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Articolo 1243 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Compensazione legale e giudiziale

Dispositivo dell'art. 1243 Codice Civile

La compensazione(1) si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere(2) e che sono egualmente liquid(3) ed esigibili(4).

Se il debito opposto in compensazione non è liquido ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente, e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all'accertamento del credito opposto in compensazione(5).

Note

(1) Il primo comma si riferisce alla compensazione legale (1242 c.c.).
(2) E' il requisito della omogeneità dei crediti.
(3) Il credito è liquido quando è già determinato nel suo ammontare.
(4) Il credito non è esigibile se è sottoposto a termine o a condizione.
(5) Il secondo comma disciplina la compensazione giudiziale (v. 35 c.p.c.), che può aversi se i crediti, non liquidi, siano però di facile e pronta liquidazione, ad esempio se è necessario solo rivalutarli in base agli indici ISTAT. La compensazione, che può essere anche parziale, opera dal momento in cui è pronunciata, a differenza di quella legale (1242 c.c.).

Ratio Legis

Nel caso di compensazione legale, il legislatore prevede che la stessa debba riguardare solo crediti che presentino una certa analogia tra di essi. Laddove questa analogia sia solo parziale, opera la compensazione giudiziale, nella quale è rimesso alla valutazione del giudice se pronunciarla comunque.

Brocardi

Compensatio necessaria est

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1243 Codice Civile

Cass. civ. n. 32438/2019

Nella compensazione di debiti reciproci aventi natura diversa, per essere uno di valore, in quanto a titolo di risarcimento danni, e l'altro di valuta, ai fini della determinazione del primo si deve tenere conto dell'incidenza della svalutazione monetaria, mentre la parte che fa valere il secondo può richiedere, ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c., l'ulteriore risarcimento del "danno maggiore" da essa eventualmente subìto, rispetto a quello forfettariamente determinato dal primo comma dello stesso articolo nella misura degli interessi legali. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CAGLIARI, 12/05/2015).

Cass. civ. n. 21082/2019

Nel processo tributario, qualora il contribuente agisca per ottenere il rimborso di un proprio credito di imposta, l'Amministrazione finanziaria, ferma restando la facoltà di esercitare discrezionalmente i poteri autoritativi di sospensione del pagamento delle somme pretese dal creditore e di pronuncia di compensazione nel caso sia a propria volta titolare di controcrediti tributari nei confronti del contribuente, è comunque legittimata, nel corso del giudizio instaurato dal creditore, ad opporre in compensazione ai sensi dell'art. 1243 c.c., i propri crediti certi, liquidi ed esigibili, spettando conseguentemente al giudice la verifica della ricorrenza dei requisiti richiesti per la pronuncia della compensazione legale.

Cass. civ. n. 12016/2019

In tema di compensazione, con riferimento alla rivalutazione ed agli interessi, quando sia stata giudizialmente riconosciuta in favore del convenuto - attore in riconvenzionale a titolo di indebito oggettivo per le somme trattenute senza titolo da controparte - la sussistenza di un credito, posto contestualmente in detrazione, e pertanto compensato, con il maggior credito vantato dalla parte attrice - nella specie per il ritardato rilascio dell'immobile al convenuto medesimo locato -, in forza del disposto dell'articolo 1242 c.c. il primo dei due crediti deve ritenersi estinto per compensazione sin dal momento della coesistenza degli stessi, senza che sia stato mai produttivo di interessi o di rivalutazione monetaria. Ed invero, tale effetto compensativo si era già verificato al momento della proposizione della domanda riconvenzionale, momento dal quale, giusto disposto dall'art. 2033 c.c., decorrono gli interessi moratori, dovendosi presumere la buona fede dell'"accipiens" in difetto di specifiche prove contrarie.

Cass. civ. n. 4313/2019

La compensazione, legale o giudiziale, rimane impedita tutte le volte in cui il credito opposto in compensazione sia stato ritualmente contestato in diverso giudizio non ancora definito, risultando a tal fine irrilevante l'eventuale sentenza di merito o provvedimento di condanna, anche se immediatamente esecutivi, emessi in quel giudizio, perché non consentono di ritenere integrato il requisito della definitività dell'accertamento, e dunque della certezza del controcredito. (Nella specie la S.C., premesso che pure la c.d. compensazione comunitaria opera secondo la disciplina prevista dalla normativa nazionale, ha ritenuto che non potesse operare la deroga alla compensabilità dei crediti impignorabili - prevista dall'art. 3, comma 5 duodecies, del d.l. n. 182 del 2005, conv. con mod. dalla legge n. 231 del 2005 -, tra le somme richieste in ripetizione per provvidenze finanziarie erogate dall'Agea, prospettate come indebite, ed il credito per provvidenze PAC di competenza dell'operatore agricolo, stante la contestazione del controcredito vantato dall'Agea, ancora oggetto di accertamento in diverso giudizio pendente dinanzi al TAR).

Cass. civ. n. 2970/2019

L'eccezione di compensazione dedotta in via subordinata determina il rigetto di quella di prescrizione presuntiva proposta in via principale in quanto costituisce implicita ammissione dell'esistenza del debito.

Cass. civ. n. 2661/2019

Quando sia dichiarata la risoluzione del contratto d'investimento in valori mobiliari, si ingenerano tra le parti reciproci obblighi restitutori, dovendo l'intermediario restituire l'intero capitale investito, mentre l'investitore è obbligato alla restituzione del valore delle cedole corrisposte e dei titoli acquistati, secondo la disciplina di cui all'art. 2038 c.c.; i reciproci crediti vantati dalle parti, ove ne ricorrano i presupposti, possono compensarsi legalmente, ai sensi dell'art. 1243 c.c. (In applicazione del principio, la Corte, cassando la pronuncia impugnata ha prescritto alla Corte d'Appello in sede di rinvio: di valutare le domande restitutorie con riguardo, rispettivamente, alla somma originariamente investita ed alle cedole ed ai titoli oggetto dell'investimento; di verificare se i titoli fossero ancora nella disponibilità degli investitori; di verificare la sussistenza dei presupposti della compensazione nei limiti della coesistenza dei crediti; di statuire sulla domanda risarcitoria con riguardo al danno eventualmente residuato agli investitori dopo aver proceduto alle restituzioni dovute.) (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 29/09/2016).

Cass. civ. n. 31359/2018

In tema di compensazione dei crediti, se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente, l'esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, neppure quella giudiziale, perché quest'ultima, ex art. 1243, comma 2, c.c., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 15/09/2016).

Cass. civ. n. 23948/2018

La compensazione legale presuppone pur sempre che una delle parti dichiari di volersene avvalere, così esercitando un diritto potestativo, il quale postula che valutando liberamente il proprio interesse all'adempimento, la parte predetta decida di determinare l'estinzione dei debiti contrapposti dal giorno della loro coesistenza.

Cass. civ. n. 23225/2016

L'art. 1243 c.c. stabilisce i presupposti sostanziali ed oggettivi del credito opposto in compensazione, ossia la liquidità, inclusiva del requisito della certezza, e l'esigibilità. Nella loro ricorrenza, il giudice dichiara l'estinzione del credito principale per compensazione legale, a decorrere dalla sua coesistenza con il controcredito e, accogliendo la relativa eccezione, rigetta la domanda, mentre, se il credito opposto è certo ma non liquido, perché indeterminato nel suo ammontare, in tutto o in parte, egli può provvedere alla relativa liquidazione, se facile e pronta, e quindi può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale sino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, oppure può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione.

Cass. civ. n. 22324/2014

La compensazione legale, a differenza di quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti, sicché la sentenza che la accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi e questo automatismo non resta escluso dal fatto che la compensazione non possa essere rilevata di ufficio, ma debba essere eccepita dalla parte, poiché tale disciplina comporta unicamente che il suddetto effetto sia nella disponibilità del debitore che se ne avvale, senza che sia richiesta una autorizzazione alla compensazione dalla controparte.

Cass. civ. n. 23573/2013

La circostanza che l'accertamento di un credito risulti "sub iudice" non è di ostacolo alla possibilità che il titolare lo opponga in compensazione al credito fatto valere in un diverso giudizio dal suo debitore. In tal caso, se i due giudizi pendano innanzi al medesimo ufficio giudiziario, il coordinamento tra di essi deve avvenire attraverso la loro riunione, all'esito della quale il giudice potrà procedere nei modi indicati dal secondo comma dell'art. 1243 c.c. Se, invece, pendono dinanzi ad uffici diversi (e non risulti possibile la rimessione della causa, ai sensi dell'art. 40 c.p.c., in favore del giudice competente per la controversia avente ad oggetto il credito eccepito in compensazione), ovvero il giudizio relativo al credito in compensazione penda in grado di impugnazione, il coordinamento dovrà avvenire con la pronuncia, sul credito principale, di una condanna con riserva all'esito della decisione sul credito eccepito in compensazione e contestuale rimessione della causa nel ruolo per decidere in merito alla sussistenza delle condizioni per la compensazione, seguita da sospensione del giudizio - ai sensi, rispettivamente, degli artt. 295 e 337, secondo comma, c.p.c. - fino alla definizione del giudizio di accertamento del controcredito.

Cass. civ. n. 9608/2013

La compensazione giudiziale, di cui all'art. 1243, secondo comma, cod. civ., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione medesima è invocata e non può, dunque, fondarsi su un credito, la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso. In tale ipotesi, pertanto, resta esclusa la possibilità di disporre la sospensione ai sensi della norma suddetta, e va, parimenti, esclusa l'invocabilità della sospensione contemplata, in via generale, dagli artt. 295 o 337, secondo comma, cod. proc. civ., in considerazione della prevalenza della disciplina speciale menzionata.

Cass. civ. n. 13208/2010

La compensazione legale non può operare qualora il credito addotto in compensazione sia contestato nell'esistenza o nell'ammontare, in quanto la contestazione esclude la liquidità del credito medesimo, laddove la legge richiede, affinché la compensazione legale si verifichi, la contestuale presenza dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito; pertanto deve escludersi l'operatività della compensazione legale qualora la manifestazione di volontà del debitore di pagare la somma dovuta sia "necessitata", poiché assunta a fronte di un provvedimento giudiziale provvisoriamente esecutivo, senza che ciò escluda la volontà di insistere nella contestazione della pretesa della controparte.

Cass. civ. n. 10025/2010

La disposizione contenuta nell'art. 56 della legge fall. rappresenta una deroga al concorso, a favore dei soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l'effetto compensativo si produce e ferma restando l'esigenza dell'anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte. Le stesse esigenze poste a base della citata norma giustificano l'ammissibilità anche della compensazione giudiziale nel fallimento, per la cui operatività è necessario che i requisiti dell'art. 1243 c.c. Ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia, quando la compensazione viene eccepita.

Cass. civ. n. 21923/2009

La compensazione giudiziale, prevista dall'art. 1243, secondo comma, c.c., è ammessa soltanto se il giudice del merito, nel suo discrezionale apprezzamento, riconosce la facile e pronta liquidità del credito opposto in compensazione, con la conseguenza che, difettando tali condizioni, egli deve disattendere la relativa eccezione e il convenuto potrà far valere il credito in separata sede con autonomo giudizio. La verifica della sussistenza del requisito della liquidità, risolvendosi in una valutazione di fatto, è incensurabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 391/2006

Per la eccezione di compensazione legale non è necessario che la manifestazione di volontà della parte si attui mediante espressa istanza, proposta con formula sacramentale, essendo sufficiente che dal comportamento difensivo della parte stessa risulti inequivocabilmente la volontà di far dichiarare estinto il proprio debito a causa della contemporanea esistenza di altro debito che a quello si contrappone. (Con riferimento al caso di specie, la S.C. ha tuttavia escluso che fosse sufficiente, a tal fine, l'allegazione da parte della banca convenuta di avere fatto proprio il ricavato dalla realizzazione di un pegno, la quale prescinde del tutto dall'esistenza, indispensabile per la compensazione, di un contrapposto debito del creditore verso il debitore, in virtù di un diverso rapporto, rappresentato nella specie dal saldo attivo di libretti al portatore).

Cass. civ. n. 260/2006

La compensazione legale, a differenza di quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti, sicché la sentenza che l'accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi, né l'automatismo è escluso dal fatto che la compensazione non possa essere rilevata d'ufficio e debba essere eccepita dalla parte, poiché tale disciplina giuridica comporta unicamente che il suddetto effetto risulta nella disponibilità del debitore che se ne avvale.

Cass. civ. n. 157/2005

Il giudice deve decidere sul credito opposto in compensazione anche allorché non sia di facile e pronta liquidazione, se fatto valere con domanda riconvenzionale e non eccedente la sua competenza per materia o valore; tuttavia, ove nella compensazione ricorra al criterio equitativo di cui agli articoli 1226 e 2056 del c.c., tale criterio deve importare la previa individuazione delle due poste da comparare, con analitica e circostanziata indicazione delle componenti patrimoniali, in modo da rendere palese e chiara l'individuazione dell'iter logico seguito nella valutazione equitativa.

Cass. civ. n. 11146/2003

La compensazione legale estingue ope legis i debiti contrapposti in virtù del solo fatto oggettivo della loro coesistenza, sicché la pronuncia del giudice si risolve in un accertamento della avvenuta estinzione dei reciproci crediti delle parti fino dal momento in cui sono venuti a coesistenza; tuttavia la compensazione non può essere rilevata d'ufficio e deve essere eccepita dalla parte che intende avvalersene, non occorrendo peraltro che la relativa manifestazione di volontà sia espressa mediante l'uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che dal comportamento della parte risulti univocamente la volontà di ottenere la dichiarazione dell'estinzione del credito, non essendo però idonea a detto fine la volontà di avvalersi della compensazione, manifestata al di fuori del processo dal procuratore ad litem privo di poteri rappresentativi di natura sostanziale.

Cass. civ. n. 9904/2003

La compensazione giudiziale prevista dall'art. 1243, secondo comma, c.c., può essere disposta quando il credito, pur non essendo liquido, è di facile e pronta liquidazione, non ostando alla possibilità di una pronta liquidazione la semplice contestazione del credito stesso ma occorrendo che l'accertamento di esso comporti una lunga istruttoria, o che esso sia in corso di accertamento nell'ambito di un separato giudizio - (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha cassato per difetto di motivazione la sentenza del giudice di merito che aveva escluso la compensabilità del credito risarcitorio della datrice di lavoro con quello retributivo del dipendente, senza dar conto delle circostanze che ostavano ad una facile e pronta liquidazione.

Cass. civ. n. 2480/2003

La domanda di restituzione o riduzione in pristino della parte che ha eseguito delle prestazioni in base a sentenza cassata, prevista dall'art. 389 c.p.c., può essere proposta nello stesso giudizio di rinvio oppure in separata sede, e, in tale seconda ipotesi, il giudice non è tenuto a riunire i due processi, perchè le domande di restituzione o riduzione in pristino sono del tutto autonome da quelle del giudizio di rinvio e prescindono completamente dalla fondatezza o meno di quest'ultima, assolvendo all'esigenza di garantire all'interessato la possibilità di ottenere al più presto la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione cassata, e la loro definizione non deve essere procrastinata dall'istruzione e risoluzione della lite principale; nè è tenuto a sospendere il giudizio sulle restituzioni, neanche in vista della possibile compensazione del credito vantato dall'attore con il controcredito invocato dal convenuto nella causa di rinvio o in altri processi da questi intentati contro l'avversario, perchè la compensazione giudiziale di cui all'art. 1243 c.c. presuppone che sia lo stesso giudice a procedere all'accertamento dei reciproci debiti e crediti, onde, non potendo la stessa operare nell'ipotesi di separati giudizi, deve in tal caso scartarsi ogni possibilità di applicazione degli artt. 295 o 337 c.p.c.

Cass. civ. n. 1955/2003

Ai fini della operatività della compensazione legale come fattispecie dalla quale deriva l'effetto estintivo dell'obbligazione, ciò che rileva è l'omogeneità delle obbligazioni, la liquidità ed esigibilità dei crediti e l'esistenza per ciascun credito di un titolo diverso, prescindendosi ai fini dell'operatività di tale forma di compensazione, da qualunque accordo intervenuto eventualmente tra le parti; ne consegue che unica prova richiesta è quella della contemporanea esistenza dei crediti contrapposti.

Cass. civ. n. 12664/2000

La compensazione giudiziale è ammessa nella sola ipotesi in cui il credito opposto sia (oltreché esigibile ed omogeneo al controcredito) di facile e pronta liquidazione, con la conseguenza che la mancanza di tale condizione (che si verifica non soltanto quando il credito non sia certo nel suo ammontare, ma anche qualora ne risulti contestata l'esistenza, sì che il relativo accertamento necessiti di una lunga istruttoria) obbliga il giudice a disattendere la relativa eccezione, dovendo la parte far valere il credito in separato giudizio con autonoma domanda.

Cass. civ. n. 4073/1998

È esclusa la compensazione legale, per illiquidità del credito contrapposto, se contestato, mentre è esclusa quella giudiziale se il giudice del merito accerta che esso non è di pronta liquidazione, ovvero se a tal fine pende altro giudizio, perché soltanto in questo tale credito può essere liquidato.

Cass. civ. n. 2874/1998

Non può essere fatto valere in giudizio, in via di compensazione, un credito che debba essere accertato da una giurisdizione diversa. (Nella specie, a seguito dell'esito di un giudizio amministrativo, la pubblica amministrazione aveva chiesto ad alcuni pubblici dipendenti, mediante ingiunzione fiscale, la restituzione di somme versate in eccesso in esecuzione della decisione di primo grado, poi parzialmente riformata, e nel relativo giudizio di opposizione gli interessati avevano opposto in compensazione gli interessi anatocistici e la rivalutazione maturati sulle somme effettivamente loro spettanti).

Cass. civ. n. 4800/1997

Al fine di dichiarare l'estinzione per compensazione legale di due crediti reciproci certi, liquidi ed esigibili, pur se riferiti allo stesso rapporto, fino alla concorrenza di quello di importo minore, l'accertamento dell'esistenza (e dell'ammontare) dei crediti medesimi va effettuato secondo la disciplina vigente all'epoca in cui si è verificato l'effetto estintivo per la coesistenza dei due crediti e non trova invece applicazione l'eventuale jus superveniens, ancorché dotato di efficacia retroattiva. (Nella specie la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che aveva ritenuto applicabile la disciplina dell'indebito previdenziale prevista dall'art. 52 legge 9 marzo 1989, n. 88 senza tener conto dell'intervenuta compensazione legale del credito dell'assicurato per ratei di pensione pagati in misura inferiore a quella dovuta con il credito restitutorio dell'Inps anteriormente all'entrata in vigore di tale disciplina).

Cass. civ. n. 2176/1995

La compensazione giudiziale prevista dall'art. 1243 comma 2 c.c., presupponendo l'accertamento del contro-credito da parte del giudice innanzi al quale la compensazione è stata eccepita, non può fondarsi su di un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso, in quanto tale credito non è liquidabile se non in questa sede.

Cass. civ. n. 1393/1995

La compensazione giudiziale è ammessa solo se il giudice riconosca la facile e pronta liquidità del credito, in senso lato e con riferimento anche all'an debeatur.

Cass. civ. n. 1114/1995

Il credito risarcitorio per inadempimento contrattuale si trasforma in credito pecuniario per effetto e dal momento della quantificazione giudiziale. Ne consegue che la sua estinzione per compensazione, in ragione di coesistenza con credito pecuniario del danneggiante verso il danneggiato, può verificarsi, ai sensi dell'art. 1243 c.c., esclusivamente alla data di detta liquidazione giudiziale e con riferimento alla somma da essa risultante, rimanendo preclusa ogni possibilità di far retroagire la compensazione medesima a data anteriore (con perdita per l'avente diritto della computabilità della svalutazione monetaria successivamente sopravvenuta).

Cass. civ. n. 11850/1993

La compensazione giudiziale è ammessa solo se il giudice riconosca, con apprezzamento rimesso al suo potere discrezionale, non sindacabile in sede di legittimità, la facile e pronta liquidità del credito opposto, salvo che ad iniziativa del convenuto sia introdotta nel processo una domanda riconvenzionale, per modo che la compensazione si profili come conseguenza sulla pronuncia della riconvenzionale. In questa ipotesi per il disposto degli artt. 36 e 112 c.p.c. il giudice, oltre a provvedere sulla domanda principale, ha l'obbligo di conoscere di quella riconvenzionale e di accertare l'eventuale esistenza del credito opposto dal convenuto.

Cass. civ. n. 10352/1993

Nel caso in cui ad una domanda di pagamento proposta in via principale venga contrapposta, in via riconvenzionale, una domanda produttiva anche di effetti estintivi dell'obbligazione di cui alla richiesta formulata in via principale, la contestualità della pronuncia giudiziale in merito ad entrambe le domande si rende necessaria solo quando il contro credito fatto valere in via riconvenzionale abbia i caratteri della omogeneità, esigibilità e liquidità, ovverosia quando si versi in tema di compensazione legale (art. 1243, primo comma, c.c.). Quando, invece, pur in presenza di crediti entrambi omogenei ed esigibili, solo il credito dell'attore è liquido, mentre quello opposto in compensazione non è tale, pur apparendo di pronta e facile liquidazione, la separazione delle due domande ben può essere disposta dal giudice a norma del secondo comma dell'art. 1243 c.c., con valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità, senza che rilevi in contrario la facilità della liquidazione del controcredito, costituendo un connotato tipico della compensazione giudiziale.

Cass. civ. n. 1784/1993

La disciplina della compensazione giudiziale non è applicabile nella controversia in cui le parti facciano valere contrapposti crediti derivanti dal medesimo rapporto, anche se uno di essi trovi titolo nella legge e l'altro nel contratto, in quanto in detta situazione si richiede un mero accertamento contabile delle rispettive condizioni di dare e di avere inerenti ad un unico rapporto, non riconducibile nell'ambito della compensazione in senso proprio (fattispecie concernente il debito del possessore di restituzione dei frutti ed il credito del medesimo per i miglioramenti).

Cass. civ. n. 6237/1991

La compensazione giudiziale è inammissibile quando venga contestata l'esistenza del credito opposto in compensazione, salvo che il giudice del merito — con apprezzamento insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente motivato — ritenga la contestazione, prima facie, pretestuosa ed infondata.

Cass. civ. n. 1655/1982

La compensazione legale, pur avendo a necessario presupposto la reciprocità delle obbligazioni, per cui i due soggetti debbono essere debitori l'uno dell'altro, opera anche quando i debiti contrapposti non siano esclusivamente propri dei due soggetti — nel senso che in uno dei due rapporti obbligatori siano intervenuti altri soggetti (in posizione attiva o passiva) che non partecipano al secondo rapporto — comportando l'estinzione dei rispettivi debiti fra quei soggetti dei due rapporti rispetto ai quali concorrano gli estremi legali richiesti.

Cass. civ. n. 431/1982

La compensazione giudiziale, prevista dall'art. 1243, secondo comma, c.c., presupponendo l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione è fatta valere, non può fondarsi su di un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e che, perciò, non è liquidabile se non in quella sede.

Cass. civ. n. 1650/1977

Qualora sia opposto in compensazione un credito liquido ovvero di facile e pronta liquidazione, il giudice del merito deve provvedere al riguardo dichiarando la compensazione legale o pronunciando la compensazione giudiziale, ovvero, qualora ritenga di non poter pronunciare quest'ultimo tipo di compensazione, enunciando i motivi per i quali non intenda esercitare il potere discrezionale conferitogli dall'art. 1243 c.c., in quanto la compensazione è un istituto di carattere generale che non conosce deroghe se non nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 1246 c.c.) e risponde, tra l'altro, ad evidenti esigenze di economia processuale.

Cass. civ. n. 2037/1976

La compensazione estingue ope legis i debiti contrapposti per effetto del fatto oggettivo della loro coesistenza, sicché la dichiarazione giudiziale della parte che oppone la compensazione legale equivale ad una manifestazione di volontà diretta a giovarsi di un effetto già verificatosi e la pronuncia del giudice non fa che accertare l'avvenuta estinzione per compensazione legale dei contrapposti debiti e crediti con effetto ex tunc. Tuttavia tale operatività, in un momento anteriore a quello in cui la dichiarazione medesima viene emessa, fa risalire l'effetto estintivo non già alla data in cui coesistevano i fatti giuridici da cui sorgono i crediti e i debiti contrapposti, bensì a quella in cui coesistono crediti liquidi ed esigibili, dato che la compensazione legale ha per presupposti la liquidità e l'esigibilità dei crediti, a differenza della compensazione giudiziale, per la quale è sufficiente che il debito opposto sia di facile e pronta liquidazione.

Cass. civ. n. 185/1976

Qualora fra contrapposti debiti omogenei non operi la compensazione legale, difettando uno di essi dei requisiti della liquidità ed esigibilità (nella specie, trattandosi di debito per risarcimento di danno non ancora accertato nell'an e nel quantum), la compensazione giudiziale può essere disposta dal giudice solo se il credito illiquido opposto in compensazione sia di pronta e facile liquidazione. Peraltro, l'uso della facoltà di dichiarare la compensazione giudiziale è rimesso al potere discrezionale del giudice del merito, insindacabile in Cassazione, così come è incensurabile, ove congruamente motivato, l'accertamento della sussistenza dell'estremo della facile e pronta liquidabilità, risolvendosi in una valutazione di fatto.

Cass. civ. n. 2234/1975

La contestazione dell'esistenza o dell'ammontare del credito opposto in compensazione, tranne che appaia prima facie pretestuosa, esclude la liquidità del credito medesimo, e quindi, anche la compensazione legale.

Cass. civ. n. 1924/1975

La differenza fra la compensazione legale e quella giudiziale risiede nel fatto che mentre nella prima la liquidità del credito opposto in compensazione è anteriore al giudizio, nella seconda, invece, il credito non è liquido, ma viene liquidato dal giudice nel processo. Da tanto consegue che mentre la sentenza che dichiara la compensazione legale è di mero accertamento, la sentenza, invece, che pronunzia la compensazione giudiziale integra un accertamento costitutivo e, pertanto, i suoi effetti, diversamente da quanto dispone l'art. 1242 c.c., non retroagiscono al momento della coesistenza dei due crediti.

Cass. civ. n. 1532/1975

I requisiti necessari per la compensazione legale (certezza, liquidità ed esigibilità del credito) debbono intendersi in base a criteri obiettivi, indipendentemente dal riconoscimento della controparte; così che ben può essere liquido ed esigibile anche un credito litigioso, sempre che sussistano in concreto i requisiti stessi, i quali, nel contrasto fra le parti, possono essere accertati in giudizio; con l'ovvia conseguenza che se il credito già sussisteva con i requisiti richiesti, la sentenza che riconosca la detta situazione ha natura meramente dichiarativa del fatto estintivo, risalente al giorno della coesistenza obiettiva dei due crediti.

Cass. civ. n. 972/1975

La compensazione giudiziale di una parte di un credito opera quale fatto estintivo del medesimo, sino a concorrenza del contrapposto credito accertato a favore dell'altra parte, senza potere incidere sulla decorrenza degli interessi che devono essere liquidati sulla residua parte del credito, non estinta dalla compensazione. Il credito di una somma di danaro liquida o comunque agevolmente determinabile, in base ad elementi o criteri prestabiliti dal contratto o dalla legge, non perde tale carattere per le eventuali contestazioni da parte del debitore. La pronuncia giudiziale, in tal caso, ha infatti effetto meramente dichiarativo, essendo diretta ad accertare quella liquidità che già esiste nel credito, per la sua stessa natura.

Cass. civ. n. 2055/1972

Agli effetti della compensazione legale, la inesigibilità del credito per indeterminatezza del soggetto legittimato a richiederne il pagamento, viene meno retroattivamente dal momento in cui ex post si accerti la titolarità soggettiva di tale legittimazione.

Il sequestro giudiziale penale di un credito rende questo inesigibile fino al sopravvenire dell'ordine del giudice che ne consenta l'esazione ad un determinato soggetto.

Cass. civ. n. 620/1970

Per difetto del requisito della certezza non è ammissibile la compensazione legale rispetto a crediti riconosciuti da una sentenza o da altro titolo giudiziale, provvisoriamente eseguibile. Invero la provvisoria esecuzione facoltizza la semplice temporanea esigibilità del credito, ma non concerne la sua certezza necessaria, per contro, per potere determinare ope exceptionis l'estinzione di due debiti per le quantità corrispondenti.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1243 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

M. D. R. chiede
martedì 25/04/2023
“Sono un agente di commercio, attualmente ho in corso un contenzioso legale con un'azienda che ha revocato l incarico, senza alcun preavviso e senza riconoscere alcuna indennità in riferimento alla attività svolta dal dicembre 2020 a marzo 2022.
È già stata presentata istanza al tribunale competente, con udienza fissata per settembre 2023.
Ora è capitato che mi abbiano erroneamente inviato un bonifico , di cui chiedono lo storno alla mia banca.
Posso inviare loro una ricevuta di pagamento quale acconto sulle somme non percepite, in attesa del futuro giudizio , oppure rischio un azione per appropriazione indebita, pur essendomi state finora negate le dovute indennità di mancato preavviso e liquidazione di fine rapporto?”
Consulenza legale i 01/05/2023
Ai sensi dell’art. 2033 c.c. chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.

Integra l'indebito oggettivo il semplice fatto d'un pagamento eseguito — e correlativamente ricevuto senza causa. Tale pagamento non può essere che dovuto ad errore.

Da tale concetto consegue che ricorre l'indebito oggettivo anche quando il dovere giuridico d'eseguire il pagamento sussista, ma per adempiere una prestazione diversa, nella sua entità reale, da quella per la quale il pagamento è avvenuto. La mancanza, infatti, d'un dovere giuridico ad eseguire la prestazione che, invece, per errore viene eseguita, riconduce anche tale pa­gamento sotto il principio enunciato: quello, cioè, della sua esecuzione come un semplice fatto senza causa.

Nel caso di specie, peraltro, è stata chiesta la restituzione, quindi, dal giorno della domanda il beneficiario che non restituisce l’indebito è da considerarsi in malafede e dovrà restituire anche gli interessi e i frutti dal giorno dell’errato pagamento.

Il beneficiario che non restituisce quanto erroneamente percepito potrebbe avere delle conseguenze penali, subendo l’imputazione per appropriazione indebita, reato previsto e punito dall’art. 646 c.p. (“chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032 “).
Chi ha erroneamente accreditato la somma ha la possibilità, infatti, oltre che dar corso all’azione civile di ripetizione dell’indebito anzidetta, di proporre una querela per tutelare i propri interessi.

Per quanto riguarda la compensazione, è da tenere in considerazione che ai sensi dell’art. 1243 c.c. la compensazione legale opera solamente nel caso in cui i due crediti siano entrambi certi, liquidi ed esigibili.

Secondo la Cassazione, sentenza n. 13208/2010, “la compensazione legale non può operare qualora il credito addotto in compensazione sia contestato nell'esistenza o nell'ammontare, in quanto la contestazione esclude la liquidità del credito medesimo, laddove la legge richiede, affinché la compensazione legale si verifichi, la contestuale presenza dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito”.

Nel caso di specie l’indennità di mancato preavviso e la liquidazione di fine rapporto sono oggetto di un giudizio che è ancora in corso.
Pertanto, nel caso di specie, non si ritiene possa operare l’istituto della compensazione.

SERGIO C. chiede
lunedì 22/12/2014 - Emilia-Romagna
“HO UN CREDITO RELATIVO A PROVVIGIONI PER IL QUALE HO EMESSO REGOLARE FATTURA. L'AZIENDA NON VUOLE PAGARE,PERCHE' SOSTIENE CHE IO AVREI OPERATO UN RECESSO SENZA PREAVVISO E CHE SAREI DEBITORE NEI LORO CONFRONTI PER L'MPORTO PARI ALL'INDENNITA' DI MANCATO PREAVVISO. IN CASO DI DECRETO INGIUNTIVO DA PARTE MIO PER L'IMPORTO DELLE PROVVIGIONI, E' PRESUMIBILE CHE CONTROPARTE OPPONGA ECCEZIONE DI COMPENSAZIONE. MENTRE L'IMPORTO DELLE PROVVIGIONI FATTURATE E' INCONTESTATO E DISCENDE DA UN LORO PROSPETTO CON LA DETERMINAZIONE DELL'IMPORTO, LA PRETESA RISOLUZIONE DISCENDE DA UNA MIA COMUNICAZIONE MAIL CON CUI,RICHIAMANDO L'ART. 1747 C.C., COMUNICAVO L'IMPOSSIBILITA' A PROSEGUIRE L'ATTIVITA' PER INTERVENUTI PROBLEMI FISICI E GUARDANDOMI BENE DAL COMUNICARE UN RECESSO DEFINITIVO.
IN SINTESI, MENTRE IL MIO CREDITO E' CERTO,INCONTESTO ED ESIGIBILE, QUELLO CHE LORO OPPONGONO NON E' RICONOSCIUTO DAL SOTTOSCRITTO IN QUANTO MI SI ATTRIBUISCONO INTENZIONI E COMPORTAMENTI MAI TENUTI.
SE RICORRO A DECRETO INGIUNTIVO CON RICHIESTA DI PROVVISORA ESECUZIONE EX ART. 642 O, IN SECONDA IPOTESI,ART. 648 QUANTE PROBABILITA' HO DI OTTENERLA?

GRAZIE E CORDIALI SALUTI.”
Consulenza legale i 27/12/2014
Nella vicenda esposta, ci si chiede quale sia la probabilità di ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo in relazione ad un credito nascente da provvigioni non corrisposte.

Va premesso che la provvisoria esecutorietà può essere chiesta da subito, già nel ricorso presentato al giudice di pace o al tribunale; oppure in un momento successivo, in caso di opposizione.

L'art. 642, secondo comma, c.p.c., prevede che l'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo possa essere concessa, oltre ai casi del primo comma (es. credito fondato su cambiale), anche:
- se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo;
- se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere.

Mentre la prima ipotesi richiede una certa valutazione ed interpretazione di fatti e documenti, la seconda è piuttosto semplice, tale che, se al giudice viene offerta una prova scritta del credito, con sottoscrizione del debitore, egli non può che concedere la provvisoria esecutorietà.

Quindi, se il creditore ha la possibilità di fornire un documento, ad esempio una lettera, una comunicazione, dell'azienda, in cui si dà atto dell'importo dovuto all'agente a titolo di provvigione, potrà chiedere la provvisoria esecutorietà del decreto con una probabilità ragionevolmente alta di ottenerla. Molti giudici ritengono sufficiente anche la produzione in giudizio di comunicazioni email (anche se dal punto di vista strettamente giuridico sono stati sollevati molti dubbi in proposito).

Se, invece, non si dispone di tale documentazione, si potrà puntare sull'altra motivazione, ossia il pericolo di pregiudizio nel ritardo. Ad esempio, l'agente può provare che il mancato pagamento delle provvigioni gli procuri l'impossibilità di provvedere ai bisogni della propria famiglia

Questo è il primo modo per ottenere la provvisoria esecutorietà fin da subito.

Una volta presentato il ricorso per decreto ingiuntivo, e ottenuto il provvedimento, ma non provvisoriamente esecutivo, c'è un'altra possibilità di ottenere l'esecutorietà: difatti il giudice istruttore, se l'opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione, può concedere, provvedendo in prima udienza, con ordinanza non impugnabile, l'esecuzione provvisoria del decreto, limitatamente alle somme non contestate (art. 648 del c.p.c.).
Anche questa è una strada che si può seguire con una discreta probabilità di successo: difatti, stando a quanto detto nel quesito, l'azienda non potrà contestare la debenza delle somme dovute a titolo di provvigione e di conseguenza il creditore potrà chiedere legittimamente che il decreto sia reso provvisoriamente esecutivo in relazione a tali importi.

Alla luce di quanto sopra precisato, si ritiene nel complesso che vi sia una buona probabilità di successo nell'ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, sempre che a tutti gli effetti l'ammontare delle provvigioni non sia contestato o contestabile da parte dell'azienda (ricordiamo che l’agente ha l’onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa).

Salvatore D. chiede
martedì 31/05/2011 - Puglia
“Un credito si esaurisce totalmente nel momento in cui viene chiesta la compensazione con un debito di importo inferiore,o solo per l'importo del debito stesso lasciando a credito la somma restante?
Saluti Distaso”
Consulenza legale i 03/06/2011

La compensazione, regolata dall’art. 1241 del c.c., è modo di estinzione satisfattivo delle obbligazioni. Quando tra le stesse persone sussistono due diversi rapporti di debito credito in direzione inversa, ciascuna delle reciproche relative pretese si estingue, fino alla concorrenza dello stesso valore. La compensazione può attuarsi, quindi, anche solo parzialmente, cioè fino alla concorrenza del minore dei due debiti (pro concurrenti quantitate).


D. M. chiede
giovedì 04/05/2023
“Buongiorno, io datore di lavoro posso agire nei confronti di uno o più lavoratori che hanno perso nei confronti della società? In pratica hanno agito in giudizio per il riconoscimento di mansioni ecc. Il giudice ha riconosciuto nel dispositivo delle somme a titolo di risarcimento danno con spese legali, cpa, iva. Il datore di lavoro può accantonare delle somme che dovrebbe erogare al dipendente fino a quando il lavoratore non paga quanto dovuto in sentenza? O si deve procedere con la sentenza, il precetto e il pignoramento? Il datore di lavoro commette un abuso ?
Mi potete dare informazioni riferendovi a sentenze, dottrina o normativa?
Sperando di essere stato chiaro aspetto vs. notizie.
Cordialmente”
Consulenza legale i 11/05/2023
Per rispondere al quesito è necessario prendere in esame i principali aspetti dell’istituto della compensazione regolato dagli artt. 1241 ss. c.c.
La compensazione è uno dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento che ha luogo, secondo quanto prevede la norma sopra menzionata, «quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra»: già dalla lettura di questa disposizione emerge che primo e fondamentale presupposto di applicazione dell’istituto è la reciprocità dei crediti.
La compensazione legale è regolata dall’art. 1243, 1° comma, c.c., il quale ne subordina l’operatività alla sussistenza dei requisiti dell’omogeneità, della liquidità e dell’esigibilità dei crediti.
La compensazione giudiziale è contemplata dal secondo comma dell’art. 1243 c.c., il quale consente la reciproca elisione dei debiti contrapposti quando il controcredito opposto in compensazione, pur non essendo liquido, è di «di pronta e facile liquidazione». La liquidità viene meno ogni qual volta il credito venga contestato nell’an e/o nel quantum dal debitore.
In questa prospettiva, la valutazione circa la possibilità di una pronta e facile liquidazione del credito viene pertanto riferita ad entrambi gli aspetti testé menzionati e si ritiene di poterla ravvisare quando i medesimi possono essere accertati in maniera agevole e senza ritardare in misura significativa la decisione sul credito principale.
Qualora ritenga sussistente il requisito in discorso il giudice può procedere, in dipendenza delle circostanze, secondo tre diverse modalità. La prima consiste nell’accertare e liquidare nella sua totalità il credito opposto in compensazione, accogliendo quindi l’eccezione per intero. In secondo luogo, egli può accertare e liquidare una parte soltanto del credito de quo, limitandosi a pronunciare la compensazione per quella parte.
L’art. 1246 c.c. elenca una serie di ipotesi nelle quali la compensazione è esclusa in considerazione della particolare natura di uno dei crediti reciproci. Ai fini del presente parere è importante il riferimento ai crediti impignorabili contenuto nel n. 3) della norma, che secondo taluni dovrebbe essere invero considerato, più che un divieto di compensazione, la previsione di un requisito di operatività dell’istituto, la pignorabilità del credito, da aggiungere a quelli contemplati dall’art. 1243 c.c.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’operatività della compensazione presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti, sicché tale istituto non trova applicazione in presenza di obbligazioni scaturenti dal medesimo rapporto giuridico, ancorché complesso, o da rapporti accessori: in questi casi ha invece luogo, secondo questa impostazione, il diverso fenomeno della c.d. compensazione impropria (o atecnica), il quale si risolve in un mero accertamento contabile del saldo finale di contrapposte partite di dare e avere, come tale sottratto all’applicazione della disciplina predisposta per la compensazione “vera e propria” (Cass. 19.2.2019, n. 4825, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 776, con nota di FACCIOLI, Cessione del credito e compensazione (impropria); Cass. 4.5.2018, n. 10798; Cass. 18.5.2018, n. 12323; Cass. 26.10.2016, n. 21646; Cass. 20.8.2015, n. 16994; Cass. 26.5.2014, n. 11729.)
Dall’analisi della casistica giurisprudenziale in tema di lavoro subordinato emerge come vengono principalmente in rilievo, dal lato del lavoratore, crediti aventi per oggetto il pagamento della retribuzione, del t.f.r. o di emolumenti affini, mentre dal lato del datore di lavoro pretese riconducibili a due tipologie di ipotesi.
La prima riguarda i casi in cui il datore di lavoro pretende la restituzione di somme indebitamente versate al lavoratore a titolo, oltre che retributivo, di indennità di trasferta (fra le tante, Cass. 16.5.1981, n. 3230, in Notiz. giur. lav., 1981, 376), di indennità di anzianità (Cass. 4.7.1987, n. 5874, in Rep. Foro it., 1987, voce «Obbligazioni in genere», n. 27.), di assegno familiare (App. Palermo 9.2.2017, in Dir. civ. cont., 13.2.2017).
Un secondo gruppo di ipotesi vede il datore di lavoro opporre in compensazione al lavoratore crediti risarcitori o indennitari aventi titolo nella riparazione di pregiudizi cagionati dalla controparte.
I crediti del datore di lavoro ai quali si fa riferimento possono nascere dalle più svariate fattispecie, quali una prestazione lavorativa negligente (fra le altre, Cass. 20.6.2003 n. 9904; Cass. 17.4.2004, n. 7337), le dimissioni comunicate senza rispettare il termine di preavviso previsto a pena del pagamento di una determinata indennità (Cass. 19.2.2019, n. 4825, cit), la commissione di un fatto illecito nei confronti del datore di lavoro (ex multis, Cass. 5.12.2008, n. 28855, in Lav. nella giur., 2009, 597; Cass. 6.2.1987, n. 1245, in Mass. Giur. lav., 1987, 187.) o anche verso soggetti terzi: in questo ambito per esempio si riconosce che, nel caso in cui il lavoratore alla guida dell’automezzo aziendale commetta un’infrazione stradale che obbliga il datore di lavoro, quale proprietario del veicolo, a pagare la relativa sanzione pecuniaria, l’ammontare di quest’ultima può essere detratta dalla retribuzione a titolo di compensazione impropria (3 V., per esempio, Trib. Milano 28.7.2014, n. 2507; Trib. Trento 18.1.2011).
Le conseguenze che la giurisprudenza trae, seppure non senza qualche oscillazione, dalla teoria della compensazione impropria sono estremamente rilevanti e consistono nella tendenziale disapplicazione della disciplina prevista per l’istituto.
Fra le norme che non si applicano alle ipotesi di nostro interesse figura l’art. 1246, n. 3), c.c., la cui più rilevante applicazione consiste senz’altro nell’impignorabilità parziale degli stipendi, dei salari, delle pensioni e di ulteriori attribuzioni pecuniarie dovute al lavoratore prevista dai commi 3°-5° e 7°-8° dell’art. 545 c.p.c.
Le limitazioni alla pignorabilità dei crediti di lavoro, che trovano evidente fondamento nella necessità di non pregiudicare la soddisfazione delle esigenze di vita del debitore e delle altre persone poste a suo carico, si differenziano a seconda che il pignoramento debba aver luogo ai fini della coattiva soddisfazione di crediti alimentari oppure per altra causa: nel primo caso il limite viene fissato volta per volta dal giudice, con provvedimento autorizzativo ad hoc; nel secondo caso il pignoramento è invece consentito, senza bisogno di apposita autorizzazione, nella misura legalmente predeterminata di un quinto della somma dovuta.
È soltanto nella suddetta misura del quinto che dovrebbe poter operare, quindi, la compensazione tra un credito del lavoratore e un controcredito del datore di lavoro.
Tale conclusione viene tuttavia smentita dalla giurisprudenza, che disapplicando l’art. 1246, n. 3), c.c. sulla scorta della teoria della compensazione impropria consente al datore di lavoro di detrarre dalle attribuzioni dovute al lavoratore l’intero ammontare del credito vantato nei suoi confronti.
Proprio in occasione dell’esame di una controversia di questo tipo, nella quale veniva in rilievo un’appropriazione indebita del lavoratore, la compensazione impropria è stata pure sottoposta al vaglio della Corte costituzionale (Da Trib. Palermo 27.4.2004, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 132, con nota di PANAIOTTI, Denunciata alla Consulta come incostituzionale la distinzione tra compensazione propria e impropria, ai fini dell’applicabilità del limite del quinto) in quanto sospettata di violare, tramite la disapplicazione del limite del quinto dello stipendio previsto dagli artt. 1246, n. 3), c.c. e 545 c.p.c., due norme della Carta fondamentale: l’art. 36 Cost., sacrificando la funzione alimentare dello stipendio con riguardo ai bisogni primari del lavoratore e della sua famiglia; l’art. 3 Cost., comportando una irragionevole disparità di trattamento fra il datore di lavoro e gli altri creditori del lavoratore. Tali censure sono state però respinte dalla Consulta, la quale ha escluso che la compensazione impropria contrasti: tanto con l’art. 36 Cost., in quanto l’art. 545 c.p.c. non costituirebbe «inderogabile attuazione» di quella norma e potrebbe essere pertanto disapplicato senza violarla; quanto con l’art. 3 Cost., posto che non sarebbe privo di razionale giustificazione riservare al credito del datore di lavoro fondato sul delitto commesso dal dipendente, ovverosia su un comportamento che realizza una grave violazione dei doveri incombenti sul secondo nei confronti del primo, un trattamento diverso rispetto ai crediti verso il lavoratore facenti capo ad altri soggetti e fondati su differenti ragioni (Corte cost. 4.7.2006, n. 259, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 802).
Secondo la giurisprudenza il limite di impignorabilità del quinto dello stipendio non opera solo e soltanto nel caso in cui i due crediti abbiano origine da un unico rapporto, così che la valutazione delle singole pretese pretese comporti solo un accertamento contabile di dare ed avere e non una compensazione in senso tecnico.
In particolare, il limite non vale quando il datore voglia compensare il credito risarcitorio per danni da prestazione lavorativa non diligente con credito retributivo vantato dal prestatore, tuttavia, essa torna ad operare, anche in caso di compensazione atecnica, qualora esista una clausola del contratto collettivo che lo preveda, salvo diversi accordi contenuti nel contratto individuale (Cass. 9904/2003).
Nel caso di specie, pertanto, in linea di massima si potrà procedere alla compensazione del credito vantato nei confronti del lavoratore mediante trattenuta dello stipendio senza limiti nel caso in cui si rientri nelle casistica della compensazione impropria (in altre parole se il risarcimento del danno riconosciuto in sentenza derivi dal medesimo rapporto di lavoro) e sempre che il CCNL applicato o il contratto individuale non escludano la compensazione.

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