è soggetto a condizione risolutiva per mancato ottenimento del parere favorevole al progetto entro e non oltre 12 mesi dalla sottoscrizione, salvo proroga rilasciata a discrezione dei committenti ". A parere favorevole ottenuto l'eventuale inadempimento veniva sanzionato con una penale pari ad Euro 250000,00.
Avuta la disponibilità del suolo, l'impresa iniziava una serie di lavori per trasformare il terreno in cantiere edile per poter edificare le 14 villette previste in contratto. Estirpava pertanto un tendone di uva da tavola di circa 1000 mq., estirpava una ventina di alberi di frutta adulti, ampliava l'ingresso al cantiere demolendo parte del cancello preesistente sostituendo il cancello in ferro con altro fatto con tavole e lamiere che muniva di catenaccio.Eseguiva infine con una certa solerzia, una recinzione in cemento armato dell'altezza di circa mt. 2,50 su tre lati lasciando il 4°lato, prospiciente la strada vicinale Madonna delle Grazie, dove insiste l'ingresso, col preesistente muretto a secco. Dopodiché nessun'altra opera veniva eseguita e il cantiere risultava chiuso in attesa dell'arrivo del parere favorevole dell'UTC. Il parere favorevole alla richiesta di permesso a costruire presentato dalle Costruzioni Edili di A.L. perveniva 5 giorni dopo la scadenza dei 12 mesi pattuiti in preliminare. Resosi latitante, il titolare dell'Impresa veniva invitato con racc. r.r.a provvedere al pagamento degli oneri di urbanizzazione e successivamente ad adempiere con lettera di diffida. Entrambe le racc.te non venivano neppure ritirate. Citato in giudizio con atto notificato il 24/1/2015 per inadempimento contrattuale e per ottenere la restituzione del fondo, il convenuto si costituiva eccependo l'avveramento condizione risolutiva che il tribunale di (omissis), con sentenza 21/12/20 accertava e, per l'effetto, ordinava la restituzione agli attori del suolo edificatorio; rigettava la domanda degli attori di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare, rigettava la domanda di condanna del convenuto al pagamento della penale. Liquidava le spese di lite in Euro 13.430,00 oltre accessori a carico degli attori. Ferma restando l'appellabilità della Sentenza di primo grado, pongo il seguente quesito: Non avendo sortito alcun effetto le diffide inviate e non avendo consentito l'accesso al fondo per tutta la durata del processo (attualmente il cancello di cantiere risulta abbattuto consentendo libero ingresso a chiunque) avrebbe comunque diritto l'Impresa ad ottenere ex art.936 c.c.un indennizzo per il muro di recinzione seppure costruito parzialmente ( 3 lati). Può essere considerato terzo possessore di buona fede nonostante abbia esercitato il diritto di ritenzione per tutto il tempo del giudizio? Spetta agli attori un risarcimento danni da bilanciare a fronte della richiesta d'indennizzo per il muro?in attesa di Vs. riscontro porgo saluti.”
Consulenza legale i 05/02/2021
In risposta alle domande contenute nel quesito, si osserva quanto segue.
L’art. 936 c.c. dispone espressamente che se il proprietario preferisce ritenere le costruzioni fatte dal terzo deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore recato al fondo.
Tale disposizione va letta insieme a quanto previsto dall’art.1150 c.c. in tema di riparazioni, miglioramenti e addizioni.
A tal proposito, la Corte di Cassazione ha evidenziato che: “nessun indennizzo può essere preteso, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1150 e 936 c.c., dal terzo possessore che, sul fondo altrui, abbia costruito un'opera in violazione della normativa edilizia, commettendo i reati previsti e puniti dagli artt. 31 e 41 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e 10 e 13 della legge 6 agosto 1967, n. 765, essenzialmente perché quell'indennizzo sarebbe in contrasto con i principi generali dell'ordinamento ed in particolare con la funzione dell'amministrazione della giustizia, in quanto l'agente verrebbe a conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l'attività penalmente illecita e che, in via diretta, gli è precluso dagli artt. 1346 e 1418 c.c.” (Cass. n.26853/2011).
Nella presente vicenda, non risultano essere stati posti in essere illeciti edilizi. Inoltre, allo stato, la sentenza di primo grado ha escluso anche inadempimenti contrattuali dell’impresa.
Per cui, basandoci esclusivamente su quanto indicato nel quesito ed in risposta alla prima domanda contenuta in quest’ultimo, possiamo affermare che l’impresa in teoria potrebbe richiedere l’indennità di cui all’art.936 c.c. secondo comma.

Con riguardo la seconda domanda, si osserva quanto segue.
Il quarto comma dell’art. 936 c.c. prevede che il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le costruzioni ed opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte in buona fede.
La Cassazione, già con la sentenza n.3971 del 1997 aveva evidenziato: “La buona fede del terzo, costruttore su suolo altrui, prevista dal quarto comma dell'art. 936 c.c. come ostativa allo ius tollendi del proprietario di esso, non si riferisce all'esecuzione delle opere, e cioè non consiste nel convincimento — da presumere — di tale terzo di aver agito sciente domino, ma deve fondarsi sulla convinzione del medesimo terzo — che deve provarla in base a circostanze obbiettive — di esser proprietario anche del suolo sul quale ha costruito.“
Inoltre, con sentenza n. 15031 del 2015 la Suprema Corte ha poi ulteriormente sottolineato che: “Il possesso di buona fede del bene trasferito alla parte acquirente di una compravendita viene meno qualora, nel corso di un giudizio di risoluzione di tale contratto, il venditore diffidi il medesimo compratore a non eseguire lavori edili sul terreno oggetto di alienazione, dovendosi, pertanto, negare, per le opere fatte dopo tale momento, la buona fede del costruttore, agli effetti dell'art. 936, comma 4, c.c., stante la consapevolezza di questi che l'accoglimento della domanda di risoluzione avrebbe determinato l'effetto di dover restituire la cosa acquistata nella situazione in cui essa si trovava all'epoca della vendita.
Nella presente vicenda, leggiamo che il possesso del suolo contestualmente al preliminare (una sorta di preliminare ad effetti anticipati) era stato concesso al solo fine della presentazione di tutti gli elaborati tecnico amministrativi necessari o/e propedeutici all'ottenimento del parere favorevole dell'UTC di Trani e del successivo permesso di costruire,presso tutti i competenti uffici pubblici.
Pertanto, se abbiamo bene interpretato quanto riportato nel quesito, i lavori che erano stati effettuati dall’impresa non erano stati autorizzati o comunque esulavano da quanto era in sua facoltà alla luce del preliminare sottoscritto. riportati
A ciò si aggiungano le diffide successivamente inviate e l’azione giudiziaria intrapresa.
Alla luce dunque di come si sarebbero svolti i fatti (indicati sinteticamente nel quesito) ed anche della interpretazione giurisprudenziale del concetto di buona fede sopra riportata, riteniamo che possa escludersi la buona fede del terzo/ impresa.

Da ultimo, con riguardo l’ultima domanda contenuta nel quesito possiamo osservare ulteriormente quanto segue.
Una compensazione tra un risarcimento danni ed una indennità, laddove vi sia accordo delle parti, è possibile dal momento che si tratterebbe di una compensazione volontaria (art. 1252 c.c.) la quale può avere luogo anche se non ricorrono le condizioni previste per la compensazione giudiziale o legale (art.1243 c.c.). Nel caso in esame, inoltre, appaiono sussistere comunque anche i presupposti per una eventuale compensazione legale o giudiziale dal momento che si tratta di due debiti che hanno ad oggetto una somma di denaro.
Non è tuttavia chiaro nella presente vicenda in cosa consisterebbero i danni da risarcire.
Inoltre, leggiamo nel quesito che era stata prevista una penale per l’inadempimento.
A tal proposito, giova rammentare che ai sensi dell’art.1382 c.c. la clausola, con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore.
Basandoci soltanto sulla lettura del quesito in esame non sappiamo se nel contratto era stata prevista anche la risarcibilità del danno ulteriore né è specificato cosa le parti abbiano inteso con “inadempimento” in relazione alla penale.
Pertanto, in risposta all’ultima domanda, possiamo soltanto affermare che la compensazione (volontaria, legale o giudiziale) è in linea teorica possibile. Occorrerebbe però verificare se, alla luce delle pattuizioni, sia stata prevista o meno la risarcibilità di un danno ulteriore rispetto a quello oggetto della penale.

Anonimo chiede
giovedì 19/10/2017 - Umbria
“Sto per andare a vivere con la mia compagna, con cui ho un figlio, in una casa all'interno di una proprietà da lei acquistata e dove lei come imprenditrice agricola ha iniziato l'attività agricola. Avendo io partecipato all'acquisto di mobili per la casa e volendo a mie spese realizzare dei box per dei cavalli che possiedo all'interno di questa proprietà, come posso tutelare il mio patrimonio ovvero garantirmi che i beni da me pagati mi vengano riconosciuti nel caso in cui dovessimo separarci ?
Grazie Rimango in attesa.”
Consulenza legale i 26/10/2017
Per quanto riguarda l’acquisto dei beni mobili cui si è partecipato, va detto che l’unico modo per tutelarsi in caso di separazione (mantenerne il possesso o richiederne il prezzo se si lasciano alla compagna) è quello di conservare quei documenti che possano attestare la corresponsione di denaro ai fini dell’acquisto comune (distinte di bonifico, estratti conto prelievi, ecc.).

Se, infatti, i beni mobili sono stati acquistati insieme alla compagna l’unico modo per mantenerne la proprietà o per vedersi rimborsati della spesa è dimostrare che l’acquisto è stato fatto appunto in due e soprattutto che al pagamento hanno contribuito entrambi i soggetti.

Per quanto riguarda i box, invece, è lecito presumere che si tratti di vere e proprie costruzioni stabili e non rimovibili.
Tali costruzioni (intese come manufatti saldamente ancorati al suolo) sono di regola soggette alla regola dell’accessione di cui all’art. 934 cod. civ., per la quale il suolo attrae tutto ciò che vi è sopra incorporato: il proprietario del suolo, dunque, diviene proprietario anche di ogni cosa che venga costruita sul suo terreno.
Nel caso di specie, i box correrebbero quindi il rischio di essere ritenuti dalla compagna, in quanto proprietaria del terreno.

Tuttavia, la regola trova alcune eccezioni, tra le quali quella dettata dall’art. 936 cod. civ., per la quale quando la costruzione è fatta dal terzo con materiali propri, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle – pagando a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore che il fondo ha acquistato - o di obbligare colui che le ha fatte a levarle.
Tuttavia, il proprietario non può obbligare il terzo togliere le opere quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede.

Ad avviso di chi scrive, dunque, nel caso di specie sarà bene rendere partecipe la compagna della volontà di realizzare i box ed ottenerne l’autorizzazione (preferibilmente per iscritto: un domani, infatti, l’assenso orale potrebbe essere contestato) ed occuparsi dell’effettiva costruzione del tutto autonomamente sotto il profilo delle spese necessarie all’opera.
Questo consentirebbe, in caso di separazione dalla compagna, di far valere la proprietà sui box e chiederne il prezzo a quest’ultima – se lei volesse tenerli per la propria attività imprenditoriale o per altre ragioni – oppure di venderli.

Da ultimo si ritiene opportuno - poiché si tratta, nel caso di specie, di rapporto di convivenza – ricordare il contenuto della recente legge n. 76 del 2016, la quale consente ai conviventi di disciplinare in via programmatica i loro rapporti patrimoniali, mediante la sottoscrizione di un apposito contratto che – in linea con le elaborazioni sinora compiute dal notariato in materia – è definito contratto di convivenza.
Tale contratto può contenere:
a) l’indicazione della residenza comune;
b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
c) la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni.

E’ inoltre previsto che, in caso di morte del convivente proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni (che diventano tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e comunque non oltre i cinque anni.
Tale diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto.

Giovanni S. chiede
martedì 25/10/2016 - Sardegna
“Buongiorno, vorrei sapere se il figlio di un proprietario di terreni agricoli, può acquistare dal padre detti terreni, senza che quest'ultimo debba proporre la vendita ai confinanti imprenditori agricoli, per l'esercizio del diritto di prelazione. Faccio inoltre presente che altri due figli dello stesso proprietario attualmente hanno dei fondi in affitto dal padre ed altri in comodato. Questi ultimi godono del diritto di prelazione agraria, anche se fanno attività di allevamento bestiame (nello specifico hanno pecore ed alcuni maiali)? Vorrei poi sapere se la moglie superstite, di un quarto figlio del venditore, può vantare diritti in relazione all'esercizio della prelazione agraria, sui fondi che il marito morto deteneva in affitto dal padre. Vorrei poi sapere se il nuovo affittuario o proprietario di un terreno su cui è posizionato un pozzo d'acqua deve permettere al vecchio affittuario di continuare ad attingere acqua per abbeverare gli animali, quando a circa 300 metri potrebbe attingere dal fiume. Nei terreni agricoli una stalla costruita da terzi diventa proprietà del titolare del fondo su cui insiste?
I terreni si trovano tutti in montagna.
Grazie”
Consulenza legale i 03/11/2016
Il quesito proposto pone una serie di interrogativi che per comodità si ritiene opportuno così elencare:

1. Può un genitore vendere liberamente al proprio figlio un terreno agricolo senza rispettare il diritto di prelazione agraria in favore del confinante imprenditore agricolo?

A tale domanda deve darsi risposta positiva, in quanto nel concetto di prelazione agraria si distinguono due diverse tipologie, e precisamente:
a) Prelazione riconosciuta all’affittuario del fondo offerto in vendita, prevista e disciplinata dall’art. 8 della Legge 26/05/1965 n. 590
b) Prelazione riconosciuta al proprietario del fondo confinante con quello offerto in vendita, prevista e disciplinata dall’art. 7 della legge 14 agosto 1971 n. 817.
Entrambi i tipi di prelazione sono accomunati dalla figura soggettiva che ne può beneficiare, ossia il coltivatore diretto, mentre tale diritto non può mai riconoscersi agli imprenditori agricoli professionali, seppure questi, in seguito alla riforma dell’impresa agricola, abbiano ottenuto l’accesso a tutte le agevolazioni di carattere fiscale in ambito agricolo.
Ai sensi poi dell’art. 31 della Legge 26/05/1965 n. 590, al fine dell’applicazione delle norme sulla prelazione agraria “sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all’allevamento ed al governo del bestiame, semprechè la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l’allevamento ed il governo del bestiame”; si precisa ancora che “nel calcolo della forza lavorativa il lavoro della donna è equiparato a quello dell’uomo”.
Secondo Cass. 19.12.1980 n. 6563 è da considerare coltivatore diretto persino chi si dedica alla coltivazione del fondo per destinarne i frutti al consumo proprio senza trarne alcun reddito, non coincidendo tale nozione con quella di piccolo imprenditore agricolo di cui all’art. 2083 c.c; infatti, sempre secondo la giurisprudenza, ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione, la qualifica di coltivatore diretto non richiede l’iscrizione al registro delle imprese né l’iscrizione in albi o elenchi.

2. Spetta il diritto di prelazione agli altri figli che attualmente detengono fondi del padre in affitto ed in comodato e che sul fondo svolgono allevamento di bestiame?

A tale quesito occorre dare risposta negativa in quanto, seppure l’art. 31 della Legge 26/05/1965 n. 590, dice che al fine dell’applicazione delle norme sulla prelazione agraria “sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all’allevamento ed al governo del bestiame”, secondo la giurisprudenza prevalente il diritto di prelazione non spetta a chi svolge soltanto l’attività di allevamento del bestiame, dovendo questa attività essere connessa a quella di coltivazione del fondo (cfr. tra gli altri Cass. 27 dicembre1991n. 13927).
Inoltre, sempre secondo la tesi prevalente in giurisprudenza, la coltivazione del fondo in qualità di affittuario deve essere basata su un titolo giuridico effettivo, non essendo pertanto sufficiente un insediamento di fatto sul fondo agricolo, privo di un titolo giustificativo, e neppure un contratto di comodato (così Cass. 31.10..2008 n. 26286; Cass. 02.04.1980 n. 2135)

3. La moglie di un figlio del venditore può esercitare il diritto di prelazione sui fondi che il marito defunto deteneva in affitto dal padre?

Il diritto di prelazione dell’affittuario, previsto dall’art. 8 comma primo della legge 26.05.1965 n. 590, ha lo scopo di consentire la riunione in un unico soggetto della proprietà e della conduzione del fondo agricolo; il legislatore ha ritenuto vantaggioso, per lo sviluppo dell’economia agricola, che il soggetto che conduce il fondo, purché abbia la qualifica di coltivatore diretto, abbia la possibilità di acquistarne la proprietà con precedenza rispetto ad altri soggetti nel momento in cui il proprietario decide di venderlo, e ciò nell’ottica che il proprietario sia più portato dell’affittuario ad apportare miglioramenti al fondo rendendolo più produttivo, anche mediante investimenti a lungo termine.
Sulla scorta di quanto detto, pertanto, può dedursi che tale diritto non possa spettare alla moglie del figlio-affittuario del venditore, non potendo tale diritto prescindere dall’esistenza di un contratto agrario, non più in essere, né dalla qualifica di coltivatore diretto, che si presuppone sussista in capo al figlio.

4. Il nuovo affittuario o proprietario di un terreno su cui è posizionato un pozzo d'acqua deve permettere al vecchio affittuario di continuare ad attingere acqua per abbeverare gli animali, quando a circa 300 metri potrebbe attingere dal fiume?

Non compete al vecchio affittuario alcun diritto di attingere acqua dal fondo prima condotto in affitto per abbeverare gli animali.
Un diritto di tal tipo potrebbe formare solo oggetto di una servitù prediale la quale, come definita dall’art. 1027 c.c., consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (in questo caso non vi è un fondo dominante in cui favore costituire la servitù).
In caso contrario non saremmo più in presenza di una servitù ma di un semplice obbligo assunto tra soggetti consenzienti, e quindi di un diritto personale e non più di un diritto reale, per la cui costituzione occorre il consenso di entrambe le parti.

5. Nei terreni agricoli una stalla costruita da terzi diventa proprietà del titolare del fondo su cui insiste?

Al quesito deve darsi risposta positiva, trovando applicazione il c.d. principio superficies solo cedit espresso e disciplinato dagli artt. 934 e ss. del codice civile.
Principio generale è quello secondo cui qualunque costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo; nel caso particolare, poi, troverà applicazione la norma di cui all’art. 936 c.c., la quale dispone che quando la costruzione o l’opera sia stata fatta da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle.
Qualora preferisca ritenerle dovrà pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera oppure l’aumento di valore recato al fondo, mentre non potrà obbligare il terzo ad asportare le opere se sono state eseguite a sua scienza o se fatte dal terzo in buona fede.

Gianni B. chiede
venerdì 03/04/2015 - Toscana
“Buongiorno negli anni 80 ho acquistato un lotto di terreno (lotto 100) in Sardegna, con attiguo un altro lotto di terreno intestato a un altro soggetto, entrambe le superfici, con un permesso a costruire per due civili abitazioni.
Successivamente per motivi legati alla distanza dalla mia città natale, ho rinunciato alla costruzione facendo decadere la concessione edilizia, e passando il terreno a pascolo con rendita catastale minima.
Gli altri miei conoscenti invece, frazionando il terreno in due lotti (Lotti 101/103) costruirono regolarmente l’attuale immobile, accatastandolo in conformità sulle mappe catastali e presso gli uffici comunali a cavallo dei loro lotti di proprietà.
Nel 2010 gli stessi venderono la casa ai nuovi compratori con regolare trascrizione del bene con ovviamente la Consulenza Tecnica e operativa di: Notaio, Geometra, e Agenzia Immobiliare, certificando il trapasso, unitamente a tutti i documenti utili alla trascrizione.
In predetta circostanza furono anche unificati i due lotti, accatastando sempre il fabbricato nelle loro pertinenze geometriche e di diritto.
Per tutti questi anni ho sempre provveduto alla manutenzione della mia proprietà, fino al 2013 quando il Comune tramite lettera, mi chiese una maggiore pulizia dello stesso al fine di evitare possibili incendi, come previsto da una normativa Regionale Sarda.
Disposizione effettuata immediatamente.
Verso la fine del 2014, essendo intenzionato a vendere il terreno mi rivolsi a uno Studio del posto al fine di verificare i confini della mia proprietà, e di tutta la corrispondenza catastale.
Gli stessi mi risposero con relazione tecnica che si erano evidenziate, fin da subito, delle palesi irregolarità, attraverso delle verifiche aeree, le quali sovrapposte alle mappe catastali conservate presso gli Uffici Comunali, avevano fatto risaltare un’imbarazzante situazione.
In sostanza l’immobile dei miei vicini era stato integralmente costruito nel mio terreno, addirittura recintando tutta la proprietà.
Ovviamente verificando a questo punto disegni e carte, si evidenzia come il mio terreno geograficamente è più favorevole dell’altro, poiché la strada di campagna giunge direttamente alla proprietà, mentre nell’altro attiguo bisognerebbe realizzarla.
Anche dalle carte in Comune all’Ufficio Urbanistica, non risultava nessuna variazione, espropri, o meglio acquisizioni per usucapione, così come del resto negli atti di compravendita del 2010 a favore di terzi acquirenti.
Impossibile per degli addetti al mestiere non accorgersi in fase di vendita di quanto sopra riscontrato.
Anche il Comune è del tutto ignaro di questa situazione catastale.
Non solo, in questi anno ho tenuto pulito il loro terreno, nessuno si è accorto di tutto questo, gli atti di trascrizione del 2010 sono passati correttamente, ora rischio anche l’usucapione, e non mi rimane niente!!!!
E’ tutto regolare? Nessuno si è accorto che l’immobile è costruito su un'altra area, penso che l’irregolarità persistente potesse essere sanata al momento della nuova trascrizione, invece niente, perseverare a questo punto, nella malafede.
Soprattutto il mio terreno negli Uffici urbanistici risulta ancora a pascolo con rendita minima catastale, e senza mai nessuna richiesta di permesso a costruire.
Domanda: Come si fa a ristabilire questa situazione perché possa dormire tranquillo senza problemi? Ho perso tutto e non ho diritto a niente, viceversa mi spetta un risarcimento?
Grazie”
Consulenza legale i 08/04/2015
La vicenda narrata nel quesito è complessa e richiede certamente l'intervento immediato di un legale.
Può essere inquadrata, in termini giuridici, ad una iniziale abusiva occupazione di terreno altrui, con il rischio concreto di usucapione.

Vediamo, ora, quali sono le prospettive del proprietario del terreno occupato.

Innanzitutto, l'art. 936 del c.c. disciplina esattamente l'ipotesi in cui un terzo costruisca con suoi materiali piantagioni, costruzioni od opere su un fondo altrui. La norma stabilisce che il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle.

Se il proprietario preferisce tenere per sé le opere, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore recato al fondo; se, invece, chiede che siano tolte, esse devono togliersi a spese di colui che le ha fatte, il quale può anche essere condannato al risarcimento dei danni.

Certamente non opera nel nostro caso l'esclusione prevista dal quarto comma dell'art. 936 laddove sancisce che il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le opere, quando sono state fatte a sua scienza e senza opposizione, in quanto il proprietario del terreno è venuto a conoscenza dell'occupazione del suo terreno solo nel 2014; piuttosto, bisogna riflettere sull'eventuale esistenza di buona fede in capo al terzo nel momento della costruzione dell'immobile, ipotesi che consentirebbe al terzo di ottenere la non rimozione della cosa, sempre ai sensi del citato comma, fermo restando che egli dovrebbe risarcire i danni subiti dal proprietario del terreno. Per buona fede si intende la convinzione (sulla base di circostanze oggettive) di costruire sul proprio fondo.

In ogni caso, la norma prevede un termine molto stretto per la domanda di rimozione: la stessa non può più essere proposta trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione.

Naturalmente, nulla vieta che trascorsi i sei mesi, il proprietario possa agire in rivendicazione (art. 948 del c.c.) al fine di recuperare la sua porzione di terreno.

Ciò chiarito, va affrontato anche il problema dell'eventuale usucapione, che potrebbe essere eccepita dal proprietario dell'edificio. Purtroppo non è possibile dare una risposta certa circa il perfezionamento dello stessa nel caso specifico, ma è possibile esporre cosa stabilisce la legge.

Il codice civile pone dei requisiti molto rigidi: infatti, chi invoca l'acquisto a titolo originario del diritto di proprietà sul bene immobile dovrà provare l'esistenza dei presupposti richiesti dalla legge, ovvero il possesso ed il tempo.
Il possesso, come dice l'art. 1140 del c.c., è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. I giuristi parlano di animus possidendi, inteso come manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell’interessato, attraverso una attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui.
Perché il possesso possa rilevare ai fini dell'usucapione è necessario che esso sia palese e non violento (art. 1163 del c.c.).
Palese, significa "pubblico", "non clandestino", cioè avvenuto in maniera trasparente, anche se magari il proprietario non ne sia venuto a conoscenza subito (es. perché abita lontano da quel luogo); il possesso non è violento quando è stato acquisito pacificamente, senza una violenza fisica o morale nei confronti del proprietario.
Inoltre, deve trattarsi di un possesso continuo, cioè non deve essere esercitato in maniera saltuaria od occasionale.
Infine, il possesso deve essere ininterrotto per fatto del terzo o per eventi naturali: l'interruzione si verifica nel caso in cui il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno.

Va ammesso, infine, che risulta quantomeno singolare che nessuno dei tecnici e dei professionisti coinvolti nella costruzione dell'immobile e nella sua successiva vendita si sia mai accorto dello sconfinamento (che interessa l'intero immobile).
Pertanto, sarà opportuno valutare con il proprio legale di fiducia se esistano responsabilità specifiche di persone coinvolte nel processo di costruzione dell'immobile, tali da far nascere per il proprietario che ha subito l'occupazione il diritto al risarcimento del danno cagionato dalla loro negligenza o, addirittura dolo, se si possa provare che lo sconfinamento fu intenzionale.

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