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Articolo 703 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Domande di reintegrazione e di manutenzione nel possesso

Dispositivo dell'art. 703 Codice di procedura civile

Le domande di reintegrazione e di manutenzione nel possesso [c.c. 1168, 1169, 1170](1) si propongono con ricorso al giudice competente a norma dell'articolo 21 (2).

Il giudice provvede ai sensi degli articoli 669bis e seguenti, in quanto compatibili(3).

L'ordinanza che accoglie o respinge la domanda è reclamabile ai sensi dell'articolo 669 terdecies.

Se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento di cui al terzo comma, il giudice fissa dinanzi a sé l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito. Si applica l'articolo 669 novies, terzo comma(4).

Note

(1) La tutela possessoria viene concessa non solo al possessore ma anche al proprietario che può disporre materialmente della cosa. Con tali azioni il proprietario infatti potrà promuovere una tutela più rapida ed efficace, rivolta ad ottenere l'immediata reintegrazione o cessazione della turbativa sulla base della semplice prova dello spoglio o della molestia subìti senza dover necessariamente assolvere alla probatio diabolica del duo diritto di proprietà.
(2) La competenza del giudice nella cui circoscrizione è avvenuto il fatto denunciato è una competenza funzionale e perciò inderogabile ai sensi dell'art. 28 del c.p.c., fatta eccezione per l'ipotesi di deroga eccezionale prevista dal disposto di cui all'art. 704.
(3) La norma è stata oggetto della riforma apportata dalla l. 80/2005 che ha attenuato il vincolo di strumentalità tra la fase cautelare e quella di merito. Infatti, il procedimento si articola oggi in una prima fase cautelare caratterizzata da un accertamento sommario e da una seconda fase di merito, solo eventuale, ovvero rimessa alla volontà della parte interessata, la quale può promuovere entro 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento pronunciato in sede di reclamo o, in mancanza di gravame, emesso in prime cure.
(4) Nel caso in cui non venga instaurato il giudizio di merito, il provvedimento cautelare non perde efficacia. Tuttavia, la perdita di efficacia si verifica quando non viene versata la cauzione o nel caso in cui venga dichiarata con sentenza, anche se non passata in giudicato, l'inesistenza del diritto perla cui cautela era stato concesso il provvedimento provvisorio.

Ratio Legis

La norma apre la sezione dedicata alla tutela del possesso, quale situazione di fatto ovvero potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale. Le azioni a difesa del possesso si distinguono in azione di reintegrazione e azione di spoglio, la cui disciplina si riscontra agli artt.1168 e 1170 c.c. e viene sancita sulla falsa riga delle azioni di nunciazione.

Brocardi

Ad colorandam possessionem
Petitori possessionis, non ei qui possidet, onus probandi incumbit
Possidentes exceptionem, non possidentes actionem habent
Probatio onus petitoris, commodum possessoris

Spiegazione dell'art. 703 Codice di procedura civile

Gli artt. 703 e 704 c.p.c. sono stati da ultimo modificati per effetto della Legge n. 80/2005.
In particolare, il secondo comma della norma in esame prevede adesso che il rinvio al rito cautelare uniforme possa operare solo in applicazione di una clausola di compatibilità, mentre i successivi commi 3 e 4 sanciscono rispettivamente la reclamabilità, ex art. 669 terdecies del c.p.c. dell'ordinanza in forza della quale si concede o si nega la tutela possessoria e l'ammissibilità, previa espressa richiesta delle parti, di un giudizio sul merito possessorio, il quale può essere celebrato anche se la domanda possessoria dovesse essere rigettata.

Qualora la fase di merito possessorio non dovesse aver luogo, l'ordinanza assume la natura di provvedimento definitivo sulla controversia possessoria, mentre si dichiara espressamente applicabile e, dunque, compatibile, il terzo comma dell’art. 669 novies del c.p.c., relativo alla perdita di efficacia del provvedimento in mancanza di versamento della cauzione o per declaratoria di inesistenza del diritto a tutela del quale il provvedimento stesso era stato richiesto.
L’attuale disciplina configura la struttura del procedimento possessorio come bifasica eventuale, nel senso che la successiva fase di merito potrebbe anche non essere mai celebrata.

La novità più rilevante della riforma può individuarsi nella circostanza che l'ordinanza che concede o nega la tutela possessoria, ovvero l'ordinanza che, per effetto di reclamo, conferma o revoca il provvedimento, allorché non sia incardinata la successiva fase di merito possessorio, rimane ferma ed ha efficacia esecutiva, pur non essendo suscettibile di passare in giudicato.

Per quanto concerne il termine a cui fa riferimento il quarto comma per la prosecuzione del giudizio con la fase di merito possessorio, si ritiene che esso abbia natura perentoria ma solo per l'istanza di prosecuzione del processo, il che significa che il mancato rispetto di tale termine impedirebbe esclusivamente lo svolgimento della fase a cognizione piena e senza soluzione di continuità.
Il giudizio di merito, dopo il decorso del termine, sarebbe improcedibile e gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta con l'originario ricorso verrebbero meno; deve comunque ritenersi sempre possibile riproporre un separato e nuovo giudizio di merito.

Nessuna esplicita previsione contiene il terzo comma circa il momento in cui deve essere resa la pronunzia sulle spese, rimanendo pertanto dubbio se ciò debba avvenire all'esito della prima fase ed eventualmente con quali modalità ci si può opporre, se quelle di cui all'art. 669 septies del c.p.c. ovvero il reclamo ex art. 669 terdecies del c.p.c..

Il procedimento cautelare possessorio va introdotto con ricorso, mentre per quanto concerne il suo svolgimento, si ritiene che possa trovare applicazione analogica l’art. 669 sexies del c.p.c. e, dunque, si ritiene possibile anche addivenire anche alla pronuncia di un decreto inaudita altera parte.
Deve anche ammettersi l’applicabilità della disposizione di cui all'art. 669 septies del c.p.c. relativa alla riproponibilità della domanda, oggetto di rigetto, in caso di mutamento delle circostanze, ferma restando la regola secondo cui l'ordinanza che decide sulla concessione o meno della tutela possessoria copre il dedotto ed il deducibile.

Il richiamo espresso al solo terzo comma dell’art. 669 novies del c.p.c. induce a dover considerare per forza di cose inapplicabili gli altri commi di tale norma; per effetto di tale richiamo deve considerarsi inevitabile il travolgimento dell'ordinanza possessoria allorché l'eventuale giudizio sul merito possessorio sia celebrato e accerti l'infondatezza della originaria istanza.

Circa il problema della reclamabilità dell'ordinanza concessiva della tutela cautelare ex art. 669 terdecies del c.p.c. , in un primo momento espressamente prevista solo per le pronunce di accoglimento (in considerazione del problema dell'eventuale concorrenza, in capo allo stesso organo giudicante, ossia il tribunale, del reclamo con l'appello), va detto che la giurisprudenza della Corte Costituzionale, seguita anche da quella della Corte di Cassazione, ha confermato la possibilità di proporre reclamo anche avverso il provvedimento di rigetto.
La recente novella del 2005 ha comunque risolto la questione dichiarando esplicitamente la compatibilità del rimedio di cui all'art. 669 terdecies del c.p.c..

Massime relative all'art. 703 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 15874/2019

Nel caso di spoglio attuato per mezzo dell'ufficiale giudiziario in forza di un titolo esecutivo, l'azione possessoria è proponibile nelle sole ipotesi in cui il titolo esecutivo sia inefficace nei confronti dello "spoliatus" ovvero l'avente diritto sia stato immesso nel possesso di un immobile diverso da quello contemplato nel titolo esecutivo, dovendosi far valere mediante le opposizioni esecutive tutti gli altri vizi del titolo posto a fondamento del rilascio.

Cass. civ. n. 12089/2019

Le dichiarazioni rese dagli informatori nella fase a cognizione sommaria del giudizio possessorio sono comunque idonee a fornire, in sede di decisione di merito, elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice, cui lo stesso può validamente fare ricorso per la formazione del proprio convincimento.

Cass. civ. n. 11369/2019

Nel giudizio di reintegrazione da spoglio, sussiste domanda nuova, inammissibile a norma dell'art. 183 c.p.c., soltanto nel caso in cui, in corso di causa, venga indicato, come oggetto di spoglio, un bene diverso da quello menzionato nell'atto introduttivo, giacché alla privazione di un bene diverso corrisponde una controversia che esorbita dai limiti dell'originaria pretesa. Per contro, il solo mutamento della prospettazione di elementi relativi al possesso dello stesso bene (modalità, limiti, titolo giustificativo) o allo spoglio (modi d'esecuzione, clandestinità, violenza) non integra un mutamento ma una semplice modificazione della domanda. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice d'appello che aveva reputato nuova la domanda di reintegrazione nel possesso di una servitù di passaggio che, alla prima udienza di trattazione, era stata estesa, con riguardo alle modalità del suo esercizio, a mezzi meccanici di più modeste dimensioni rispetto a quelli indicati nell'atto introduttivo).

Cass. civ. n. 11220/2019

Nel procedimento possessorio, non è ammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione prima della conclusione della fase sommaria o interdittale, e della introduzione della fase di merito ai sensi dell'art. 703, comma 4, c.p.c., atteso che l'art. 41 c.p.c., nello stabilire che la richiesta alle Sezioni unite della Corte di cassazione può essere formulata "finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado", richiede, quale condizione per la proposizione del detto regolamento, che sia in corso l'esame di una causa nel merito in primo grado e che essa non sia stata ancora decisa.

Cass. civ. n. 6030/2019

Nel procedimento possessorio, qualora il giudice abbia accolto l'istanza a tutela del possesso senza rimettere le parti dinanzi a sé per la trattazione della causa di merito, il provvedimento non è reclamabile, ma ha natura di sentenza impugnabile con l'appello. Tuttavia, ove il tribunale, invece di dichiarare inammissibile il reclamo proposto, lo esamini nel merito, tale provvedimento, avente natura di sentenza, è ricorribile per cassazione; in questa ipotesi, se il provvedimento gravato è firmato dal presidente e dal giudice incaricato di redigere la motivazione e sussistono le condizioni per la conversione del reclamo in appello, la Corte decide il ricorso mentre, in caso contrario, deve dichiarare inammissibile il reclamo e cassare senza rinvio la decisione impugnata.

Cass. civ. n. 5154/2019

Il procedimento possessorio, nel regime successivo alle modifiche introdotte dalla l. n. 353 del 1990, ma anteriore alle innovazioni di cui al d.l. n. 35 del 2005, conv. con mod. dalla l. n. 80 del 2005, è strutturato in due fasi, entrambe rette dal ricorso ex art. 703 c.p.c., la prima, a cognizione sommaria, limitata all'emanazione, con ordinanza reclamabile, dei provvedimenti interdittali ed alla fissazione, ai sensi dell'art. 183 c.p.c., di una udienza per la disamina del merito della pretesa possessoria e dell'eventuale richiesta di risarcimento del danno proposta con il suddetto ricorso, la seconda, invece, a cognizione piena, avente ad oggetto tale disamina, che si conclude con sentenza soggetta alle impugnazioni ordinarie. La domanda di risarcimento del danno da lesione del possesso, ove non sia stata formulata, a pena di inammissibilità, nel ricorso introduttivo, può essere, comunque, ancora avanzata all'udienza di trattazione individuata con il provvedimento interinale, ma solo ove sia consequenziale alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto.

Cass. civ. n. 2991/2019

In tema di tutela possessoria, non assumono rilevanza la legittimità dell'esercizio del vantato possesso e la sua rispondenza ad un valido titolo, quanto piuttosto la mera situazione di fatto esistente al momento dello spoglio o della turbativa, sicché, ove si controverta in ordine ad una servitù di passaggio su fondo privato per l'accesso alla strada pubblica, rimane estranea al giudizio la presenza o meno di un titolo autorizzativo, rilasciato dalla competente autorità amministrativa stradale, a compiere gli atti che esteriorizzano il possesso di tale servitù. Ne consegue che, anche in mancanza di detto titolo, la domanda possessoria tra privati è ammissibile e, quindi, valutabile nel merito, pure ai fini dell'eventuale condanna al risarcimento dei danni eventualmente prodotti dall'avversa condotta illecita.

In caso di spoglio o turbativa del possesso, la reintegrazione o la cessazione della turbativa, anche se intervenute, per iniziativa spontanea del soggetto attivo, prima che il giudice gliene abbia fatto ordine ai sensi dell'art. 703 c.p.c., non eliminano l'interesse del soggetto passivo ad ottenere una sentenza che, benché non possa contenere quell'ordine, ormai inutile, esamini la fondatezza nel merito dell'azione possessoria, sia ai fini del necessario regolamento delle spese sia per la valutazione dell'eventuale ed accessoria domanda risarcitoria, dovendosi considerare, altresì, che una pronuncia di cessazione della materia del contendere, oltre all'esecuzione spontanea della rimessione in pristino, deve implicare pure il riconoscimento da parte del convenuto della illegittimità del suo operato.

Cass. civ. n. 20726/2018

La riduzione in pristino, cui è diretta l'azione di manutenzione, può consistere non già nella mera riproduzione della situazione dei luoghi modificata o alterata da una determinata azione lesiva dell'altrui possesso, ma anche nell'esecuzione di un "quid novi", qualora il rifacimento puro e semplice sia inidoneo a realizzare il ripristino stesso.

Cass. civ. n. 19720/2016

I provvedimenti possessori, pur restando efficaci indipendentemente dall'instaurazione del giudizio di merito in applicazione dell'art. 669 octies, ultimo comma, c.p.c., sono inidonei ad acquisire efficacia di giudicato, non avendo carattere decisorio, come le misure cautelari per le quali opera detta disposizione, e stante l'omesso richiamo, compiuto invece per altre ipotesi di procedimenti a cognizione sommaria, agli effetti di cui all'art. 2909 c.c.

Cass. civ. n. 7365/2015

In tema di azioni possessorie, quando la successione a titolo particolare nel possesso avvenga dopo la proposizione della domanda di reintegrazione o di manutenzione nei confronti dell'autore dello spoglio, la sentenza ha effetto, ai sensi dell'art. 111, quarto comma, cod. proc. civ., nei confronti dell'avente causa, senza che operi la clausola di salvezza degli effetti della trascrizione ivi prevista, in quanto la domanda di reintegrazione o di manutenzione non va trascritta ai sensi e per gli effetti dell'art. 2653, n. 1, cod. civ. e, perciò, resta irrilevante la trascrizione del titolo d'acquisto. Ne consegue che la sentenza pronunciata contro il dante causa è titolo eseguibile nei confronti dell'acquirente.

Cass. civ. n. 1238/2015

In tema di tutela possessoria, qualora la reintegrazione o la manutenzione del possesso richieda, per il ripristino dello stato dei luoghi, la demolizione di un'opera in proprietà o possesso di più persone, il comproprietario o compossessore non autore dello spoglio è litisconsorte necessario non solo quando egli, nella disponibilità materiale o solo "in iure" del bene su cui debba incidere l'attività ripristinatoria, abbia manifestato adesione alla condotta già tenuta dall'autore dello spoglio o abbia rifiutato di adoperarsi per l'eliminazione degli effetti dell'illecito, ovvero, al contrario, abbia dichiarato la disponibilità all'attività di ripristino, ma anche nell'ipotesi in cui colui che agisca a tutela del suo possesso ignori la situazione di compossesso o di comproprietà, perché in tutte queste fattispecie anche il compossessore o comproprietario non autore della condotta di spoglio è destinatario del provvedimento di tutela ripristinatoria.

Cass. civ. n. 22720/2014

Il possesso consiste in una relazione tra il soggetto e la cosa, sicché può formare oggetto di testimonianza l'attività attraverso la quale il potere si manifesta, ma non anche il risultato del suo esercizio nel quale il possesso si identifica, non potendo la prova testimoniale avere ad oggetto apprezzamenti o giudizi, ma solo fatti obiettivi. Ne consegue l'inammissibilità dei capitoli di prova relativi a giudizi di valore, mentre sono ammissibili i giudizi di verità in quanto inscindibili dal fatto cui si riferiscono e funzionali alla sua narrazione.

Cass. civ. n. 20635/2014

Il soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703, quarto comma, cod. proc. civ., la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti le pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena. Ne consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello.

Cass. civ. n. 3629/2014

È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso l'ordinanza sul reclamo nel procedimento possessorio a struttura eventualmente bifasica, delineata dall'art. 703 cod. proc. civ., come modificato dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in legge 14 maggio 2005, n. 80, atteso che, in caso di prosecuzione del giudizio di merito, l'ordinanza rimane assorbita nella sentenza, unico provvedimento decisorio, mentre, in caso contrario, l'ordinanza stessa acquista una stabilità puramente endoprocessuale, inidonea al giudicato, o determina una preclusione "pro iudicato" da estinzione del giudizio.

Cass. civ. n. 4845/2012

Il procedimento possessorio, così come risultante dalle modifiche apportate all'art. 703 c.p.c. dal n. 35 del 2005 (convertito dalla legge n. 80 del 2005), pur essendo diviso in due fasi, conserva una struttura unitaria, nel senso che la fase eventuale di merito non è che la prosecuzione della fase sommaria. Da ciò consegue che la procura, conferita al difensore per l'introduzione di un giudizio possessorio, legittima l'avvocato, in mancanza di una diversa ed esplicita volontà della parte, a depositare altresì l'istanza di fissazione della trattazione del merito.

Cass. civ. n. 1387/2012

Nel procedimento possessorio, qualora il giudice abbia accolto l'istanza a tutela del possesso senza rimettere le parti dinanzi a sé per la trattazione della causa di merito, il provvedimento non è reclamabile, ma ha natura di sentenza impugnabile con l'appello. Tuttavia qualora il tribunale, invece di dichiarare inammissibile il reclamo proposto, lo esamini nel merito, il provvedimento, avente natura di sentenza, è ricorribile per cassazione. In tal caso, se il provvedimento impugnato è firmato dal solo presidente del tribunale, non indicato come relatore, la Corte deve dichiararne la nullità e rinviare il processo al tribunale (ora alla Corte d'appello, a seguito dell'entrata in vigore del d.l.vo 19 febbraio 1998, n. 51) per la pronuncia sull'appello, se il reclamo sia convertibile in tale mezzo di gravame, mentre, in mancanza dei requisiti per la conversione, deve dichiarare inammissibile il rimedio esperito e cassare senza rinvio la decisione impugnata. Se, invece, il provvedimento impugnato è firmato dal presidente e dal giudice incaricato di redigere la motivazione e sussistono le condizioni per la conversione del reclamo in appello, la Corte decide il ricorso, mentre in caso contrario deve dichiarare inammissibile il reclamo e cassare senza rinvio la decisione impugnata.

Cass. civ. n. 1896/2011

Allorché il giudice, accogliendo un ricorso possessorio, ordini allo spogliante di reintegrare lo spogliato nel possesso di una servitù di passaggio, coessenziale al provvedimento in questione è l'ordine di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, se la modifica di essi ha reso impossibile l'esercizio del possesso della servitù, non ostando a tale pronuncia il divieto posto dall'art. 705 c.p.c., che concerne il convenuto, e a nulla rilevando che l'accertamento della sussistenza del diritto di servitù formi oggetto di un separato giudizio petitorio.

Cass. civ. n. 921/2010

Nel giudizio di reintegra nel possesso, non ricorre in linea di principio un'ipotesi di litisconsorzio necessario, neppure nel caso in cui più soggetti siano autori dello spoglio, ben potendo l'azione essere intentata nei confronti di uno soltanto di essi, se egli sia in grado di provvedere alla reintegra; tuttavia, allorché, per l'attuazione della tutela richiesta, sia necessaria la rimozione dello stato di fatto mediante l'abbattimento di un'opera in proprietà o in possesso di più persone, esse devono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari, in quanto la sentenza resa nei confronti di alcuno e non anche degli altri comproprietari o compossessori dell'opera sarebbe "inutiliter data", per il fatto che la demolizione della cosa pregiudizievole incide sulla sua stessa esistenza e, di conseguenza, sulla proprietà o sul possesso di tutti coloro che sono partecipi di tali signorie di fatto o di diritto sul bene, non essendo, invero, configurabile una demolizione limitatamente alla quota indivisa del comproprietario o compossessore convenuto in giudizio.

Cass. civ. n. 1847/2009

In caso di azione possessoria proposta da una persona giuridica privata contro lo spossessamento dei beni posto in essere da commissario straordinario nominato dal Comune in forza di una legge reg. (nella specie, l. reg. Toscana 3 ottobre 1997, n. 72) che consente la nomina di commissari alle IPAB, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo, in quanto il comportamento della P.A. si ricollega ad un provvedimento amministrativo emesso nell'esercizio di un potere autoritativo, non assumendo alcun rilievo la natura privatistica dell'ente, la quale non comporta la nullità, ma solo l'illegittimità del provvedimento.

Cass. civ. n. 1386/2009

Nel procedimento possessorio, la sentenza che definisce il giudizio a cognizione piena può basarsi esclusivamente sugli elementi raccolti in fase di cognizione sommaria, allorché questi consentano al giudice di decidere la causa senza escludere le sommarie informazioni fornite dai testimoni nella prima fase del procedimento, in quanto idonee a fondare, in sede di decisione, il libero convincimento del giudice.

Cass. civ. n. 17177/2008

La pronuncia d'improponibilità della domanda di reintegra nel possesso cui segue la statuizione di compensazione delle spese di lite ha natura di sentenza, ed è impugnabile esclusivamente attraverso l'appello, dovendosi escludere che la natura bifasica del procedimento possessorio sia ostativa alla concentrazione delle due fasi e alla definizione del giudizio con un unico provvedimento conclusivo dell'intero procedimento.

Cass. civ. n. 19957/2007

La tempestività della riassunzione di un procedimento possessorio si determina sulla base della data di notifica dell'atto di riassunzione che deve assumere la forma della comparsa così come richiesto nell'art. 125 disp. att. c.p.c. Ove, al contrario, si sia proceduto con ricorso, non ha rilievo la data di deposito, essendo necessaria la notificazione tempestiva dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione d'udienza, poiché l'adozione del ricorso è richiesta esclusivamente per la fase sommaria del procedimento mentre nella fase successiva a cognizione piena, così come nei gradi successivi del giudizio, trova integrale applicazione il rito ordinario.

Cass. civ. n. 13397/2007

Le azioni possessorie sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della P.A. quando il comportamento perseguito non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell'ambito e nell'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale lesiva di diritti soggettivi o quando il provvedimento risulti adottato in stato d'evidente carenza d'attribuzione di funzioni, di modo che l'atto ha l'apparenza ma non la sostanza del provvedimento amministrativo idoneo a produrre l'effetto di degradazione del diritto soggettivo (nella specie, relativa a controversia insorta prima dell'entrata in vigore del D.L.vo n. 80 del 1998, il Comune aveva ordinato ed eseguito coattivamente lo «sgombero immediato» dei legittimi occupanti di un immobile, al di fuori dello schema procedimentale delle requisizioni e dell'occupazione d'urgenza, e dato luogo ad un'occupazione usurpativa, inidonea, pur a seguito di realizzazione di alcune opere, a realizzare gli effetti dell'accessione invertita).

Cass. civ. n. 22833/2005

In tema di azioni a difesa del possesso, lo spoglio e la turbativa, costituendo fatti illeciti, determinano la responsabilità individuale dei singoli autori secondo il principio di solidarietà di cui all'art. 2055 c.c.; pertanto, nel giudizio possessorio non ricorre tendenzialmente l'esigenza del litisconsorzio necessario, che ha la funzione di assicurare la partecipazione al processo di tutti i titolari degli interessi in contrasto; peraltro, qualora la reintegrazione o la manutenzione del possesso comportino la necessità del ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione di un'opera di proprietà o nel possesso di più persone, questi ultimi devono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari; infatti, la sentenza resa nei confronti di alcuno e non anche degli altri comproprietari o compossessori dell'opera sarebbe inutiliter data, giacché la demolizione della cosa pregiudizievole incide sulla sua stessa esistenza e necessariamente quindi sulla proprietà o sul possesso di tutti coloro che sono partecipi di tali signorie di fatto o di diritto sul bene, atteso che non è configurabile una demolizione limitatamente alla quota indivisa del comproprietario o del compossessore convenuto in giudizio.

Cass. civ. n. 1142/2005

Il procedimento possessorio, pur essendo caratterizzato da una fase sommaria – che si conclude con la emanazione o il diniego della tutela interdittale – e da quella successiva relativa al merito, ha conservato, anche dopo la novella di cui alla legge 353/1990, struttura unitaria, sicché con l'ordinanza conclusiva della fase sommaria, il giudice deve fissare l'udienza per la prosecuzione dinanzi a sè del giudizio relativamente alla fase di merito; peraltro, qualora invece il giudice abbia erroneamente assegnato un termine per la proposizione del giudizio di merito, l'atto di impulso di parte non dà luogo a un nuovo procedimento ma alla riassunzione di quello instaurato con il ricorso introduttivo, definito soltanto nella prima fase ed ancora pendente, perché non esaurito.

Cass. civ. n. 730/2005

A seguito e per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell'art. 34 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80 (Corte cost., sent. n. 281 del 2004), sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla domanda possessoria promossa dal privato nei confronti della P.A. in conseguenza dell'attività materiale, disancorata e non sorretta da alcun provvedimento formale, da questa posta in essere in ambito urbanistico(consistente, nella specie, nella apposizione di un segnale limitazione del traffico su area privata).

Cass. civ. n. 24071/2004

In seguito e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 281 del 2004 – con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale parziale dell'art. 34 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80, nel testo originario –, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della domanda proposta dal privato per ottenere la reintegrazione nel possesso di un terreno, di su proprietà, occupato senza titolo dalla P.A. espropriante, in quanto non ricompreso nell'area oggetto dell'attivata procedura ablatoria.

Cass. civ. n. 21099/2004

La domanda di reintegrazione nel possesso proposta da un privato nei confronti di un Comune, prospettando di avere subito uno spossessamento in mancanza della adozione di un provvedimento amministrativo adottato per fini di pubblica utilità, quindi facendo valere una posizione di diritto soggettivo (ius possessionis) e deducendo un mero comportamento materiale della P.A., non connesso neppure implicitamente all'esercizio di poteri d'imperio, deve ritenersi riservata alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi degli artt. 2 ss., legge n. 2248 del 1865, all. E; in quanto la regola generale stabilita in materia di riparto di giurisdizione non è stata derogata nella materia edilizia ed urbanistica dall'art. 34, commi primo e secondo, D.L.vo n. 80 del 1998 – nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 7, legge n. 205 del 2000, applicabile nella specie ratione temporis, stante l'irretroattività di quest'ultima norma – poiché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 281 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 34, commi primo e secondo, cit., nella parte in cui aveva istituito una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia e urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, con pronuncia che ha riconosciuto la rilevanza della questione di illegittimità costituzionale sollevata sulla norma nel testo originario, anche dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni che la hanno sostituita (sentenza n. 204 del 2004).

Cass. civ. n. 8766/2003

In materia di procedimento possessorio, nel quale il giudizio di merito è da ritenersi instaurato a decorrere dal deposito del ricorso introduttivo, è inapplicabile l'art. 669 novies c.p.c., sanzionante l'inefficacia del provvedimento cautelare ove il procedimento di merito non venga iniziato nel termine perentorio fissato dal giudice, e pertanto è da escludere che tale inattività conduca alla perdita di efficacia dell'ordinanza di reintegrazione emesso nella fase interdittale, a nulla rilevando che, a chiusura di detta fase, il giudice abbia anche fissato, erroneamente, il termine per l'inizio della causa di merito, anziché l'udienza per la trattazione, dinanzi a sé, della causa già pendente.

Cass. civ. n. 13754/2002

La pronuncia con la quale il tribunale provvede sul reclamo avverso il provvedimento emesso dal pretore che, a conclusione della fase interdittale del processo possessorio, (avendo, nella specie, dichiarato la propria incompetenza) regoli le spese senza disporre per il prosieguo nel merito (provvedimento avente, a prescindere dalla qualificazione datagli dal giudice, natura di sentenza), ha anch'essa natura di sentenza, qualora provveda definitivamente sulla causa possessoria (nella specie, avendo «rigettato nel merito» il ricorso). In tali casi, la decisione è nulla quando non sia sottoscritta anche dal giudice relatore, bensì dal solo presidente che non cumuli in sè anche l'altra qualità (in forza di tale principio, la Suprema Corte ha dichiarato la nullità del provvedimento impugnato, cassando con rinvio ad altro giudice equiordinato).

Cass. civ. n. 3338/2002

È inammissibile il ricorso esperito ai sensi dell'art. 111 della Costituzione contro il provvedimento emesso dal Tribunale in sede di reclamo, ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c., con il quale sia stata revocata l'ordinanza di reintegra nel possesso pronunciata dal pretore adito con procedimento possessorio, per non essere detto provvedimento caratterizzato da definitività e decisività. Al contrario è esperibile detto ricorso straordinario avverso lo stesso provvedimento per la parte relativa alla statuizione sulle spese di «entrambi i gradi del giudizio cautelare» (parte autonomamente impugnata), in quanto detta statuizione è stata resa, nella specie, in palese violazione del principio posto dall'art. 91 c.p.c., secondo cui è la sentenza che chiude il processo a regolare le spese, non già altro provvedimento, che, come quello impugnato, ha l'obbiettivo limite di pronuncia sull'ordinanza conclusiva della prima delle due fasi, a cognizione sommaria, da definirsi, poi, con sentenza, all'esito della seconda fase, a cognizione piena del merito della pretesa possessoria.

Cass. civ. n. 10572/2001

In materia di procedimento possessorio, il giudice d'appello, innanzi al quale – cessata l'originaria violazione del possesso – siano dedotti nuovi fatti di spoglio, prima di provvedere sul merito del ricorso, rigettandolo, deve pronunciarsi sulla sussistenza (quanto meno all'atto del ricorso o della decisione in primo grado) del lamentato spoglio, sia al fine della ripartizione delle spese che della successiva eventuale azione di risarcimento del danno, ed esaminare i fatti sopravvenuti, anche solo per escludere che costituiscano una prosecuzione dell'originario spoglio.

Cass. civ. n. 2667/2001

Il procedimento possessorio, pur se introdotto con un unico atto di impulso (il ricorso), si articola in due diverse fasi (l'una di natura sommaria, limitata all'emanazione di provvedimenti immediati, l'altra a cognizione piena, avente ad oggetto il merito della pretesa) le quali, attese le diverse finalità cui risultano funzionali, devono ritenersi del tutto autonome tra loro, con la conseguenza che l'eventuale omissione della prima (ovvero l'esito del reclamo avverso il provvedimento che la conclude) non può avere incidenza alcuna sul procedimento che deve necessariamente concludersi con la sentenza che accorda o nega la tutela possessoria.

Cass. civ. n. 404/2000

La tutela possessoria contro la P.A. è inammissibile in relazione ai comportamenti posti in essere in esecuzione di atti amministrativi, ancorché viziati, giacché i provvedimenti di reintegrazione e di manutenzione del possesso, ripristinando la situazione modificata o turbata dall'attività denunziata, andrebbero ad elidere gli effetti dell'azione amministrativa, in contrasto con il divieto sancito per il giudice ordinario dell'art. 4 della legge n. 2248 all. E del 1865. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione sulla domanda possessoria proposta dal proprietario dell'area adiacente ad una strada comunale, atteso che i lavori di sistemazione della suddetta strada, che, secondo il privato, avrebbero recato turbativa al possesso dell'area ad essa adiacente, erano stati compiuti in esecuzione di specifica delibera consiliare).

Cass. civ. n. 700/2000

Il procedimento possessorio, sulla cui struttura non hanno inciso le modificazioni introdotte dalla legge n. 353 del 1990 ed, in particolare, la nuova formulazione dell'art. 703 c.p.c., è tuttora caratterizzato da una duplicità di fasi, la prima delle quali, di natura sommaria, si conclude con ordinanza reclamabile, e non ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., avuto riguardo al carattere non decisorio, né definitivo della stessa, mentre la seconda fase, a cognizione piena, si conclude con un provvedimento che, definendo l'intero processo possessorio, si configura come sentenza, come tale, impugnabile con il rimedio dell'appello. Peraltro, ove nei confronti di tale provvedimento sia proposto, ed esaminato nel merito, il reclamo, anziché l'appello, anche la relativa statuizione va qualificata come sentenza, indipendentemente dalla forma adottata, con la conseguenza della ricorribilità di tale provvedimento per cassazione. Ove, peraltro, il provvedimento stesso, qualificato dal collegio decidente come ordinanza, risulti, in quanto tale, a norma dell'art. 134 c.p.c., sottoscritto solo dal presidente (non estensore), e non anche dal giudice estensore, come, invece, stabilito per le sentenze dall'art. 132 del codice di rito, esso, pur dovendo comunque essere definito come sentenza, tenuto conto della sua natura sostanziale – restandone, pertanto, esclusa la inesistenza giuridica – deve essere dichiarato nullo ex art. 161 c.p.c., e rinviato al tribunale per la pronuncia sull'appello, ove l'originario reclamo sia in questo convertibile per il fatto di possederne i requisiti (la relativa indagine spettando alla Corte di cassazione). Qualora, invece, manchino i presupposti della conversione, deve essere dichiarato inammissibile il rimedio esperito e cassata senza rinvio la decisione del tribunale che sul reclamo si sia pronunciata. Alla medesima conclusione la corte di legittimità deve pervenire nella ipotesi in cui il provvedimento impugnato sia firmato anche dal giudice estensore, ove valuti la insussistenza dei presupposti della conversione, essendo, al contrario, tenuta a decidere il ricorso in caso di esito positivo di detta indagine.

Cass. civ. n. 2522/1999

La domanda di reintegra nel possesso di un bene è proponibile anche nei confronti del promissario acquirente di questo che abbia ottenuto la sentenza di cui all'art. 2932 c.c., purché non passata in giudicato. Invero tale sentenza essendo costitutiva ed avendo efficacia ex nunc, solo con il passaggio in giudicato produce gli effetti del contratto preliminare e trasferisce la proprietà del bene, sicché sino a tale data il promittente venditore è proprietario e possessore. Né rileva, nel caso di pluralità di promittenti venditori, al fine di escludere il giudicato, che solo taluni di essi abbiano proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa ai sensi dell'art. 2932 c.c., in quanto, stante l'unicità del contratto, anche dall'impugnazione di uno solo può derivare l'inefficacia dell'intera pattuizione.

Cass. civ. n. 1548/1999

Il ricorso per cassazione può avere ad oggetto esclusivamente le sentenze, ovvero i provvedimenti ad esse equiparabili (provvedimenti, cioè, che, quantunque emessi in forme diverse da quella della sentenza, rivestano comunque natura decisoria, per aver statuito su di un conflitto di diritti soggettivi con effetto di giudicato in mancanza di tempestiva impugnazione, e sempre che l'ordinamento non predisponga, per essi altro, specifico mezzo di gravame), con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso proposto, ex art. 111 Cost., avverso l'ordinanza di rimessione in termini per l'instaurazione del giudizio possessorio di merito, attesane la natura di provvedimento meramente ordinatorio (destinato a consentire l'introduzione di un procedimento contenzioso dinanzi al pretore nonostante la scadenza del termine originariamente fissato), del quale è sempre consentita, re melius perpensa, la revoca con la sentenza che chiude il processo.

Cass. civ. n. 1984/1998

Le modifiche introdotte dalla legge 26 novembre 1990 n. 353, ed in particolare, la nuova formulazione dell'art. 703 c.p.c., non incidono sulla struttura del procedimento possessorio che resta caratterizzato da una duplice fase, la prima, di natura sommaria, limitata all'emanazione dei provvedimenti immediati, la seconda, a cognizione piena, avente ad oggetto il merito della pretesa possessoria, e da concludersi con sentenza soggetta alle impugnazioni ordinarie, non rilevando in contrario il testuale rinvio agli articoli 669 bis e seguenti contenuto nel secondo comma del cit. art. 703, che ha lo scopo di consentire l'estensione delle norme sui procedimenti cautelari a quelli possessori, esclusivamente nei limiti consentiti dalle caratteristiche e dalla struttura di questi ultimi. Pertanto, concesse o negate dal pretore, con ordinanza, le misure interdittali, il giudizio deve proseguire innanzi allo stesso giudice all'udienza da questi all'uopo fissata, per l'esame del merito della pretesa possessoria e dell'eventuale domanda accessoria di risarcimento del danno, restando estranea al delineato schema procedimentale la introduzione di una fase di merito mediante la notifica di una nuova citazione ai sensi dell'art. 669 octies dello stesso codice.

Cass. civ. n. 8253/1997

È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., avverso l'ordinanza emessa in sede di reclamo contro il provvedimento con cui sia stato concesso o negato un provvedimento possessorio. Tale ordinanza, infatti, al pari del provvedimento reclamato non incide su posizioni di diritto soggettivo – non essendo il possesso un diritto soggettivo, ma un potere di fatto tutelato dal diritto ex art. 1441 c.c. – ed è priva dei requisiti della decisorietà e definitività e non suscettibile, pertanto, di passare in giudicato.

Cass. civ. n. 7768/1997

La disciplina dei procedimenti cautelari (e, con essa, il rimedio del «reclamo» previsto dall'art. 669 terdecies c.p.c.) non può ritenersi applicabile ai provvedimenti possessori adottati dal pretore (nella specie, ordinanza di reintegrazione nel possesso), privi, a differenza di quelli cautelari, di qualsivoglia rapporto di strumentalità necessaria con la decisione finale, così che l'eventuale reclamo avverso i medesimi, presentato ai sensi del disposto dell'art. 669 terdecies del codice di rito (pur dopo l'intervento additivo della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 253 del 1994), è legittimamente dichiarato inammissibile dal tribunale adito, con ordinanza non impugnabile (ex art. 669 terdecies, quarto comma) e, per l'effetto, non ricorribile per Cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione.

Cass. civ. n. 5672/1997

L'esecuzione di un provvedimento possessorio è inseparabile dal procedimento nel quale esso fu pronunciato, e deve, pertanto, svolgersi nell'ambito dello stesso giudizio, senza dar luogo alla serie procedimentale della esecuzione forzata, onde garantire il conseguimento delle finalità che gli sono proprie, in relazione alle esigenze cautelari e conservative che lo determinarono, così che l'attuazione e la regolarità formale della esecuzione medesima può essere contestata solo nell'ambito dello stesso giudizio possessorio, e non anche attraverso il rimedio della opposizione all'esecuzione od agli atti esecutivi.

Cass. civ. n. 98/1997

Nel procedimento possessorio – quale regolato dal codice di procedura civile nel testo antecedente alla novellazione di cui alla legge n. 353 del 1990 – il ricorso previsto dall'art. 703, comma primo, del codice di rito vale ad introdurre sia la fase sommaria che la fase ordinaria, a cognizione piena del giudizio, senza bisogno, ai fini della trattazione di questa, di una qualsiasi, ulteriore istanza.

Cass. civ. n. 3303/1996

Nel giudizio di reintegrazione del possesso l'autore morale dello spoglio o, comunque, l'autore che non sia in grado di operare la restituzione in pristino sono legittimati passivi, perché anche in tali ipotesi la sentenza conserva la sua autorità, quantomeno al fine accessorio e consequenziale di legittimare la richiesta di risarcimento dei danni.

Cass. civ. n. 8581/1994

... Ne consegue che allorché lo spogliato o chi abbia subito molestie invochi erroneamente, per l'esecuzione dell'ordine di reintegra o di manutenzione, l'art. 612 c.p.c., spetta al giudice l'esatta qualificazione giuridica dell'azione proposta e l'applicazione della legge, e le eccezioni proposte dalla controparte, tenuta all'esecuzione dell'ordine del giudice, comunque qualificate dall'interessato, non assumono natura di opposizione agli atti esecutivi, ma mantengono la loro natura di eccezioni che si inseriscono nel processo possessorio, idoneo soltanto a sollecitare l'esercizio dei poteri di modifica e/o di integrazione o revoca del provvedimento impugnato da parte del giudice.

Cass. civ. n. 9297/1993

Quando il fatto lesivo del possesso sia riferibile a diversi soggetti, l'uno dei quali esecutore materiale e l'altro autore morale (e tale va considerato il soggetto che dell'atto lesivo si giovi, come il proprietario dell'edificio che venga ampliato in modo lesivo dell'altrui possesso), sussiste la legittimazione passiva di entrambi, ma non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario, potendo la pretesa essere coltivata anche nei confronti di uno solo dei responsabili.

Cass. civ. n. 6844/1991

Poiché spetta al giudice di dare l'esatta qualificazione alla domanda indipendentemente dall'esattezza delle indicazioni della parte o dalla mancanza di indicazioni, con il solo limite di non mutarne gli elementi obiettivi come fissati dall'attore, legittimamente il giudice può qualificare i fatti prospettatigli come spoglio, quali mere turbative traendone le dovute conseguenze sul piano dei rimedi possessori, senza con ciò violare il principio della corrispondenza fra il chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), atteso che la domanda di reintegrazione del possesso comprende quella di manutenzione costituendo la semplice turbativa un minus rispetto alla privazione totale del possesso.

Cass. civ. n. 5389/1990

Nell'azione di reintegrazione di possesso la legittimazione passiva permane in capo allo spoliator ancorché questi, dopo lo spoglio, abbia trasferito a terzi il possesso della cosa, come rivela la lettera dell'art. 1163 c.c. e conferma la ratio della stessa norma e dell'art. 1168 c.c., volta a non lasciare lo spoliatus, a seguito di maliziose manovre dello spoliator, privo della tutela di legge nei confronti dell'autore dello spoglio (unitamente al nuovo possessore di mala fede); né rileva, ai fini del dovere del giudice di pronunciarsi sul merito della domanda, accogliendola o rigettandola, la circostanza che lo spoliator sia nella impossibilità assoluta di restituire la cosa, ovvero che con la domanda non sia stata avanzata nessuna richiesta di danni, avendo l'attore pur sempre interesse alla statuizione dell'illegittimità dello spoglio, potendo pretendere il risarcimento anche con un successivo e separato giudizio.

Cass. civ. n. 1122/1988

L'adozione della forma del ricorso per la proposizione dell'azione possessoria non è prescritta sotto comminatoria di nullità, con la conseguenza che l'azione stessa è ammissibile anche se proposta con citazione. In tale ultima ipotesi resta soltanto esclusa la possibilità di emanazione dei provvedimenti interinali urgenti che, nella prima fase del procedimento, il pretore può emettere anche inaudita altera parte.

Cass. civ. n. 280/1984

Nel procedimento possessorio, la sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale, di cui alla L. n. 742 del 1969, si applica soltanto alla fase sommaria, caratterizzata dall'urgenza, e non anche alla successiva fase di merito, che si svolge con le forme ed il rito del giudizio ordinario ed in cui la situazione di urgenza, per definizione, è cessata, sicché tale sospensione non si applica al termine per impugnare la sentenza conclusiva di quest'ultima fase.

Cass. civ. n. 105/1984

Per «autore morale», passivamente legittimato nell'azione possessoria unitamente all'autore materiale, deve intendersi il mandante e colui che ex post abbia utilizzato a proprio vantaggio il risultato dello spoglio, sostituendo coscientemente il proprio al possesso dello spogliato, sicché la sola adesione di carattere morale all'azione dello spogliatore (o di colui che ha turbato il possesso) non è sufficiente ai fini della legittimazione passiva.

Cass. civ. n. 5226/1983

Le due fasi in cui si articola il procedimento possessorio (quella sommaria, diretta a comporre provvisoriamente la controversia con l'emanazione di provvedimenti immediati richiesti dall'urgenza del caso, e quella di trattazione del merito, che si svolge nelle forme di un ordinario giudizio contenzioso per culminare nella sentenza che definisce la controversia), non essendo legate da un nesso di successione necessaria, ben possono essere unificate, con il conseguente carattere definitivo del provvedimento emesso, anche se pronunciato nella forma dell'ordinanza, ma siffatta deviazione dallo schema tipico, data la sua eccezionalità, deve risultare in modo univoco da elementi che rendano chiaro l'intendimento del giudice di considerare definito in tutti i suoi aspetti il merito della causa, così da non lasciare margine per ulteriori decisioni al riguardo, e, pertanto, deve escludersi allorché, dopo il provvedimento interinale, il giudizio prosegua, su espressa disposizione del pretore, per l'esame del merito.

Cass. civ. n. 5070/1983

Le azioni possessorie sono proponibili contro chi abbia posto in essere un comportamento arbitrario che sia causa diretta ed immediata della perdita o della molestia del possesso. Deve pertanto escludersi che il possessore di un immobile locato possa esperire dette azioni contro chi vantandosi compossessore (nella specie, la moglie del locatore per asserita comunione legale dei beni) si sia limitato a richiedere al locatario il pagamento in proprio favore del canone, e lo abbia poi riscosso per effetto di adesione di quest'ultimo, atteso che, in tale situazione, fra il fatto denunciato e la lamentata perdita o molestia del possesso si inserisce un'autonoma e libera determinazione del terzo con conseguente esclusione di ogni rapporto genetico tra quel fatto ed il pregiudizio del possesso.

Cass. civ. n. 6363/1982

Il ricorso al giudice ordinario, per ottenere, anche con azione di nunciazione, o con altra istanza rivolta a conseguire provvedimenti cautelari ed urgenti, una pronuncia che imponga alla P.A. un determinato comportamento, attivo o passivo, è consentito quando si sia in presenza non di atti amministrativi, ma di una mera attività materiale, cioè di una condotta dell'amministrazione stessa soggetta ai criteri generali della diligenza e prudenza, nonché della buona tecnica e salvaguardia dei diritti dei privati (nella specie, in relazione all'esecuzione e manutenzione di opera pubblica), e sempre che tale condotta non risulti ricollegabile ad un formale provvedimento amministrativo. Peraltro, anche quando il giudice ordinario, nel concorso dell'indicata situazione, abbia il potere di condannare l'amministrazione ad un facere o ad un pati, il giudice medesimo resta soggetto ai limiti interni delle proprie attribuzioni giurisdizionali (art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E), nel senso che la suddetta condanna deve riferirsi ad attività di diritto comune, e non può tradursi in una interferenza nell'esercizio di potestà pubbliche, implicante revoca, modifica o sospensione di un provvedimento amministrativo, con la conseguenza che se la P.A. non dovesse svolgere quall'attività eventualmente necessaria per dare esecuzione all'ordine giudiziale, essa non potrebbe esservi costretta, ma sarebbe semplicemente considerata inadempiente.

Cass. civ. n. 1046/1979

In tema di azioni possessorie, il termine stabilito dal pretore per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione si deve considerare di natura ordinatoria, mancando un'espressa attribuzione legislativa di perentorietà, ove il giudice, nelle ipotesi di domanda di reintegrazione e di domanda di manutenzione qualificata da pericolo di danno grave ed imminente, si riservi di dare i provvedimenti immediati dopo la costituzione del contraddittorio.

Cass. civ. n. 3174/1978

Nel procedimento possessorio, l'esame dei titoli costitutivi dei diritti fatti valere dalle parti, ove mantenuto nei limiti imposti dalla natura del procedimento stesso, e, cioè, compiuto al solo fine di dedurre elementi sulla sussistenza e le modalità del possesso, lascia impregiudicata ogni questione sulla conformità a diritto della situazione possessoria oggetto di tutela, e, pertanto, osta a che la sentenza resa a conclusione del procedimento stesso possa spiegare autorità di giudicato nel giudizio petitorio, caratterizzato da diversità di petitum e causa petendi.

Cass. civ. n. 1701/1975

La norma dell'art. 125 c.p.c. che prevede la possibilità di rilasciare la procura al difensore in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata non può trovare applicazione nei procedimenti che sono introdotti mediante ricorso e con i quali una parte si rivolge direttamente al giudice per ottenere dal medesimo, anche inaudita altera parte, i particolari provvedimenti dalla legge previsti; così come si verifica nei procedimenti possessori, nei quali il pretore è sollecitato a dare immediatamente con decreto i provvedimenti necessari per la reintegrazione e manutenzione nel possesso (art. 703, secondo comma, c.p.c., in relazione all'art. 689 dello stesso codice). Nei procedimenti anzidetti, il conferimento della procura al difensore deve necessariamente precedere la presentazione dell'atto, che è destinato a promuovere subito l'attività del giudice.

Cass. civ. n. 1502/1974

L'omessa indicazione del termine perentorio per la notificazione del decreto con il quale il pretore, investito di una domanda di reintegrazione, abbia dato immediatamente i provvedimenti necessari fissando nel contempo l'udienza per la conferma, modifica o revoca dei medesimi, non è causa di nullità qualora la parte convenuta, pur avendo, ricevuto una tempestiva notificazione, non sia comparsa nell'udienza fissata, ma in quella successiva senza eccepire alcuna nullità del decreto del pretore, poiché in tal caso si verifica la sanatoria prevista dall'art. 157 c.p.c.

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Giuseppe G. chiede
mercoledì 10/02/2021 - Lazio
“Salve,

ho una causa civile in corso ex art.703 cpc e 669 ss cpc per la reintegra nel possesso ex art 1168cc generata dallo spoglio di una corte (giardino) che ho acquistato il 18/06/2019 e di cui ne sono stato parzialmente spogliato dai confinanti il 06/06/2020. Gli spoglianti si sono introdotti all'interno della corte delimitata da un muro di 40 cm e da un cancello alto 1,40mt rompendo il cancello con una smerigliatrice e ponendo 3 pali all'interno delle aiuole con una recinzione metallica.
Una parte della corte attualmente occupata (spogliata) è presente nella planimetria del mio atto di compravendita. Una piccola parte (6mq) invece non è presente nella planimetria perché il dante causa sconfinò 30 anni fa ma non ha mai adeguato la planimetria catastale. Nello stato di fatto (pavimentazione, costruzione aiuola ) anche quell' angolo è parte della corte.
Il giudice, in prima udienza nella fase interdittale ha ordinato una CTU in quanto il mio avvocato ha fatto riferimento all'atto di compravendita. La CTU ha l'obiettivo di "verificare i luoghi oggetto di tale contratto".
Il CTU giurerà ad inizio aprile e saranno formulati i quesiti.
Immagino che il CTU attesterà che una parte dell'area spogliata è oggetto del contratto di compravendita perché lo vedrà dalla planimetria catastale, ma un'altra parte invece non è presente nella planimetria ma nello stato dei luoghi è estremamente evidente che anche quell'angolo è parte della corte (un'aiuola che prosegue, la continuazione del pavimento, la recinzione continuativa).
I dubbi sono i seguenti

1. Nell'atto di compravendita sono riportate le clausole l'immobile viene acquistato "nello stato di fatto e di diritto", " con annessi e connessi" "accessioni e pertinenze" "usi e ragioni" potrebbe tale angolo pur non essendo rappresentato in planimetria rientrare in tali clausole rafforzative del contratto? il nostro avvocato ritiene che tali clausole siano nulle perché generiche e considerate clausole di "stile" quindi non impugnabili da parte nostra.

2. Il mio avvocato, nel fascicolo del processo ha allegato ricorso e l'atto di compravendita (ma senza la planiemtria) Successivamente la controparte si è costituita allegando tanti altri documenti. Al termine dell'udienza trattandosi di un possessorio il giudice ha comunque in un certo senso trasformato il processo in un petitorio avendo richiesto una perizia sui luoghi oggetto del contratto. Abbiamo altri documenti quindi che potrebbero essere esaminati dal CTU quali: Accertamento della proprietà immobiliare urbana depositato al comune (documenti catastali allegati al progetto del comune) , foto aeree che testimoniano l'immutato stato dei luoghi nel trentennio tra cui anche quell'angolo che è stato posseduto dal dante causa ed io sono entrato in possesso di quell'angolo dopo l'atto di compravendita (anche se non descritto in tale atto di cpv) , la planimetria catastale allegata all'atto di compravendita dei vicini spoglianti in cui si evidenzia che al catasto urbano quell'angolo è descritto graficamente in planimetria come via pubblica.

Possiamo in questa fase, ovvero prima dell'udienza di giuramento del CTU allegare tali documenti al fascicolo in modo che il CTU li possa esaminare? Oppure possiamo/dobbiamo farlo dopo? C'è un limite entro il quale i documenti vanno depositati prima dell'udienza e possono essere oggetto di opposizione da parte della controparte?

La fotografia aerea che attesta l'inalterato stato dei luoghi e la presenza dell'angolo come parte della corte da oltre trent'anni è una foto della SARA NISTRI che ci riferisce di rafforzare la foto con una perizia di parte aereografommetrica che è inoppugnabile. Potrebbe essere una prova rafforzativa?

3. La controparte ha nominato un CTP come abbiamo fatto noi. Sappiamo che sta facendo diversi accessi agli atti perché gli enti (es. comune) ci chiede parere come terzo interessato. In particolare stiamo ristrutturando l'immobile ed hanno avuto autorizzazione ad accedere al fascicolo del permesso per costruire. Vorremmo evitare che durante le operazioni peritali il CTP di parte di sua iniziativa possa prendere misure che non sono pertinenti all'oggetto della perizia, per altri scopi. Possiamo diffidare il CTP ad eseguire qualunque tipo di operazione se non seguire ciò che fa il CTU ? (es. intimando che se dovesse fare qualcosa su suolo privato durante la perizia chiamiamo le forze dell'ordine)


Grazie
un saluto”
Consulenza legale i 17/02/2021
Va premesso che, in effetti, suscita qualche perplessità il fatto che il giudice abbia disposto una consulenza tecnica d’ufficio, sia pure - come si legge nell’ordinanza - “non per finalità di tipo petitorio”; sembra però che il giudice intenda con ciò verificare lo stato dei luoghi. Ad ogni modo, per esprimere una valutazione più completa occorrerebbe attendere l’esatta formulazione dei quesiti.
Rispondiamo, invece, alle domande che sono state espressamente poste, a cominciare da quella riguardante la validità, l’efficacia e la rilevanza della clausola contenuta, nella fattispecie, all’art. 4 del contratto di compravendita, ove si legge: “la porzione immobiliare [...] viene venduta e, rispettivamente, acquistata a corpo; con tutti i diritti, pertinenze, accessori, accessioni, impianti, usi, azioni e ragioni; con quanto in esse esiste che sia o possa essere ritenuto immobile a norma di legge, nulla escluso o eccettuato; nello stato di fatto e di diritto in cui si trova”.

Ora, effettivamente tale previsione contrattuale sembra essere una mera clausola di stile, in quanto formulata in maniera generica, in modo da abbracciare il maggior numero possibile di “annessi e connessi”, ma senza alcun riferimento alla realtà concreta dell’immobile cui si riferisce.
In proposito, la Cassazione (Sez. II Civ., sent. 20/11/2018, n. 29902) ha precisato che “nell'attività di interpretazione del contratto, il giudice di merito, che deve presumere che la clausola sia stata oggetto della volontà negoziale e quindi interpretarla in relazione al contesto (art. 1363 c.c.), per consentire alla stessa di avere qualche effetto (art. 1367 c.c.), può negare l'efficacia della clausola, qualificandola di stile, solo se la vaghezza e la genericità siano tali da rendere impossibile l'attribuzione di qualsivoglia rilievo nell'ambito dell'indagine volta ad accertare la sussistenza ed il contenuto dei requisiti del contratto (art. 1325 c.c.), ovvero se la vaghezza e la genericità siano tali da far ritenere che la pattuizione in esame non sia mai concretamente entrata nella sfera della effettiva consapevolezza e volontà dei contraenti”.

Quanto alla possibilità di produrre documentazione nella fase attuale del giudizio possessorio, l’art. 669 sexies c.p.c. (applicabile in ragione del rinvio contenuto all’art. 703 c.p.c.) si limita a prevedere che “il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto”. Trattandosi di procedimento sommario, si tratta appunto di un procedimento “deformalizzato”, al contrario del giudizio ordinario di cognizione, caratterizzato invece da un rigido sistema di termini perentori che riguardano anche le produzioni documentali.

Naturalmente, il principio del contraddittorio e il dovere di correttezza impongono di non depositare documenti fuori udienza, se non si è stati appositamente autorizzati: si potrà chiedere al giudice, all’inizio della prossima udienza (fissata per il giuramento del C.T.U.), di poter produrre la documentazione in questione, motivandone la rilevanza ai fini della decisione. Appare invece più rischioso tentare di sottoporre direttamente la documentazione al C.T.U. in sede di indagini peritali, anche se la giurisprudenza ha recentemente, ribadito come rientri nel potere del consulente tecnico d'ufficio attingere aliunde notizie e dati non rilevabili dagli atti processuali quando ciò sia indispensabile per espletare convenientemente il compito affidatogli, sempre che non si tratti di fatti costituenti materia di onere di allegazione e di prova delle parti poiché, in tal caso, l'attività svolta dal consulente finirebbe per supplire impropriamente al carente espletamento, ad opera delle stesse, dell'onere probatorio, in violazione dell'art. 2697 c.c. Le indagini così svolte dal consulente tecnico, peraltro, possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice, a condizione, però, che ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio.

In entrambi i casi, comunque, è prevedibile una opposizione di controparte; la decisione sarà in ultima analisi rimessa al giudice.

Quanto alla perizia aerofotogrammetrica, essa potrebbe certo costituire un elemento a sostegno della tesi del ricorrente: tuttavia, anch’essa è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, secondo il principio sancito dall’art. 116 c.p.c., non avendo essa valore di prova legale.

Quanto all’ultima domanda, l’art. 201 c.p.c. attribuisce al consulente tecnico di parte il diritto di assistere alle operazioni del consulente del giudice; chiaramente, però, il consulente di parte non può travalicare i limiti dell’esercizio di tale diritto ed approfittarne per compiere attività non autorizzate. Certamente, dunque, qualora ponga in essere simili comportamenti, potrà essere diffidato dall'effettuare misurazioni e compiere indagini che esulano dall’oggetto della consulenza d’ufficio in riferimento alla quale è stato nominato.

S. M. chiede
martedì 12/12/2017 - Sicilia
“Il 26 settembre u.s. le proprietarie del fondo dominante che hanno visto accolto il loro ricorso (ex art. 1168 c.c.) per la perdita del diritto di passaggio sul mio fondo servente, hanno incaricato un loro dipendente ad aprire un varco attraverso la rete di recinzione del mio fondo (confinante con la SS113), per recarsi con un trattore nel loro fondo confinante col mio. (vedi allegati via e-mail)
Né in fase introduttiva né durante le udienze è stata prodotta dalle ricorrenti alcuna concessione o autorizzazione rilasciata dall’ANAS a favore dei loro dante causa per un ipotetico passo carraio (semplicemente perché non è mai esistita) . Inoltre nel punto in cui è stata divelta la rete insiste un ciglione in calcestruzzo alto circa 30 cm. (posizionato dall’ANAS) che corre lungo tutto il confine con la SS113 e che non permette un accesso con mezzi meccanici.
Durante il transito con questi trattori sono stati arrecati anche danni alle mie colture.
Chiedo se le proprietarie del fondo dominante hanno diritto a passaggio con mezzi meccanici (danneggiando quindi la recinzione) o solo pedonale attraverso il cancello avente circa mt.1 di larghezza, e se posso procedere nei loro confronti con una querela (art. 392 c.p.), o lo devo fare esclusivamente contro chi ha materialmente perpetrato l’abuso (il loro incaricato).

Grazie.”
Consulenza legale i 22/12/2017
Per rispondere al quesito è indispensabile prendere in esame alcuni passi essenziali dell’ordinanza emessa ex artt. 1168 c.c. e 703 c.p.c., passi che per comodità di lettura qui si riportano.

A pag. 3 della parte motiva si dice:
Non appare, pertanto, dubitabile che le ricorrenti abbiano esercitato il possesso corrispondente all’esercizio della servitù, avendo dimostrato che sia loro sia il loro dante causa da molto tempo avevano esercitato il passaggio sia a piedi sia con un trattore attraverso il cancello posto al confine tra la proprietà dei resistenti e la SS 113”

A pag. 4, nel P.Q.M. si dice:
“…accoglie la domanda e, per l’effetto, ordina ai resistenti …. di reintegrare immediatamente le ricorrenti nel possesso della servitù di passaggio oggetto di causa mediante la consegna delle chiavi del cancello posto al confine tra la loro proprietà e la SS 113…”.

Da quanto sopra riportato si deduce:
a) il riconoscimento di una servitù di passaggio sia a piedi che con un trattore (e quindi mezzi meccanici) da esercitare esclusivamente attraverso il cancello che separa la proprietà dei resistenti dalla strada statale;
b) l’ordine di reintegrare le ricorrenti nell’esercizio di quella servitù mediante consegna della chiavi che consentono l’apertura del cancello.

Quindi, a prescindere dal fatto che la servitù sia solo pedonale o anche di passo carraio, ciò che risulta indubitabile è che il passaggio debba esclusivamente esercitarsi attraverso il cancello e con l’apertura di esso, non essendo per implicito consentito che a quel sentiero si possa accedere in altro modo, e soprattutto che per esercitare il possesso vantato e riconosciuto in giudizio ci si possa sentire legittimati ad aprire un varco nella rete di recinzione del fondo servente.

Ma l’evento più grave e censurabile è il fatto che, ottenuto un provvedimento favorevole, le ricorrenti abbiano deciso di mettere in esecuzione autonomamente e ad libitum quel provvedimento.

Accade spesso nella pratica che, a seguito dell’ottenimento favorevole di un’ordinanza cautelare, nulla di fatto si risolva, restando il dictum del Giudice un semplice documento, che non trova spontanea attuazione.
In assenza di volontario ed autonomo adempimento, si rende dunque necessario che la parte che ha ottenuto il provvedimento debba richiedere l’attuazione coattiva del medesimo, fase di cui si occupa una specifica norma del codice di procedura civile, ossia l’art. 669 duodecies c.p.c., il quale dispone che “…l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti…”.

Ciò significa che se la parte a cui è rivolto l’ordine del giudice non vi adempie spontaneamente, l’altra parte in cui favore è stata emessa l’ordinanza dovrà, per il tramite del suo legale, rivolgersi all’ufficiale giudiziario territorialmente competente e chiedere che sia questi, nella qualità di ausiliario del Giudice, a portare ad esecuzione coattiva quanto disposto dall’autorità giudiziaria.

Qualora poi, in sede di accesso dell’ufficiale giudiziario, insorgano difficoltà, quale potrebbe essere quella di stabilire se l’apertura del cancello debba essere tale da consentire l’accesso solo a piedi o anche con mezzi meccanici, sarà lo stesso ufficiale giudiziario a trasmettere il proprio verbale al Giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, chiedendogli che dia con ordinanza i provvedimenti più opportuni, se necessario anche dopo aver sentito le parti.
E’ in questo momento che il Giudice potrebbe stabilire ed ordinare l’apertura di un varco più ampio, che possa richiedere l’eliminazione di una parte della recinzione, al fine di consentire l’accesso di un mezzo meccanico quale può essere un trattore.

Tutto ciò, si sottolinea, deve avvenire solo a seguito di un accesso dell’ufficiale giudiziario, unico soggetto legittimato a dare esecuzione al provvedimento del Giudice e sotto il controllo di quest’ultimo.

Il fatto di non aver seguito la procedura sopra descritta e di non essersi avvalsi di tale pubblico ufficiale, configura senza alcun dubbio una ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, qualificato come delitto contro l’amministrazione della giustizia e disciplinato dall’art. 392 c.p.

Si ritiene dunque pienamente giustificato agire sul piano penale con una querela, la quale, in virtù del principio secondo cui la responsabilità penale è personale (art. 27 comma 1 Cost.), andrà presentata contro l’autore materiale del fatto (ossia l’incaricato), essendo identificabile in costui il soggetto attivo del reato, ossia il soggetto che ha posto in essere il comportamento vietato dalla norma incriminatrice.

Nel corpo della querela sarà opportuno precisare che essa deve intendersi presentata anche contro chiunque a titolo di concorso, anche solo morale, abbia dato un contributo alla realizzazione del reato, ed a tal titolo si potrà giungere a far valere la responsabilità penale anche nei confronti di colui o di coloro che hanno disposto l’apertura del varco (i titolari della servitù), con danneggiamento della recinzione e di alcune colture.

Sotto il profilo civilistico potrà invocarsi l’applicazione della norma di cui all’art. 2049 c.c., la quale fa risalire la responsabilità del fatto illecito posto in essere dal commesso o dipendente al padrone o committente, e ciò a titolo di responsabilità extracontrattuale.

Per quanto concerne, infine, la sussistenza o meno di una autorizzazione per l’apertura di un passo carrabile su strade non comunali, trattasi di problema che non involge i rapporti di natura privatistica tra le parti, ma esclusivamente i rapporti tra l’ANAS (ente che si occupa della gestione del tratto di strada in questione) ed il soggetto che vuole esercitare il passaggio.
La sussistenza o meno di tale autorizzazione poteva essere presa in esame dal Giudice al fine di decidere in quale tipo di servitù ordinare la reintegra della parte ricorrente, ma di ciò non sembra che lo stesso abbia voluto tener conto, riconoscendo la preesistenza di un passaggio a piedi e con un trattore, e ciò seppure la parte resistente abbia portato tale circostanza alla sua attenzione.

Giuseppe C. chiede
venerdì 30/01/2015 - Abruzzo
“Seguito Quesito n. 11722/2014
DOMANDA
Una società ha lottizzato, nel 1990, un terreno ricavandone tre edifici autonomi, ciascuno con proprio regolamento di condominio ed amministratore.
Una di queste palazzine (i cui confini non sono contigui ai miei) autonomamente si è allacciata alla fogna da me acquistata e giacente all'interno del mio giardino recintato. Resistendo alla ns. “domanda di reintegrazione e di manutenzione del possesso (art. 703 cpc)”, per la quale aveva specifica procura, l'avvocato di parte oltre a contestare il ns. petitum, ha travalicato tale delega ottenuta dalla palazzina condominiale discussa chiedendo al Giudice “anche” l'azione petitoria.
Si chiede:
1. Può un legale che ha ottenuto procura per rappresentare e difendere il condominio nel giudizio ex art. 703 cpc modificare, in via riconvenzionale, la domanda per la quale non ha ottenuto specifica delega dal condominio (la procura recita: "Il sottoscritto ... incarica l'avv. ... a rappresentare e difendere il medesimo nel giudizio ex art. 703 promosso dinnazi al tribunale di ... contro ..., conferendo al medesimo procuratore e difensore ogni più ampio potere consentito dalla legge, ivi compreso quello di conciliare e transigere [...]")?
2. Può una palazzina, facente parte di un complesso di tre fabbricati costruiti dalla ditta venditrice, porre autonomamente in essere (senza alcun coinvolgimento delle altre due palazzine costituenti il lotto edificato) un'azione petitoria di confini disposti dalla ditta lottizzante mediante la costruzione del muro di recinzione nell'anno 1990 ?
3. Il legale della controparte ha ottenuto Procura limitatamente all'appello avverso la sentenza definitiva e non quella parziale. Devo dedurre che tale mancanza rende definitiva la Sentenza parziale?
4. La superficie del ns. lotto è stata nel 2013 sottoposta a “verifica straordinaria” da parte dell'Agenzia del Territorio che ne confermato la superficie (e, di conseguenza i confini). Tale certificazione può inficiare la domanda del condominio ?
Grazie”
Consulenza legale i 04/02/2015
1.
La procura alle liti consente al difensore di esercitare nel processo i poteri che gli spettano per legge. Inoltre, essa serve ad informare la controparte e l'ufficio dell'avvenuto incarico, anche ai fini delle comunicazioni e notificazioni che vanno effettuate al difensore.
Il conferimento della procura presuppone un autonomo e distinto contratto di mandato in virtù del quale il difensore assume l'incarico di rappresentare la parte in giudizio. Mentre la procura ad litem costituisce un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio con le forme previste dall’art. 83 del c.p.c., il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale (contratto di patrocinio) con cui il professionista viene incaricato di svolgere la sua opera professionale in favore della parte, secondo la schema proprio del mandato (Cass. civ. sentenze n. 13963/2006, n. 10454/2002).

Nel caso di specie, quindi, se la proposizione della domanda petitoria faceva parte dell'oggetto del mandato al difensore, non può dirsi che questi abbia "travalicato" i limiti della delega.
Il riferimento al giudizio "ex art. 703" contenuto nella procura può intendersi in modo generico come una espressione atta ad identificare il processo per il quale veniva conferito l'incarico, senza per questo limitare i poteri dell'avvocato, al quale, anzi, è stato conferito "ogni più ampio potere conferito dalla legge", tra cui quello di approntare la migliore difesa possibile.
Gli atti che il difensore non può compiere in assenza di un espresso potere sono solo quelli che importano disposizione del diritto in contesa (art. 84, secondo comma, c.p.c.), come la rinuncia alla domanda riconvenzionale, la dichiarazione di non voler proseguire la causa, la rinuncia alle spese del giudizio, etc.

2.
Per rispondere precisamente a tale domanda si dovrebbero conoscere tutti i distinti atti di proprietà degli acquirenti e la conformazione dei luoghi.
In ogni caso, va ricordato che l'azione petitoria di regolamento di confini (art. 950 del c.c.) compete ai proprietari di fondi confinanti; se il fondo o i fondi sono in comproprietà, ciascuno dei comproprietari è legittimato attivamente e passivamente, senza bisogno della partecipazione necessaria al processo degli altri comproprietari. Oltre al proprietario, è legittimato attivo anche chiunque agisca come titolare di un diritto reale (servitù, enfiteuta, usufruttuario, usuario).
Il presupposto dell'azione è che vi sia oggettiva incertezza dei confini, anche soggettiva (quindi anche se vi sia una delimitazione apparente, visibile). A ciascuna delle due parti in giudizio compete la prova della rispettiva estensione del fondo.
E' evidente che, esistendo un muro di recinzione dal 1990, è molto probabile che la questione possa essere risolta con un acquisto per usucapione, sempre che non siano intervenuti atti di interruzione del termine ventennale. L'eccezione di usucapione della zona di confine non snatura l'azione, perché pone in contestazione la esistenza, la validità e la efficacia del titolo di proprietà dell'attore, ma oppone una situazione sopravvenuta.

3.
Il giudice ha la possibilità di decidere solo su alcune domande, emettendo una sentenza parziale (art. 277, secondo comma, c.p.c.). La sentenza parziale, sebbene sia una sentenza non definitiva, è suscettibile di passare in giudicato laddove non venga impugnata.
L'art. 340 del c.c. sancisce che in relazione alle sentenze previste dagli artt. 278 e 279, secondo comma n. 4), c.p.c. (cioè le sentenze parziali anche di merito), la parte soccombente possa riservarsi di fare appello (entro determinati limiti temporali). Se la riserva non è stata fatta, né è stato proposto l'appello immediato, la sentenza parziale non definitiva passa in giudicato (cioè non è più suscettibile di essere impugnata con i mezzi di impugnativa ordinari).

4.
L'accertamento eseguito dall'Agenzia del Territorio non tiene in considerazione eventi rilevanti dal punto di vista civilistico (come una avvenuta usucapione). Quindi, la verifica straordinaria posta in essere dall'ente pubblico potrà al più essere utilizzata dalle parti come prova indiziaria di alcuni fatti che esse vogliono provare (il convenuto nel giudizio di regolamento dei confini potrà cercare di convincere il giudice della fondatezza della sua pretesa argomentando anche dall'esito della verifica dell'Agenzia). Non si tratta però di una prova che possa determinare in maniera certa l'esito del giudizio.

Giuseppe C. chiede
giovedì 13/11/2014 - Marche
“Una palazzina attigua la mia proprietà si è allacciata alla rete fognante interna la mia recinzione mentre ero fuori per motivi di lavoro. Diffidati ad interrompere l'opera ha risposto l'amministratore scrivendomi “dovendo procedere al rifacimento di una linea fognante non più funzionante mi è stato riferito dell'esistenza di tubi fognanti prima del suo confine. Abbiamo proceduto allo scavo ma non abbiamo trovato alcunché. Pertanto abbiamo cercato di contattarla per chiederle l'autorizzazione all'ingresso nella sua proprietà. Nel frattempo abbiamo proceduto a ricercare lo scarico individuandolo proprio sotto il suo cancello di ingresso ed abbiamo effettuato l'allaccio”.
In Giudice di 1° grado (previo parere del CTU) ha ritenuto illegittimo questo comportamento.
Appella il Giudizio la controparte “per non corretta applicazione dell'art. 703 c.p.c”. Infatti ritiene siano stati violati (dal Giudice) gli art. 669/sexties, 669/novies nonché l'art. 703 cpc all'epoca vigenti (2004) in quanto avendo il G.I. rigettato il ricorso per questioni di rito avrebbe dovuto provvedere sulle spese della fase cautelare lasciando alle parti la richiesta di fissazione dell'udienza di merito. Invece ha fissato direttamente l'udienza di prima trattazione“.
Nella comparsa di risposta devo controbattere questa tesi.
Nel merito lo scrivente non ha reperito precedenti giurisprudenziali ma solo dottrinari :
“il giudice può emettere svariati provvedimenti che vanno dall’ordine di restituzione del bene sottratto, alla distruzione di opere che impediscono il pieno godimento del possesso o ne comprimano l’esercizio, alla ricostruzione di opere danneggiate o distrutte, etc..
Il provvedimento interdittale, invero, è immediatamente esecutivo. Già prima dell’entrata in vigore della legge di riforma e dell’introduzione delle norme relative al procedimento cautelare la giurisprudenza era orientata a ritenere, in linea con l’interpretazione data in tema di provvedimenti cautelari, che l’esecuzione del provvedimento possessorio ex art. 703 c.p.c. avesse carattere di specialità: per essa non si chiedeva pertanto il rispetto delle formalità previste per l’esecuzione forzata in generale (art. 474 e ss. c.p.c.), così come delle norme relative all’esecuzione degli obblighi di fare.
Il nuovo art. 669 duodecies ha recepito tale interpretazione.
Ai sensi della suddetta norma il giudice che ha emesso il provvedimento è altresì competente a determinare le modalità di esecuzione e a risolvere eventuali “difficoltà o contestazioni” che sorgano nel corso dell’esecuzione, nel contraddittorio tra le parti.
Il legislatore del 2005 ha dovuto apportare tale modifica in quanto precedentemente l’art.703 c.p.c. si limitava a dichiarare applicabili gli art.669bis e ss., generando così nella dottrina 2 diversi orientamenti:
1. un primo orientamento intendeva l’applicazione delle norme sul procedimento cautelare uniforme come NON INTEGRALE, più precisamente intendeva come non applicabile a questi particolari procedimenti l’art.669octies (art. sulla strumentalità rigida), in quanto il procedimento possessorio non ha funzione cautelare; secondo tale orientamento il procedimento possessorio avrebbe quindi dovuto concludersi dopo la prima fase a cognizione sommaria ( il possesso non è un diritto soggettivo quindi non necessiterebbe di una tutela a cognizione piena ed esauriente) e solo il reclamo sarebbe stato possibile avverso l’ordinanza possessoria. Inoltre negli altri procedimenti sommari con funzione decisoria non vi è identità di situazioni giuridiche da tutelare nelle 2 diverse fasi, ma nella 1° fase si tutela il fumus del diritto, nella 2° fase si tutela il diritto vero e proprio; invece se il procedimento possessorio si articolasse in 2 fasi si avrebbe in ogni fase la tutela di una identica situazione giuridica: la situazione possessoria.
2. Un secondo orientamento invece riteneva che l’applicazione della disciplina dei procedimenti cautelari in generale dovesse essere integrale (incluso l’art.669octies) e così colui che avesse ottenuto l’ordinanza possessoria avrebbe dovuto introdurre il processo a cognizione piena ed esauriente.
Entrambi questi orientamenti hanno trovato applicazione in sede giurisprudenziale.
Il legislatore del 2005, con la nuova formulazione dell’art.703c.p.c, ha adottato entrambi gli orientamenti , lasciando alle parti la scelta tra l’uno o l’altro e quindi sul se proseguire o meno il procedimento con le forme del processo a cognizione piena
Grazie.”
Consulenza legale i 20/11/2014
Nel caso esposto abbiamo un giudizio possessorio ex art. 703 instaurato nel 2004 e rigettato in rito; successivamente, vi è stato l'inizio di un giudizio di merito a cognizione piena che ha visto l'attore vincente in primo grado; oggi pende l'appello.

L'art. 703 del c.p.c. è stato modificato a norma dell'art. 2, comma 3, lett. e) bis, n. 7.1) del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella l. 14 maggio 2005 n. 80. La disposizione è entrata in vigore il 1 marzo 2006 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data.
Ciò premesso, va quindi confermato che per risolvere il quesito proposto si deve guardare alla disciplina del giudizio possessorio e quella del procedimento cautelare precedente alla riforma del 2006.

E' utile quindi indicare la formulazione delle norme interessate dal quesito al momento dell'instaurazione del giudizio nel 2004:
Art. 703, comma secondo: "Il giudice provvede ai sensi degli artt. 669 bis ss.".
Art. 669 septies, comma secondo, "Provvedimento negativo": "Se l'ordinanza di incompetenza o di rigetto è pronunciata prima dell'inizio della causa di merito, con essa il giudice provvede definitivamente sulle spese del procedimento cautelare".
Art. 669 octies, primo comma, "Provvedimento di accoglimento": "L'ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell'inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a trenta giorni per l'inizio del giudizio di merito, salva l'applicazione dell'ultimo comma dell'art. 669 novies".
Art. 669 novies, primo comma, "Inefficacia del provvedimento cautelare": "Se il procedimento di merito non è iniziato nel termine perentorio di cui all'art. 669 octies, ovvero se successivamente al suo inizio si estingue, il provvedimento cautelare perde efficacia".

L'impianto normativo disciplinante il procedimento cautelare vigente nel 2004 prevedeva che, in caso di accoglimento della domanda cautelare, si instaurasse un vincolo di strumentalità fra la tutela ottenuta in via "provvisoria" e il giudizio di merito: questo doveva essere tempestivamente iniziato, pena la perdita di efficacia del provvedimento cautelare.
In caso di rigetto della domanda, invece, sia in rito che nel merito, salvo il diritto a proporre reclamo, il giudice doveva statuire sulla spese: nulla si diceva sull'introduzione della causa di merito.
Circa l'art. 703, si era aperto un dibattito sull'applicabilità in ogni caso (sia rigetto che accoglimento) dell'art. 669 octies, il quale prevedeva in realtà, come detto, la fissazione del termine perentorio per l'avvio del giudizio di merito solamente in caso di accoglimento della domanda.
Difatti, anche se il codice di rito richiamava tout court (nel secondo comma dell’articolo 703), il procedimento cautelare uniforme di cui agli articoli 669 bis e seguenti, tale disciplina non era interamente compatibile con la struttura bifase del procedimento possessorio: in particolare, non sembrava applicabile l’articolo 669 septies, che di fatto precludeva la fase di merito in caso di provvedimento negativo, né l’articolo 669 octies che imponeva, in caso di ordinanza di accoglimento del ricorso, l’avvio di un giudizio di merito autonomo.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 24.2.1998 n. 1984, resa a Sezioni Unite, ha risolto il contrasto giurisprudenziale relativo all’incidenza, sul procedimento possessorio, della legge 353/1990, affermando: "Sulla natura del possesso sono state espresse molte opinioni in dottrina e giurisprudenza, essendosi ritenuto che esso sia una mera situazione di fatto, un diritto soggettivo, un interesse occasionalmente protetto ovvero un’aspettativa [...] ma indipendentemente dall’adesione all’una o all’altra di queste opinioni, è certo che l’ordinamento giuridico concedendo al possessore le azioni di reintegrazione (articolo 1168 del Codice Civile) e di manutenzione (articolo 1170 del Codice Civile) gli ha riconosciuto il diritto alla conservazione integra del potere sulla cosa contro il suo spoglio o turbativa, prevedendo in tal modo una tutela che non può essere contenuta nei limiti ristretti del procedimento cautelare, ma deve essere attuata con un giudizio a cognizione piena da concludersi con un provvedimento suscettibile di passaggio in cosa giudicata, secondo la garanzia assicurata ai diritti soggettivi dall’articolo 24 della Costituzione [...]. La tesi secondo cui il possesso, essendo una situazione di fatto, non richiederebbe la tutela assicurata dal giudizio a cognizione ordinaria, non può, perciò, essere condivisa, giacché ad essere protetta non è la situazione possessoria, intesa come semplice fatto naturalistico, ma il diritto alla sua conservazione e integrità [...] il diritto da garantire in modo ampio esiste e si identifica con quello alla conservazione del possesso pacifico della cosa e alla cessazione dello spoglio e delle molestie".
Quindi, la Suprema Corte così conclude: "Le modifiche introdotte dalla l. 26 novembre 1990 n. 353, ed in particolare, la nuova formulazione dell'art. 703 c.p.c., non incidono sulla struttura del procedimento possessorio che resta caratterizzato da una duplice fase, la prima, di natura sommaria, limitata all'emanazione dei provvedimenti immediati, la seconda, a cognizione piena, avente ad oggetto il merito della pretesa possessoria, e da concludersi con sentenza soggetta alle impugnazioni ordinarie, non rilevando in contrario il testuale rinvio agli articoli 669 bis e seguenti contenuto nel comma 2 del cit. art. 703, che ha lo scopo di consentire l'estensione delle norme sui procedimenti cautelari a quelli possessori, esclusivamente nei limiti consentiti dalle caratteristiche e dalla struttura di questi ultimi. Pertanto, concesse o negate dal pretore, con ordinanza, le misure interdittali, il giudizio deve proseguire innanzi allo stesso giudice all'udienza da questi all'uopo fissata, per l'esame del merito della pretesa possessoria e dell'eventuale domanda accessoria di risarcimento del danno, restando estranea al delineato schema procedimentale la introduzione di una fase di merito mediante la notifica di una nuova citazione ai sensi dell'art. 669 octies dello stesso codice".

Tale sentenza ha messo a tacere tutte le diverse ed opposte tesi sorte in giurisprudenza ed è stata perlopiù seguita anche dai giudici di merito, salve alcune eccezioni che però non sono particolarmente rilevanti.

Nel caso di specie, quindi, si ritiene che il giudice che nel 2004 fissò l'udienza di merito a seguito del rigetto dell'istanza cautelare, abbia correttamente fatto applicazione dei principi contenuti nella richiamata sentenza a Sezioni Unite della Corte di cassazione e, quindi, che l'appello sia infondato.

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