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Articolo 394 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Capacità dell'emancipato

Dispositivo dell'art. 394 Codice Civile

L'emancipazione conferisce al minore la capacità di compiere gli atti che non eccedono l'ordinaria amministrazione [320, 374, 1572](1).

Il minore emancipato può con l'assistenza del curatore riscuotere i capitali(2) sotto la condizione di un idoneo impiego e può stare in giudizio sia come attore sia come convenuto [75 c.p.c.](3).

Per gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione [374], oltre il consenso del curatore, è necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare(4).

Qualora nasca conflitto di interessi fra il minore e il curatore, è nominato un curatore speciale(5) [78 c.p.c.] a norma dell'ultimo comma dell'articolo 320 [395, 732 c.p.c.].

Note

(1) Il presente articolo disciplina esclusivamente gli atti a contenuto patrimoniale che può compiere il minore, da solo o assistito ed autorizzato; diversamente, egli sarà pienamente capace per tutti gli atti di carattere personale.
(2) La norma si riferisce alle somme di denaro di notevole ammontare, che non rappresentano gli interessi di altro capitale.
(3) Gli atti di straordinaria amministrazione richiedono tanto l'assistenza del curatore (mediante consenso all'atto) quanto l'autorizzazione del giudice tutelare. Si parla pertanto, per tale fusione di volontà, di atto complesso ineguale (così Mazzacane). Per altri (tra tutti, Bianca) si parla di autorizzazione privata del curatore che riveste la funzione di requisito esterno dell'atto.
(4) Una parte di questo comma è stata soppressa dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia").
(5) Il curatore speciale dovrà solamente esprimere la propria valutazione sull'opportunità di compiere il descritto atto potenzialmente generante un conflitto di interessi.

Ratio Legis

Per il compimento degli atti, la legge distingue a seconda dell'incidenza degli stessi nel patrimonio dell'incapace: per alcuni basterà la capacità del minore, per altri l'assistenza del curatore e l'autorizzazione del giudice tutelare.

Brocardi

Curator

Spiegazione dell'art. 394 Codice Civile

È importante analizzare la determinazione dei rapporti tra il curatore e il minore emancipato, relativamente al compimento degli atti eccedenti la semplice amministrazione; più precisamente, occorre precisare la natura dell'atto di assistenza e i suoi riflessi in relazione alla capacità o alla attività del minore.
Il problema è delicato e presenta varie possibili soluzioni; il diritto positivo non offre appigli univoci.
Potrebbe, a prima vista, ritenersi che l'atto di volontà dell'emancipato e quello del curatore abbiano la medesima funzione e stiano sul medesimo piano, costituendo due elementi destinati a fondersi, perdendo la loro autonomia, nell'unica volontà negoziale. Tuttavia, è facile accorgersi che la funzione dei due atti è differente, perché l'atto dell'emancipato è direttamente ed immediatamente destinato ad attuare l'interesse dello stesso soggetto da cui promana; mentre l'atto del curatore è destinato piuttosto a garantire l'attuazione di quello stesso interesse che è, rispetto al soggetto da cui l'atto promana, interesse alieno.
La differenza funzionale, però, non esclude il legame strutturale: difatti, ad esempio, la volontà del rappresentante convenzionale (volontà del contenuto) si fonde con quella del rappresentato (decisione), e i due atti hanno indubbiamente una diversa funzione.
Contro la soluzione testé delineata si oppone il fatto che la mancanza dell'atto di assistenza del curatore produce l'annullabilità dell'atto dell'emancipato (art. 396), mentre invece, se la volontà del curatore fosse da considerare quasi come una porzione di volontà, che dovrebbe combinarsi con quella dell'emancipato a costituire la volontà negoziale, quest'ultima dovrebbe ritenersi deficiente, lacunosa, e non soltanto viziata.
Forse la chiave per la risoluzione del problema sta nell'accentuare l'importanza del profilo funzionale. La differenza di funzione tra i due atti è evidente: però se l'atto dell'emancipato si può considerare come fondamentale o basilare, non è altrettanto facile definire quello del curatore. Potrebbe considerarsi come atto di controllo preventivo (in contrapposto al controllo repressivo), da compiersi contestualmente all'atto fondamentale (non antecedente, dunque, come l'autorizzazione, né susseguente, come l'approvazione).

Ma di solito l'atto di controllo costituisce un presupposto di efficacia, e nella specie non si può davvero sostenere, di fronte all'art. 396, che lo dichiara annullabile (cioè in atto efficace, ma suscettibile di essere invalidato), che l'atto dell'emancipato, senza la necessaria integrazione di quello del curatore, sia inefficace (cioé valido, ma privo della possibilità di produrre effetti giuridici).
La funzione, però, almeno in senso lato, è funzione di controllo. L'assistenza del curatore mira a garantire la migliore realizzazione dell'interesse dell'emancipato. Ciò induce a ritenere che l'atto di assistenza sia effettivamente da considerare come un presupposto, cioè come elemento estraneo alla intima struttura dell'atto fondamentale, legato ad esso unicamente sotto il profilo funzionale. Soltanto, per rispettare la norma positiva, bisogna ritenere che si tratti di un presupposto di validità, anziché di un presupposto di efficacia. La mancanza di esso produce una invalidità sanabile, e, quanto alle persone, relativa (art. 396).

Per quanto riguarda la condizione giuridica del minore emancipato, si suole dire comunemente che egli ha, sì, una capacità generale di agire, ma che tale capacità è parziale, limitata, o non è piena; che cioè il minore emancipato sia in parte incapace di agire. A proposito di tale formulazione, non è certo difficile ammettere che un soggetto sia parzialmente incapace, o meglio parzialmente capace; né la capacità parziale deve fare ritenere che il soggetto abbia a considerarsi come genericamente capace.
Appunto per questo, però, agisce in sua vece il rappresentante legale: l'incapace viene sostituito da altro soggetto.
Ma il minore emancipato, non solo compie da sé gli atti che non eccedono la semplice amministrazione, poiché agisce personalmente anche per gli atti eccedenti la semplice amministrazione. Se agisce da sé, è capace di agire, e gli atti di controllo tendono piuttosto a garantire il risultato del suo agire, anziché ad attribuirgli la legittimità.
L'atto di controllo non può ritenersi attributivo di capacità, ma deve presupporre tale capacità.
Non è dunque rigorosamente esatto parlare di capacità non piena o di parziale incapacità, là dove gli atti di controllo riguardano piuttosto l'attività, e non la capacità, che ne è il presupposto (soggettivo).
Però se questo può affermarsi sotto profilo negativo, assai più difficile è definire la situazione dal lato positivo. La sola idea che si possa suggerire è questa: che il minore emancipato debba considerarsi come soggetto capace a compiere anche gli atti eccedenti la semplice amministrazione, e quindi in possesso del presupposto soggettivo, che è la capacità; che l'assistenza del curatore sia una vera funzione di controllo, e l'atto in cui si concreta un presupposto (obiettivo) di validità dell'atto compiuto dall'emancipato.

Per quanto riguarda la posizione del curatore nei confronti del minore non emancipato, è da notare che il codice vigente, in parte riproducendo e in parte integrando principi già contenuti nella legislazione precedente, ha parificato, per evidenti ragioni pratiche, il curatore al tutore, superando le differenze di carattere logico e teorico che avrebbero consigliato una diversa disciplina. Così, nascendo conflitto d'interessi tra il minore e il curatore, si procede alla nomina di un curatore speciale; al curatore sono applicabili le disposizioni dell'art. 378. Naturalmente tali estensioni non valgono a snaturare il carattere della curatela, nei confronti della tutela.

Su tale disposizione ha inciso di recente la "Riforma Cartabia", sulla scorta della quale il legislatore ha inteso riorganizzare i procedimenti in camera di consiglio, limitando la competenza del tribunale a formare un collegio solo nei casi in cui sia previsto l'intervento del pubblico ministero o quando sia necessario valutare la validità delle stime effettuate o la gestione adeguata di questioni comuni.
In linea con questa intenzione programmatica, la competenza del tribunale in composizione collegiale per le autorizzazioni relative all'esecuzione di atti da parte di persone incapaci (sia minori che adulti soggetti a misure di protezione) è stata soppressa, concentrandola esclusivamente nel giudice tutelare.
Di conseguenza, l'articolo 374 c.c. è stato riformulato, per assegnare al giudice tutelare tutte le situazioni in cui è richiesta un'autorizzazione nell'interesse dell'interdetto, inclusi i casi precedentemente contemplati nell'articolo 375c.c. (che prevedeva l'autorizzazione del collegio) che ora è stato abrogato. Inoltre, l'articolo 376 c.c., riguardante la vendita dei beni, è stato soggetto a un intervento legislativo per renderlo coerente con le altre disposizioni.
Lo stesso approccio è stato seguito per apportare modifiche al terzo comma dell'articolo 394 c.c., qui commentato, e all'articolo 395 c.c., oltreché all'articolo 397 c.c. e all'articolo 425 c.c., sempre con lo scopo di uniformare le competenze giurisdizionali e rendere più efficiente il processo decisionale.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

192 Il minore emancipato può compiere da solo gli atti che non eccedono l'ordinaria amministrazione e può, con l'assistenza del curatore, riscuotere i capitali sotto la condizione di idoneo impiego e stare in giudizio sia come attore, sia come convenuto. Per gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, oltre il consenso del curatore, è necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare. Per gli atti però di maggiore importanza, indicati nell'art. 375 del c.c., l'autorizzazione deve essere data dal tribunale su parere del giudice tutelare. Una restrizione a quest'ultima norma apporta il nuovo testo (art. 394 del c.c., terzo comma), nel senso che è in ogni caso sufficiente l'autorizzazione del giudice tutelare se curatore dell'emancipato è 11 genitore. L'innovazione è stata determinata dalla opportunità di un migliore coordinamento con la disciplina delle forme abilitative richieste dalla legge in tema di esercizio della patria potestà (art. 320 del c.c.). Tenuto conto che il genitore esercente la patria potestà, per qualsiasi atto straordinario nell'interesse del minore, qualunque ne sia l'importanza, ha soltanto bisogno dell'autorizzazione del giudice tutelare, appare ingiustificato costringere lo stesso genitore a ricorrere al tribunale per il solo fatto che il figlio minore sia emancipato. Nell'art. 397 è stata inserita la norma tradizionale, per cui il minore emancipato può essere autorizzato ad esercitare, senza l'assistenza del curatore, un'impresa commerciale. La competenza a concedere l'autorizzazione è attribuita al tribunale, il quale provvede previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore. Nello stesso articolo è stata attratta la norma che dichiara il minore emancipato, autorizzato all'esercizio dell'impresa commerciale, capace per tutti gli atti che eccedono la ordinaria amministrazione, anche se estranei all'esercizio dell'impresa, eccettuate le donazioni, com'è stato espressamente chiarito, in sede di coordinamento, nell'art. 774 del c.c..

Massime relative all'art. 394 Codice Civile

Cass. civ. n. 12531/2015

Nei confronti delle persone inabilitate, che devono stare in giudizio con la necessaria assistenza del curatore, il procedimento di notificazione ha carattere complesso in quanto può ritenersi perfezionato solo quando l'atto sia portato a conoscenza tanto della parte quanto del curatore, per mettere quest'ultimo in grado di svolgere la sua funzione di assistenza. Ne consegue che, ai sensi dell'art. 75 cod. proc. civ., analogicamente applicabile, per identità di "ratio", alla cartella di pagamento, la notifica al solo inabilitato, che non sia effettuata pure nei confronti del curatore, è giuridicamente inesistente, non assumendo rilievo la mancata indicazione della curatela nelle dichiarazioni dei redditi, atteso che è onere dell'Amministrazione individuare la persona che ha la rappresentanza dell'incapace. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Puglia, 28/05/2008).

Cass. civ. n. 1773/2015

Il curatore dell'inabilitato non assume il ruolo né di rappresentante legale né di sostituto processuale dell'incapace, ma svolge solo funzioni di assistenza e di supporto, sicché, in caso di citazione in giudizio del solo curatore, è radicalmente invalida la sentenza pronunciata a conclusione di un procedimento parimenti nullo.

Cass. civ. n. 6985/2011

Nei confronti delle persone inabilitate che devono stare in giudizio con la necessaria assistenza del curatore, il procedimento di notificazione ha carattere complesso in quanto può ritenersi perfezionato solo quando l'atto sia portato a conoscenza tanto della parte quanto del curatore, per mettere quest'ultimo in grado di svolgere la sua funzione di assistenza. Ne consegue che, qualora il decreto ingiuntivo a carico dell'inabilitato non venga notificato pure al curatore, si verifica non una mera nullità ma una giuridica inesistenza della notificazione, produttiva dell'inefficacia del decreto ai sensi dell'art. 644 cod. proc. civ. (Rigetta, Trib. Trento, 05/05/2005).

Cass. civ. n. 9217/2010

In tema di capacità processuale dell'inabilitato, l'assistenza del curatore è necessaria anche quando l'attività processuale della parte assuma i caratteri dell'atto di ordinaria amministrazione, perché, a prescindere dalla opinabilità della qualificazione in tali termini dell'attività nel processo, l'art. 394, comma 2, c.c., richiamato dall'art. 424 c.c., stabilisce che l'inabilitato può stare in giudizio con l'assistenza del curatore, senza distinguere a seconda dell'attività che egli intenda svolgere.

Cass. civ. n. 903/1972

Fra gli atti che il minore emancipato è capace di compiere con l'assistenza del curatore, l'art. 394, secondo comma, c.c. enuncia esplicitamente lo «stare in giudizio sia come attore che come convenuto». Anche da un punto di vista strettamente processuale, quindi, l'emancipato ha la capacità di stare in giudizio ed al curatore spetta soltanto l'assistenza, con la conseguenza che è solo al minore, soggetto del rapporto processuale, che spetta il diritto di proporre impugnazione e non al curatore che, non essendo il rappresentante, potrebbe agire in giudizio soltanto facendo valere nel processo in proprio nome un diritto altrui, cioè quale sostituto processuale: il che è escluso, in quanto la sostituzione processuale non è ammessa se non nei casi espressamente previsti dalla legge.

Cass. civ. n. 2074/1970

Nelle cause concernenti rapporti di natura non patrimoniale, il minore emancipato può stare in giudizio senza l'assistenza del curatore

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Massimo F. chiede
martedì 30/05/2017 - Lombardia
“Buongiorno ; essendo stato curatore di una persona inabilitata , vorrei conoscere se il cambio di beneficiario su di una polizza vita , sia un atto di ordinaria o straordinaria amministrazione. Vi sto che l'inabilitato può redigere testamento senza l'assistenza del curatore , ritengo sia un atto di ordinaria amministrazione in quanto non intacca il valore del capitale.
Attendo Vs riscontro e saluto cordialmente.”
Consulenza legale i 07/06/2017
Per rispondere al quesito occorre innanzitutto partire dal disposto di cui all’art. 424 c.c., per effetto del quale si applicano alla curatela dell’inabilitato le disposizioni sulla curatela dei minori emancipati.

E’ a queste ultime norme, dunque, che dobbiamo fare riferimento per individuare quali sono gli atti che l’inabilitato può compiere da solo, tenendo comunque presente il principio di carattere generale secondo cui l’inabilitazione lascia una limitata capacità di agire (in ciò si differenzia dell'interdizione); infatti, l'inabilitato può compiere gli atti di natura non patrimoniale (come ad esempio riconoscere un figlio naturale, contrarre matrimonio, fare testamento), amministrare autonomamente i propri beni e compiere gli atti di ordinaria amministrazione.

Per quanto riguarda, invece, gli atti di straordinaria amministrazione, è necessaria l'assistenza e il consenso del curatore, o addirittura, per atti di particolare rilievo, l'autorizzazione del giudice tutelare o del tribunale.

Tra le norme in materia di curatela dei minori emancipati richiamate, la prima che viene in rilievo, almeno per ciò che ci interessa, è la disposizione di cui all’art. 394 c.c. la quale, dettata proprio in materia di capacità dell’emancipato, dopo aver stabilito che per effetto dell’emancipazione il minore (nel nostro caso l’inabilitato) consegue la capacità di compiere gli atti che non eccedono l’ordinaria amministrazione, individua espressamente quali atti possono essere compiuti con la sola assistenza del curatore e quali altri, invece, necessitano, oltre che del consenso del curatore, dell’autorizzazione del giudice tutelare o del Tribunale su parere del Giudice tutelare (in quest’ultimo caso se curatore non è il genitore).

Come si vede, non si trova di fatto una espressa discriminazione tra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione; l’unico riferimento in qualche misura concreto è quello che l’art. 394 c.c. fa all’art.375 c.c. dettato in materia di tutela dei minori, per cui è soltanto a questa norma che ci si può richiamare per cercare di individuare quali atti debbano considerarsi di straordinaria amministrazione.

Un’attenzione particolare invece è dedicata dal secondo comma dell’art. 394 c.c. alla riscossione di capitali, per la quale viene espressamente richiesta l’assistenza del curatore ed il rispetto della condizione di un idoneo reimpiego.
E’ questa forse la fattispecie che più si avvicina a quella che ci interessa, pur se con l’indubbia differenza che nel nostro caso i capitali investiti nella polizza vita non vengono di fatto riscossi, ma se ne vuole solo mutare il beneficiario, il che potrebbe indurre a ritenere che l’atto possa essere compiuto autonomamente dall’emancipato senza neppure assistenza del curatore.

A questo punto, però, si rende necessario valutare quali siano gli effetti di un cambio di beneficiario della polizza vita, ed a tal fine risulta estremamente interessante il richiamo, proprio su tale specifica materia, ad una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sezione terza civile, la n. 3263 del 19.02.2016, la quale qualifica le polizze vita a beneficio di terzi che non siano familiari quali atto di liberalità.
Si tratterebbe in particolare, secondo tale sentenza, di donazione indiretta o così detta “liberalità atipica”, in quanto lo scopo ulteriore di “arricchire” un’altra persona (il donatario) e diminuire il patrimonio di chi dona (il donante), non viene raggiunto mediante il negozio tipico della donazione di cui all’art. 769 c.c., bensì mediante un atto giuridico di tipo diverso.

Tali atti sono accumunati dal fatto di realizzare, quale conseguenza ulteriore, un arricchimento economico altrui, giustificato dall’interesse non patrimoniale, e quindi di liberalità, del donante di attribuire un bene o rinunciare a un diritto in favore del donatario.

Trattandosi pur sempre di una donazione, per la capacità di donare ci si dovrà riferire ai principi generali, per cui il donante deve avere inter alia la piena capacità di intendere e volere, pena l’annullabilità dell’atto ai sensi dell’art. 775 c.c. che disciplina l’azione di annullamento della donazione fatta da soggetto incapace.

Ne consegue che l’inabilitato, seppure possa fare testamento (essendo le ipotesi di incapacità di testare quelle espressamente previste dall’art. 591 c.c., fra le quali non figura lo stato di inabilitazione), non può invece donare, essendo il relativo atto soggetto ad annullamento su istanza del donante, dei suoi eredi o degli eventuali aventi causa.

Si tenga conto, comunque, che l’azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui la donazione è stata fatta e che, poiché attraverso una donazione indiretta può eventualmente ledersi la quota dei legittimari o la proporzionalità di trattamento tra coeredi, il legislatore all’art.809 c.c. ha previsto in ogni caso per la stessa l’applicazione della disciplina della riduzione (art. 555 c.c.) e della collazione (art. 737 c.c.), nonché della revocazione per ingratitudine del donatario o sopravvenienza di figli (art. 800 e ss. c.c.).

Sempre sulla scorta di quanto riportato nella sopracitata sentenza, deve precisarsi invece che non ricorre donazione indiretta nell’ipotesi di polizza vita con designazione quale terzo beneficiario di persona legata al designante da vincolo di mantenimento o dipendenza economica.

Pertanto, volendo sinteticamente rispondere alla domanda posta, può dirsi che il cambio di beneficiario in una polizza vita non costituisce di per sé atto di straordinaria amministrazione in quanto non si realizza uno svincolo di capitali, per il quale potrebbe doversi applicare il secondo comma dell’art. 394 c.c. (che richiede l’assistenza del curatore e il rispetto della condizione dell’idoneo reimpiego).
Qualora, però, quale beneficiario venga indicata una persona terza, cioè non legata al designante da alcun vincolo giuridico di mantenimento o dipendenza economica, la designazione si deve configurare come donazione indiretta, in quanto tale vietata all’inabilitato e a rischio di azione di annullamento ex art. 775 c.c.