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Articolo 44 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento

Dispositivo dell'art. 44 Legge fallimentare

Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori (1).

Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento (2).

Fermo quanto previsto dall'articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma (3).

Note

(1) Risultano irrilevanti sia l'idoneità dell'atto a ledere l'interesse dei creditori, sia la buona fede del terzo destinatario.
(2) Naturalmente, la norma fa riferimento solo ai pagamenti relativi a rapporti compresi nel fallimento. Il pagamento di stipendi, salari, pensioni, etc. è inefficace solo per gli importi che eccedono i limiti di quanto occorre per il mantenimento del fallito e della sua famiglia, secondo le indicazioni del giudice delegato.
(3) Comma aggiunto dal d.lgs. 5/2006.
La dottrina discute circa l'automaticità o meno dell'acquisto derivante dal compimento di atti inefficaci: secondo alcuni, sarebbe necessaria una previa valutazione di convenienza da parte degli organi della procedura.

Ratio Legis

L'articolo in commento stabilisce, come conseguenza del fatto che il fallito perde l'amministrazione e la disponibilità del suo patrimonio (art. 42 della l. fall.), che ogni atto da lui compiuto successivamente al fallimento sia potenzialmente lesivo degli interessi dei creditori e quindi inefficace.

Massime relative all'art. 44 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 1724/2015

In tema di fallimento, poiché la disposizione di cui all'art. 44, secondo comma, legge fall. deve essere coordinata con quelle contenute negli artt. 42, secondo comma, e 46, primo comma, n. 1, della stessa legge, il pagamento ricevuto dal fallito quale corrispettivo per un'attività svolta dopo la dichiarazione di fallimento può essere acquisito dalla procedura solo previa deduzione delle passività da lui incontrate per generare quel reddito e, comunque, quanto al residuo netto, solo dopo l'emanazione del decreto di cui all'art. 46 citato, con il quale il giudice delegato fissa i limiti entro i quali ciò che il fallito guadagna con la sua attività occorre al mantenimento suo e della famiglia.

Cass. civ. n. 7468/2011

Il contratto concluso per effetto di truffa, penalmente accertata, di uno dei contraenti in danno dell'altro è non già radicalmente nullo (ex art. 1418 c.c., in correlazione all'art. 640 c.p.), sebbene annullabile ai sensi dell'art. 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, neanche sotto il profilo dell'intensità, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così a viziarne il consenso. Pertanto, con riguardo alla vendita, il soggetto attivo che riceve la cosa col consenso sia pur viziato dell'avente diritto, ne diviene effettivo proprietario, con il connesso potere di trasferirne il dominio al terzo e con la conseguenza che, a sua volta, quest'ultimo ove acquisti in buona fede ed a titolo oneroso, resta al riparo degli effetti dell'azione di annullamento, da parte del "deceptus", ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1445 (in relazione agli artt. 2652, n. 6 e 2690 n. 3) c.c.

Cass. civ. n. 5994/2011

In tema di espropriazione forzata presso terzi, l'attuazione delle ordinanze di assegnazione del giudice dell'esecuzione si compie non al momento della loro emissione, bensì quando il terzo, debitore del debitore, effettua il pagamento nei confronti del creditore assegnatario; ne consegue che se sopraggiunga la dichiarazione di fallimento del debitore esecutato il terzo deve pagare quanto dovuto al curatore del fallimento, poiché il debitore, dopo tale dichiarazione, perde, ai sensi dell'art. 44 legge fall., il diritto di disporre del proprio patrimonio e non può effettuare alcun pagamento (anche non volontario), restando irrilevante che all'epoca della pronuncia delle predette ordinanze il creditore conoscesse o meno lo stato di insolvenza dell'esecutato.

Cass. civ. n. 5230/2011

In tema di efficacia della dichiarazione di fallimento sulla capacità patrimoniale del debitore, se è vero che compete al curatore la legittimazione alla restituzione di tutte le somme affluite sul conto del fallito ed ivi pervenute dopo la predetta sentenza ai sensi dell'art.44 legge fall., tale circostanza non instaura di per sè una preclusione normativa a che altro soggetto (nella specie, le Poste Italiane) provveda da detto conto (mediante emissione e consegna di assegni) al pagamento di terzi, in ragione di pregressi rapporti giuridici con il fallito; occorre invero stabilire se vi sia stata corretta effettuazione di tale pagamento, al fine di accertare un eventuale credito restitutorio del fallimento, previa identificazione del soggetto "solvens" ovvero del beneficiario del pagamento stesso, quale legittimato all'azione della curatela, tenuto conto che l'art. 42, primo comma, legge fall. si limita a sancire la perdita della capacità del fallito di disporre dei suoi beni dalla data del fallimento.

Cass. civ. n. 21251/2010

In sede di formazione dello stato passivo nel fallimento, il conflitto fra creditori anteriori, che concorrono, e creditori posteriori, che non partecipano, è regolato dal principio di cui all'art. 44 legge fall., derivandone la riserva dei beni del fallito a favore solo dei primi e la preclusione per i creditori posteriori della possibilità di affermare il proprio diritto al concorso; l'opponibilità ai creditori degli atti del fallito solo se compiuti prima della dichiarazione di fallimento, postula infatti che detti creditori, che sono terzi rispetto a tali atti, vantino una situazione di tutela in base ad un'altra norma, l'art. 52 legge fall., che va intesa come se dicesse che "apre il concorso dei creditori anteriori" sul patrimonio del fallito. Ne consegue che, in fase di verifica o di opposizione al medesimo stato passivo, la scrittura privata, allegata a documentazione di un credito, è soggetta, rispetto agli altri creditori, in qualità di terzi, alle regole dettate dall'art. 2704, primo comma, c.c., in tema di certezza e computabilità della data.

Cass. civ. n. 21246/2010

L'azione promossa dal curatore, ai sensi dell'art. 44, secondo comma, legge fall., volta ad ottenere la dichiarazione d'inefficacia del pagamento effettuato in favore del fallito dopo la dichiarazione del fallimento, ha natura del tutto autonoma rispetto all'azione causale che ha determinato il predetto pagamento. Ne consegue che la prescrizione dell'azione fallimentare non può essere soggetta alla prescrizione del rapporto causale, non potendo decorrere in un momento antecedente all' adempimento inefficace.

Cass. civ. n. 17310/2009

In caso di emissione di assegno circolare su richiesta di persona già dichiarata fallita, l'inefficacia di tale atto, al pari di quella degli atti che determinano la successiva circolazione del titolo di credito - se compiuti in pagamento di un credito o di un debito del fallito - può essere dichiarata, ai sensi dell'art. 44 legge fall., nei confronti di tutti i creditori, ma solo a seguito di azione promossa dal curatore fallimentare, trattandosi di inefficacia relativa; in difetto di detta azione del curatore, la banca non può sottrarsi al pagamento dell'assegno circolare, invocando l'inopponibilità alla procedura concorsuale dei trasferimenti per girata del titolo, poichè essa, quando emette un assegno circolare, adempie ad un'obbligazione di provvista nei confronti del richiedente e contestualmente assume, ex artt. 82 e 83 del R.D. n. 1736 del 1933, un'obbligazione cambiaria nei confronti di chiunque risulterà legittimo portatore del titolo, ma solo il primo atto è inefficace e sempre che ricorrano le citate condizioni.

Cass. civ. n. 18222/2008

Nel caso di fallimento del traente di una cambiale tratta, il trattario che al momento del fallimento non aveva ancora accettato il titolo non è liberato se lo paga nelle mani del prenditore, a nulla rilevando che abbia incolpevolmente ignorato il fallimento del traente. La dichiarazione di fallimento, infatti, produce i propri effetti "erga omnes" a prescindere dalla effettiva conoscenza che ne abbiano i terzi, e rispetto ad essa sono irrilevanti gli stati soggettivi di buona o mala fede. Ne consegue, da un lato, che il fallimento può pretendere dal trattario la restituzione degli importi pagati dopo il fallimento e, dall'altro, che il pagamento effettuato dal trattario al prenditore (o giratario) del titolo costituisce un indebito oggettivo, "ex" art. 2033 cod. civ..

Cass. civ. n. 17954/2008

In materia fallimentare, è ammissibile la compensazione legale fra il debito che la banca ha verso la curatela, conseguente ad un pagamento inefficace perché avvenuto dopo la dichiarazione di fallimento, ed il credito che la stessa vanta nei confronti della curatela, a fronte dell'accettazione da parte del curatore del pagamento di un credito del fallito, da questi ceduto alla banca in data anteriore al fallimento, pagamento ratificato ex art. 1188, secondo comma, c.c. ; si tratta, infatti, in entrambi i casi di crediti e di debiti verso la massa, poiché la banca, attraverso detta ratifica, ha liberato l'originario debitore ed ha acquisito il corrispondente credito, appunto, nei confronti della massa fallimentare.

Cass. civ. n. 19165/2007

In tema di pagamenti spettanti al fallito, l'inefficacia degli stessi, se effettuati dopo la dichiarazione di fallimento ed a soggetti diversi dalla curatela, è conseguenza automatica dell'indisponibilità del patrimonio del fallito, valevole erga omnes e senza rilevanza dello stato soggettivo del solvens. (Nella fattispecie, la S.C. ha affermato il principio in caso di pagamento a mani del mandatario della società fallita, dopo che il contratto di mandato si era sciolto, statuendo la non applicabilità della disciplina del pagamento al creditore apparente, dovendo escludersi oltretutto la buona fede del solvens dopo la avvenuta pubblicazione della sentenza di fallimento).

Cass. civ. n. 1544/2006

Poiché nel procedimento di espropriazione presso il terzo debitore l'effetto dell'ordinanza di assegnazione si configura come una cessione pro solvendo o una datio in solutum condizionata al pagamento della somma dovuta in favore del creditore procedente, l'effetto satisfattivo del diritto del creditore non coincide con il predetto provvedimento, che chiude il procedimento esecutivo e determina il trasferimento del credito pignorato, ma è rimesso alla successiva riscossione dell'importo assegnato. È a quest'ultimo momento, pertanto, che occorre fare riferimento, in caso di fallimento del debitore assoggettato ad esecuzione, ai fini della verifica in ordine della dichiarazione d'inefficacia dell'atto ai sensi dell'art. 44 della legge fall., ovvero alla sua revocabilità ai sensi dell'art. 67 della stessa legge, senza che assuma alcun rilievo la circostanza che l'assegnazione abbia avuto luogo in epoca anteriore ai termini previsti da dette disposizioni.

Cass. civ. n. 14382/2005

In tema di inefficacia dei pagamenti ricevuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento (art. 44, secondo comma, legge fall.), ove la banca girataria per l'incasso di un assegno sbarrato, presentato da un suo cliente, non si limiti ad accreditare il titolo «salvo buon fine» o con altra formula da cui derivi l'indisponibilità dell'importo sino all'effettivo pagamento della banca trattaria, ma ne anticipi invece subito la valuta al girante, siffatta anticipazione — estranea al rapporto di mandato derivante dalla girata per l'incasso — implica necessariamente l'instaurazione (o la preesistenza) di un rapporto autonomo tra la banca ed il girante, in forza del quale il pagamento dell'assegno deve considerarsi imputabile direttamente all'istituto di credito che ne ha anticipato l'importo al proprio cliente. Pertanto, qualora detto pagamento avvenga a mani di soggetto fallito in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, risulta ad esso applicabile la previsione di inefficacia di cui all'art. 44 legge fall., indipendentemente dal fatto che la banca fosse o meno a conoscenza dell'intervenuta dichiarazione di fallimento, opponibile erga omnes. (Nel caso di specie relativo al pagamento di due assegni sbarrati emessi a favore di una società fallita dopo la dichiarazione di fallimento e girati per l'incasso ad una banca, che ne aveva immediatamente versato l'importo a mani dell'amministratore della società stessa — la Corte di cassazione ha individuato quindi in tale versamento l'atto solutorio colpito da inefficacia, escludendo che il pagamento degli assegni dovesse considerarsi effettuato dalle banche trattarie, a seguito della successiva presentazione dei titoli in stanza di compensazione da parte della banca girataria).

Cass. civ. n. 6624/2005

Le norme della legge fallimentare sono applicabili anche ai conti correnti postali, in virtù della espressa previsione recata in tal senso dall'art. 24 del codice postale (D.P.R. n. 156 del 1973), non derogata dall'art. 82 di detto codice, con la conseguenza che devono ritenersi inefficaci ex art. 44, L. fall., gli addebiti effettuati su detto conto dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento, senza che sia necessaria la sua notificazione alla Poste Italiane s.p.a., dato che la disciplina prevista dall'art. 17, legge fall., fonda la sussistenza di una presunzione generale di conoscenza della pronuncia che dichiara aperta la procedura concorsuale.

Cass. civ. n. 5987/2005

Il fallimento del traente, intervenuto prima dell'accettazione della tratta da parte del trattario, interrompe il processo formativo della delegazione di pagamento insita nell'emissione di una cambiale tratta, onde il pagamento eseguito dal trattario che non abbia accettato la tratta, non è riferibile al traente fallito. Il curatore del fallimento non ha, pertanto, a norma dell'art. 44 della legge sulla disciplina del fallimento, azione contro il portatore della tratta per la restituzione della somma da costui ricevuta dal trattario dopo la dichiarazione di fallimento, ma può soltanto agire contro il trattario per il recupero del credito del fallito.

Cass. civ. n. 351/2005

L'azione revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati dal fallito nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (art. 67, secondo comma, legge fall.) e l'azione diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dei pagamenti eseguiti successivamente alla apertura della procedura concorsuale (art. 44, primo comma, legge fall.), costituiscono due azioni diverse in riferimento all'elemento soggettivo - in quanto soltanto nella prima è richiesta la scientia decoctionis da parte dello accipiens - ed al tempo in cui è stato eseguito il pagamento con riguardo alla data della dichiazione di fallimento, e pertanto stabilire quale delle due azioni sia stata proposta, ovvero se siano state proposte entrambe, costituisce una questione di interpretazione della domanda, incensurabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione congrua, coerente ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 12159/1993

Qualora il fallito, dopo la data dell'apertura della procedura concorsuale, intraprenda una nuova attività d'impresa, e si avvalga, per le operazioni finanziarie ad essa inerenti, di un conto corrente bancario, i relativi atti non ricadono nella sanzione di inefficacia dell'art. 44 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, la quale riguarda le diverse ipotesi in cui il fallito disponga di beni esistenti a quella data (e quindi a lui già sottratti), ma restano soggetti alle disposizioni dell'art. 42 secondo comma del citato decreto, in tema di sopravvenienze di ulteriori beni per titolo successivo al fallimento (cioè non dipendenti dalla gestione del patrimonio fallimentare o da rapporti giuridici preesistenti). Ne consegue che la curatela, in applicazione di tale ultima norma, ha facoltà di appropriarsi dei risultati positivi dell'indicata attività, al netto delle spese incontrate per la loro realizzazione, e, pertanto, può reclamare dalla banca il versamento soltanto del saldo attivo del predetto conto corrente, corrispondente all'utile dell'impresa, non anche la restituzione delle somme dal conto stesso uscite per pagamenti effettuati nell'esercizio dell'impresa medesima.

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Consulenze legali
relative all'articolo 44 Legge fallimentare

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Anna A.A. chiede
mercoledì 11/09/2019 - Lombardia
“Buon pomeriggio,
la mia assistita vanta un credito pari ad € 450.000,00 nei confronti di una controparte che ha depositato richiesta di concordato con riserva il giorno 5.08.2019 (lunedì). Nel medesimo giorno, la mia cliente rileva tra i propri incassi un pagamento pari € 200.000,00 corrisposto da controparte (di sicuro effettuato nei giorni precedenti ma con valuta al 5.8.2019).
Pertanto al giorno d’oggi, credito residuo vantato è pari ad € 250.000,00.
La controparte invia pec chiedendo di precisare il credito al giorno antecedente al deposito, ossia al giorno 4.08.2019 (domenica), giorno in cui non era ancora contabilizzato l’acconto corrisposto.
Domanda: preciso il credito al 4.08 per € 450.000,00 oppure faccio una cronistoria specificando l’acconto ricevuto il giorno del deposito del ricorso?
Considerato il mancato obbligo per il creditore di precisare il proprio credito, sarebbe opportuno non precisare alcunchè, delegando agli organi della procedura i dovuti controlli?
Tra l’altro, in virtù dell’art 44 e 96 L.F., vige il principio dell’inefficacia dei pagamenti effettuati dal debitore concordatario in favore dei suoi creditori al di fuori del piano concordatario e quindi dalla data di presentazione della domanda fino all’omologa, salvo autorizzazione da parte del Tribunale. Pertanto è possibile che venga proposta un’azione giudiziaria ai fini della dichiarazione di inefficacia del pagamento con contestuale restituzione dell’acconto di € 200.000 ricevuto?
In attesa di un riscontro, porgo
Distinti saluti”
Consulenza legale i 18/09/2019
Com’è noto a chi ha posto il quesito, la disciplina del concordato preventivo non prevede un procedimento di verifica dei crediti come nel fallimento. L'accertamento dei crediti è quindi un’operazione più “amministrativa” che “giurisdizionale” risultante da una serie di scelte operate dalle varie figure coinvolte nel concordato (creditori, commissario giudiziale, adunanza dei creditori, Giudice delegato, liquidatore giudiziale, Tribunale).
Quello del commissario è quindi un’indagine finalizzata esclusivamente a stabilire, in via di prima approssimazione, quali dei creditori abbiano diritto di partecipare alla deliberazione di concordato. Dopo questo primo controllo iniziale, un altro più completo ed esauriente viene svolto all'adunanza prevista dagli artt. 174 e ss. l.fall. per la deliberazione sulla proposta di concordato, nel corso della quale il giudice delegato procede, alla presenza del commissario dei creditori concorrenti e del debitore, all'accertamento della sussistenza e della natura dei crediti ai (soli) fini del voto e del calcolo delle maggioranze.
E’ importante quindi per il creditore impostare subito un dialogo con il commissario giudiziale, perché una corretta prassi di verifica e controllo dei crediti può consentire al creditore di conoscere tempestivamente la sorte del credito vantato ed eventualmente rivolgersi al commissario, fornendo spiegazioni, oppure producendo documentazione utile e/o mancante.

Tornando al tema posto dal quesito, nel caso in cui alla presentazione della domanda di concordato preventivo “con riserva” consegua la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, il curatore può trovarsi a dover affrontare il tema dell’efficacia o revocabilità di eventuali pagamenti di debiti effettuati dall’imprenditore nel periodo intercorrente tra la presentazione della domanda di concordato “con riserva” e la successiva dichiarazione di fallimento, perché la presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato in genere, e “con riserva” in particolare, non spoglia l’imprenditore della gestione dell’impresa.

Ai sensi dell’art. 44 l.f., infatti, “tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”.
L’art. 169 l.f. tuttavia, in materia di concordato preventivo, nel prevedere che anche dalla data di presentazione della domanda di concordato devono trovare applicazione norme espressamente contemplate per la procedura fallimentare (art. 45, secondo comma, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62e 63) non menziona assolutamente l’art. 44 l.f., per cui manca quindi una norma che chiaramente disciplini, con effetti analoghi al fallimento, l’efficacia del pagamento da parte dell’imprenditore di debiti anteriori alla presentazione della domanda di concordato.

Tuttavia, anche alla procedura di concordato preventivo, e ciò a maggior ragione nell’ipotesi di procedura di concordato con “riserva” alla stregua dell’applicazione dell’art. 161 sesto comma cod. proc. civ., deve ragionevolmente applicarsi il principio in base al quale devono ritenersi inefficaci o inopponibili alla procedura i pagamenti effettuati dal debitore concordatario in favore dei suoi creditori al di fuori del piano concordatario e comunque in violazione della par conditio creditorum e ciò a prescindere che tali pagamenti siano effettuati nel periodo intercorrente tra la presentazione della domanda di concordato e la sua omologa o solo successivamente a quest’ultima.
E ciò può affermarsi anche a prescindere dal riconoscimento dell’applicabilità o meno dell’art. 44 l.f. anche alla procedura di concordato preventivo.

All’applicabilità analogica anche al concordato della norma anzidetta non manca qualche riconoscimento giurisprudenziale, come Corte di Cassazione sent. 22916/2010.
In tal senso si è espressa poi sempre la Corte di Cassazione (sebbene in fattispecie , tutto analoga, di presentazione di domanda di ammissione alla procedura di amministrazione controllata); “la L.fall., art. 167, si limita a dichiarare l’inefficacia degli atti di straordinaria amministrazione compiuti senza autorizzazione “durante la procedura” senza fare riferimento al decreto di ammissione; l’art. 168 l.fall. parallelamente ma più precisamente, fa divieto ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore “dalla data della presentazione del ricorso”; le due norme sono accumunate dalla medesima “ratio”, presupponendo la regola, funzionale al principio della “par conditio creditorum”, di moratoria di tutti i pagamenti per tutto il tempo della procedura. E dunque, comune essendo lo scopo sotteso a tali disposizioni, la diversa formulazione letterale (il fatto cioè, che la prima norma usi l’espressione “durante la procedura” e la seconda più incisivamente faccia riferimento alla “data della presentazione della domanda”) non appare decisiva, dovendosi semmai ritenere che la sanzione di inefficacia riguardi anche i pagamenti compiuti prima del decreto di ammissione in considerazione dell’esigenza di evitare che, nel tempo intercorrente tra la data della domanda e quella del decreto di ammissione, si verifichino diminuzioni dell’attivo e deroghe alla “par conditio” che rischierebbero d’altronde di modificare le condizioni di ammissione esposte nel piano sottoposto all’esame del Tribunale.” (Cass. 13 luglio 2018, n.18729).
Tale pronuncia si base sull’affermazione del principio, ritenuto pacifico, secondo il quale, “in tema di concordato preventivo gli effetti del decreto di apertura sono retrodatati al momento della presentazione della domanda.” (cfr. anche Cass. 12 gennaio 2007 n. 578; conforme Trib. Cosenza 19.12.2012; Tribunale di Padova, 9 maggio 2013; Tribunale Modena 24.2.2014 e 22 gennaio 2015; Tribunale di Massa, 1.2.2016).
Significativa anche Cass. 14 gennaio 2016 n. 509, in base alla quale “i pagamenti eseguiti nel corso della procedura minore in violazione della par conditio creditorum e dell’ordine delle prelazioni sono eccezionalmente ripetibili non in quanto oggettivamente non dovuti, ma perché, in quanto difformi ai canoni di soddisfacimento concordatario, inefficaci rispetto alla massa dei creditori …” (cfr. anche Cass. 13 giugno 2018 n.15495).

Ma si può condurre anche un ulteriore ragionamento.
Si è detto che occorre, nel concordato, l’autorizzazione del Giudice per gli atti di straordinaria amministrazione.
In base alla costante ed uniforme dottrina e giurisprudenza, debbono intendersi atti di straordinaria amministrazione (quindi necessariamente soggetti all’autorizzazione del Tribunale) tutti quegli atti che, considerati con specifico riguardo alla situazione del patrimonio dell’imprenditore, alla proposta e al piano, sono suscettibili di recare pregiudizio, sia pure potenziale, alla massa dei creditori e comunque alla soluzione concordataria e quindi rispetto alla definizione della crisi quale ipotizzata.
In forza di tale principio la giurisprudenza di Cassazione offre una interpretazione assolutamente restrittiva degli atti di ordinaria amministrazione che l’imprenditore è legittimato a porre in essere senza il necessario avallo del Tribunale (“legalmente” quindi): “sono atti di ordinaria amministrazione .. quelli che presentino, concomitantemente, le caratteristiche di oggettiva utilità alla conservazione del patrimonio, valore economico non particolarmente rilevante, anche relativamente al totale del patrimonio stesso e sussistenza di margine di rischio modesto” (cass. 15 maggio 2003 n. 7546 in Giust. Civ. Mass. 2003, 1114).
In conclusione, pertanto, può ragionevolmente concludersi che anche i pagamenti di debiti sorti anteriormente alla presentazione della domanda di concordato preventivo, anche “con riserva”, effettuati dall’imprenditore tra la presentazione della domanda di ammissione alla procedura ed il fallimento, siano inefficaci (o revocabili) nei confronti della massa ove non “legalmente” autorizzati dal Tribunale.

In conclusione, si ritiene che sia apprezzabile ed opportuno – in un’ottica di trasparenza e collaborazione con le figure deputate alla verifica della reale situazione dell’impresa – dichiarare l’effettivo credito, al di là delle formalità di legge: vale a dire che, se è vero che il credito dev’essere precisato “alla data antecedente” alla presentazione della domanda di concordato, è altrettanto vero che di fatto al 4/8/2019 il pagamento era già stato eseguito, indipendentemente dalla circostanza che la valuta fosse visibile il 5/8.
Ciò nel rispetto, altresì, della par condicio creditorum che il legislatore intende salvaguardare nel concordato così come in tutte le altre procedure concorsuali.
Tuttavia, si concorda con chi pone il quesito sul fatto che è concreto il rischio di esporre il pagamento a revoca per inefficacia, per il principio anzidetto secondo il quale – per la giurisprudenza quantomeno – l’art. 44 L.F: si può estendere analogicamente anche al concordato.

Agostino S. chiede
giovedì 22/08/2019 - Campania
“Nel 1994 ho sottoscritto un preliminare con una società per l'acquisto di un appartamento. Nel 2000 il fallimento ha bloccato l'esecuzione in forma specifica da noi tentato, nel 2004 la curatela mi citava per occupazione senza titolo (sine titulo). Nel 2007 con la chiusura del fallimento la società, tornata in bonis, si costituiva nel mio procedimento al posto della curatela. Alla chiusura del fallimento veniva fatta opposizione (rigettata) e ricorso in cassazione concluso nel 2010 con definitiva chiusura del fallimento. La mia causa sine titulo si concludeva nel 2012 con rilascio dell'immobile e risarcimento danni alla tornata in bonis che purtroppo passava ingiudicata senza appello, dopo aver consegnato le chiavi dell'immobile nel 2014 la stessa non aveva dato corso alla richiesta di denaro. Nel 2018 avendo vinto la causa per la restituzione dell'anticipo dato alla società nel 1994 e mandato precetto, la stessa faceva opposizione per compensazione chiedendomi la differenza e in più mi chiedeva un risarcimento per il periodo che non avevo consegnato le chiavi dell'immobile inviandomi un precetto.Consapevole della mia poca esperienza legale e con avvocato non sempre all'altezza della situazione il mio quesito è questo: visto che la tornata in bonis nella mia causa, iniziata dalla curatela e che alla chiusura del fallimento si è costituita (senza mandato) ha proseguito ed ha vinto la causa, posso io invocare difetto di "ius postulandi"e chiedere la nullità dei precetti magari con la sentenza di cassazione 8959 del 2016? O magari chiedere,in difetto di interesse con la sentenza di cassazione 5438 del 2008 la nullità dei precetti? Oppure pagamenti non dovuti in periodo di fallimento con la sentenza di cassazione 19165 del 2007?
In attesa porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 02/10/2019
Risponderemo seguendo l’ordine delle domande.

In primo luogo non può essere invocato il difetto di ius postulandi (ovvero il difetto di rappresentanza in giudizio della società ritornata in bonis) di cui alla sentenza n. 8959 del 2016 della Corte di Cassazione. Quest’ultima, infatti, origina da un caso concreto del tutto diverso da quello di cui si parla nel quesito.
La Cassazione, infatti, nella sua pronuncia affrontava il caso in cui una parte processuale era morta prima che iniziasse il procedimento esecutivo: secondo i Giudici, in quell’ipotesi, la procura alle liti che era stata conferita nel precedente giudizio di merito non poteva valere anche per la fase esecutiva ed avrebbe dovuto esserne rilasciata una nuova ad hoc per quest’ultima.
La Cassazione, procedendo ad un’attenta disamina del noto principio della cosiddetta “ultrattività” della procura alle liti (quello, cioè, per il quale la procura rilasciata per un determinato grado di giudizio dovrebbe valere anche per i successivi), ha così concluso in maniera molto chiara: “sebbene la procura conferita dalla parte al difensore nel processo di cognizione, in difetto di espressa limitazione (e particolarmente quando sia specificato che i poteri del difensore si estendono ad ogni stato e grado del procedimento), attribuisca lo ius postulandi anche in relazione al processo di esecuzione, tuttavia questo potere viene meno in caso di morte o perdita di capacità della parte intervenuta nel corso del processo di cognizione (e non dichiarata nè notificata) o prima della notificazione del precetto e dell'inizio dell'esecuzione, non operando il principio di ultrattività del mandato alle liti nei rapporti tra il processo di cognizione ed il processo di esecuzione; derivandone che, a prescindere dalle vicende del processo in cui l'evento morte non dichiarato si è verificato, la legittimazione attiva all'azione esecutiva sulla base del titolo esecutivo formatosi in quel processo compete solo ai successori o rappresentanti della parte colpita dall'evento menomante, che, per farsi rappresentare e difendere in sede esecutiva, devono rilasciare una nuova procura alle liti". Conseguentemente, è nullo il precetto intimato sulla base della procura rilasciata dalla parte deceduta ed è nullo l'atto di pignoramento notificato in forza della medesima procura.”.

Il caso di cui al quesito che ci occupa, tuttavia, è diverso. Infatti, qui non è avvenuto che il Curatore Fallimentare, per conto della società fallita nel corso del giudizio di merito (fallimento che equivale alla “morte” della persona giuridica), avesse poi intrapreso un’esecuzione forzata senza procura ad hoc, ma è avvenuto che l’esecuzione è stata intrapresa dalla società che era già tornata in bonis nel corso del giudizio di merito (giudizio che aveva legittimamente proseguito al posto del Fallimento).

In ogni caso, ciò chiarito, il problema della mancanza di ius postulandi non si pone, perché nell’epigrafe dell’atto di precetto è chiaramente scritto che la società agisce in forza di procura alle liti che si allega in calce all’atto: la società rientrata in bonis, dunque, ha rilasciato nuova procura al difensore, sanando così ogni eventuale e possibile problema di rappresentanza in giudizio.
In conclusione, sicuramente non può eccepirsi la nullità del precetto invocando il difetto di cui alla sentenza citata (n. 8959/2016).

In merito alla seconda domanda, ovvero se sia possibile invocare la mancanza di [interesse (processo civile)]interesse ad agire[/def] della società in base alla sentenza n. 5438 del 2008 si osserva quanto segue.
La Cassazione, in quest’ultima pronuncia, ha statuito che la chiusura del fallimento ed il conseguente ritorno in bonis dell'impresa già dichiarata fallita consentono a quest'ultima la prosecuzione delle sole azioni che potevano essere promosse prima dell'apertura del fallimento, restando invece improcedibili tutti i giudizi che presuppongono che la procedura sia ancora in atto (ad esempio che esprimono posizioni di interesse riferibili alla massa dei creditori e non al soggetto fallito).
Nel caso in esame, tuttavia, l’azione esecutiva riguarda un danno da illegittima occupazione dell’immobile che la società ora ritornata in bonis avrebbe potuto far valere – con conseguente avvio di un’azione – anche prima ed indipendentemente dal Fallimento, per le motivazioni che sono ben spiegate nella sentenza di merito (l’immobile, infatti, secondo i giudici era detenuto dal 1994 dai promissari acquirenti senza titolo, non potendo considerarsi eseguito il contratto preliminare, un po’ perché le parti avevano differito l’effetto traslativo dell’immobile al momento del contratto definitivo ed un po’ perché non era stato provato in causa il versamento dell’intero prezzo).
Anche la seconda ipotizzata eccezione sulla mancanza di interesse ad agire con l’esecuzione non può trovare fondamento.

Per quanto riguarda, infine, la possibilità di invocare quanto statuito dalla sentenza n. 19165 del 2017, è opportuno chiarire quale sia il principio richiamato da quest’ultima.
La sentenza fa riferimento all’art. 44 della Legge Fallimentare, secondo il quale “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.
II. Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.”
Qualunque pagamento, in buona sostanza, ricevuto dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento diventa inefficace, perché il patrimonio del fallito diviene, con l’apertura del procedimento, indisponibile. Ogni credito va a favore della massa dei creditori, perciò ogni somma dovuta al fallito prima dell’insolvenza dovrà essere poi incamerata dalla Procedura e dovrà andare a vantaggio di tutti i creditori in proporzione al piano di riparto approvato dal Giudice.
Nel caso in esame, si tratta però di tutt’altra cosa: qui siamo di fronte infatti, ad un’esecuzione finalizzata al recupero di un credito, come già detto, della società in bonis, ad avvenuta chiusura della procedura. Il pagamento avverrebbe adesso e non si potrebbe invocarne l’inefficacia a motivo del fallimento perché questo è già stato chiuso.
Neppure questa è una strada percorribile, purtroppo.

Non si vedono quindi, allo stato e purtroppo, possibilità di bloccare il pignoramento già intrapreso.