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Articolo 700 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Condizioni per la concessione

Dispositivo dell'art. 700 Codice di procedura civile

Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo (1), chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto (2) in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile (3), può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei (4)ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (5).

Note

(1) Il procedimento d'urgenza consiste in un procedimento di applicazione residuale in ragione del fatto che può essere utilizzato solamente nel caso in cui manchino i presupposti per l'applicazione delle misure cautelari tipiche del sequestro della denuncia di nuova opera o di danno temuto o del procedimento di istruzione preventiva. Pertanto, caratteristica peculiare è la sussidiarietà.
Inoltre, il procedimento d'urgenza non può trovare applicazione in tutti i casi in cui la finalità cautelare possa essere raggiunta attraverso i rimedi provvisori previsti da specifiche disposizioni di legge (si cfr. l'ipotesi di cui all'art. 2409 del c.c.), o anche quando il diritto soggettivo sia tutelabile azionando provvedimenti sommari non cautelari come il decreto ingiuntivo e i provvedimenti possessori. La stessa considerazione vale quando il diritto soggettivo sia tutelabile in via ordinaria tramite un processo la cui rapidità di svolgimento è affine a quella del procedimento cautelare.
(2) La norma parla espressamente del diritto del ricorrente da far valere in sede di giudizio di merito. Con tale espressione la norma si riferisce al diritto soggettivo e pertanto non possono essere tutelati con il provvedimento d'urgenza gli interessi legittimi o gli interessi di mero fatto, la cui tutela è devoluta al giudice amministrativo.
Inoltre, in tale ambito, si precisa che con il provvedimento d'urgenza possono essere tutelati sia i diritti assoluti sia i diritti di obbligazione, quindi anche i diritti di credito secondo l'opinione dottrinale e giurisprudenziale prevalente.
(3) Presupposti per l'applicazione del procedimento d'urgenza sono il fumus boni iuris ed il periculum in mora. Il primo requisito viene inteso come probabile esistenza del diritto cautelare, mentre il secondo attiene al pericolo attuale che il diritto del ricorrente possa subire un pregiudizio che, tenuto conto delle circostanze di fatto, si presenta come imminente ed irreparabile. Infatti, l'irreparabilità deve essere intesa quale ragionevole e probabile pericolo che il diritto del ricorrente subisca un pregiudizio non altrimenti risarcibile.
(4) Il provvedimento d'urgenza di cui alla norma consiste in una misura dal contenuto atipico ed elastico, nel senso che è in grado di adattarsi alle fattispecie più disparate. Si pensi al caso dell'inibizione dell'attivazione dell'esecuzione forzata stante l'impraticabilità dell'opposizione all'esecuzione per mancanza del pignoramento; oppure la concessione del provvedimento d'urgenza che consenta il transito nel fondo vicino al fine di porre in essere manutenzioni conservative dell'edificio condominiale.
(5) Con la riforma apportata dalla legge 80/2005, le disposizioni relative alla prosecuzione nel merito del procedimento cautelare definito con ordinanza non trovano applicazione nei confronti anche dei provvedimenti d'urgenza di cui al presente articolo. La riforma ha altresì attenuato il c.d. vincolo di strumentalità necessaria tra la fase cautelare e quella di merito, poiché il passaggio al giudizio ordinario di cognizione è rimessa alla volontà delle parti. Per tale motivo, nell'ordinanza che accoglie la richiesta di concessione del provvedimento d'urgenza non viene indicato il termine entro cui proseguire il giudizio di merito ed il giudice investito della domanda cautelare dovrà pronunciarsi anche sulle spese.

Ratio Legis

L'articolo in commento rappresenta una norma di chiusura del procedimento cautelare e la sua ratio si riscontra nell'esigenza di evitare che la futura ed eventuale pronuncia del giudice di merito diventi inutile, assicurando una tutela immediata al diritto del ricorrente, che potrebbe essere irrimediabilmente e irreparabilmente pregiudicato dall'attesa dell'instaurazione del giudizio di merito.

Spiegazione dell'art. 700 Codice di procedura civile

La norma in esame ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di tutela cautelare urgente e atipica, rendendone possibile il suo utilizzo anche nel caso di fattispecie non espressamente e tassativamente previste e disciplinate dal codice di procedura.
Si parla di atipicità per la possibilità di chiedere ed ottenere un provvedimento non predeterminato dalla legge, il cui contenuto è rimesso alla discrezionale valutazione del giudice, sebbene solo con riferimento all'interpretazione della domanda e alla specificazione attuativa della tutela cautelare; in ogni caso, anche in sede di concessione di misure atipiche, il giudice deve sempre attenersi al fondamentale principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui è espressione l’art. 112 del c.p.c., in quanto, qualora disponesse una misura non voluta dalle parti, non farebbe altro che pronunciare ultra petita.

Condizioni della domanda cautelare nonché requisiti fondamentali perché possa essere concesso un provvedimento d'urgenza sono il fumus boni iuris e il periculum in mora, requisiti tra i quali esiste un rapporto di interdipendenza.
Il primo si fa consistere nell'apparenza del diritto a salvaguardia del quale si intende richiedere la tutela (la sua sussistenza deve apparire come verosimile e probabile alla luce degli elementi di prova esistenti prima facie).
Il secondo, invece, consiste nel pregiudizio che potrebbe subire il predetto diritto nelle more del giudizio ordinario e che, nel caso dei provvedimenti d'urgenza, viene identificato nel fondato timore che il diritto sia esposto ad un pericolo imminente ed irreparabile.

Funzione essenziale e caratterizzante della tutela d'urgenza è infatti quella di anticipare in tutto o in parte la futura sentenza di merito o alcuni degli effetti che possono prodursi sul rapporto intercorrente tra le parti o, anche, tra le parti e i terzi, garantendone anticipatamente e provvisoriamente l'efficacia e l'effettività.

Occorre tuttavia precisare che, a seguito delle modifiche introdotte con la Legge n. 80/2005, è stata messa in discussione la concezione della strumentalità e della provvisorietà quali caratteri tipici e imprescindibili della tutela cautelare, e ciò perché il sesto comma dell'art. 669 octies del c.p.c. ha espressamente escluso per tutta una serie di provvedimenti, fra cui anche quelli disciplinati dalla norma in esame, la necessità della successiva instaurazione del giudizio di merito, la quale adesso è divenuta solo eventuale e non più obbligatoria, essendo rimessa alla discrezionale scelta delle parti.

L’ambito di applicazione di questa norma non può intendersi illimitato, in quanto trattasi di norma di chiusura, il cui carattere residuale si desume dalla parte di essa in cui è detto che solo “fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo” si potrà fare ricorso a provvedimenti d'urgenza, i quali hanno dunque carattere sussidiario rispetto ad altre misure tipiche cautelari o non cautelari (anticipatorie, conservative, provvisorie).

La funzione integratrice dell'art. 700 si sostanzia nella possibilità di fare ricorso a provvedimenti d'urgenza atipici sia quando non esistano forme alternative tipiche, sia quando queste non sembrino efficaci, riuscendosi così a colmare eventuali lacune che possano lasciare insoddisfatta l'esigenza di tutela.

Per quanto concerne, invece, l'espressione “in via ordinaria”, si ritiene che con essa si voglia subordinare la possibilità di fare ricorso alla tutela d'urgenza al fatto che la sede in cui far successivamente valere il diritto cautelato sia quella dell'ordinario giudizio di cognizione.

L'ammissibilità del ricorso all'art. 700 è, invece, da escludersi con riferimento a quei diritti che possano essere fatti valere tramite un procedimento speciale che sia:
a) sommario o comunque destinato a concludersi con un provvedimento sommario esecutivo;
b) a cognizione piena, ma con una fase sommaria urgente, che consenta l'emanazione di eventuali provvedimenti provvisori atti ad anticipare gli effetti delle decisione di merito.

Non è consentito, inoltre, fare ricorso all’art. 700 per tutelare:
1) i meri interessi semplici o di fatto e le obbligazioni naturali, in quanto non suscettibili di tutela giurisdizionale;
2) diritti non ancora esistenti, in quanto la natura e le finalità cautelari dei provvedimenti d'urgenza consentono la loro applicazione esclusivamente allorché la situazione da cautelare si sia già costituita;
3) diritti non ancora acquisiti, in quanto la tutela accordata dall'art. 700 non può consentirne una acquisizione anticipata.

Perché possa essere concesso un provvedimento d'urgenza occorre che l'iter attraverso cui può prodursi l'evento dannoso, temuto da chi propone la domanda volta ad ottenere la tutela d'urgenza, sia, se non iniziato, quantomeno preparato in modo diretto e univoco.

Altro requisito previsto espressamente dalla norma in esame è quello della irreparabilità del pregiudizio.
Secondo una prima tesi, solo i diritti assoluti potrebbero subire un pregiudizio irreparabile durante e per la pendenza del processo, in quanto solo relativamente ad essi il soggetto attivo possiederebbe un potere immediato sul bene.
Secondo un altro orientamento meno restrittivo, il requisito dell'irreparabilità ricorrerebbe quando, nelle more del giudizio di merito, l'attore non abbia a disposizione alcun rimedio capace abbastanza efficace contro il danno minacciato.
Secondo un'ultima tesi, che poi si ritiene preferibile, l'irreparabilità sussisterebbe non solo qualora il danno non sia suscettibile di reintegrazione in forma specifica o qualora il risarcimento non sia suscettibile di valutazione patrimoniale, ma anche tutte le volte in cui la reintegrazione per equivalente, il risarcimento e tutti gli altri rimedi eccezionali non siano sufficienti ad attuare pienamente ed integralmente il diritto dedotto in giudizio.

In linea generale, può dirsi che sono tutelabili attraverso il ricorso alla tutela urgente di cui all'art. 700, le seguenti situazioni giuridiche:
  1. diritti a contenuto e a funzione non patrimoniale: tali diritti, non essendo suscettibili di un'adeguata tutela nella forma dell'equivalente monetario, nelle more del giudizio di merito possono subire un pregiudizio irreparabile;
  2. diritti di proprietà, altri diritti reali o personali di godimento il cui titolare abbia urgenza di vincere l'altrui resistenza possessoria senza, però, che sussistano i presupposti per l'attuazione della tutela possessoria;
  3. diritti di credito, anche se in realtà non sono mai tutelati di per se stessi ma relativamente ad altri tipi di diritti a cui risultano strumentalmente collegati.

In assenza di specifica previsione normativa, il contenuto dei provvedimenti d'urgenza deve essere individuato unicamente in base alla sua idoneità a neutralizzare il pregiudizio imminente ed irreparabile che minaccia il diritto a tutela del quale la cautela è richiesta.
Generalmente si ammette che i provvedimenti d'urgenza possano avere un contenuto qualitativamente diverso da quello della futura e solo eventuale decisione di merito, purchè si rimanga entro i limiti della domanda di parte.

La domanda, se ante causam, deve essere proposta dalla parte interessata in forma di ricorso al giudice competente per il merito (art. 669 ter del c.p.c.), oppure al giudice avanti al quale pende la domanda, in caso di giudizio già iniziato ([[669 quatercpc]]).
E’ onere della parte di chiedere al giudice, a mezzo della domanda e delle conclusioni in essa enunciate, l'ammissione della misura cautelare prescelta (c.d. petitum immediato); la stessa parte, inoltre, deve prospettare con opportune allegazioni e deduzioni l'esistenza dei due requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Il procedimento, disciplinato dall'art. 669 sexies del c.p.c., è a cognizione sommaria e prevede, salvo casi di eccezionale urgenza e gravità, la previa instaurazione del contraddittorio,.
In esso operano tutti i principi relativi all'integrazione del contraddittorio e alla chiamata in causa di terzi, naturalmente con forme e tempi compatibili con l'urgenza, in quanto devono poter prendere parte al procedimento tutti quei soggetti che, per la particolare configurazione della misura atipica, possano diventarne destinatari passivi.
Qualora lo reputi indispensabile, il giudice può procedere ad atti di istruzione, ammettendo anche prove atipiche acquisite con efficacia indiziaria e senza il rispetto delle forme di assunzione previste per l'ordinario processo di cognizione.

Non essendovi più la necessità dell'instaurazione di un successivo giudizio di merito, il giudice, di norma, dopo aver concesso la misura d'urgenza, ometterà di fissare il termine previsto dall’art. 669 ter del c.p.c. per l’inizio della causa di merito, potendo la parte che ha ottenuto la cautela legittimamente evitare di agire nel merito.
Qualora successivamente la parte soccombente avanzi richiesta di dichiarazione di inefficacia ex art. 669 novies del c.p.c., il giudice potrà esaminare la questione e controllare la decisione e, in caso di opposta valutazione, non potrà dichiarare l'inefficacia, ma solo rimettere in termini la parte per promuovere il giudizio di merito.

Se il procedimento si conclude con l'accoglimento della domanda cautelare si applicherà l'art. 669 octies del c.p.c., mentre se si conclude con il rigetto della stessa si applicherà l' art. 669 septies del c.p.c..

Per quanto attiene alle spese della fase cautelare, trova applicazione il comma 7 dell’art. 669 octies del c.p.c., introdotto dalla Legge n. 69/2009, il quale dispone che “il giudice, quando emette uno dei provvedimenti di cui al 6° co. prima dell'inizio della causa di merito, provvede sulle spese del procedimento cautelare”.
Poiché non presentano alcuna attitudine ad incidere in modo definitivo sul rapporto o sul diritto controverso, i provvedimenti d'urgenza non hanno neppure alcuna attitudine ad acquisire l'autorità di cosa giudicata.
Pertanto, essendo privi dei caratteri di definitività e decisorietà, tipici delle sentenze, non sono soggetti ad alcuna impugnazione tipica prevista per le sentenze e, quindi, neppure al ricorso straordinario per Cassazione.
È ovviamente la riproposizione di una domanda cautelare ex art. 700, posto che il precedente provvedimento di rigetto della domanda cautelare non costituisce giudicato e non impedisce la riproposizione di una richiesta su fatti parzialmente diversi da quelli posti alla base della precedente domanda.

In favore del soggetto passivo della cautela sono previsti i rimedi della modifica, revoca e reclamo dei provvedimenti concessi dal giudice.
Per quanto concerne la modifica e la revoca, che possono essere chieste “salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell'art. 669 terdecies del c.p.c.” (così art. 669 decies del c.p.c.), ciò che rileva è che sia intervenuto un mutamento delle circostanze, da intendersi sia nel senso della sopravvenienza di fatti e circostanze nuove o del subentro di nuove norme di diritto, sia nel senso di nuove risultanze istruttorie di fatti già allegati sia, infine, nel senso di allegazione di fatti verificatisi anche anteriormente alla concessione del provvedimento d'urgenza ma di cui si è acquistata conoscenza solo dopo la sua concessione.

In ordine alla competenza, va osservato che il codice distingue a seconda che sia o meno stato promosso il giudizio di merito, ovvero che lo stesso sia stato dichiarato estinto.
Nel primo caso l'istanza di modifica o revoca deve essere proposta nel corso dell'istruzione e competente è esclusivamente il giudice dell'istruzione stessa (art. 669 decies del c.p.c., comma 1), mentre nel caso di mancato promuovimento o di estinzione competente è il giudice che ha provveduto sull'istanza cautelare ([[669 deciescpc]] comma 2).

Ai sensi dell'art. 669 terdecies del c.p.c. è proponibile nel termine perentorio di 15 giorni dalla comunicazione o notificazione, reclamo avverso l'ordinanza con la quale, prima o nel corso del giudizio di merito, sia stato concesso o negato un provvedimento cautelare, anche per motivi di rito o per difetto di competenza.
Il quarto comma prevede che le circostanze di fatto e i motivi sopravvenuti devono essere fatti valere, previa instaurazione del contraddittorio, nel procedimento medesimo.
La competenza spetta al tribunale in composizione collegiale, se la misura d'urgenza è stata concessa dal giudice singolo, oppure a diversa sezione della corte d'appello o a quella più vicina, per i provvedimenti emessi dalla Corte stessa.
Il procedimento si svolge secondo le norme del rito camerale e si conclude con ordinanza di conferma, modifica o revoca del provvedimento d'urgenza non impugnabile, nemmeno ex art. 111 Cost. comma 7, ma solo modificabile o revocabile ex art. 669 decies del c.p.c..
In ogni caso, il reclamo non sospende l'esecuzione o l'attuazione della misura, che può essere concessa solo in caso di grave danno e può essere subordinata alla prestazione di una congrua cauzione.

L'attuazione delle misure concesse avviene a norma dell'art. 669 duodecies del c.p.c. che, in linea generale, si applica anche ai provvedimenti d'urgenza e che stabilisce alcuni principi differenziali.
Con riguardo alle misure aventi ad oggetto somme di denaro, l'attuazione viene assicurata a mezzo del pignoramento e dei connessi istituti esecutivi ex artt. 491 e ss. c.p.c. in quanto compatibili.
Con riguardo, invece, alle misure aventi ad oggetto obblighi di consegna, di rilascio, di fare o di non fare, l'attuazione avviene secondo le modalità stabilite dal giudice che le ha emanate e sotto il suo controllo, in quanto questi, qualora sorgano contestazioni o difficoltà esecutive, può sempre, previa audizione delle parti, impartire con ordinanza i provvedimenti più opportuni a superarle.

Il giudice può, infine, anche d'ufficio, subordinare l'attuazione coattiva della misura d'urgenza alla prestazione di una cauzione da parte del ricorrente nonché ordinare la diffusione del provvedimento mediante pubblicazione su mezzi ritenuti idonei.

Massime relative all'art. 700 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 16894/2016

Il provvedimento reso in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c., avendo natura strumentale, provvisoria e non definitiva, in quanto destinato ad essere sostituito dalla decisione di merito, ovvero a decadere per effetto di essa o della mancata instaurazione del relativo giudizio, non è autonomamente impugnabile, neppure con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.; al contrario, qualora il giudice adito, "ante causam" o in corso di causa, con richiesta di provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., unifichi la fase cautelare e il giudizio di merito emanando, in luogo del provvedimento d'urgenza, un vero e proprio provvedimento definitivo di merito, questo, stante il suo carattere decisorio, ha natura sostanziale di sentenza ed è, pertanto, impugnabile mediante l'ordinario atto di appello.

Cass. civ. n. 10840/2016

Il rimedio cautelare, alla luce della nuova struttura del procedimento ex art. 700 c.p.c., e degli altri provvedimenti cautelari anticipatori, delineata nell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., aggiunto dal d.l. n. 35 del 2005, conv. con modif. nella l. n. 80 del 2005, che ha introdotto una previsione di attenuata strumentalità rispetto al giudizio di merito, la cui instaurazione è facoltativa, ha assunto, ad ogni effetto, le caratteristiche di un'autonoma azione in quanto potenzialmente atto a soddisfare l'interesse della parte anche in via definitiva pur senza attitudine al giudicato, sicché la proposizione del ricorso è idonea ad impedire il maturare di termini di decadenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello, che aveva pertanto ritenuto evitata la decadenza di cui all'art. 2553 c.c. per l'impugnazione di delibera di esclusione di un socio da una cooperativa).

Cass. civ. n. 1828/2015

Il carattere solo eventualmente bifasico del procedimento d'urgenza di cui all'art. 700 cod. proc. civ., non esclude che l'elezione di domicilio effettuata per la fase cautelare e che contenga l'indicazione della sua validità oltre il detto ambito, possa valere anche per fasi processuali ulteriori rispetto a quella in cui è compiuta, atteso che l'art. 141 cod. proc. civ. individua nella volontà della parte la fonte della legittimità di una elezione di domicilio.

Cass. civ. n. 11778/2014

L'instaurazione di un procedimento ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ., ai fini della reintegrazione nel posto di lavoro - in applicazione dell'art. 18 legge 20 maggio 1970, n. 300, nel regime "ratione temporis" applicabile prima dell'entrata in vigore della legge 28 giugno 2012, n. 92 -, non determina il definitivo radicamento della competenza dell'ufficio giudiziario adito anche ai fini del successivo giudizio di merito, in quanto la regola di cui all'art. 39, terzo comma, cod. proc. civ., riferisce la prevenzione all'introduzione del giudizio di merito (nella specie avvenuta anche dinanzi ad altro giudice territorialmente competente, ai sensi dell'art. 413 cod. proc. civ., oltre che presso l'ufficio giudiziario che aveva concesso la misura cautelare, confermata in sede di reclamo) e non alla proposizione della domanda cautelare.

Cass. civ. n. 25246/2010

I provvedimenti d'urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c. hanno di norma il carattere dell'atipicità, dovendo essere adottati, secondo le circostanze, allo scopo di assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito, ma non devono per ciò solo anticipare il prevedibile contenuto della medesima; ne consegue che il provvedimento d'urgenza con cui si ordina la reintegrazione nel posto di lavoro di un lavoratore il cui licenziamento appaia illegittimo non ha necessariamente contenuto ed efficacia analoghi a quelli di un ordine di reintegrazione emesso, ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970, con la sentenza di merito, non ricomprendendo il provvedimento cautelare l'accertamento dell'obbligo datoriale del pagamento della retribuzione maturata nel periodo dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione, ed essendo conseguentemente inidoneo a fondare la domanda di tali retribuzioni richieste dal lavoratore in sede monitoria.

Cass. civ. n. 24391/2008

Ai sensi degli artt. 1130, primo comma, n. 4), e 1131 cod. civ., l'amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio, nei confronti dei singoli condomini e dei terzi, per compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni di un edificio, ivi compresa la richiesta delle necessarie misure cautelari (nella specie, la S.C. ha respinto il ricorso contro la sentenza di merito che aveva ritenuto valida la procura alle liti conferita dall'amministratore di condominio ad un avvocato, senza previa autorizzazione dell'assemblea, affinché proponesse un ricorso ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ. per impedire ai condomini l'uso della rampa garage e dell'autorimessa, dopo che i vigili del fuoco ne avevano accertato l'inidoneità all'uso per motivi di sicurezza).

Cass. civ. n. 17415/2004

Nel caso dell'ordine di cancellazione dal Bollettino di un protesto del quale si prospetti l'illegittima levata e del connesso ordine di pubblicazione della rettifica, il provvedimento d'urgenza si atteggia con un contenuto e una direzione tali che il destinatario del mezzo di tutela cautelare è un soggetto diverso da quello che dovrà essere convenuto nel giudizio di merito quale soggetto nei cui confronti è richiesta la tutela giurisdizionale finale e definitiva di accertamento dell'illecito e risarcitoria. (Enunciando il principio di cui in massima, in un caso nel quale la richiesta cancellazione era dipesa dall'illegittimità del protesto per fatto colposo del pubblico ufficiale responsabile della levata, la S.C., muovendo dal rilievo che le ragioni della partecipazione della Camera di commercio al procedimento erano destinate ad esaurirsi con l'emissione del provvedimento cautelare, senza alcuna altra necessità che la stessa fosse chiamata nel giudizio di merito, ha confermato l'impugnata sentenza, la quale da tale estraneità della Camera di commercio aveva tratto la non applicabilità, nei suoi confronti, della pronuncia di condanna alle spese).

Cass. civ. n. 12557/2003

Proposto ricorso ex art. 700 c.p.c. per la impugnativa di un licenziamento, qualora il giudice, anziché definire il procedimento cautelare, dia corso al giudizio di merito in assenza della proposizione della relativa domanda, non si verifica un mero mutamento del rito, né una nullità suscettibile di sanatoria, ma una radicale irritualità del processo, di cui la domanda costituisce presupposto essenziale. (Nella specie, mentre il giudice di primo grado aveva ritenuto che risultasse adeguata volontà della parte di chiedere, oltre alla tutela cautelare e di urgenza, anche la tutela di merito, il giudice di appello aveva negato tale ipotesi, escludendo ogni violazione dell'art. 112 c.p.c. in quanto il petitum e la causa petendi erano rimasti immutati e il mutamento del rito operato dal giudice era stato sostanzialmente accettato dalle parti. La S.C., preso atto dell'accertata mancanza di una domanda di merito, ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata).

Cass. civ. n. 12193/2001

I provvedimenti ex art. 700 c.p.c. hanno natura strumentale e provvisoria, e sono privi dei requisiti propri della sentenza, o, comunque, di un provvedimento decisorio atto a produrre effetti di diritto sostanziale o processuale con autorità di giudicato. Ne consegue che il relativo procedimento non provoca preclusioni o decadenze, e nel successivo giudizio di merito possono essere fatte valere tutte le eccezioni e decadenze anche non opposte nel giudizio cautelare o sulle quali il giudice adito non abbia assunto alcuna decisione. (Nella specie, alla stregua del principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la decisione del tribunale che aveva rigettato l'appello avverso la decisione pretorile con la quale era stata dichiarata inammissibile, per inosservanza del termine ex art. 6 della legge n. 604 del 1966, la domanda diretta alla impugnativa di licenziamento senza preavviso in virtù dell'art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, non attribuendosi alcun rilievo preclusivo alla circostanza che tale decadenza non fosse stata eccepita nella fase cautelare, in cui era stato richiesto un provvedimento ex art. 700 c.p.c.).

Cass. civ. n. 2051/2000

A seguito di notifica di precetto, è ammissibile il ricorso al procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per ottenere, prima della instaurazione del giudizio di opposizione a precetto, un provvedimento che inibisca l'attivazione della esecuzione forzata, dato il carattere residuale di tale procedimento e la impraticabilità, in mancanza di pignoramento, dell'opposizione all'esecuzione, che rende possibile la sospensione ai sensi dell'art. 624 c.p.c.

Cass. civ. n. 8044/1999

Il ricorso introduttivo di un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. presentato in data successiva al primo gennaio 1993 soggiace alla disciplina di cui all'art. 669 «septies e terdecies» c.p.c., con la conseguenza che il provvedimento negativo eventualmente pronunciato dal giudice adito è soggetto, rispettivamente, al rimedio del reclamo (per effetto della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 253 del 1994), ovvero a quello dell'appello (nella ipotesi in cui il Pretore abbia deciso nel merito, con provvedimento della sostanziale natura di sentenza), e non anche a quello del ricorso per cassazione (da dichiararsi, nella specie, inammissibile).

Cass. civ. n. 5925/1999

Al fine di valutare l'ammissibilità dell'azione proposta ex art. 700 c.p.c. occorre verificare se, in astratto (e, quindi, indipendentemente dalle ragioni che in concreto ostino all'esercizio dell'azione o la rendano infondata nel merito), l'ordinamento appresti una forma di tutela tipica tale da consentire il conseguimento, in via d'urgenza, della tutela innominata prevista dagli artt. 700 e ss. c.p.c.

Cass. civ. n. 8373/1997

Il provvedimento di urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c. – benché finalizzato a tutelare diritti concernenti un bene infungibile (quale non è il denaro) – è ammissibile a tutela dei crediti (pecuniari) di lavoro (nella misura in cui i relativi proventi siano necessari ad assicurare il bene della «esistenza libera e dignitosa» presidiato dall'art. 36 Cost.), potendo derivare dal loro ritardato soddisfacimento un pregiudizio non riparabile altrimenti. Né tale forma di tutela può ritenersi esclusa per effetto dell'introduzione (con la legge n. 533 del 1973) dell'ordinanza di pagamento di una somma a titolo provvisorio ex art. 423, secondo comma, c.p.c. giacché questa (definibile come provvedimento decisorio solo lato sensu cautelare) ha presupposti diversi, potendo, in particolare, prescindere dal suddetto periculum in mora.

Cass. civ. n. 551/1997

I provvedimenti d'urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c. hanno di norma il carattere dell'atipicità, nel senso che vanno adottati, secondo le circostanze, allo scopo di assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito ma non devono necessariamente anticipare il prevedibile contenuto della medesima. Ne consegue che il provvedimento di urgenza con cui si ordina la reintegrazione nel posto di lavoro di un lavoratore il cui licenziamento appaia illegittimo non ha necessariamente contenuto ed efficacia analoghi a quelli di un ordine di reintegrazione emesso ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 con la sentenza di merito e può invece escludere, discostandosi dalle previsione di tale articolo, la concessione a favore del lavoratore di un termine (cosiddetto spatium deliberandi per l'adesione ad un invito del datore di lavoro a riprendere servizio. (Nella specie, ordinatasi con provvedimento di urgenza la reintegrazione del lavoratore con decorrenza da una data specificata, poiché il lavoratore non si era ripresentato il servizio, il datore di lavoro dopo alcuni giorni lo aveva licenziato per assenza ingiustificata; il giudice di merito, con sentenza confermata dalla S.C., ha rigettato l'impugnativa di tale licenziamento, ritenendo che il provvedimento in questione aveva fissato la data dell'effettiva ripresa del lavoro).

Cass. civ. n. 10756/1996

Il provvedimento emesso ante causam in sede di procedura d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c., sia che accolga sia che respinga l'istanza, è del tutto inidoneo ad assumere valenza di giudicato tra le parti, anche nel caso in cui il giudice adito, prima di emettere il provvedimento, abbia svolto approfondite indagini al fine di accertare la esistenza del diritto e lo abbia dichiarato sussistente ovvero insussistente, poiché in tal caso la declaratoria è pur sempre espressa in sede di cognizione sommaria e nell'ambito di quell'indagine sul fumus boni iuris che è propedeutica alla concessione della misura cautelare invocata. A una diversa conclusione può pervenirsi solo nel caso eccezionale in cui il giudice adito in sede di tutela urgente manifesti nel corso del procedimento il proposito di passare dalla cognizione sommaria alla cognizione piena della controversia e pervenga a definire la lite in ogni suo aspetto (ivi compreso quello della ripartizione delle spese tra le parti), negando quindi univocamente il carattere di precarietà delle statuizioni adottate e astenendosi dal fissare il termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito (ai sensi dell'art. 702, secondo comma, abrogato e del vigente art. 669 octies).

Cass. civ. n. 7921/1996

Il provvedimento cautelare richiesto al giudice istruttore della causa pendente nel merito concreta un subprocedimento incidentale inserito nel procedimento principale e pertanto la regolamentazione delle spese processuali del primo, essendo questo privo di autonomia, non può che essere disposta, come per tutte le altre spese processuali che si sostengono nel corso del procedimento principale, con il provvedimento che chiude quest'ultimo. Di conseguenza, il provvedimento sulle spese adottato in siffatta ipotesi dal giudice istruttore della causa di merito deve essere considerato abnorme, in quanto emesso in difetto del relativo potere giurisdizionale, ed il relativo vizio può essere fatto valere anche nel corso del giudizio nel quale il provvedimento stesso è stato emesso, sulla base del principio del potere revisionale spettante al collegio sulle ordinanze del giudice istruttore.

Cass. civ. n. 80/1996

Poiché l'esecuzione del provvedimento d'urgenza (o del provvedimento possessorio), anche nella normativa in vigore prima della riforma di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353, spetta allo stesso giudice che lo ha emesso, l'attuazione e la regolarità formale di detta esecuzione può essere contestata solo nell'ambito di quel giudizio e non con opposizione agli atti esecutivi. Ne consegue che allorché chi abbia ottenuto la tutela d'urgenza invochi erroneamente, per l'esecuzione del provvedimento, l'art. 612 c.p.c, spetta al giudice l'esatta qualificazione giuridica dell'azione e le eccezioni proposte dalla controparte, tenuta all'osservanza del provvedimento, non assumono natura di opposizione agli atti esecutivi, ma mantengono la loro natura di eccezioni che si inseriscono nel giudizio di merito. Tuttavia, ove l'intimato abbia proposto opposizione agli atti esecutivi ed il giudice abbia qualificato come tale l'opposizione, la qualificazione attribuita, sia pure erroneamente, rimane determinante ai fini della individuazione del mezzo di impugnazione esperibile, sicché la relativa decisione deve ritenersi impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 617 c.p.c.

Cass. civ. n. 10353/1995

Il pretore, adito ai sensi dell'art. 700 c.p.c. nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dalla legge 26 novembre 1990, n. 353, non deve provvedere sulle spese del procedimento, in caso di accoglimento dell'istanza di misure d'urgenza, alla luce della provvisorietà della relativa pronuncia, la quale ha efficacia subordinata all'instaurazione del giudizio di merito, ed inoltre è destinata ad essere superata od assorbita dall'esito dello stesso, mentre deve statuire su tali spese, in applicazione analogica degli artt. 91 e ss. c.p.c., quando respinga detta istanza, così spogliandosi del processo. Questa pronuncia sulle spese, al pari della omissione della pronuncia medesima, si sottrae ad appello, inserendosi in un atto non riconducibile nelle previsioni dell'art. 339 c.p.c., ma è sindacabile in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, avendo natura decisoria su posizioni di diritto soggettivo.

Cass. civ. n. 5803/1995

La tutela giurisdizionale delle ragioni di colui che chieda l'ammissione alla sessione speciale dell'esame di Stato per titoli, per l'iscrizione all'albo degli psicologi (nell'ipotesi, a seguito di rigetto della domanda d'ammissione da parte della commissione esaminatrice) spetta, anche in via d'urgenza, al giudice ordinario – il quale può provvedere al riguardo con pienezza di poteri e, quindi, anche con pronunzie di condanna ad ammettere al concorso – essendo l'indicata tutela attinente a posizioni di diritto soggettivo dell'interessato, non essendo configurabile alcuna discrezionalità dell'amministrazione in ordine all'accertamento dei requisiti e delle condizioni di ammissione al descritto concorso.

Cass. civ. n. 2903/1995

Nel caso in cui il ricorrente, nella richiesta del provvedimento ex art. 700 c.p.c., non abbia nominato un terzo che sia il destinatario effettivo del provvedimento, in quanto si trovi in condizione tale che dalla concessione della tutela provvisoria possa subire pregiudizio, al terzo medesimo va riconosciuta la possibilità della tutela immediata della sua posizione giuridica attraverso l'intervento, non necessariamente nella seguente causa di merito, ma nello stesso procedimento d'urgenza.

Cass. civ. n. 1089/1995

I provvedimenti di urgenza, essendo volti ad impedire che la futura pronuncia del giudice possa risultare pregiudicata dal tempo necessario ad ottenerla, esauriscono la loro funzione con la decisione emessa nel successivo giudizio di merito, sicché la loro efficacia cessa se l'esistenza del diritto viene esclusa, ancor prima che suddetta esclusione si formi in giudicato, mentre se viene accertata l'esistenza del diritto i provvedimenti di urgenza vengono sostituiti dalla pronuncia di merito. Ne consegue che il contratto (sic) su di essi deve svolgersi nello stesso giudizio di merito, essendo esclusa la loro autonoma impugnabilità.

Cass. civ. n. 7262/1994

Il potere del giudice ordinario di adottare provvedimenti di urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c. sussiste con limitato riguardo alla tutela in via cautelare di posizioni soggettive devolute alla cognizione del medesimo giudice e pertanto non può essere riconosciuto in relazione a pretese di un pubblico dipendente inerenti al rapporto d'impiego, spettante alla giurisdizione del giudice amministrativo, senza che rilevi in contrario la circostanza che il difetto di rapporto gerarchico fra l'organo che ha emesso il provvedimento contestato e quello cui può essere proposto ricorso in via amministrativa (nella specie, il Ministro delle finanze ed il Consiglio di amministrazione del ministero, rispetto ad un provvedimento di trasferimento) esclude la possibilità che il secondo possa sospendere il provvedimento medesimo, in quanto ciò non elimina il potere di sospensione cautelare da parte del giudice competente, la sussistenza del quale rende, poi, le norme di previsione del procedimento amministrativo (art. 1 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 ed art. 32, comma 5, D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) manifestamente non contrastanti con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Cass. civ. n. 5279/1994

Il giudice, che dopo aver emesso l'ordinanza ex art. 700 c.p.c. provveda sulle questioni insorte in sede esecutiva, rigettando l'istanza della parte di integrazione del provvedimento di urgenza, non può provvedere sulle spese del procedimento instaurato con detto ricorso, essendo competente al riguardo il giudice della causa di merito.

Cass. civ. n. 4716/1994

In tema di provvedimenti di urgenza, nel caso di rigetto dell'istanza ex art. 700 c.p.c. la pronuncia in ordine alle spese processuali può essere emessa dal giudice adito anche successivamente all'ordinanza contenente la decisione cautelare con un ulteriore distinto provvedimento, la cui legittima riserva, anche implicita, comporta la persistenza della controversia in ordine alla necessaria pronuncia ex art. 91 c.p.c.

Cass. civ. n. 1435/1994

I provvedimenti di urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c. non possono essere richiesti al giudice civile in materie devolute a giurisdizioni speciali; pertanto, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in materia d'iscrizione nell'albo professionale dei geometri comporta il difetto di giurisdizione dello stesso giudice a provvedere in via cautelare all'accertamento delle condizioni per tale iscrizione e ad ordinare al consiglio provinciale dell'ordine, competente in via amministrativa (le cui determinazioni sono suscettibili di ricorso in sede giurisdizionale al Consiglio nazionale geometri), di provvedere all'iscrizione stessa.

Cass. civ. n. 1272/1994

L'ordinanza con la quale il pretore rigetta l'istanza del lavoratore licenziato, proposta col ricorso introduttivo del giudizio di merito per ottenere in via urgente, ex art. 700 c.p.c., la reintegrazione nel posto di lavoro, e fissa nel contempo l'udienza per la trattazione del merito stesso, è provvedimento che non può contenere la condanna del ricorrente al pagamento delle spese afferenti all'incidente cautelare, atteso che non chiude il procedimento davanti al giudice adito e, in ipotesi opposta, è suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., quale rimedio idoneo a far valere l'illegittimità di siffatta pronuncia di condanna, avente contenuto decisorio.

Cass. civ. n. 11717/1993

Nel sistema del contenzioso tributario anteriore alla riforma attuata con D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 – il cui art. 47 attribuisce alle commissioni tributarie il potere di sospendere in via di urgenza l'esecuzione dell'atto impugnato –, un potere siffatto esula dalle attribuzioni sia del giudice ordinario, sia di alcun altro giudice, e spetta esclusivamente in sede amministrativa all'intendente di finanza, contro le cui determinazioni le posizioni soggettive del contribuente sono tutelabili davanti al giudice amministrativo. Ne consegue, senza che ciò ponga dubbi di illegittimità costituzionale, che sussiste difetto assoluto di giurisdizione in ordine alla domanda del contribuente intesa ad ottenere la detta sospensione dal giudice ordinario con le modalità di cui agli artt. 700 e ss. c.p.c.

Cass. civ. n. 10994/1993

La pronuncia sulle spese del giudizio compete esclusivamente al giudice della causa, il quale, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., deve provvedervi, anche di ufficio, con il provvedimento che chiude il processo dinnanzi a sé, anche quando, trattandosi di procedimento sommario o cautelare, questo provvedimento abbia la forma di ordinanza o di decreto; nel caso, pertanto, in cui il giudice adito con la richiesta di provvedimento urgente, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., abbia rigettato l'istanza omettendo provvedere sulle spese, la parte, che avrebbe potuto impugnare tale provvedimento con il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 della Cost., al fine di denunciare il vizio di omessa pronuncia sulle spese, non può far valere in separato ed autonomo giudizio la sua pretesa alla rifusione delle spese nei confronti del soccombente, sotto il profilo di una domanda risarcitoria, ostandovi, per altro, il principio che esclude la possibilità di configurare una responsabilità senza colpa (nei casi non espressamente previsti dalla legge).

Cass. civ. n. 2670/1993

L'ordinanza del sindaco di chiusura di un circolo privato per inosservanza degli obblighi imposti con la licenza necessaria alla sua conduzione presuppone valutazione ed apprezzamenti discrezionali, che comportano la degradazione del diritto del destinatario del provvedimento ad interesse legittimo, con la conseguenza che il ricorso del destinatario medesimo rivolto a contestare la legittimità dell'ordinanza, spettando alla giurisdizione del giudice amministrativo, non può essere proposto davanti al giudice ordinario, nemmeno al fine di ottenere, in via cautelare, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., la sospensione dell'ordine stesso.

Cass. civ. n. 2642/1993

Il procedimento promosso avanti al pretore, a norma degli artt. 700 e 701 c.p.c., pur avendo carattere cautelativo e strumentale rispetto alle statuizioni che in sede di cognizione ordinaria saranno successivamente adottate dal giudice competente per il merito, costituisce oggetto di un procedimento autonomo e distinto da quello eventualmente instaurato a norma dell'art. 702 c.p.c. Ne consegue che per dare inizio a quest'ultimo giudizio (o per resistere ad esso) è necessario il conferimento di una distinta procura al difensore, non potendo a tal fine ritenersi valida quella rilasciata per il precedente e diverso procedimento, la quale esaurisce i suoi effetti con la definizione del procedimento stesso, salvo che la procura rilasciata con il ricorso iniziale (o con la comparsa di risposta del convenuto) sia formulata in modo da rilevare inequivocabilmente la volontà della parte di estendere il mandato anche al successivo giudizio di cognizione. Pertanto, fuori di tale ultima ipotesi, la citazione introduttiva del giudizio di merito va notificata al convenuto personalmente, secondo le regole dettate dagli artt. 137 e ss. c.p.c., e non al procuratore nominato nel procedimento precedente, presso il quale lo stesso convenuto abbia eletto domicilio.

Cass. civ. n. 1164/1993

La sospensione del provvedimento di esclusione del socio rientra nella competenza del tribunale davanti al quale è impugnata la relativa deliberazione, in base all'espressa previsione dell'art. 2527, terzo comma, c.c., e, quindi, esula dalle attribuzioni del pretore ex art. 700 c.p.c., in considerazione dell'applicabilità di tale ultima norma solo con riguardo ad ipotesi di tutela cautelare non già assicurata da altra specifica disposizione.

Cass. civ. n. 1151/1993

Ai sensi dell'art. 22, L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, qualora l'accesso di una strada privata a quella comunale sia oggetto di uno specifico diritto del proprietario della prima, la chiusura dello stesso può essere disposta dal comune, per la tutela del pubblico interesse, ma – a differenza di quanto accade con riguardo ai casi di disposta chiusura di passaggi aperti senza le licenze di cui all'art. 4, R.D. 8 dicembre 1933, n. 1740, nei quali il comportamento dell'amministrazione integra gli estremi di un atto di autotutela – è, a tal fine, sempre necessario un apposito provvedimento di carattere ablatorio (e quindi con tutte le garanzie previste a tutela del diritto soggettivo sacrificato) oppure un provvedimento contingibile ed urgente, in mancanza del quale il comportamento dell'amministrazione che abbia determinato la rimozione o l'alterazione della posizione del privato si risolve in attività materiale assoggettata alle norme di diritto comune, così da essere perseguibile davanti al giudice ordinario, anche con azioni di nunciazione o cautelari ex art. 700 c.p.c.

Cass. civ. n. 12944/1992

La devoluzione delle controversie al giudice amministrativo, in relazione alla consistenza di interesse legittimo propria della situazione giuridica in contestazione, comporta che al medesimo giudice debbono essere proposte anche eventuali istanze di tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. nei confronti della pubblica amministrazione o del soggetto che, agendo come longa manus della stessa, ne esercita la potestà, senza che, rispetto ad esse, possa ipotizzarsi una competenza del giudice ordinario anteriormente all'inizio della causa per il merito.

Cass. civ. n. 8085/1992

Il provvedimento collegiale emesso nel corso del giudizio di merito proposto a seguito del provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. e con il quale si sospende la efficacia di quest'ultimo provvedimento ha contenuto meramente ordinatorio ed in quanto inidoneo a produrre effetto di giudicato non è ricorribile in cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, ma – ove si assuma la giuridica inesistenza per carenze in radice del potere processuale del giudice di adottarlo – è denunciabile con la querela nullitatis, che non è un mezzo di impugnazione ma un'azione ordinaria di accertamento.

Cass. civ. n. 5760/1992

La competenza per il giudizio di merito successivo alla procedura di urgenza di cui all'art. 700 c.p.c. deve essere stabilita in base alle norme generali, senza che una preclusione possa derivare da provvedimento cautelare che pure implicitamente contenga anche l'indicazione di questo giudice, atteso che tale provvedimento non può essere vincolante nel giudizio di merito, che costituisce un nuovo ed autonomo processo e non già la continuazione di quello sommario (come nel caso dei procedimenti di nunciazione o dei procedimenti possessori):

Cass. civ. n. 13277/1991

Le spese processuali necessarie all'attuazione dei provvedimenti di urgenza ex art. 700 c.p.c. – cui è preposto lo stesso giudice di questi ultimi e non quello dell'esecuzione – vanno regolate dalla sentenza che definisce il giudizio di merito e, pertanto, non sono suscettibili di ripetizione attraverso una separata procedura monitoria.

Cass. civ. n. 7630/1991

Il procedimento per i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., ed il successivo procedimento di merito non costituiscono fasi distinte di un unico processo, ma due processi formalmente autonomi, sicché la notificazione dell'atto di citazione per il giudizio di merito non deve essere effettuata, ai sensi dell'art. 170 c.p.c. al procuratore costituito nel procedimento per i provvedimenti d'urgenza, ma deve essere fatta al convenuto nel suo domicilio reale.

Cass. civ. n. 2719/1991

L'azione proposta da dipendenti pubblici e da un sindacato dei medesimi, volta a conseguire l'attuazione delle misure idonee a tutelare l'integrità psicofisica dei lavoratori sulla base dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c., è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 7 della L. n. 1034 del 1971, trovando titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego. Detta giurisdizione non subisce deroga neppure se tale azione sia svolta a conseguire una tutela cautelare ai sensi dell'art. 700 c.p.c., non essendo questa estensibile a materie estranee alla giurisdizione del giudice ordinario, attesa la dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 21, ultimo comma, della L. n. 1034 del 1971, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 190 del 1985, mentre la questione se tale pronuncia sia limitata alle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego o sia invece suscettibile d'interpretazione estensiva non incide sul riparto della giurisdizione, la quale spetterebbe al giudice amministrativo anche nella prima di dette ipotesi, salvo peraltro l'eventuale proponibilità di un nuovo incidente di costituzionalità del citato art. 21.

Cass. civ. n. 2049/1991

Qualora, dopo un provvedimento di sospensione del ruolo e della procedura di riscossione esattoriale, reso dal pretore a norma dell'art. 700 c.p.c., l'Amministrazione finanziaria citi il contribuente davanti al tribunale per «sentir dichiarare che l'A.G.O. non ha giurisdizione a conoscere né del ricorso in via d'urgenza al pretore né del rapporto tributario», la relativa domanda non introduce il «giudizio di merito» di cui alla citata norma, ma si esaurisce nella deduzione di posizioni di diritto soggettivo in ordine alla tutela giurisdizionale, e, pertanto, a prescindere da ogni questione circa la sua ammissibilità, non si sottrae alla giurisdizione del giudice ordinario.

Cass. civ. n. 374/1991

Il bando di concorso per l'appalto di opera pubblica integra espressione di potere discrezionale della P.A. per il perseguimento di finalità generali. Ne consegue che la denuncia dello scorretto esercizio di tale potere, ancorché da parte di chi assuma la qualità di appaltatore della stessa opera in forza di contratto non validamente rescisso dall'appaltante, si correla a posizioni di interesse legittimo, sicché si sottrae alla cognizione del giudice ordinario, pur con riguardo alla richiesta di provvedimenti d'urgenza, ed è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Cass. civ. n. 11462/1990

Qualora il proprietario del fondo, occupato per la realizzazione di opera pubblica, denunci che l'opera intrapresa sia diversa da quella approvata, ovvero che siano state apprese porzioni non incluse in quelle contemplate nel decreto prefettizio autorizzativo dell'occupazione medesima, la relativa controversia non si sottrae alla giurisdizione del giudice ordinario, anche al fine di eventuali provvedimenti d'urgenza, ricollegandosi a posizioni di diritto soggettivo non affievolite dagli atti del procedimento ablativo.

Cass. civ. n. 10942/1990

L'art. 20 della L. 22 ottobre 1971, n. 865, ove stabilisce l'inefficacia del decreto di occupazione delle aree da espropriare se non attuato entro tre mesi dalla sua emanazione, trova applicazione, in difetto di diversa previsione, anche per le occupazioni disposte in base al D.L. 19 marzo 1981, n. 75 (convertito, con modificazioni, in L. 14 maggio 1981, n. 219), sulla ricostruzione e lo sviluppo dei territori del Mezzogiorno colpiti dagli eventi sismici. Pure in queste ipotesi, pertanto, l'occupazione dell'immobile, che sia effettuata dopo il decorso di tre mesi dal decreto autorizzativo, integra una mera attività materiale della pubblica amministrazione, non idonea ad affievolire la posizione di diritto soggettivo del privato, che restano tutelabili davanti al giudice ordinario, anche in via possessoria.

Cass. civ. n. 10318/1990

La controversia fra socio e società cooperativa edilizia operante con il contributo statale, che attenga alle modalità di assegnazione dell'alloggio ed al contenuto del verbale di consegna previsto dall'art. 98 del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, rientra, ai sensi dell'art. 131 di tale decreto, fra quelle devolute alle commissioni di vigilanza, nel periodo anteriore alla stipulazione da parte del socio stesso del mutuo individuale, e, pertanto, pure al fine della adozione di provvedimenti cautelari ed urgenti, si sottrae alla cognizione del giudice ordinario, spettando alla giurisdizione del giudice amministrativo, in via d'impugnazione delle determinazioni di dette commissioni.

Cass. civ. n. 9640/1990

Il provvedimento di urgenza, per la sua intrinseca provvisorietà, esaurisce la sua funzione una volta emessa la decisione di merito, che ad esso si sostituisce, senza conservare effetto fino al passaggio in giudicato di tale decisione. Pertanto, nel caso in cui il giudice di appello abbia confermato la sentenza di primo grado, dichiarativa della legittimità del licenziamento del lavoratore, quest'ultimo non ha interesse a dolersi, in sede di legittimità, dell'omessa pronuncia, da parte del tribunale, della sua riammissione al lavoro ai sensi dell'art. 700 c.p.c., atteso che il provvedimento cautelare (ancorché, in ipotesi, a lui favorevole) risulterebbe comunque superato dalla pronuncia di rigetto della domanda di declaratoria dell'illegittimità del licenziamento.

Cass. civ. n. 7636/1990

Rispetto ad un'asta pubblica, i soggetti privati non sono portatori di diritti soggettivi, ma solo di un interesse – al regolare svolgimento del procedimento di aggiudicazione – il quale, in presenza di una posizione «differenziata» del soggetto che intenda parteciparvi, assume la consistenza dell'interesse legittimo e riceve tutela attraverso l'osservanza delle norme «di azione», che disciplinano, nell'interesse pubblico, quel procedimento, con la conseguenza che appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo anche la cognizione della domanda con cui, sul presupposto dell'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione dell'asta pubblica, dal detto soggetto vengono richiesti provvedimenti di urgenza miranti a prevenire il conseguente suo pregiudizio (nella specie, un ipotetico turbamento del mercato per l'emissione in esso di un determinato prodotto).

Cass. civ. n. 7552/1990

Il provvedimento disciplinare di sospensione dall'esercizio della professione, adottato da un consiglio provinciale dell'ordine degli architetti, è impugnabile dinanzi al consiglio nazionale di detto ordine, quale organo di giurisdizione speciale, anche con riguardo alle contestazioni inerenti all'immediata esecutività della sanzione. Deve pertanto escludersi che l'interessato, sia pure al limitato fine di rimuovere quell'esecutività, possa adire in via d'urgenza il pretore, ai sensi degli artt. 700 ss. c.p.c., considerando che i poteri attribuiti al giudice ordinario da tali norme non pongono deroghe ai principi sul riparto della giurisdizione, e, quindi, sussistono solo per la tutela di posizioni soggettive rientranti nella cognizione del medesimo giudice ordinario.

Cass. civ. n. 3566/1990

La procura speciale al difensore, conferita, in sede di ricorso ex art. 700 c.p.c., per tutti i gradi del giudizio, deve ritenersi estesa al processo di merito da instaurarsi dopo il provvedimento d'urgenza.

Cass. civ. n. 3310/1990

Al socio di una cooperativa edilizia a contributo statale, il quale si sia reso assegnatario di alloggio ed abbia stipulato il mutuo individuale, deve riconoscersi la possibilità di adire il giudice ordinario, anche in via cautelare ed urgente, al fine di assicurare la propria partecipazione all'assemblea, atteso che la domanda non riguarda la fase della prenotazione od assegnazione degli alloggi, esauritasi con detta stipulazione, né le altre materie che l'art. 131 del R.D. 28 aprile 1938, n. 1165 devolve alla cognizione delle commissioni di vigilanza (e quindi del giudice amministrativo, in sede di impugnazione dei provvedimenti delle commissioni medesime), ed è diretta a tutelare posizioni di diritto soggettivo.

Cass. civ. n. 2267/1990

Il pretore, con l'ordinanza che dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine ad un ricorso ex art. 700 c.p.c. non proposto in corso di causa (così come nell'ipotesi di rigetto dell'istanza del ricorrente), deve provvedere sulle spese di lite – atteso che la detta ordinanza definisce il procedimento cautelare – applicando il principio della cosiddetta soccombenza potenziale, da verificare sulla base di un semplice giudizio delibativo circa la fondatezza della domanda proposta in via d'urgenza e delle relative eccezioni.

Cass. civ. n. 233/1990

La contesa fra genitori naturali, in ordine all'educazione ed istruzione del figlio minore, rientra nelle previsioni degli artt. 316, 317 e 336 c.c., e, quindi, è riservata, con il rito camerale, alla competenza funzionale del tribunale per i minorenni, ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., senza che possa riconoscersi la competenza pretorile, nemmeno al limitato fine di adottare provvedimenti d'urgenza, considerando che l'intervento cautelare di cui all'art. 700 c.p.c. non è invocabile in presenza di altre misure tipiche, idonee a soddisfare le esigenze di tutela urgente.

Cass. civ. n. 5675/1989

In tema di rapporto di lavoro dei dipendenti da aziende di trasporto in concessione, le controversie relative a provvedimenti che infliggono sanzioni disciplinari, appartengono, ai sensi dell'art. 58, secondo comma, dell'all. A al R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, qualunque sia l'organo (anche diverso dal consiglio di disciplina) che abbia emesso detti provvedimenti, ed anche nel caso in cui il vizio fatto valere comporti la nullità o l'inesistenza giuridica dell'atto. Ne deriva che in materia disciplinare il giudice ordinario è privo di giurisdizione anche se adito con ricorso ex art. 700 c.p.c., atteso che il suo potere di provvedere in via d'urgenza sussiste soltanto nell'ambito delle controversie devolute alla sua cognizione relativamente al giudizio di merito.

Cass. civ. n. 4342/1989

Con riguardo ad ingiunzione fiscale emessa per il pagamento di una delle imposte contemplate dall'art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, (nella specie Iva), mentre deve essere affermata la giurisdizione delle commissioni tributarie sull'opposizione del contribuente, non essendo applicabili le disposizioni del R.D. 14 aprile 1910, n. 639 sull'opposizione davanti al giudice ordinario, deve essere affermato il difetto assoluto di giurisdizione, sull'istanza di sospensione dell'esecuzione o di adozione di altre analoghe misure cautelari, atteso che il potere di provvedere in proposito spetta esclusivamente in via amministrativa all'intendente di finanza (contro le cui determinazioni le posizioni del contribuente sono tutelabili dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità).

Cass. civ. n. 3659/1989

Con riguardo ad un provvedimento contingibile ed urgente, reso dal sindaco del comune ai sensi dell'art. 153 del R.D. 4 febbraio 1915, n. 148 (nella specie, chiusura di un bar-discoteca per ragioni di sicurezza e d'igiene), le posizioni del destinatario, in quanto degradate a meri interessi legittimi, sono tutelabili davanti al giudice amministrativo, non dinanzi al giudice ordinario, nemmeno in via cautelare a norma dell'art. 700 c.p.c. (il quale trova applicazione solo nell'ambito delle attribuzioni giurisdizionali del giudice ordinario).

Cass. civ. n. 3568/1989

In tema di trattamento pensionistico a carico della c.p.d.e.l., come quello riservato ad un'infermiera che, in virtù di rapporto di pubblico impiego, sia stata alle dipendenze di un ospedale gestito dall'unità sanitaria locale, le liti promosse dall'assicurata nei confronti della predetta cassa di previdenza, che attengano al diritto, alla misura o alla decorrenza della pensione, spettano in via esclusiva alla giurisdizione della corte dei conti, ai sensi degli artt. 60 del R.D.L. n. 680 del 1938 e 13 del R.D. n. 1214 del 1934, e sono sottratte alla cognizione del giudice ordinario anche con riguardo alle domande di liquidazione di pensione provvisoria e di adozione di provvedimenti di urgenza, quand'anche questi siano richiesti per evitare l'asserito pregiudizio derivante da ritardo nell'erogare la pensione.

Cass. civ. n. 3475/1989

La parte, che intende ottenere il ripristino della situazione di fatto, modificata dalla controparte in attuazione d'un provvedimento d'urgenza adottato con decreto e poi revocato con ordinanza, non ha interesse ad instaurare un giudizio di cognizione per la condanna dell'altra parte, potendo ottenere dal pretore, che ha prima adottato e poi revocato il provvedimento d'urgenza, così respingendo la domanda cautelare, la determinazione delle modalità per il ripristino dello stato di fatto anteriore.

Cass. civ. n. 2630/1989

Il pretore, che rigetti il ricorso ex art. 700 c.p.c., rifiutando il provvedimento d'urgenza richiestogli, per essere stata eliminata, dopo la proposizione del ricorso, la situazione pregiudizievole denunciata, non può condannare il ricorrente al pagamento, neppure parziale, delle spese del procedimento, ove ritenga che la sua richiesta fosse fondata al tempo della proposizione, dovendo tale soggetto essere considerato come parte vittoriosa.

Cass. civ. n. 439/1989

La sospensione della procedura di riscossione esattoriale delle imposte può essere disposta esclusivamente dall'intendente di finanza, cioè dall'autorità amministrativa (con provvedimento discrezionale, rispetto al quale le posizioni del contribuente hanno natura di meri interessi legittimi), non anche, pertanto, dal giudice ordinario, nemmeno in via cautelare o d'urgenza, per difetto (assoluto) di giurisdizione (difetto di giurisdizione denunciabile con istanza di regolamento preventivo anche in relazione a procedimento promosso ai sensi dell'art. 700 c.p.c., senza che sia ostativa l'adozione di provvedimenti urgenti).

Cass. civ. n. 652/1988

In relazione al procedimento promosso per la fissazione delle modalità di esecuzione di un obbligo di fare (nella specie, reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, disposta in via d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c.), la questione della infungibilità di detto obbligo attiene non alla giurisdizione, ma al merito, anche sotto il profilo dell'assoluta improponibilità della domanda, e, pertanto, non può essere sollevata con ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione.

Cass. civ. n. 4204/1986

Il giudice competente a conoscere del giudizio di merito successivo alla procedura d'urgenza ex art. 700 c.p.c. va stabilito in base alle norme generali senza che una preclusione possa derivare dal provvedimento cautelare che contenga anche la determinazione di tale giudice, atteso che esso non è idoneo a formare giudicato sulla suddetta questione di competenza, essendo il giudizio di merito un nuovo ed autonomo processo e non già una continuazione di quello sommario (come nel caso dei procedimenti di nunciazione o dei procedimenti possessori).

Cass. civ. n. 4013/1986

L'ordine di esecuzione di lavori edili, che venga adottato dal sindaco del comune, per ragioni di sicurezza pubblica, a carico del proprietario di un immobile, comporta, come ogni altro provvedimento contingibile reso a norma dell'art. 153 del R.D. 4 febbraio 1915, n. 148, la degradazione del diritto di detto proprietario a mero interesse occasionalmente protetto, con la conseguenza che la domanda del medesimo, rivolta a denunciare l'illegittimità di detto ordine, spettando alla giurisdizione del giudice amministrativo, non può essere proposta davanti al giudice ordinario, nemmeno al fine di ottenere in via cautelare, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., la sospensione dell'ordine stesso.

Cass. civ. n. 6192/1985

Gli artt. 700 e ss. c.p.c., nel conferire al giudice ordinario il potere di adottare provvedimenti d'urgenza con funzione cautelare e strumentale, non introducono deroghe ai principi generali sul riparto della giurisdizione, e non consentono pertanto che il suddetto potere possa essere esercitato a tutela di posizioni soggettive sottratte alla cognizione del medesimo giudice ordinario, quali quelle devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo perché inerenti ad un rapporto di pubblico impiego.

Cass. civ. n. 1782/1985

Sia il provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. (nella specie, di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro) – che è revocabile, da parte dello stesso giudice che l'ha emesso, prima della definizione del giudizio di merito, per l'accertato venir meno di tutti o di alcuni degli elementi sui quali il rimedio cautelare si fondava – sia il successivo provvedimento che ne dispone la revoca non hanno contenuto decisorio e, pertanto, non sono impugnabili con ricorso per cassazione.

Cass. civ. n. 5608/1983

Poiché il provvedimento d'urgenza è inseparabile dal procedimento nell'ambito del quale esso è pronunciato e rispetto a cui ha funzione strumentale, la sua esecuzione appartiene al giudice che lo ha emesso, onde garantire il conseguimento delle finalità del provvedimento stesso in relazione alle esigenze cautelari e conservative che l'hanno determinato. Conseguentemente, qualora sia stato emesso provvedimento ex art. 700 c.p.c. da parte del presidente della sezione specializzata agraria presso il tribunale, l'esecuzione di esso – e le relative opposizioni – vanno proposte davanti a detto giudice specializzato e non davanti al pretore, ancorché si tratti di esecuzione per consegna o rilascio.

Cass. civ. n. 5157/1983

I provvedimenti d'urgenza innominati (art. 700 c.p.c.), in quanto rivolti ad evitare che la futura pronuncia resti pregiudicata dal tempo occorrente per la sua emissione, hanno carattere strumentale rispetto al successivo giudizio di merito, che non è mai di convalida del provvedimento interinale, ma di cognizione del tutto autonoma dell'esistenza del diritto controverso, il cui accertamento viene a sostituirsi alla pronuncia resa in sede di urgenza anche quando si conformi a questa. (Nella specie, in cui si trattava di attività rumorose esulanti dai limiti di tollerabilità fissati dall'art. 844 c.c., con il provvedimento d'urgenza ne era stata disposta la cessazione ad una data ora, nell'arco della giornata, mentre nel successivo giudizio di merito il responsabile delle medesime era stato condannato al compimento di opere di insonorizzazione).

Cass. civ. n. 2365/1983

I provvedimenti d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c., per la loro natura strumentale, sono vincolati al diritto che si vuol far valere e rimangono assorbiti dalla decisione della causa della quale seguono la sorte e che l'istante è tenuto ad iniziare nel termine perentorio fissato dal giudice. È, quindi, da escludere che per essi debba emettersi una pronuncia di convalida e, nel caso di rigetto della domanda di merito, il ristabilimento dell'ordine giuridico per il provvedimento cautelare incautamente richiesto può aversi sulla base del disposto del secondo comma dell'art. 96 c.p.c.

Cass. civ. n. 5624/1982

Fino a che il giudizio di merito non sia stato iniziato il pretore adito a norma dell'art. 700 c.p.c. — che abbia pronunziato i richiesti provvedimenti d'urgenza con decreto inaudita altera parte, stabilendo contestualmente il termine per l'inizio del giudizio di merito senza fissare l'udienza di comparizione delle parti per la convalida del decreto — ha il potere di revocare il decreto stesso nella parte riguardante la determinazione del menzionato termine e di fissare l'udienza per confermare, modificare ovvero revocare i provvedimenti urgenti a seguito della costituzione del contraddittorio, secondo il disposto dell'art. 689 c.p.c.

Cass. civ. n. 3082/1982

A fronte del decreto di requisizione in uso di un immobile urbano, reso dal sindaco del comune per gravi necessità pubbliche, le posizioni soggettive del privato hanno natura e consistenza di meri interessi legittimi, in quanto il potere discrezionale di requisizione, disciplinato dalle norme che regolano le occupazioni temporanee e d'urgenza, deve ritenersi astrattamente conferito dall'ordinamento anche alla suddetta autorità comunale (sia pure in via sussidiaria rispetto al prefetto, per il caso di urgenza tale da non consentire alcun indugio). Pertanto, il sindacato sulla legittimità di quel decreto, traducendosi nel riscontro della conformità a legge dell'esercizio di detto potere nel caso concreto, è devoluto alla giurisdizione del giudice amministrativo ed è sottratto al giudice ordinario, al quale, correlativamente, resta preclusa anche la possibilità di provvedere in via d'urgenza a norma dell'art. 700 c.p.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 700 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. C. chiede
giovedì 11/05/2023
“Spett. avvocati,
sono proprietario di un fabbricato nel centro storico risalente al 1100, ex stalla con fienile, il quale confina con un casa di civile abitazione mediante un muro divisorio che sorregge i due edifici; secondo il mio atto notarile il muro risulta di mia proprietà. Il proprietario della casa confinante mi ha comunicato l'intenzione di demolire il suo fabbricato per costruire uno nuovo e pretende che io faccia un nuovo muro all'interno della mia proprietà a mie spese, per consentirgli di demolire anche il muro divisorio, che lui ritiene di sua proprietà. Poiché io mi sono opposto a questa richiesta ha ricorso in tribunale denunciando un" danno temuto", in quanto sostiene che, demolendo il suo edificio il muro divisorio diventerebbe instabile e creargli un danno. Il giudice alla prima udienza ha nominato un CTU per verificare la stabilità del muro; il suo parere arriverà tra 90 giorni . Le sarei grato se esprimesse un parere su alcune mie riflessioni:
1- Se il Giudice accettasse il ricorso, condannandomi per il danno temuto senza avere fatto nulla, io dovrei pagare i costi di causa? 2- Io ritengo paradossali le ragioni di questo ricorso, in quanto penso che sia il mio vicino a dover eseguire le opere di consolidamento del muro al seguito della demolizione. 3- Il Giudice ha chiesto al CTU di cercare un accordo tra le parti; io non capisco su che cosa dobbiamo accordarci, visto che è il vicino a voler abbattere!
Rimanendo in attesa di una Sua cortese risposta porgo i miei più distinti saluti.”
Consulenza legale i 25/05/2023
Va premesso che non è possibile, per chi scrive, entrare appieno nel merito della vicenda: per fare ciò, infatti, sarebbe necessario conoscere tutti gli atti di causa, ivi comprese le relazioni tecniche. In ogni caso, è pendente un giudizio che sta facendo il proprio corso.
Peraltro, stando a quanto emerso sia dal quesito che dalla lettura del ricorso introduttivo di controparte, sarebbe controversa la stessa proprietà del muro, che il ricorrente afferma essere di sua proprietà, così come chi pone il quesito.
Chiaramente la questione della titolarità del diritto di proprietà sul muro non è irrilevante ai fini della controversia in corso; non sappiamo però se, e come, essa sia stata sollevata nel giudizio (cioè eccepita da chi pone il quesito) e non conosciamo gli atti di acquisto in base a cui ciascuna delle parti rivendica la proprietà del muro.
Possiamo quindi fornire alcuni chiarimenti, riservandoci magari di approfondire all’esito dell’invio di ulteriore documentazione, rispondendo alle domande che sono state specificamente poste e che, in effetti, non attengono al merito della vicenda.
In primo luogo, occorre fare chiarezza su un punto: quella che è stata proposta non è un’azione di “danno temuto”, come sembrerebbe leggendo il quesito. Il ricorrente ha infatti proposto un ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c.
Si tratta di uno strumento a carattere generale, utilizzabile per tutelare diritti molto diversi tra loro (non solo il diritto di proprietà, ma anche, ad esempio, il diritto alla salute; trova anche frequente applicazione nel diritto del lavoro), e che presuppone l’esistenza di un “pregiudizio imminente e irreparabile”, il quale possa verificarsi durante il tempo inevitabilmente occorrente per un giudizio “ordinario”.
Diverso, oltre che più specifico, è il rimedio della denuncia di danno temuto, prevista dall’art. 1172 del c.c., che può essere proposta dal proprietario, dal titolare di altro diritto reale di godimento o dal possessore, e presuppone che da una “cosa” (edificio, albero o altro) possa derivare un danno grave e prossimo alla cosa oggetto del diritto o del possesso del ricorrente. Peraltro la Cassazione ha chiarito che la denuncia di danno temuto può essere utilizzata anche tra comproprietari, se la mancanza di accordo impedisce di eliminare il pericolo.
Detto questo, nel nostro caso la questione fondamentale è innanzitutto quella di accertare l’eventuale periculum in mora, quindi nello specifico il rischio di crollo del fabbricato di proprietà di controparte, tale da imporre una sua demolizione; sotto il profilo del fumus boni iuris, invece, poiché nel ricorso si chiede di ordinare a chi pone il quesito di mettere in sicurezza il proprio immobile, stabilire se tale richiesta sia fondata.
Ora, passando ai quesiti specificamente posti, è possibile una condanna alle spese di causa in caso di accoglimento del ricorso di controparte.
Secondo il codice di procedura civile, infatti, la condanna alle spese è soggetta al principio della soccombenza, nel senso che la regola generale impone che esse vengano poste a carico di chi perde; tuttavia, è possibile che le spese vengano compensate (in sostanza, ciascuno paga le proprie spese) in presenza di alcune circostanze, tra cui la soccombenza reciproca, ex art. 92 comma 2 c.p.c.
Quanto al quesito n. 2, occorrerebbe conoscere meglio gli atti processuali, come precisato in premessa; anche se, stando a quanto riferito, poiché è il vicino che intende demolire, sia pur “obbligato” da una situazione di pericolo, e considerato che tale pericolo deriva comunque dal fabbricato di sua proprietà, dovrebbe provvedere egli stesso alla messa in sicurezza dell’immobile confinante che rischierebbe a sua volta il crollo in caso di demolizione del primo edificio. Infatti il proprietario è gravato da un obbligo di custodia rispetto alla cosa di sua proprietà e risponde di eventuali danni causati a terzi ex art. 2051 del c.c..
La questione non è, però, così semplice, come abbiamo accennato all’inizio.
Infine, quanto alla ricerca di un accordo, la conciliazione delle parti davanti al CTU è espressamente prevista dal codice, e anche nella prassi i giudici incaricano i consulenti di tentare una composizione bonaria della lite tra le parti.
Questo perché, a prescindere dalle rispettive rivendicazioni e, in sostanza, da chi abbia o meno “ragione”, può risultare conveniente per tutti - in termini di tempo e di spese - trovare un accordo, in cui ciascuna delle parti fa una concessione all’altra e rinuncia a far valere le proprie, magari legittime, pretese.
Occorre infatti tenere presente la cosiddetta alea del giudizio, per cui nessuno potrà prevedere quale sarà in concreto la decisione del giudice, ma anche quanto durerà la causa e quali saranno i costi conseguenti.
Va precisato, in ogni caso, che la decisione adottata dal giudice nel procedimento cautelare - qual è quello previsto dall’art. 700 c.p.c. - può essere modificata nell’eventuale successivo giudizio di merito, caratterizzato da una cognizione piena (cioè da un accertamento più approfondito) e non sommaria come avviene nella fase d’urgenza.

Dott. G. L. B. chiede
sabato 09/04/2022 - Abruzzo
“Spett.le Studio Brocardi,
con la presente sono ad esporre un caso per domandare un parere tecnico relativo alle iniziative da intraprendere.
Sono proprietario di una palazzina bifamiliare autonoma costituita su due livelli.
Entrambi gli appartamenti sono concessi in locazione.
La Conduttrice dell'appartamento sito all'ultimo piano alto dell'immobile, dopo aver chiesto supporto al sottoscritto Locatore (che nelle successive due ore ha fatto intervenire un idraulico al fine di accertare la cause e l'entità del danno e del difetto lamentato, ha deliberatamente ed apertamente rifiutato che l'idraulico entrasse presso l'abitazione concessa in locazione).
Dopo circa sei ore, il Conduttore dell'appartamento locato al piano inferiore, notava macchie sul soffitto da spargimento di acqua, con danno all'intonaco e gocciolamento in aumento progressivo.
A quel punto il sottoscritto Locatore si recava presso l'appartamento dal quale il danno evidentemente proveniva, limitandosi a suonare al campanello e chiedere alla Signora di poter rimediare al danno, prendendone visione e stabilendo quale fosse la causa, sia nell'interesse della stessa conduttrice, sia del conduttore del piano inferiore, sia del proprietario stesso che vedeva ed assisteva passivamente alla rovina degli appartamenti di proprietà.
La signora, presumibilmente in stato alterato di personalità, si rifiutava di concedere l'accesso sia al proprietario, sia a chiunque altro. Allertate le forze dell'Ordine, è stato riferito al proprietario che nessuno accesso sarebbe stato consentito, neanche da parte loro, senza ordinanza del giudice e si consigliava di procedere in tal senso. A nulla è valso sottolineare come il deperimento del bene era ed è in essere e che il proprietario poteva limitarsi ad assistere solo passivamente a questa dinamica alla quale si aggiunge la lamentela del conduttore del piano inferiore che vede infiltrazioni di acqua presso la propria abitazione che, si ricorda, è sempre di proprietà del sottoscritto proprietario.
Come sarebbe più opportuno agire sia civilmente che, eventualmente, penalmente, anche in considerazione che la conduttrice de qua ha tolto dal citofono ogni riferimento relativo al nome, cognome, etc e sarebbe anche non individuabile per eventuali notifiche?
ringrazio anticipatamente.”
Consulenza legale i 15/04/2022
L’art.14 della nostra Carta Costituzionale dice una cosa molto semplice ma anche molto netta: "il domicilio è inviolabile". Sicuramente quanto scritto nella nostra Costituzione è uno dei capisaldi delle democrazie occidentali, ed è proprio per tale motivo che nel caso descritto nel quesito la pubblica autorità non è potuta intervenire nonostante vi fosse una evidente perdita nelle tubature condominiali.

Solo un provvedimento emesso dalla autorità giudiziaria può autorizzare la forza pubblica ad entrare nel domicilio altrui. L’art. 14 Cost. ha un concetto molto ampio di domicilio che va ben oltre a quello di abitazione: è ricompreso nel termine di domicilio anche il luogo in cui si svolge la propria attività lavorativa, una dimora occasionale e persino la propria automobile. In sintesi, il domicilio va inteso come quello in cui si ha il potere o la possibilità di escludere la presenza di terzi, al fine di difendere i propri interessi affettivi, spirituali, culturali o sociali. Proprio per tale motivo né il proprietario dei due appartamenti, né tantomeno l’amministratore del condominio possono accedere all’ interno dell’abitazione.

E’ necessario quindi che l’autore del quesito si rivolga nel più breve tempo possibile ad un legale affinché il professionista lo assista nella richiesta al giudice di un provvedimento cautelare ex. art. 700 del c.p.c. che autorizzi l’ingresso nel domicilio altrui con l’ausilio delle forze dell’ordine. Il giudizio potrà essere proposto sia dal proprietario delle due unità abitative coinvolte che dall’amministratore di condominio.
Nel ricorso introduttivo sarà fondamentale dare evidenza al giudice del pericolo che corrono le due proprietà coinvolte attraverso materiale fotografico, dichiarazioni scritte dei
condomini e allegando una breve e succinta relazione peritale: così facendo si raggiungerebbe la prova della irreparabilità ed imminenza del pregiudizio che la giurisprudenza cautelare richiede per emettere un provvedimento che di fatto porta ad una violazione di una libertà costituzionalmente garantita senza che vi sia stato un pieno contraddittorio.
Stante la gravità della situazione descritta e l’imminenza del pericolo si ritiene che tale provvedimento possa anche essere emesso dal giudicante "inaudita altera parte" ai sensi dell’art. 669 sexies del c.p.c., ovvero senza la previa convocazione in giudizio della controparte. In questo modo si otterrebbe un provvedimento immediatamente ancorché provvisoriamente efficace, prima ancora che la controparte abbia contezza del provvedimento e prima ancora quindi di procedere alle notifiche di rito.

Ad ogni modo, la circostanza che la parte che si dovrà comunque convenire nel giudizio cautelare possa aver tolto dal citofono ogni riferimento utile al suo rintraccio non è di certo ostativo ad un eventuale perfezionamento della notifica. Come ha chiarito infatti in più arresti la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’Ufficiale Giudiziario incaricato della notifica dovrà compiere ogni azione utile a rintracciare il destinatario della notifica, dandone poi conto nella sua relata. Interessante sotto questo aspetto è l’Ordinanza della I° Sezione Civile della Corte di Cassazione n.2530 del 27.02.2022 la quale ha chiarito: "…questa Corte non ha mai ritenuto sufficiente, ai fini della valutazione positiva di irreperibilità del destinatario della notifica, ai sensi dell'art. 143 c.p.c., il mero mancato rinvenimento del nominativo del notificando sui citofoni e neppure sulle caselle postali, occorrendo comunque un quid pluris che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, deve quantomeno consistere nella raccolta, da parte dell'ufficiale giudiziario, di specifiche informazioni in loco sul destinatario dell'atto dai residenti interpellati." Ad ogni modo se l' Ufficiale Giudiziario non riuscirà dopo tutte le suddette indagini a reperire il destinatario a cui deve consegnare gli atti, provvederà comunque a perfezionare il procedimento di notifica attraverso l'art. 140 del c.p.c.

Ovviamente alla azione cautelare dovrà poi seguire una successiva azione civile con la quale si richiederà al conduttore il risarcimento di tutti i danni subiti a seguito del comportamento tenuto.


Ezio Z. chiede
sabato 31/08/2019 - Sicilia
“Sono stato oggetto unitamente ad altri 40 docenti ricorrenti di un’ordinanza cautelare favorevole ex art. 700 cpc del Giudice del lavoro del tribunale della provincia X (agosto 2017), mai reclamata, che ha stabilito il mio inserimento a pieno titolo nelle Graduatorie ad esaurimento (GAE) della provincia X. A dicembre del 2017 sono stato inserito a pieno titolo nelle GAE dall’Ambito territoriale (AT) della provincia X. Ad aprile 2019 in seguito al dm 37/2019 ho spostato la mia posizione in GAE dalla provincia X alla provincia Y. L’AT Y mi ha inserito con riserva anziché a pieno titolo, cosi come aveva ordinato il Giudice del lavoro nell’ordinanza cautelare. Ero in turno di nomina per l‘immissione in ruolo ma tale immissione è stata congelata dall’AT della provincia Y perché vuole ottenere una sentenza di merito che superi quanto stabilito dalla ordinanza cautelare togliendomi il diritto ad essere inserita a pieno titolo nelle GAE e di conseguenza ad essere immesso in ruolo. Nel frattempo alcuni dei ricorrenti coinvolti nella ordinanza sono stati regolarmente immessi in ruolo sia nel precedente anno scolastico che in questo, in diverse provincie ed alcuni dopo il ruolo hanno ottenuto trasferimenti. Evidente la disparità di trattamento. Le domande che pongo sono:
1 Può l’Ambito territoriale Y chiedere una sentenza di merito per un provvedimento che riguardava l’inserimento nelle GAE della provincia X?
2 Trascorsi più di due anni dall’emissione della ordinanza, mai reclamata, può l’AT Y chiedere una sentenza di merito? Non esiste un termine? E chi sarebbe il giudice del lavoro competente quello del mio ultimo contratto di lavoro o quello che ha emesso l'ordinanza?
3 Tale sentenza può essere richiesta solo per me, oppure riguarda l’intera ordinanza e quindi coinvolge anche i diritti acquisiti dagli altri ricorrenti, che nel frattempo sono stati immessi in ruolo? Questo non potrebbe essere un problema per l’AT Y? Non si aprirebbero in tal modo altri contenziosi?”
Consulenza legale i 11/09/2019
L’art. 700 c.p.c. consente, alla presenza dei requisiti richiesti, (fumus boni iuris e periculum in mora), la realizzazione immediata di quegli effetti che il titolare del diritto mira a conseguire e che la ritardata esecuzione renderebbe vani.

L’art. 669 octies c.p.c. stabilisce che l’ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell’inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per l’inizio del giudizio di merito [...]. Se il giudice nell’ordinanza di accoglimento non si pronuncia in ordine alla fissazione del termine per la proposizione del giudizio di merito, l’art. 669-octies stabilisce che comunque la causa di merito deve esser fissata entro il termine perentorio di sessanta giorni.

Il comma 6° del citato articolo esclude che la disciplina della decadenza possa applicarsi per i provvedimenti di accoglimento ex art. 700 c.p.c., e stabilisce la non applicabilità, per questo tipo di provvedimenti, della necessaria previsione del termine per l’inizio della causa ordinaria. Da ciò deriva il conferimento alle misure cautelari d’urgenza della particolare connotazione di stabilità e di attitudine ad assumere valore di cosa giudicata, indipendentemente dall’intervento e dalla pronuncia successiva del giudice di merito.
Nel caso di specie sottoposto al nostro esame è evidente che il provvedimento di accoglimento del Tribunale, reso nel procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in mancanza di reclamo proposto dalla parte soccombente nel termine di 15 giorni dalla comunicazione ex art. 669 terdecies c.p.c. e, della proposizione, da parte degli istanti del provvedimento d’urgenza, dell’azione ordinaria di merito, ai sensi del comma 6° dell’art. 669 octies c.p.c., continui a mantenere stabilmente i suoi effetti.

Si evidenzia, ad ogni buon conto, che nell’eventuale procedimento di merito, qualora l’azione fosse ancora esperibile, il contraddittorio dovrà essere necessariamente integrato con la chiamata in causa di tutte le parti della fase cautelare che ne abbiano ancora interesse e la relativa competenza sarà del Tribunale adito ai fini dell’azione cautelare già espletata
Tutti gli altri quesiti sono da ritenersi assorbiti.


Sebastiano C. chiede
lunedì 20/02/2017 - Campania
“FATTO
Nel 1988 il sottoscritto vende un suolo edificatorio al una Società. Nell’atto di compravendita il venditore pone una clausola contrattuale con la quale la Società acquirente si obbliga a lasciare nella parte marginale del suolo compravenduto una striscia di terreno, su cui la società acquirente si obbliga a realizzare una strada che rimarrà di proprietà della società e dei suoi aventi causa ma con servitù di passaggio con ogni mezzo della larghezza di mt. 8 a favore della proprietà a monte appartenente allo stesso venditore. La società acquirente nel rispetto della clausola contrattuale realizza la strada la cui carreggiata non risulta essere di mt. 8 ma risulta essere di mt. 7 in quanto realizza su uno dei lati un marciapiede. La società acquirente costruisce un edificio destinato ad uffici e attività commerciali, All’atto della vendita delle singole unità immobiliari la Società acquirente costituisce il condominio.
La strada pertanto viene realizzata e messa nella disponibilità d’uso del sottoscritto per raggiungere con ogni mezzo la proprietà a monte costituita da una azienda agricola che per il suo funzionamento necessita di una strada su cui possano transitare anche grossi mezzi come autocarri, macchine agricole etc. – Detto utilizzo dura per molti anni fino a quando da circa sette/otto mesi sono aumentate le esigenze di parcheggio degli utenti dell’edificio,il cui condominio è proprietario della strada. Ecco che la carreggiata della strada viene utilizzata da costoro per parcheggiare le proprie auto, non essendo più sufficienti le aree di parcheggio in dotazione all’edificio.
La sosta avvviene sui due lati della strada. La parte di carreggiata libera consente a mala pena il transito di una autovettura in un solo senso. Ma vi è di più, alla fine della strada di proprietà del condominio vi è una catena, oltre la quale vi è il cancello di accesso alla proprietà a monte, costituita dall’azienda agricola del sottoscritto. Detta catena costituisce la delimitazione tra la strada condominiale e la proprietà del sottoscritto. Ebbene davanti la catena sull’intera carreggiata della strada vengono parcheggiate altre tre auto con l’occlusione totale della strada. Forse con qualche disagio vi è la possibilità di raggiungere a piedi la proprietà del sottoscritto.
Più volte si è cercato di risolvere bonariamente la controversia con il condominio senza ottenere alcun risultato.
Il sottoscritto, leso nel diritto sancito nell’atto pubblico di compravendita del suolo, al fine anche di non continuare nella impossibilità di gestire l’azienda agricola ha ritenuto non ulteriormente differibile chiamare in causa il condominio con ricorso ex art. 700.
In maniera riteniamo inaudita e nonostante tutte le prove documentali e la richiesta di mezzi istruttori non concessi dopo la prima udienza il giudice rigetta il ricorso con la motivazione dell’assenza nel caso che riguarda del presupposto essenziale per la proposizione del ricorso ex art. 700del “periculum in mora”.
Il giudice pur riconoscendo il diritto di passaggio a nostro favore, tra l’altro diritto riconosciuto dallo stesso Condominio con regolare delibera condominiale, non riconosce l’esistenza del presupposto del “periculum in mora” nella vicenda che ci riguarda ed in particolare nell’impossibilità di potere condurre e gestire l’azienda agricola, costituita da ben 26 Ha pari a 260.000 mq . In effetti per questo giudicante la lesione del diritto di passaggio con tutte le conseguenze negative che ne derivano per la conduzione e gestione dell’azienda agricola non costituisce il “periculum in mora” richiesto dal cod. civ. per la proposizione del ricorso ex art. 700.
Inoltre con una contraddizione in termini compensa le spese di giudizio.
Il provvedimento del Giudice ci appare fuorviante ed assurdo
Chiediamo di sapere se ci sono possibilità e presupposti fondati per la proposizione di un ricorso in camera di consiglio contro un siffatto provvedimento giudiziale, secondo il quale per esercitare il nostro diritto di libero passaggio sulla carreggiata con ogni mezzo e potere conseguentemente condurre l’azienda agricola, costituita da ben 26 Ha dovremmo attendere l’esito di un giudizio ordinario.”
Consulenza legale i 24/02/2017
Purtroppo va detto che il provvedimento in questione è logicamente e giuridicamente fondato ed argomentato e si ritiene del tutto sconsigliabile il reclamo.

Risulta, in effetti, alquanto singolare la scelta di ricorrere ad un procedimento d’urgenza in presenza di una situazione come quella descritta la quale, se è pacifico che si sostanzia nella lesione evidente di un diritto, in ogni caso non assume caratteri tali da giustificare un provvedimento di natura cautelare ed urgente.
La spiegazione si trova nella ratio, ovvero nei sostanziali significato e funzione, che la giurisprudenza ha attribuito al provvedimento d’urgenza in commento.

I presupposti, come noto, sono l’irreparabilità del pregiudizio e l’imminenza del medesimo.
Sul primo, è ormai pacifico che – ai fini della tutela d’urgenza - deve sussistere una situazione:
a) alla quale non può essere posto rimedio attraverso gli altri, ordinari, strumenti processuali e risarcitori;
b) che a causa delle more di un procedimento ordinario può subire un pregiudizio non più reversibile;
c) che, attraverso il ricorso agli ordinari rimedi, può portare al soggetto istante una soddisfazione in termini risarcitori del tutto insufficiente rispetto a quella che è la portata del danno subìto.
Afferma in proposito la giurisprudenza: “L’irreparabilità del pregiudizio che giustifica l’accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., va intesa non solo nel senso di irreversibilità del danno alla situazione soggettiva di cui si invoca la cautela, ma anche come insuscettibilità di tutela piena ed effettiva della situazione medesima all’esito del giudizio di merito, fattispecie che ricorre ove l’istante abbia a disposizione strumenti risarcitori per la riparazione del pregiudizio sofferto ma gli stessi non appaiano in grado di assicurare una tutela satisfattoria completa, con conseguente determinarsi di uno “scarto intollerabile” tra danno subito e danno risarcito.” (Tribunale Lecce, 08/01/2013; conforme Trib. Bari, sez. I, 30 giugno 2009).

Sotto questo profilo è importante operare un distinguo a seconda della natura dei diritti lesi per i quali si chiede la riparazione, come correttamente fatto anche dal Giudice nelle motivazioni del provvedimento reso all’esito del giudizio in esame.
Se non c’è alcun dubbio sull’irreparabilità di una lesione a diritti di natura “assoluta” (diritto alla salute, diritto al nome, all’integrità fisica, ecc,), qualche problema in più si configura per i diritti di natura “relativa”, come i diritti di credito (quelli, cioè, che possono essere fatti valere solo nei confronti di uno o più soggetti determinati: è il caso della servitù di cui alla fattispecie in esame).

Secondo i giudici la tutela cautelare in via d’urgenza può essere ammessa per un diritto di credito solo a condizione che essa sia volta a salvaguardare non il diritto di credito in quanto tale, bensì situazioni giuridiche soggettive non patrimoniali — di cui il ricorrente deve fornire la prova — a tale diritto indissolubilmente ed immediatamente correlate, le quali potrebbero essere pregiudicate definitivamente dal ritardo nella soddisfazione del diritto di credito.
Sono quindi tutelabili in via d’urgenza unicamente i diritti a contenuto patrimoniale e funzione non patrimoniale, oppure anche i diritti a contenuto e funzione patrimoniali (come nel nostro caso), ma con eccessivo scarto tra danno subito e danno risarcito.

Non si ravvisa, tuttavia, nella fattispecie in esame, quest’ipotesi: infatti, il tempo di attesa della sentenza all’esito del giudizio ordinario non solo non impedirebbe – in generale - al titolare della servitù di ottenere tutela, ma neppure comporterebbe per il medesimo un pregiudizio in termini, ad esempio, di quantificazione del risarcimento.
E’ pur vero che il passaggio del tempo comporta sempre – specialmente quando si tratta, come nel caso di specie, di attività commerciali (azienda agricola) – un pregiudizio, ma si tratta del normale e usuale pregiudizio che ogni soggetto subisce quando è parte di un processo, dovendo comunque attenderne il compiuto svolgimento con la consapevolezza, però, che la durata del medesimo, qualora per lui dannosa sotto il profilo economico, troverà, in caso di vittoria, adeguata riparazione (ad esempio attraverso il riconoscimento di interessi di mora, nel caso del recupero di crediti).
Non è consentito, invece, utilizzare impropriamente lo strumento del ricorso d’urgenza per “aggirare” le fisiologiche o patologiche, ma inevitabili, lungaggini processuali.

Nel caso in esame, la soddisfazione, sia in termini di riconoscimento del diritto che in termini di adeguatezza del risarcimento, potrà tranquillamente essere garantita all’esito dell’ordinario giudizio di merito (anche se – lo si ribadisce – è evidente che sarebbe preferibile che la questione si risolvesse il prima possibile).

Per quanto concerne, invece, l’imminenza del pregiudizio, la giurisprudenza afferma: “Nel ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c., ai fini della sussistenza del “periculum in mora" l'imminenza del danno, più che a un criterio cronologico, deve essere parametrata alla possibilità di ravvisare elementi di fatto diretti già alla produzione del pregiudizio che deve essere iniziato o almeno direttamente ed univocamente preparato, così da poter ritenere in base ad una valutazione probabilistica che l'evento dannoso possa verificarsi in tempi brevi; ne consegue che è onere del ricorrente fornire la prova, sia pure in termini di probabilità e non di certezza, dell'imminenza del pregiudizio, da individuarsi non già in uno stato soggettivo di timore, ma in una situazione oggettiva, riscontrabile sulla base delle circostanze dedotte”. (Tribunale Trapani, sez. lav., 30/04/2011).
Come ben chiarito dalla pronuncia citata, innanzitutto il danno non deve essere solamente ipotizzato o temuto (dev’essere, quindi, probabile e non solo possibile in astratto), ma soprattutto ci devono essere (e ne va fornita la prova in giudizio) degli elementi di fatto che fanno ritenere o che sia già in atto oppure che si tratti di evento che si verificherà a breve.
Nel caso di specie, nulla di tutto ciò è presente con riferimento al lamentato possibile pregiudizio alla salute laddove si dovesse rendere necessario arrivare sulla proprietà del titolare della servitù con i mezzi di soccorso.
E’ ovvio che si tratta di un danno certamente possibile a livello astratto, ma non probabile (lo sarebbe se, ad esempio, una delle persone che abitano sulla proprietà del ricorrente soffrisse di una patologia ricorrente che possa richiedere urgentemente il trasporto in ospedale o che necessiti, con una certa frequenza, magari giornaliera, di terapie che debbano essere effettuate in struttura ospedaliera o privata per raggiungere la quale si rende necessario il trasporto con ambulanza), e certamente non già in atto.

La decisione, infine, del Giudice sulla compensazione delle spese non è affatto singolare ma anzi coerente con le norme in materia.
Non si deve porre l’attenzione, infatti, all’esito del giudizio (le spese, in effetti, normalmente seguono la soccombenza, per cui nel caso in esame avrebbero dovuto essere poste a carico del solo ricorrente), ma alla disciplina delle spese processuali, così come risulta da una serie di norme: articoli 88, 92 e 96 codice di procedura civile.
Emerge da queste ultime infatti, un principio secondo il quale il Giudice può utilizzare lo strumento della condanna alle spese anche con funzione “punitiva” nei confronti delle parti quando queste ultime abbiano tenuto in giudizio un atteggiamento di un certo tipo.
Nel caso che ci occupa, sicuramente il Giudice ha inteso, con la compensazione, penalizzare il condominio perché – nonostante l’iniziale disponibilità alla conciliazione dimostrata – ha poi mantenuto un atteggiamento opposto, di totale chiusura ad ogni possibilità di dialogo, atteggiamento che quasi sempre i Giudici non gradiscono e non premiano.

Luciana C. chiede
sabato 18/07/2015 - Sicilia
“Nell’anno 2000 ho acquistato un immobile su più livelli. Dopo qualche anno si sono manifestate fessurazioni alle pareti alle mattonelle dei pavimenti, in tutto l’immobile. Nel 2007 iniziai una causa civile. In occasione dei vari accessi effettuati dal C.T.U. e a seguito di carotaggi sul terreno di fondazione, dallo stesso richiesti al giudice comparente del caso, si è accertato che la platea dell’edificio poggia su terreno argilloso (argille gialle) mentre alla profondità di circa sette metri si riscontrano argille azzurre molto dure. Non essendo stata eseguita alcuna palificazione, è stato quindi accertato che l’immobile è stato realizzato su un terreno non idoneo allo scopo. Inoltre, poiché il terreno in origine era in declivio rispetto al piano stradale, il costruttore, prima dell’inizio dei lavori, ha fatto eseguire il livellamento del terreno mediante materiale di riporto fino alla quota di imposta della fondazione. A seguito dei suddetti carotaggi sé accertato che il materiale di riporto utilizzato non era assolutamente idoneo allo scopo e che lo stesso è stato in parte dilavato dalle piogge. E’ stato pertanto accertato che la causa dei danni lamentati è da attribuirsi al fatto che parte della platea è rimasta priva del necessario appoggio.

A tutt’oggi la causa è ancora in corso.

Tempo fa, a seguito di una verifica catastale sui beni del costruttore, ho potuto riscontrare che lo stesso ha venduto due terreni, alienando così parte del proprio patrimonio. Il mio legale, informato del fatto, ha presentato istanza al tribunale per l’emissione di un provvedimento d’urgenza al fine di ottenere il sequestro conservativo, atto a cautelarmi sino alla definizione della causa. Sono già passati diversi mesi, ma, tramite il mio legale, ho appreso che il Giudice non ha ancora dato alcun riscontro all’istanza presentata.

Desidero sapere se, per i provvedimenti d’urgenza, la legge fissa un termine entro cui il Giudice deve accogliere o rigettare l’istanza.

Grata per un pronto riscontro porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 23/07/2015
Il procedimento cautelare avente ad oggetto la richiesta di un sequestro conservativo, in questo caso chiesto in corso di causa, è regolato dagli artt. 669 bis ss. c.p.c.
Il procedimento è descritto all'art. 669 sexies del c.p.c., il quale si limita a dire che "Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda".
Non è previsto alcun termine per l'emissione dell'ordinanza.
Ci si può comunque rifare a quanto previsto nel processo ordinario di cognizione, in merito al quale il codice di rito contempla un termine di 60 giorni dalla scadenza del termine di deposito delle memorie conclusionali per il deposito della sentenza in cancelleria.

Come noto a chi frequenta le aule di giustizia italiane, tale termine - in alcuni tribunali più che in altri - viene sistematicamente superato. Si tratta, infatti, di termine ordinatorio, la cui inosservanza non produce decadenze o invalidità della procedura.
In media, comunque, le decisioni vengono emanate in circa due o tre mesi.

Nella prassi, oltre all'eventuale negligenza del singolo magistrato, molte sono le circostanze che possono "bloccare" l'iter: si pensi al frequentissimo caso in cui il ruolo di un giudice viene congelato a causa del suo trasferimento.

Insomma: purtroppo, non è possibile affermare con certezza che il giudice è "in ritardo" se non emette il provvedimento entro un certo termine (né nel processo cautelare, né in quello ordinario di cognizione). Né lo si può "obbligare" a decidere: casomai, si può depositare una istanza che solleciti la decisione, motivando la richiesta con ragioni di urgenza, che certamente sussistono nel caso di un procedimento di sequestro conservativo.

I continui ritardi nel deposito dei provvedimenti da parte del magistrato potranno rilevare, al più, in ambito disciplinare: secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, i ritardi superiori ai 12 mesi sono ingiustificabili, poiché vanno al di là della normale ragionevolezza, a meno che sussistano circostanze eccezionali e imprevedibili, da verificare caso per caso (Cass., SS.UU., 13.9.2011 n. 18697). In questi casi, il magistrato dovrà quindi essere sanzionato disciplinarmente.

ROSA C. chiede
martedì 26/05/2015 - Sicilia
“Buongiorno. Il mio quesito è il seguente: ho proposto tramite il mio legale ricorso ex art. 700 cpc, che non è stato accolto dal giudice del lavoro. Propongo quindi reclamo ex art. 669 terdecies avverso l'ordinanza negativa del giudice del lavoro. Il reclamo viene accolto totalmente e il collegio ordina la mia reintegrazione nel posto di lavoro con condanna alle spese nei confronti dell'ente datore di lavoro contro il quale avevo presentato reclamo.Mi chiedo: devo obbligatoriamente iniziare il giudizio di merito entro 60 giorni ?”
Consulenza legale i 03/06/2015
La legge del 14.5.2005 n. 80, di conversione del D.L. 14.3.2005 n. 35, che ha parzialmente riformato il processo civile, ha modificato l'art. 669 octies c.p.c., sostituendo al rapporto di necessaria strumentalità tra il giudizio cautelare antecedente alla causa e quello di merito successivo, un rapporto di c.d. strumentalità "attenuata": quindi, i provvedimenti d'urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c., idonei ad anticipare gli effetti del giudizio di merito, continuano ad essere efficaci anche se emanati ante causam e a prescindere dall'instaurazione, entro un certo termine, del giudizio di merito.
In tal senso si deve leggere il sesto comma del citato art. 669 octies: "Le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell'articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell'articolo 688, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito".
Il nuovo settimo comma del medesimo articolo, come modificato dalla novella del 2009, prescrive di conseguenza che il giudice debba pronunciarsi sulle spese del procedimento cautelare quando autorizza una misura cautelare di tipo anticipatorio.

Pertanto, nel caso di specie, il lavoratore non è obbligato a iniziare il giudizio di merito (sempre che il procedimento cautelare, come si immagina, sia iniziato dopo l'entrata in vigore della riforma del 2005, cioè dopo il 1.3.2006).
Tuttavia, il datore di lavoro può intraprendere la causa ordinaria per ottenere una sentenza di merito che superi la decisione emessa nel giudizio cautelare.

Guglielmo chiede
venerdì 15/05/2015 - Veneto
“Oggetto art. 700 cpc
Buon giorno. Faccio seguito al mio quesito del 27/05/2015 n. 12933 inerente l’art. 297 CPC.

Viste le lungaggini del processo (1°-2°- 3° grado ), i pericoli insiti nel non detenere l’immobile ( ess occupazioni di altri prima della fine del processo, vendita fasulla, ecc )
Domande:
1) - è applicabile nella fattispecie, l’art. 700 cpc e quali motivazioni possono essere adottate per l’applicazione di tale articolo, nel confronto di tutti gli occupanti (quella con cui vi è la causa sospesa TIZIA e i suoi parenti - figlia nipote non chiamati in causa)?
2) - Tale procedimento è sufficiente per l’azzeramento dei termini di usucapione ?
3) - Il provvedimento può sfocia con l’espulsione dei occupanti l’immobile ?
4) - Di seguito a questo, in caso favorevole, visto la distanza e l’impossibilità di gestire l’immobile indi i pericoli connessi, è possibile vendere l’immobile ?
5) - Quali conseguenze potremmo subire noi e il compratore, in caso di vendita dell’immobile e di vittoria delle controparti ?
7) -Le parti occupanti in seguito a questo che tempi hanno per ricorrere aprendo il processo ordinario ?
8) - Quale altro provvedimento potrebbe adottare il giudice per garantire tutte le parti ?
9) - E’ possibile in modo preventivo, in caso le parti vogliano proseguire il processo, chiedere il bloccò di 1/5 della pensione o dello stipendio, considerando i danni derivanti dalla occupazione dell’immobile su cui si discuterebbe nel processo ordinario ?
10) - Qualche consiglio su come procedere e/o applicare diverse disposizioni del CPC - CC ?
11) - Essendo personalmente sempre disponibile a una transazione, che non sia un capestro, dopo aver intrapreso una o l’altra strada ( processo orinario e/ o art. 700 cpc ) potrebbe essere riconosciuta alla controparte l’avvenuta usucapione in cambio di una determinata cifra ritirandosi dal processo ?
12) - Sarebbe sufficiente questo alla controparte per garantire il diritto di proprietà ?
Cortesi saluti”
Consulenza legale i 19/05/2015
Poiché il quesito è molto complesso ed articolato, si procede alla risposta relativa alle sole problematiche principali.

1-2-3-7)
Ci viene chiesto se sia possibile ottenere lo sgombero degli occupanti con azione cautelare urgente ai sensi dell'art. 700 c.p.c.
In linea generale, una azione di tale tipo è concessa, con la finalità di ottenere la liberazione di un immobile: tuttavia, trattandosi di azione residuale per legge, essa può applicarsi laddove il proprietario dell'immobile agisca per evitare il pregiudizio che deriverebbe dal tempo occorrente per far valere le sue ragioni in via ordinaria, ma solo se si verta in tema del diritto di proprietà sul bene, e non si rientri nell'ambito delle azioni possessorie. Bisogna capire a che titolo chi risiede nell'immobile ritiene di avere diritto a rimanervi e se il proprietario vuole ottenere una pronuncia che lo dichiari tale o vuole solo che siano cessate le turbative al suo possesso (in questo caso deve agire con azione possessoria, v. art. 703 c.p.c.). Ci sembra che sia Tizia - in modo chiaro - sia i suoi parenti, vantino una usucapione del bene.

La risposta va comunque distinta tra Tizia e i suoi parenti.
Per quanto riguarda Tizia, poiché il procedimento che la vede protagonista è ancora pendente, un eventuale giudizio ex art. 700 c.p.c., che si pone in rapporto di strumentalità con il giudizio di merito, dovrebbe essere proposto - sempre che Tizia proceda alla riassunzione - dinnanzi al tribunale dove è stata da lei incardinata la causa di usucapione.
Invece, poiché contro i suoi parenti non esiste già una causa pendente, l'azione ex art. 700 andrà proposta al giudice che sarebbe competente per la causa di merito (art. 669 ter del c.p.c.).

La domanda ex art. 700 c.p.c., in quanto domanda cautelare, è idonea a interrompere l'altrui possesso ad usucapiendum ("Le azioni possessorie e quelle cautelari hanno efficacia interruttiva della durata dell'altrui possesso ad usucapiendum, anche nel caso di rigetto delle domande, quando siano proposte nella qualità di titolare di un diritto contrapposto ed incompatibile con la situazione possessoria dell'usucapiente", Cass. civ., 15.5.1992, n. 5801).

Chi risulta soccombente in un giudizio cautelare d'urgenza (i parenti di Tizia) potrà proporre in qualsiasi momento successivo la domanda di merito (si suppone, in questo caso, per ottenere l'usucapione dell'immobile). L'art. 669 octies del c.p.c. è stato infatti riformato, e non prevede più l'obbligo di iniziare la causa di merito entro il termine fissato dal giudice nell'ordinanza di accoglimento o comunque entro 60 giorni, pena la perdita di efficacia del provvedimento cautelare.

4-5)
La vendita di un immobile su cui pende un giudizio di usucapione è sempre rischiosa.

Il venditore garantisce per legge all'acquirente la proprietà del bene compravenduto (garanzia in caso di evizione): se quest'ultimo subisce la perdita, totale o parziale, del bene, in forza del diritto preesistente di un terzo, egli ha diritto di chiedere al venditore il risarcimento del danno, a norma dell'art. 1479 (art. 1483 del c.c.).
Quindi, si profila concretamente il rischio che anche l'acquirente si veda convenire in giudizio dagli usucapenti e che possa quindi attivare la garanzia nei confronti del venditore.
Certamente, prima di pensare alla vendita, sarebbe quindi preferibile che venisse chiarita la reale titolarità dell'immobile. Tuttavia, si possono trovare soluzioni intermedie con l'acquirente, come la stipula di un contratto preliminare con immissione immediata nel possesso, in attesa del contratto definitivo, la cui firma può essere legata all'esito del giudizio di usucapione.
Va ricordato, peraltro, che la materia dei diritti reali rientra tra quelle per le quali il legislatore ha previsto la necessità di avviare il procedimento di Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali (v. art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010).

9)
La soluzione prospettata non appare fattibile. Si dovrebbe piuttosto chiedere un sequestro giudiziario dell'immobile oggetto di causa ai sensi dell'art. 670 del c.p.c. ("Il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea"), se il proprietario ritiene che esista il pericolo che il bene subisca deterioramenti o alterazioni nel corso dello svolgimento del processo.

11-12)
Quando le parti trovano un accordo, tutto è possibile. La rinuncia a far valere il diritto di proprietà riconoscendo l'usucapione altrui è una facoltà del proprietario.
Si consideri inoltre che ora l'usucapione può sancirsi anche in un verbale di conciliazione davanti al mediatore civile, senza dover entrare nelle aule di tribunale: il verbale positivo che verrà siglato, grazie alla modifica introdotta dal legislatore nell'art. 2643 c.c., consentirà al nuovo titolare in via originaria di chiedere validamente la trascrizione dell'accordo, divenendo a tutti gli effetti proprietario del bene.

Una alternativa è quella di accordarsi con i presunti usucapenti per una regolare vendita dell'immobile, il cui prezzo sia stabilito tenendo conto delle cause esistenti. Si dovrà in questo caso siglare una transazione che chiuda definitivamente ogni controversia, con rinuncia reciproca alla prosecuzione delle domande giudiziali.

Teresa D. chiede
domenica 26/10/2014 - Lazio
“Vorrei conoscere la relazione fra l'art.669/700 cpc (procedimento cautelare) e l'art. 283 cpc (sospensione degli effetti della sentenza). Al proposito pongo il seguente quesito. Durante il processo di appello, la parte soccombente in primo grado ottiene la sospensiva della sentenza dopo circa un anno dal deposito della stessa. La parte vittoriosa, prima del provvedimento di sospensione, esegue la sentenza per una parte di essa. Se, successivamente, la parte soccombente propone ricorso ex art.670 cpc ovvero art.700 cpc, l'eventuale accoglimento del ricorso cautelare investe la parte di patrimonio già in possesso della parte vittoriosa in primo grado ovvero il ricorso cautelare per la parte di sentenza già eseguita è da considerarsi tardivo e sarà oggetto solo della decisione in grado di appello? grazie”
Consulenza legale i 01/11/2014
Per rispondere al quesito proposto si devono innanzitutto analizzare brevemente i due istituti richiamati.

Il sequestro giudiziario (art. 670 del c.p.c.) è lo strumento con cui si intende assicurare in via preventiva e cautelare, l'eseguibilità del futuro provvedimento di merito, togliendo dalla disponibilità del debitore una serie di beni, elencati dal codice di rito.
L'art. 700 del c.p.c. prevede sempre un procedimento cautelare, volto ad ottenere dei provvedimenti di urgenza con carattere anticipatorio rispetto all'esito della causa di merito, che può essere esperito in via sussidiaria, cioè in mancanza di un rimedio cautelare tipico.

I due istituti sono accomunati dal fatto che si ritiene generalmente non possano avere ad oggetto somme di denaro (obbligazioni pecuniarie).
Per quanto concerne il sequestro giudiziario, si può citare una sentenza molto chiara del Tribunale di Rossano, 15 febbraio 2013: "Lo strumento del sequestro giudiziario, ai sensi dell'art. 670, n. 1, c.p.c., [...] può essere autorizzato solo nella misura in cui ha ad oggetto beni infungibili e non crediti o somme di denaro e, dunque, non può avere ad oggetto una ragione di credito su somme di danaro, non essendo configurabile, in linea generale, rispetto ai diritti di credito una controversia sulla proprietà o sul possesso, e non essendovi ragione di prevedere una loro custodia o gestione temporanea, o di garantire una successiva esecuzione specifica per consegna".
Quanto al ricorso ex art. 700, se ne esclude generalmente la applicabilità ai diritti di credito in quanto, in relazione a tali diritti, la durata del processo non potrebbe mai, per definizione, comprometterne il godimento (al più, sono tutelabili con questa azione i diritti di credito legati a diritti soggettivi non patrimoniali, come i crediti da lavoro dipendente).

Ciò premesso, appare chiaro che i due strumenti sopra indicati non potranno essere utilizzati per chiedere la tutela cautelare in ordine al denaro contante facente parte della massa ereditaria.

Si può, casomai, ipotizzare un sequestro conservativo ex art. 671 del c.p.c..
Questo strumento approntato dall'ordinamento ha lo scopo di tutelare in via cautelare proprio i diritti di credito, sottraendo alla libera disponibilità del debitore beni mobili e immobili: è la tipica forma in cui si attua la garanzia patrimoniale del debitore su tutto il suo patrimonio. Nel concreto, con il sequestro conservativo si rendono inefficaci nei confronti del creditore sequestrante gli atti di disposizione del bene compiuti dal debitore, il quale non può far fuoriuscire cose dal suo patrimonio.

Ci si deve chiedere, ora, se sia ammissibile un ricorso per sequestro conservativo a questo punto del processo (appello pendente, accolta richiesta di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado). Prima di tutto va chiarito che il sequestro può essere chiesto anche in grado di appello (lo si evince dal secondo comma dell'art. 669 terdecies del c.p.c.): ma è questo lo strumento giusto?

Nel nostro caso, si è verificata una situazione particolare, in quanto la parte soccombente in primo grado ha ottenuto la sospensione dell'esecutività della sentenza, ma poiché questa decisione è arrivata molto tardi (un anno dopo) si è già esaurita una procedura esecutiva esperita dalla parte vittoriosa.
Per la sua natura, la decisione relativa alla sospensione dovrebbe avvenire in tempi brevi, proprio per evitare che vengano portate a compimento esecuzioni basate su titoli provvisoriamente esecutivi. Nella stragrande maggioranza dei casi, avviene che la sospensione della esecutività del titolo esecutivo giudiziale provvisorio porti alla sospensione, ai sensi dell'art. 623 del c.p.c., del processo esecutivo iniziato sulla base di detto titolo ed ancora in corso (v. ex multis Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2013 n. 14048). Qui, invece, non v'è nulla da sospendere.
Ci si deve quindi rifare ai principi generali del processo civile, secondo i quali l'ordinanza di inibitoria della esecutorietà ha natura solamente provvisoria, poiché non pone in discussione il fondamento di legittimità della sentenza. Da ciò si deduce che l'ordinanza di sospensione che intervenga a esecuzione ultimata non abbia efficacia rispetto a tale processo esecutivo: nel nostro caso, chi ha ottenuto il denaro mediante espropriazione, non dovrà restituirlo solo perché è intervenuta l'ordinanza di sospensione, ma si dovrà attendere l'esito del giudizio di appello per sapere se tale somma era davvero dovuta alla parte vittoriosa in primo grado.
L'ordinanza di sospensione rimarrebbe efficace solo per la parte di sentenza non già eseguita.

Ciò specificato, si ritiene che non vi sia per la parte soccombente la possibilità di presentare alcuna ulteriore istanza cautelare durante l'appello (la richiesta di sospensiva era già un'istanza cautelare).
Si richiama in tal senso una decisione della Corte di cassazione in cui il giudice di legittimità stabilisce: "Con riguardo a sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva, di pagamento di una somma di denaro, la parte condannata non può essere autorizzata al sequestro conservavivo di quella somma [...] deducendo l'inesistenza del suo debito e quindi il credito alla restituzione di quanto deve pagare, atteso che l'accertamento a cognizione piena, ancorché non definitivo, contenuto nella sentenza esclude la sussistenza del fumus boni iuris necessario per la concessione della misura cautelare, restando esperibile per la parte soccombente ... soltanto la richiesta al giudice di appello di sospensione o revoca della clausola di provvisoria esecuzione ex art. 351 c.p.c." (Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1988, n. 4293)

Quindi, applicando i principi sopra enuciati, è possibile sostenere che la parte vittoriosa possa trattenere il denaro riscosso fino a che non vi sia una decisione definitiva di appello che riformi a suo sfavore la sentenza di primo grado.

Albino chiede
giovedì 14/07/2011 - Puglia

Per ingiusto licenziamento si può ricorrere all'art. 700 c.p.c. dopo sette mesi dalla fine del rapporto di lavoro?”

Consulenza legale i 22/07/2011

È ammesso la richiesta di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. in materia di licenziamento. Il contenuto del provvedimento che si domanda può consistere nella richiesta di una reintegrazione nel posto di lavoro, però come noto vanno ben argomentati il periculum in mora e il fumus boni juris, per cui si consiglia di agire a stretto giro, onde non frustare la componente di urgenza a cui il provvedimento è condizionato.


Giovanni chiede
giovedì 23/06/2011 - Veneto

“Se, una volta accolto il mio ricorso ex art. 700 c.p.c., controparte si ostina a non eseguire l'ordine del giudice (nel caso specifico di ripristinare un impianto elettrico condominiale alla situazione precedente una sua dolosa manomissione), nonostante due successivi solleciti inviategli mediante il mio legale, posso querelarlo ex art 650 c.p. o comunque 388 c.p.? O devo aggrapparmi a qualche altro rimedio per veder punita l'inerzia di controparte? Grazie”

Consulenza legale i 23/06/2011

Si riporta la seguente pronuncia secondo cui “il beneficiario di un provvedimento d’urgenza può, in via alternativa, seguire l’esecuzione sotto la direzione del giudice che ha emesso la tutela atipica fondandosi sull’ordinanza che ha disposto la cautela (esecuzione diretta) o ricorrere alle forme di esecuzione ordinaria ex art. 612 del c.p.c.. Non costituisce vizio di tale esecuzione in via diretta del provvedimento ex art. 700 del c.p.c., la mancanza della notifica del titolo in forma esecutiva da parte dell’ interessato all’esecuzione e la mancata notifica del precetto, essendo, gli adempimenti in questione, tipici dell’esecuzione ordinaria ex art. 612 del c.p.c. (cfr. Cass. 1994 n. 5667; 1996 n. 80; 1996 n. 8221 e Tribunale di Caltanissetta, sentenza n. 509 del 20.10.2003). Tale indirizzo interpretativo risponde quindi, all’esigenza di assicurare a chi ha agito in via d’urgenza una forma di esecuzione che ha, da un lato, il pregio dell’immediatezza riconducibile alla eseguibilità diretta in relazione alla sola emissione del titolo giurisdizionale (in specie provvedimento ex art 700 cpc) senza, dunque la necessità di fare ricorso alle forme dell’esecuzione ordinaria (apposizione della formula esecutiva, deposito del titolo in forma esecutiva, notifica dello stesso e del precetto), dall’altro presenta il vantaggio di poter eseguire il provvedimento sotto la direzione del giudice che lo ha adottato, giudice che, nel corso dell’esecuzione diretta, appositamente adito con un incidente ex art. 669 duodecies del c.p.c., potrà adottare i provvedimenti in grado di assicurare un’esecuzione in accordo con la situazione riscontrata e con il fine specifico del provvedimento eseguendo.

Sul piano penale, non si sottacciono i diversi dubbi e contrasti giurisprudenziali che esistono riguardo all’applicabilità dell’art. 388 del c.p. vedi da ultimo la sentenza n. 36692 del 5.10.2007,nella quale la Cassazione Penale, Sezioni Unite ha infatti sancito il principio secondo il quale: “Il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall'art. 388 c.p., comma II, non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che la natura personale delle prestazioni imposte ovvero la natura interdittiva dello stesso provvedimento esigano per l’esecuzione il contributo dell’obbligato”.

Nel caso di specie, si consiglia di avvalersi delle sanzioni di carattere civilistico appositamente predisposte contro la semplice inattività perseguita dalla legge.


M. D. N. A. chiede
giovedì 02/11/2023
“Io vivo a Miami, USA e dovevo partire ieri però sono ancora qua a Genova che penso cosa posso fare con un box dove uno che ha una Punto ha chiesto alla signora che fa pulizia a casa di mio padre se lo vendeva io ho chiesto una cifra, molto bassa per ignoranza del mercato, senza sapere che costava il doppio almeno. Non è finalmente successo niente, meno male non ha mai pagato neanche una caparra, io non ho mai fatto la
procura, non lo conosco in persona nemmeno, mai visto! Però la signora che parlava con lui ha dato sia le chiavi che un telecomando e lui ha messo dentro delle sue cose senza la mia autorizzazione e entra e esce come vuole. Io non ho potuto usare il mio box perché non so se sia sicuro mettere sia la macchina che le mie cose lì con uno che ha copia delle mie chiavi senza autorizzazione e dice che le cose non le porta via … non so cosa fare.

Mio zio mi dice di andare dai carabinieri prima di partire e chiedere aiuto e dire che è colpa di Gianna, questa signora che aiutava mio padre a casa, e la promotrice di questa invasione no autorizzata perciò arbitraria della nostra proprietà privata. Io la ho già licenziata ….

Cosa pensa lei?”
Consulenza legale i 13/11/2023
La situazione descritta nel quesito non è di facile soluzione perché non si è a conoscenza di tutti i dettagli della vicenda.
Inoltre, proporre un’azione giudiziaria ordinaria non servirebbe a garantire una rapida tutela per il proprietario.
È necessario, quindi, valutare l’opportunità dell’introduzione di un’azione possessoria o un’azione cautelare, caratterizzate da una maggiore celerità e da una procedura più snella.

Come azione possessoria potrebbe essere percorribile quella di manutenzione del possesso ai sensi dell’art. 1170 c.c.
Questa azione ha l’obiettivo di ottenere la tutela del possesso del proprio diritto reale su un bene immobile quando si ha subito una molestia.
È necessario però proporre l’azione entro un anno dall’inizio della turbativa.
Non sapendo quando l’attuale occupante del box abbia ottenuto le chiavi da una terza persona e abbia iniziato ad occupare abusivamente il box, si ritiene che sia necessario avere una prova certa di quando sia iniziata l’occupazione prima di introdurre questo tipo di azione.

Nell’incertezza del momento in cui sia iniziata l’occupazione o qualora sia già passato più di un anno, sembra che l’azione più efficace da intraprendere sia un procedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 c.p.c.
Il ricorso ex art. 700 c.p.c. ha la funzione di ottenere un provvedimento d’urgenza quando si ha la minaccia di un pregiudizio irreparabile e imminente e non ci sono altre azioni giudiziarie percorribili.

È necessario rivolgersi ad un legale che verificherà la sussistenza di tutti i presupposti e deciderà se intraprendere l’azione possessoria o l’azione cautelare su descritte.

Si evidenzia come questi interventi non servano a risolvere nell’immediato il problema, necessitando comunque di rivolgersi al giudice, sebbene con un procedimento più rapido rispetto all’ordinario.
Inoltre, una volta ottenuta una pronuncia favorevole al proprietario, se l’occupante non dovesse liberare il box spontaneamente, sarebbe necessario rivolgersi all’ufficiale giudiziario affinché metta in esecuzione il provvedimento del giudice.

È sicuramente utile anche rivolgersi alle forze dell’ordine e sporgere denuncia ai sensi dell’art. 633 del c.p..

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