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Articolo 88 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Dovere di lealtà e di probità

Dispositivo dell'art. 88 Codice di procedura civile

Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità [92, 116 2, 395 n. 1, 404] (1) (2) (3).

In caso di mancanza dei difensori a tale dovere, il giudice deve riferirne alle autorità che esercitano il potere disciplinare su di essi (4).

Note

(1) Secondo l'opinione prevalente in dottrina, i comportamenti sleali e disonesti consistono in una serie di attività rivolte non solo ad alterare la normale applicazione del principio del contraddittorio ed ottenere effetti vantaggiosi in conseguenza di un concorrente difetto di normale diligenza della controparte, ma anche in quelle consistenti in manovre scorrette con fini defatigatori e pretestuosi, le quali intralciano o semplicemente ritardardano il regolare svolgimento del processo.
Rientrano in tale categoria la sottrazione dal proprio fascicolo di un atto o documento, già acquisito al processo, che possa avvantaggiare la controparte; l'affermazione di fatti contrari al vero; la tardiva produzione di documenti, anche se autorizzata dal giudice; la sleale richiesta al giudice, da parte del difensore, di un rinvio affermando di essere già d'accordo con il difensore avversario, assente all'udienza.
(2) La violazione del dovere previsto dalla norma in esame comporta l'irrogazione di sanzioni disciplinari e processuali e ciò conferma la natura sia morale che giuridica di tale dovere.
Inoltre, il comportamento sleale assurge a motivo di applicazione di ulteriori norme: è consentito al giudice di desumere argomenti di prova dal contegno delle parti stesse nel processo (si cfr. l'art.116, II comma) o di esercitare un controllo sull'attività delle parti provvedendo affinché si abbia un procedimento leale (si cfr. l'art. 175). Si pensi, anche, ai casi di opposizione ad opera degli aventi causa o dei creditori di una delle parti alla sentenza, quando questa (sfavorevole al loro debitore o dante causa) sia stata pronunciata per effetto di dolo o collusione a loro danno (si cfr. l'art.404, II comma).
(3) La violazione di tale norma può integrare sia un motivo di impugnazione della sentenza sia un'ipotesi di responsabilità per danni nei confronti della parte o del difensore. La parte, infatti, può essere condannata, anche se non soccombe, al rimborso delle spese processuali che l'altrab parte abbia dovuto sostenere a causa del comportamento illecito (si cfr. l'art.92).
(4) In caso di violazione del dovere di lealtà e probità da parte del difensore, il giudice deve informare il Consiglio dell'ordine di appartenenza dell'avvocato che pone in essere tali comportamenti scorretti, il quale, verificata la sussistenza della trasgressione alle regole della deontologia professionale, deve applicare le relative sanzioni disciplinari. Non è necessaria l'istanza della parte, poiché il giudice agisce ex officio.
Inoltre, il giudice non è tenuto a verificare la slealtà del comportamento trattandosi di un accertamento di fatto; tuttavia, se decide di farlo, avrà l'obbligo di informare ufficialmente il Consiglio dell'Ordine.
Se, invece, le autorità professionali competenti ricevono notizie di tali trasgressioni da altre fonti, possono autonomamente dare impulso al procedimento disciplinare.

Ratio Legis

La norma in analisi indica, per parte della dottrina, un precetto di natura giuridica; diversamente, per altri autori, un dovere morale che impone alle parti di rispettare le "regole del gioco", ovvero di svolgere l'attività processuale a sostegno delle proprie ragioni senza utilizzare in modo distorto gli strumenti che l'ordinamento mette a disposizione delle parti.

Brocardi

Omnis, qui defenditur, boni viri arbitratu defendendus est

Spiegazione dell'art. 88 Codice di procedura civile

I doveri di lealtà e probità, a cui fa riferimento la norma, hanno natura sia giuridica che morale e si sostanziano nell'obbligo delle parti e dei loro difensori di astenersi dal compiere atti o fatti che possano comportare ritardo o intralcio alla causa, oppure costituire violazione del principio del contraddittorio.
Tale dovere lo si ritrova anche sancito all'art. 9 del nuovo codice deontologico forense, il quale fa proprio riferimento al dovere delle parti e dei difensori di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, imponendo nel contempo al giudice, ove il patrocinatore lo infranga, di riferirne all'autorità disciplinare.

Occorre precisare che la violazione dei doveri di lealtà e probità va apprezzata unicamente nel contesto processuale, restando estranee circostanze che, pur se riconducibili ad un comportamento poco commendevole della parte, si siano esaurite esclusivamente in un contesto extraprocessuale.
Deve dunque considerarsi attività proibita, per violazione della norma in esame, tutto ciò che turba la piena e regolare applicazione del contraddittorio, come ad esempio, il portare a conoscenza del giudice elementi di prova o allegazioni giuridiche in condizioni tali che l'avversario non ne abbia notizia, o non l'abbia in tempo utile per rispondere, ovvero sottrarre dal proprio fascicolo un atto o un documento ormai acquisito al processo e che possa giovare all'avversario.

Non integrano, invece, comportamenti processuali delle parti contrari ai principi qui espressi né le prospettazioni di tesi giuridiche e le ricostruzioni di fatti riconosciute errate dal giudice, né quei comportamenti che possano far conseguire effetti vantaggiosi solo in conseguenza di un concorrente difetto di normale diligenza della controparte.

La mera violazione dell'obbligo di lealtà e probità previsto dall'art. 88 non costituisce dolo processuale revocatorio, il quale presuppone un'attività intenzionalmente fraudolenta, che si risolva in artifici o raggiri soggettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria, nonchè ad impedire al Giudice l'accertamento della verità, pregiudicando l'esito del processo.

L'articolo in esame contempla, nel suo secondo comma, la procedura da seguire nel caso in cui il difensore ponga in essere comportamenti sleali.
Si prevede, infatti, che il giudice ha l'obbligo di informarne il Consiglio dell'Ordine, il quale svolge la funzione di organo preposto all'esercizio del potere disciplinare.
Il Consiglio, verificato il comportamento sleale del difensore, applica la sanzione disciplinare del caso.
Tale procedura non esclude, né interferisce sulla potestà dei competenti organi professionali di promuovere autonomamente il procedimento disciplinare per detta inosservanza, ove ne ricevano notizia aliunde.
A tal proposito, è stato osservato che è anche possibile che sia una parte a sollecitare il giudice a riferire alle autorità competenti ad irrogare una eventuale sanzione disciplinare; tale sollecitazione, tuttavia, non concreta una domanda in senso tecnico processuale, alla quale corrisponda per il giudice un obbligo di provvedere ex art. 112 del c.p.c..
Va infine precisato che la violazione dell'art. 88 costituisce il presupposto per la pronuncia di responsabilità aggravata ex art. 96 del c.p.c. e per l'applicazione delle norme in materia di condanna alle spese.

Massime relative all'art. 88 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 38730/2021

L'apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all'oggetto della lite, nonché l'emanazione o meno dell'ordine di cancellazione delle medesime, a norma dell'art. 89 c.p.c., integrano esercizio di potere discrezionale non censurabile in sede di legittimità. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 14/03/2018).

Cass. civ. n. 26089/2019

In tema di plurime obbligazioni pecuniarie relative al medesimo rapporto di lavoro, a fronte di un unitario fatto illecito produttivo di danni, è configurabile un abusivo frazionamento della domanda, in contrasto con il generale dovere di correttezza e buona fede, qualora vi sia la proposizione di un'azione per il risarcimento dei danni non patrimoniali successivamente a quella per il risarcimento dei danni patrimoniali, salvo che risulti un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.

Cass. civ. n. 17019/2018

In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito produttivo di danni a cose e persone, non può frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per il risarcimento dei relativi danni, neppure mediante riserva di farne valere ulteriori e diversi in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto al generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale, salvo che risulti in capo all'attore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. (In applicazione di questo principio la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto illegittima la condotta processuale dell'attore il quale, dopo aver proposto una prima azione di risarcimento per i danni materiali subiti in occasione di un sinistro stradale, ne aveva proposta una seconda per quelli alla persona, nonostante che alla data dell'esercizio della prima azione l'intero panorama delle conseguenze dannose fosse pienamente emerso).

Cass. civ. n. 10090/2015

In tema di responsabilità disciplinare dell'avvocato, il dovere di probità, dignità e decoro, sancito dall'art. 6 del codice deontologico forense, ha riscontro nell'art. 88 cod. proc. civ., che non solo sancisce il dovere delle parti e dei difensori di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, ma impone al giudice, ove il patrocinatore lo infranga, di riferirne all'autorità disciplinare. (Nella specie, applicando l'enunciato principio, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la condanna disciplinare inflitta ad un avvocato che aveva notificato atti di precetto per somme già incassate dall'assistito).

Cass. civ. n. 3338/2012

Il dovere di lealtà e probità processuale, che grava sulle parti e sui loro difensori, a norma dell'art. 88, primo comma, cod. proc. civ., impone all'avvocato, cui sia stata sollecitata una presa di posizione su di un'istanza chiara e ben definita, non solo di rispondere, ma anche di esprimersi in maniera altrettanto comprensibile e, soprattutto, di attenersi ad una logica di tipo binario, che non ammette formule di dubbia lettura, né ipotesi terze fra l'affermazione e la negazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la dichiarazione di "rimettersi" alla decisione del giudice, formulata da un difensore in presenza di richiesta di sospensione del giudizio, ai seni dell'art. 279, quarto comma, cod. proc. civ., proveniente da altro procuratore, dovesse intendersi equivalente ad una adesione all'istanza, mostrando una sostanziale non avversità ad essa).

Cass. civ. n. 3487/2009

Il potere del giudice di merito di riferire alle autorità che esercitano il potere disciplinare sui difensori in caso di violazione del dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, ovvero di ordinare la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati davanti al giudice, costituisce un potere valutativo discrezionale volto alla tutela di interessi diversi da quelli oggetto di contesa tra le parti, ed il suo esercizio d'ufficio, presentando carattere ordinatorio e non decisorio, si sottrae all'obbligo di motivazione e non è sindacabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 6635/2007

In materia di spese processuali, al criterio della soccombenza può derogarsi solo quando la parte risultata vincitrice sia venuta meno ai doveri di lealtà e probità, imposti dall'art. 88 c.p.c. Tale violazione, inoltre, è rilevante unicamente nel contesto processuale, restando estranee circostanze che, sia pur riconducibili ad un comportamento commendevole della parte, si siano esaurite esclusivamente in un contesto extraprocessuale, le quali circostanze possono, al più, giustificare una compensazione delle spese (in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che, in controversia previdenziale, aveva condannato l'INPS al pagamento delle spese processuali, sul presupposto che l'ente previdenziale avesse concorso a dare origine alla controversia negando, in radice, la sussistenza di una inabilità temporanea assoluta conseguita ad infortunio sul lavoro e sostenendo questa tesi in giudizio).

Cass. civ. n. 11978/2003

In caso di inosservanza da parte dei difensori del dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, a norma dell'art. 88, secondo comma, c.p.c., il giudice ne riferisce alle autorità che esercitano il potere disciplinare su di esse, atteso che tale violazione può configurare, a loro carico, un'infrazione sanzionabile ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, nella L. 22 gennaio 1934, n. 36, ove il comportamento non sia conforme alla dignità e al decoro della professione (nella specie la S.C. ha ravvisato tale inosservanza nella sottoscrizione di un ricorso per cassazione da parte di due difensori privi dello ius postulandi, in quanto non iscritti nell'albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori, ed ha conseguentemente disposto la trasmissione, con separata ordinanza, della sentenza e del verbale dell'udienza di discussione al Consiglio nazionale forense ed al Procuratore generale presso la Corte di cassazione).

Cass. civ. n. 10247/1998

Il comportamento processuale delle parti contrario ai doveri di lealtà e probità non è integrato dalla semplice prospettazione di tesi giuridiche o da ricostruzioni di fatti riconosciute errate dal giudice, né, da comportamenti che possano conseguire effetti vantaggiosi solo in conseguenza di un concorrente difetto di normale diligenza della controparte.

Cass. civ. n. 3175/1995

La sentenza che, nell'accogliere integralmente la domanda proposta nei confronti dell'ente previdenziale ed avente ad oggetto il risarcimento del maggior danno subito a causa del ritardato pagamento di un credito concernente una prestazione previdenziale, disponga la compensazione delle spese di lite, non viola le disposizioni di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c., qualora lo stesso ricorrente abbia già ottenuto, in separato giudizio promosso nei confronti dello stesso ente, una sentenza di condanna generica alla corresponsione della suddetta prestazione, atteso che il suddetto comportamento processuale si pone in contrasto con la norma di cui all'art. 88 c.p.c., che prevede l'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza.

Cass. civ. n. 7447/1994

L'art. 416 c.p.c., nel prevedere per il convenuto — nel rito del lavoro — l'onere di prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, non sanziona l'inosservanza di tale onere con la previsione di una qualche forma di decadenza (a differenza che per le domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili di ufficio, nonché per l'indicazione dei mezzi di prova), né contiene ulteriori clausole o previsioni in base alle quali possa ritenersi che la contestazione generica di quei fatti, da parte del convenuto, esoneri l'attore, in ordine ai fatti costitutivi del diritto da lui azionato, dall'onere probatorio posto a suo carico dalla norma generale di cui all'art. 2697 c.c., né che esima il giudice dal verificare l'adempimento di quell'onere da parte dell'attore. Una generica contestazione non può, pertanto, equivalere ad una ammissione, da parte del convenuto, della sussistenza dei fatti affermati dall'attore, ma può eventualmente integrare violazione del dovere di lealtà processuale, sanzionabile ai sensi degli artt. 88 e 92 c.p.c., e comunque essere discrezionalmente valutata, attenendo al contegno della parte nel processo, come semplice argomento di prova, ai sensi del comma 2 dell'art. 116 c.p.c., e pertanto, in quanto tale, solo come elemento aggiuntivo e integrativo rispetto alle risultanze dei veri e propri mezzi di prova.

Cass. civ. n. 428/1991

L'esistenza di un precedente giudicato non può di per sé dar luogo a presunzione di malafede in relazione ad un successivo comportamento della parte che ad esso sia oggettivamente contrario e che si basi su tesi giuridiche non manifestamente pretestuose ed infondate, occorrendo per l'affermazione di tale stato soggettivo uno specifico accertamento, nell'osservanza dei rispettivi oneri di deduzione e di prova gravanti sulle parti secondo il principio che mentre la buonafede si presume la malafede dev'essere di volta in volta dimostrata. (Principio affermato in fattispecie in cui l'Inps, dopo un giudicato affermativo della natura industriale della casa di cura ai fini degli sgravi contributivi di cui all'art. 18 del D.L. 30 agosto 1968, n. 918, conv. con L. n. 1089 dello stesso anno, aveva ancora contestato l'applicabilità di tali sgravi in favore della stessa casa di cura).

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