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Articolo 105 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Intervento volontario

Dispositivo dell'art. 105 Codice di procedura civile

Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti (1) o di alcune di esse (2), un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo (3).

Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse (4).

Note

(1) L'intervento del terzo può essere principale nel caso in cui fa valere nei confronti di tutte le parti del processo un diritto incompatibile con quello vantato da ciascuna di esse (ad es. un diritto di proprietà esclusivo su di un bene). Nel caso in cui in terzo non intervenisse nel giudizio che lo coinvolge, potrebbe comunque proporre contro la sentenza emessa opposizione di terzo (art.404) o iniziare un autonomo giudizio volto all'accertamento del suo diritto. Tuttavia, al fine di evitare giudicati contraddittori e l'incertezza in ordine alla titolarità del suo diritto, il terzo può dispiegare il suo intervento nel giudizio pendente.
(2) Si ha invece un intervento adesivo autonomo quando il terzo interviene nel processo per far valere un diritto compatibile con quello originariamente affermato in giudizio, che è a questo connesso per l'identità del fatto costitutivo, su cui si fonda la domanda originaria (ad es. un secondo danneggiato che interviene nel processo iniziato dalla prima vittima di un incidente stradale). Tale tipologia di intervento consiste in una sorta di rimedio facoltativo adottabile dal terzo che voglia far valere in tale sede le proprie ragioni.
(3) Le ragioni che giustificano l'intervento sono ragioni di connessione oggettiva, così come nel litisconsorzio facoltativo. Si precisa però che l'intervento ivi disciplinato determina un litisconsorzio facoltativo successivo, poichè viene attuato durante la pendenza del giudizio ed il termine ultimo entro cui poter spiegare tale intervento coincide con l'udienza di precisazione delle conclusioni.
(4) Sussiste infine un ulteriore tipologia di intervento che viene denominato adesivo dipendente poichè si può verificare nel caso in cui il terzo risulti titolare di un rapporto giuridico dipendente dal rapporto oggetto del processo originario. Tale intervento ha solo l'effetto di sostenere le ragioni di una delle parti senza far valere un autonomo diritto. Tipico esempio di intervento adesivo dipendente è quello del subconduttore che intervenga in una lite fra conduttore e locatore o del socio nelle azioni proposte dall'amministratore della società nei confronti di terzi. Tale posizione di dipendenza e di accessorietà, determina per l'interventore adesivo l'impossibilità di proporre autonomamente l'impugnazione se la parte adiuvata vi ha rinunciato. Potrà, tuttavia, aderirvi nel caso in cui quest'ultimo proponga impugnazione avverso la decisione che lo ha sfavorito.

Ratio Legis

La norma in commento conferisce ad un soggetto diverso dalle parti originarie del processo la legittimazione a partecipare al processo. Con l'intervento il terzo acquista la qualità di parte e propone una domanda giudiziale diversa da quella originariamente proposta dalle parti, ma ad essa connessa, determinando così un ampliamento dell'oggetto del giudizio. Invero, il terzo, che comunque non può essere pregiudicato dalla sentenza pronunciata fra altre parti, ha una posizione giuridica che potrebbe subire conseguenze indirette dalla sentenza altrui e pertanto è prevista la possibilità di un suo interesse allo svolgimento ed all'esito di un processo in cui non è parte.

Brocardi

Ad adiuvandum
Ad excludendum
Ad opponendum
Inter alios
Interveniens vice actoris fungitur
Interventus ad adiuvandum
Interventus ad infringendum iura utriusque competitoris vel ad excludendum

Spiegazione dell'art. 105 Codice di procedura civile

L'intervento da questa norma previsto consente l'ingresso di un terzo in una causa originariamente instaurata da altri e costituisce uno dei modi con cui si attua il litisconsorzio facoltativo successivo (in questo modo il terzo acquisisce la qualità di parte e il giudicato si estenderà a lui).
Accanto a questo, che si definisce intervento volontario, e che implica l'ingresso spontaneo di un altro soggetto in un processo già pendente, vi è quello coatto, in cui l'intervento, invece, si realizza o ad istanza delle parti (si veda art. 106 del c.p.c.) o per determinazione del giudice (si veda art. 107 del c.p.c.).
Le ragioni che giustificano la previsione dell’intervento sono rappresentate dalle connessioni e dai collegamenti esistenti tra i rapporti sostanziali sottostanti alle azioni esperite, che possono essere di diverso tipo, ma che in ogni caso non possono essere tali da rendere la partecipazione del terzo al processo necessaria.
Diversa, invece, è la funzione dell'intervento del pubblico ministero, il quale, in alcuni casi specifici previsti dalla legge, assume, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, il ruolo di interveniente necessario, ed il cui intervento costituisce un’ipotesi di vero e proprio litisconsorzio necessario.
Ritornando all’intervento volontario, si distinguono generalmente tre diversi tipi di intervento, definiti volontario, adesivo autonomo o litisconsortile ed adesivo dipendente (la cui diversità strutturale si fa dipendere dalla diversa situazione giuridica fatta valere dal terzo).
Per la verità altra dottrina, più recente, ha sostenuto che si possa delineare anche un quarto tipo di intervento volontario, che ricorre nell’ipotesi di ingresso in causa dell'acquirente a titolo particolare del diritto controverso, ai sensi dell'art. 111 del c.p.c..
Per quanto concerne il termine entro cui può effettuarsi l'intervento, ci si deve riferire all’art. 268 del c.c., il quale prevede che esso possa aver luogo fino alla precisazione delle conclusioni. Tuttavia deve osservarsi che, a seguito dell'introduzione (con la riforma del 1990) di un modello processuale fondato su un sistema di preclusioni e decadenze, pur essendo l'intervento ammesso sino al momento della precisazione delle conclusioni, l'interveniente di fatto rimane vincolato alle preclusioni già maturate per le altre parti, con forte limitazione dei propri poteri.
Per tale ragione si è pensato di proporre una lettura restrittiva dell'art. 268 c.p.c., maggiormente rispettosa del principio di difesa di cui al secondo comma dell'art. 24 Cost., secondo la quale i limiti relativi alle preclusioni dovrebbero ritenersi operanti solo per l'intervento adesivo dipendente.
Dal punto di vista formale, invece, l'intervento si propone mediante una comparsa di costituzione ai sensi dell'art. 267 del c.p.c., la quale deve possedere tutti i requisiti affinché il terzo interveniente possa essere assumere la posizione di parte in senso processuale (deve anche contenere la domanda proposta nei confronti delle parti già in causa, nonché l’esposizione della situazione che legittima il terzo all'intervento).
Passiamo adesso all’analisi dei singoli tipi di intervento secondo la tripartizione a cui prima si è accennato.
  1. Intervento principale od autonomo
Il primo comma di questa norma descrive l'intervento principale come l'istituto processuale con cui al terzo si consente di fare il proprio ingresso nel giudizio instaurato da altri per far valere, nei confronti di tutte le parti, il proprio diritto, relativo all'oggetto o dipendente dal titolo già dedotto nel processo stesso (in questo modo il terzo interveniente principale esperisce un'azione autonoma rispetto a quelle delle altre parti).
Pur se l'art. 105 esige che il diritto che l’interveniente intende far valere non sia limitato ad una generica comunanza di riferimento al bene materiale per il quale si fanno valere le antitetiche pretese delle parti, ai fini dell'intervento principale la diversa natura delle azioni esercitate (dall'attore in via principale e dal convenuto in via riconvenzionale) rispetto a quella esercitata dall'interveniente, o la diversità dei rapporti giuridici con le une e con l'altra dedotti in giudizio, non costituiscono elementi decisivi per escludere l'ammissibilità dell'intervento.
Come si desume chiaramente dalla norma, la connessione sussistente tra il diritto azionato dal terzo e quelli esercitati giudizialmente dalle altre parti è di norma relativa all'oggetto; non vi può invece essere, in linea generale, connessione per il titolo, ossia per la causa petendi, poichè i diritti, in quanto incompatibili, sono fondati su titoli fra loro diversi.
L'intervento principale deve vedersi come un mezzo di tutela facoltativo, in quanto il terzo, se decide di non avvalersene, rimarrà certamente estraneo agli effetti della sentenza pronunciata inter alios, ma, d’altro canto, potrà sempre far valere la propria pretesa in un separato giudizio oppure ricorrere all'opposizione di terzo ordinaria, che si definisce come mezzo di tutela successivo.
Se, invece, il terzo decide di avvalersene, diviene un mezzo di tutela preventivo, che consente di evitare giudicati contraddittori o situazioni di incertezza in merito ad uno stesso bene.
  1. Intervento litisconsortile o adesivo autonomo
Si definisce generalmente tale l'intervento con il quale il terzo fa valere in confronto di alcune soltanto delle parti già in causa un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo.
In particolare, mediante questo tipo di intervento, il terzo propone una domanda che si affianca a quella già proposta dall'attore o, eventualmente, anche dal convenuto che abbia agito in riconvenzione e che si rivolge nei confronti di una o di tutte le altre parti, ma che bene avrebbe potuto essere proposta cumulativamente sin dal principio. Si verifica un cumulo di domande che dà luogo ad un litisconsorzio facoltativo successivo, con conseguente applicazione della relativa disciplina.
Anche in forza di questo tipo di intervento si realizza un allargamento dell'oggetto del processo e si viene ad attribuire al terzo la qualità di parte, unitamente a tutti i poteri connessi a tale posizione.
Il nesso che giustifica l'intervento litisconsortile, come si evince dalla lettera della norma, è rappresentato dalla connessione oggettiva, che può essere forte o debole.
La ratio di questo tipo di intervento coincide con quella classicamente indicata a proposito del litisconsorzio facoltativo, ovvero l'esigenza di evitare un possibile contrasto di giudicati e l'osservanza del principio di economia processuale.
  1. Intervento adesivo dipendente
Si definisce tale la partecipazione al giudizio di un terzo ad esso estraneo, il quale, senza in alcun modo ampliare il thema decidendum (e, dunque, senza proporre domande ulteriori), manifesta l'interesse alla vittoria di una delle parti in causa, per il fine ultimo di non subire gli effetti riflessi di una sentenza sfavorevole.
La situazione che legittima tale tipo di intervento è l'interesse, il quale può qualificarsi come una situazione più sfumata del diritto soggettivo, tant'è che il terzo non esperisce una propria azione (a cui è connesso un diritto), ma si limita a chiedere l'accoglimento della domanda già avanzata da taluna delle parti originarie.
Il terzo interveniente adesivo ha interesse alla vittoria della parte adiuvata in quanto titolare di una situazione dipendente dal rapporto principale già oggetto della lite, suscettibile di subire un pregiudizio in caso di soccombenza della prima.
Tale forma di intervento si considera come una sorta di strumento preventivo, per mezzo del quale il terzo, titolare del rapporto dipendente, cerca di allontanare gli effetti negativi del giudicato che potrebbe formarsi sul diritto principale tra le parti originarie.
Le ipotesi più frequenti nelle quali si concreta quest’ultima tipologia di intervento si ravvisano nel caso di subcontratto, ossia di previo acquisto a titolo derivativo di un diritto da una delle parti della causa originaria; in tale caso, infatti, il terzo ha interesse ad intervenire per sostenere le ragioni del proprio dante causa ed evitare così che il venir meno, per qualsiasi ragione (nullità, annullabilità, risoluzione, rescissione, ecc.), del contratto principale possa determinare il venir meno del subcontratto (nel rispetto della regola resoluto jure dantis resolvitur et jus accipientis).
In questa forma di intervento il terzo acquisisce la qualità di parte, ma vede i propri poteri processuali limitati dall'ambito delle domande e delle eccezioni già svolte dall'adiuvato; inoltre, l'interveniente non può compiere atti di disposizione del diritto, né tantomeno atti di impulso, volti a far proseguire il processo in caso di rinuncia delle parti principali (non può, neppure, impugnare la sentenza).
Secondo un orientamento dottrinale si ammette, invece, che il terzo, qualora abbia espletato l'intervento adesivo dipendente in primo grado, debba essere presente anche nell'eventuale giudizio di appello promosso da una delle parti originarie; si verterebbe, in buona sostanza, in un'ipotesi di litisconsorzio unitario determinato da ragioni di carattere processuale, che rendono la causa inscindibile.
La giurisprudenza tende ad escludere l'intervento nell'ambito del giudizio di cassazione e nel giudizio di rinvio, mentre è dubbia la sua ammissibilità nei procedimenti in camera di consiglio e cautelari, stanti le ragioni di celerità e sommarietà che caratterizzano questi giudizi.

Massime relative all'art. 105 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 36639/2021

L'intervento di cui all'art 105 c.p.c. concerne non la causa, ma il processo ed è tale che il terzo, una volta intervenuto nel giudizio e proposta domanda contro le altre parti o anche una sola di esse, diventa parte egli stesso nel processo medesimo, al pari di tutte le altre parti e nei confronti di queste ultime. Ne consegue che, qualora il terzo spieghi volontariamente intervento litisconsortile, assumendo essere lui (o pure lui) - e non gli altri convenuti (ovvero non esclusivamente le altre parti chiamate originariamente in giudizio) - il soggetto nei cui riguardi si rivolge la pretesa dell'attore, la domanda iniziale, benché in difetto di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, nei confronti del quale il giudice è legittimato ad assumere le conseguenti statuizioni. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di appello che, riformando quella di primo grado, aveva ritenuto responsabile di un sinistro provocato da buche presenti su una strada, causate da alcuni lavori in corso, il Comune committente di tali lavori e non la società che li aveva eseguiti, su incarico dell'originaria appaltatrice, in mancanza di una espressa estensione della domanda attrice a detta società, la quale era intervenuta nel giudizio di prime cure ai sensi dell'art. 105 c.p.c., assumendo di essere la sola responsabile della custodia del cantiere). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO REGGIO CALABRIA, 11/07/2018).

Cass. civ. n. 27846/2019

In caso di intervento adesivo, l'interventore diventa parte del giudizio, in ordine alla cui posizione si applicano gli artt. 91 e 92 c.p.c., potendo, perciò, essere anche condannato alle spese in caso di soccombenza della parte adiuvata o vedersi riconoscere il favore delle spese nell'ipotesi di vittoria della stessa parte adiuvata.

Cass. civ. n. 8695/2019

Nei giudizi promossi dall'amministratore a tutela delle parti comuni, l'intervento del singolo condomino si connota come intervento adesivo autonomo, ovvero quale costituzione di una delle parti originarie in senso sostanziale, determinatasi a far valere le proprie ragioni direttamente e non più tramite il rappresentante comune, sicché, configurandosi un unico giudizio con pluralità di parti, si determina tra queste ultime un litisconsorzio processuale necessario.

Cass. civ. n. 22341/2017

Nell’ipotesi in cui una società, della quale altra società sia unico azionista e società capogruppo, abbia stipulato una polizza fideiussoria ed insorga controversia sulla sua validità e azionabilità fra le parti del rapporto fideiussorio, la società unica azionista e capogruppo non è titolare in astratto di alcun diritto per pretendere che venga inibito al creditore di escutere la fideiussione in quanto la situazione di controllo azionario non dà luogo ad un rapporto di dipendenza giuridica rispetto alla vicenda del rapporto fideiussorio e, quindi, ad un diritto azionabile rispetto ad esso ma solo ad un interesse di fatto, che, come tale, non legittima né un intervento adesivo dipendente ai sensi dell'art. 105, comma 2, c.p.c. né una congiunta azione della società partecipata e della controllante. Ne consegue che la S.C., investita di un ricorso che riguardi quella congiunta azione, deve rilevare che l'azione della società unica azionista e controllante non poteva essere proposta e cassare senza rinvio quanto al relativo rapporto processuale la sentenza impugnata, a norma dell'art. 382, comma 3, c.p.c..

Cass. civ. n. 16665/2017

La legittimazione ad intervenire volontariamente nel processo, ai sensi dell'art. 105 c.p.c., presuppone la terzietà dell'interventore rispetto alle parti, formali e sostanziali, dello stesso; pertanto, il successore universale di una di esse che, per effetto della continuazione o della prosecuzione del processo, acquisti la qualità di parte non è legittimato a spiegare intervento volontario nel medesimo giudizio per far valere un diritto, connesso per l'oggetto o per il titolo con quello controverso, di cui sia titolare indipendentemente dalla successione, subentrando nella stessa posizione processuale del soggetto venuto meno e soggiacendo alle relative preclusioni. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto ammissibile, perché spiegato nei termini previsti dall'art. 268 c.p.c., l'intervento litisconsortile con il quale i successori universali di una persona deceduta a causa delle lesioni riportate in seguito ad un incidente - già precedentemente costituitisi, "iure hereditatis", in prosecuzione del giudizio risarcitorio iniziato dal dante causa - avevano domandato il risarcimento del danno "iure proprio").

Cass. civ. n. 5621/2017

Nell’ipotesi di intervento di un terzo creditore nel giudizio promosso da altro creditore per ottenere la revoca, ai sensi dell’art. 2901 c.c., del medesimo atto dispositivo patrimoniale pregiudizievole delle ragioni creditorie di entrambi (attore ed interventore), compiuto in epoca successiva al sorgere dei rispettivi crediti, l’intervento è da reputarsi adesivo autonomo, con la conseguenza che l’interventore ha il diritto di impugnare la sentenza ad esso sfavorevole.

Cass. civ. n. 925/2017

L'assicuratore della responsabilità civile, a seguito della chiamata in garanzia, assume nel giudizio la posizione di interventore adesivo autonomo, sicché, ove abbia contestato la fondatezza della domanda attorea, resta soggetto al principio della soccombenza al fine della regolamentazione delle spese di lite, indipendentemente da ogni questione sulla natura e sul titolo dell’intervento, e può essere condannato in solido con la parte con la quale condivide il medesimo interesse.

Cass. civ. n. 27528/2016

L’intervento volontario in causa si qualifica come principale quando si faccia valere nei confronti di tutte le parti, o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto del processo o dipendente dal titolo in questo dedotto, mentre è da ritenersi adesivo dipendente ove sia dedotto solo un interesse giuridicamente rilevante a sostenere le ragioni di una o di alcune delle parti; ne deriva che l’interveniente adesivo dipendente non è autonomamente legittimato ad impugnare la sentenza sfavorevole alla parte adiuvata, salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni attinenti la qualificazione dell’intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal promittente acquirente da un soggetto, a sua volta, promittente acquirente del medesimo bene, avverso una sentenza di risoluzione del contratto preliminare sfavorevole al secondo, qualificando come adesivo dipendente l’intervento del primo).

Cass. civ. n. 25798/2015

La formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall'art. 268 c.p.c. non si estende all'attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non opera il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento "fino all'udienza di precisazione delle conclusioni", configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie.

Cass. civ. n. 25145/2014

L'intervento adesivo dipendente del terzo è consentito ove l'interveniente sia titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti o da esso dipendente e non di mero fatto, attesa la necessità che la soccombenza della parte determini un pregiudizio totale o parziale al diritto vantato dal terzo quale effetto riflesso del giudicato.

Cass. civ. n. 22532/2014

Il diritto che, ai sensi dell'art. 105, primo comma, cod. proc. civ., il terzo può far valere in giudizio pendente tra altre parti, deve essere relativo all'oggetto sostanziale dell'originaria controversia, da individuarsi con riferimento al "petitum" ed alla "causa petendi", ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza di appello che aveva dichiarato inammissibile l'intervento del terzo poiché, mentre il giudizio tra le parti originarie aveva ad oggetto il contratto autonomo di garanzia, l'interventore aveva spiegato domande aventi ad oggetto il rapporto principale di appalto).

L'interventore volontario in via principale che faccia valere un proprio diritto in conflitto con le parti originarie del processo è legittimato, in forza di un principio di economia processuale (rilevante ai sensi dell'art. 111 Cost.), a dedurre l'incompetenza del giudice adito anche ove il convenuto non abbia sollevato analoga eccezione e purché il suo intervento avvenga in un momento del processo in cui tale eccezione potrebbe essere ancora proposta dal convenuto medesimo. Ne consegue che l'interventore è legittimato a presentare istanza di regolamento di competenza qualora il giudice abbia disatteso la sua eccezione, indipendentemente dalle determinazioni assunte, al riguardo, dal convenuto.

Cass. civ. n. 22233/2014

Il diritto che, ai sensi dell'art. 105, primo comma, cod. proc. civ., il terzo può far valere in giudizio pendente tra altre parti, deve essere relativo all'oggetto sostanziale dell'originaria controversia, da individuarsi con riferimento al "petitum" ed alla "causa petendi", ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza di appello che aveva dichiarato inammissibile l'intervento del terzo poiché, mentre il giudizio tra le parti originarie aveva ad oggetto il contratto autonomo di garanzia, l'interventore aveva spiegato domande aventi ad oggetto il rapporto principale di appalto).

Cass. civ. n. 364/2014

La legittimazione "ad adiuvandum" ex art. 105, secondo comma, cod. proc. civ. presuppone che il giudicato destinato a formarsi tra le parti del giudizio arrechi una lesione ad un interesse giuridico e non meramente fattuale del terzo interveniente. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il Consorzio del Parco Regionale della Valle del Lambro non fosse legittimato ad intervenire nella controversia risarcitoria vertente tra uno dei comuni consorziati ed altro soggetto, valutando come interessi di mero fatto la possibile perdita dei contributi necessari per il funzionamento del consorzio e l'esigenza di tutela degli aspetti pubblicistici ad esso demandati).

Cass. civ. n. 743/2012

L'intervento di cui all'art. 105 c.p.c. concerne non la causa, ma il processo ed è tale che il terzo, una volta intervenuto nel processo ed una volta spiegata domanda nei confronti delle altre parti o anche di una sola di esse, diventa parte egli stesso nel processo medesimo, al pari di tutte le altre parti e nei confronti delle stesse. Ne consegue che qualora il terzo spieghi volontariamente intervento litisconsortile, assumendo essere lui (o anche lui) - e non gli altri convenuti (ovvero non solo le altre parti chiamate originariamente in giudizio) - il soggetto nei cui riguardi si rivolge la pretesa dell'attore, la domanda iniziale, anche in difetto di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, nei confronti del quale, perciò, il giudice è legittimato ad assumere le conseguenti statuizioni.

Cass. civ. n. 19804/2011

L'azione revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. non è esperibile, da parte del creditore del promittente venditore, contro le sentenze emesse, ai sensi dell'art. 2932 c.c., nei confronti del debitore, sulla base di un preliminare stipulato preordinatamente o scientemente in suo danno, essendo il creditore medesimo soggetto all'efficacia della sentenza. Il creditore, tuttavia, può svolgere intervento adesivo autonomo nel giudizio instaurato in vista dell'adempimento coattivo degli impegni assunti nel preliminare, al fine di paralizzare, nei propri confronti, gli effetti depauperativi dell'emananda pronuncia, ovvero, in mancanza di intervento, esperire l'opposizione di terzo revocatoria ex art. 404, secondo comma, c.p.c., per rimuovere l'efficacia della sentenza.

Cass. civ. n. 6703/2011

Ai fini della ammissibilità dell'intervento del terzo come autonomo e non adesivo è sufficiente che la domanda dell'interveniente presenti una connessione o un collegamento con quella di altre parti relativa allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare il simultaneo processo. Ne consegue che è ammissibile l'intervento della banca creditrice la quale, al fine di far accertare la simulazione assoluta di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, abbia esercitato, nel giudizio promosso ai sensi dell'art. 2932 c.c. dal promissario acquirente, un'azione dichiarativa di nullità, consentita a chiunque ne abbia interesse, con lo scopo di rimuovere l'apparenza giuridica del negozio invalido, dalla cui esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. sarebbe derivata la sottrazione di un rilevante cespite del patrimonio del debitore alle garanzie previste dall'art. 2740 c.c..

Cass. civ. n. 7602/2010

Il terzo chiamato in garanzia impropria dal convenuto in riferimento alla causa principale ha i poteri processuali di un interventore adesivo dipendente e non può - trattandosi di cause diverse e tra loro scindibili - dedurre eccezioni non sollevate dal convenuto nè impugnare autonomamente la sentenza che dichiari quest'ultimo soccombente nei confronti dell'attore. Pertanto, qualora il convenuto non abbia impugnato la pronuncia che abbia affermato la giurisdizione, in tal modo determinando la formazione del giudicato su tale punto, il terzo chiamato in garanzia impropria non può a sua volta impugnare la sentenza per far valere il difetto di giurisdizione del giudice adito relativamente alla causa principale.

Cass. civ. n. 7300/2010

In tema di condominio negli edifici, posto che il condominio stesso si configura come ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l'esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l'amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all'edificio condominiale, con la conseguenza che l'intervento dei condomini in una causa iniziata dall'amministratore realizza un'ipotesi di intervento della parte, che è ammissibile anche quando l'azione sia stata (in ipotesi) irregolarmente proposta per difetto di legittimazione dell'amministratore, trattandosi in tal caso di sostituzione del legittimato al non legittimato (Nella specie, si trattava di intervento in giudizio di condomini che avevano fatto propria la domanda riconvenzionale già proposta dall'amministratore del condominio per la revisione delle tabelle millesimali; la S.C., nell'enunciare il principio anzidetto, ha ritenuto, pertanto, di poter prescindere dall'esame diretto della questione preliminare sulla legittimazione o meno dell'amministratore a richiedere la revisione della tabella millesimale asseritamente inficiata da errore).

Cass. civ. n. 5900/2010

La legittimazione passiva in ordine all'azione di riduzione in pristino conseguente all'esecuzione, su immobile concesso in usufrutto, di opere edilizie illegittime, perché realizzate in violazione delle distante legali, spetta al nudo proprietario, potendosi riconoscere all'usufruttuario il solo interesse a spiegare nel giudizio intervento volontario "ad adiuvandum", ai sensi dell'art. 105, secondo comma, c.p.c., volto a sostenere le ragioni del nudo proprietario alla conservazione del suo immobile, anche quando le opere realizzate a distanza illegittima abbiano riguardato sopravvenute accessioni sulle quali si sia esteso il godimento spettante all'usufruttuario in conformità dell'art. 983 c.c.

Cass. civ. n. 27398/2009

Per l'ammissibilità dell'intervento di un terzo in un giudizio pendente tra altre parti è sufficiente che la domanda dell'interveniente presenti una connessione od un collegamento implicante l'opportunità di un "simultaneus processus". In particolare, la facoltà di intervento in giudizio, per far valere nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse un proprio diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto in causa, deve essere riconosciuta indipendentemente dall'esistenza o meno nel soggetto che ha instaurato il giudizio della "legitimatio ad causam", attenendo questa alle condizioni dell'azione e non ai presupposti processuali.

Cass. civ. n. 10274/2009

Il diritto che, ai sensi dell'art. 105, comma primo, c.p.c., il terzo può far valere in un giudizio pendente tra altre parti, deve essere relativo all'oggetto sostanziale dell'originaria controversia, da individuarsi con riferimento al "petitum" ed alla "causa petendi", ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale originaria, restando irrilevante la mera identità di alcune questioni di diritto, la quale, configurando una connessione impropria, non consente l'intervento del terzo nel processo.

Cass. civ. n. 3734/2009

La parte che svolge intervento adesivo dipendente, ai sensi del secondo comma dell'art. 105 c.p.c. - che si ha quando il terzo sostiene le ragioni di una parte senza proporre nuove domande ed ampliare il tema del contendere - può aderire all'impugnazione proposta dalla parte medesima ma non proporre impugnazione autonoma, la quale deve essere dichiarata inammissibile.

Cass. civ. n. 8355/2007

In tema di dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale, l'ultimo comma dell'art. 276 c.c., in base al quale alla domanda può contraddire «chiunque vi abbia interesse», configura una forma di intervento principale, ai sensi dell'art. 105, primo comma, c.p.c., e non meramente adesivo.

Cass. civ. n. 8095/2007

Nel contratto assicurativo con designazione del beneficiario, il diritto all'indennizzo nasce direttamente nel patrimonio del beneficiario come autonomo credito nei confronti dell'assicuratore e solo al beneficiario compete il diritto di azione nei confronti di questi per ottenere, ad evento avvenuto, la prestazione indennitaria. Ne consegue che, proposta congiuntamente azione di condanna dall'assicurato e dal beneficiario nei confronti dell'assicuratore, poichè la domanda del primo, con cui non si fa valere un autonomo diritto ma si sostengono le ragioni dell'altro, ha la sostanza di un atto di intervento adesivo dipendente, l'oggetto del giudizio è soltanto quello fissato dalla domanda del beneficiario, ed è in relazione a quest'ultima che devono valutarsi i criteri di collegamento ai fini della determinazione della giurisdizione sullo straniero.

Cass. civ. n. 13557/2006

Ai fini dell'intervento principale o dell'intervento litisconsortile nel processo, anche se l'articolo 105 c.p.c. esige che il diritto vantato dall'interveniente non sia limitato ad una meramente generica comunanza di riferimento al bene materiale in relazione al quale si fanno valere le antitetiche pretese delle parti, la diversa natura delle azioni esercitate, rispettivamente, dall'attore in via principale e dal convenuto in via riconvenzionale rispetto a quella esercitata dall'interveniente, o la diversità dei rapporti giuridici con le une e con l'altra dedotti in giudizio, non costituiscono elementi decisivi per escludere l'ammissibilità dell'intervento, essendo sufficiente a farlo ritenere ammissibile la circostanza che la domanda dell'interveniente presenti una connessione od un collegamento con quella di altre parti relative allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare un simultaneo processo, particolarmente allorché la tutela del diritto vantato dall'interveniente sia incompatibile con quella vantata dall'una e/o dall'altra delle parti originarie.

Cass. civ. n. 21060/2004

Ai fini dell'intervento principale o dell'intervento litisconsortile, anche se l'art. 105 c.p.c. esige che il diritto vantato dall'interveniente non sia limitato ad una meramente generica comunanza di riferimento al bene materiale in relazione al quale si fanno valere le antitetiche pretese delle parti, la diversa natura delle azioni esercitate, rispettivamente, dall'attore in via principale e dal convenuto in via riconvenzionale rispetto a quella esercitata dall'interveniente, o la diversità dei rapporti giuridici con le une e con l'altra dedotti in giudizio, non costituiscono elementi decisivi per escludere l'ammissibilità dell'intervento, essendo sufficiente a farlo ritenere ammissibile la circostanza che la domanda dell'interveniente presenti una connessione od un collegamento con quella di altre parti relativa allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare un simultaneo processo, particolarmente allorchè la tutela del diritto vantato dall'interveniente sia incompatibile con quella vantata dall'una e/o dall'altra delle parti originarie. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto sussistente un collegamento nel senso sopra precisato tra la domanda proposta dagli attori, intesa, nella specie, all'accertamento della validità del complesso negozio transattivo di divisione di alcuni beni in comunione, quella del convenuto, volta a contestare l'ex adverso pretesa validità del negozio, e quella degli intervenienti, intesa a far valere, sull'allegata loro qualità di ulteriori comproprietari dei medesimi beni, un'autonoma pretesa alla declaratoria d'invalidità del negozio stesso in quanto stipulato senza la loro partecipazione ed avente ad oggetto beni di loro pretesa comproprietà).

Cass. civ. n. 14901/2002

Il diritto che, a norma dell'art. 105, primo comma, c.p.c., il terzo può far valere in un processo pendente tra altre parti, in conflitto con esse (intervento principale) o solo con alcune di esse (intervento litisconsortile o adesivo autonomo) deve essere relativo all'oggetto, ovvero dipendente dal titolo, e, quindi, individuabile rispettivamente con riferimento al petitum, o alla causa petendi. Al di fuori di tali limiti, l'inserimento nel processo di nuove parti non è ammesso. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto inammissibile la domanda dell'ex proprietario di un immobile adibito a circolo, diretta al risarcimento del danni causati dal ritardo, dovuto alla pendenza di un giudizio di riscatto ex art. 39 legge n. 392 del 1978, nei lavori di restauro e di recupero dei reperti d'arte esistenti nell'immobile, domanda proposta in quello stesso giudizio, instaurato dal conduttore dell'immobile nei confronti dell'acquirente, che aveva a sua volta formulato domanda di garanzia ai sensi dell'art. 1485 c.c., condizionatamente all'accoglimento di quella dell'attore).

Cass. civ. n. 9566/2000

Così come più parti danneggiate nel medesimo sinistro possono agire nello stesso processo a titolo di litisconsorzio facoltativo ex art. 103 c.p.c., allo stesso modo ciascuna di esse può intervenire volontariamente nel giudizio promosso da uno soltanto dei danneggiati, ai sensi dell'art. 105, primo comma, c.p.c., allo scopo di far valere il proprio autonomo diritto al relativo risarcimento.

Cass. civ. n. 5126/1999

Non è consentito nel giudizio di legittimità l'intervento volontario del terzo, mancando una espressa previsione normativa, indispensabile nella disciplina di una fase processuale autonoma e riferendosi l'art. 105 c.p.c. esclusivamente al giudizio di cognizione di primo grado, senza che, peraltro, possa configurarsi una questione di legittimità costituzionale della norma disciplinante l'intervento volontario, come sopra interpretata, con riferimento all'art. 24 Costituzione, giacché la legittimità della norma limitativa di tale mezzo di tutela giurisdizionale discende dalla particolare natura strutturale e funzionale del giudizio di legittimità.

Cass. civ. n. 12745/1998

Le ragioni di connessione che giustificano l'intervento in causa, giusta disposto degli artt. 105, 107 c.p.c., determinano una situazione di litisconsorzio solo facoltativo che, in quanto tale, non può risultare ostativa alla separazione dei procedimenti, che va, pertanto, disposta dal giudice nella ipotesi di fallimento di uno dei convenuti, dovendo, in tal caso, procedersi secondo le regole proprie del rito speciale.

Cass. civ. n. 11324/1998

Poiché la sublocazione comporta la nascita di un rapporto obbligatorio derivato la cui sorte dipende da quella del rapporto principale di conduzione, la sentenza pronunciata per qualsiasi ragione (nullità, risoluzione, scadenza della locazione, rinuncia del conduttore-sublocatore al contratto in corso) nei confronti del conduttore esplica nei confronti del subconduttore, ancorché rimasto estraneo al giudizio e quindi non menzionato nel titolo esecutivo, non solo gli effetti della cosa giudicata sostanziale, ma anche l'efficacia del titolo esecutivo per il rilascio. Ne discende, anche, che il subconduttore non potendo vantare diritti di sorta nei confronti del locatore principale ed avendo un semplice interesse alla continuazione del rapporto locatizio fondamentale, può spiegare nella causa per finita locazione tra il proprietario ed il conduttore originario soltanto un intervento adesivo semplice o dipendente, non già autonomo litisconsortile e, di conseguenza, non è titolare del diritto di impugnare in via autonoma la sentenza sfavorevole alla parte adiuvata, ma può solo aderire all'impugnazione proposta da quest'ultima. Analogamente, se il locatore abbia convenuto nel giudizio instaurato per sentir dichiarare la cessazione della locazione sia il conduttore sia il subconduttore, è inammissibile l'impugnazione del subconduttore contro la sentenza che abbia accolto la domanda del locatore non impugnata dal conduttore.

Cass. civ. n. 4504/1996

Nel giudizio promosso da alcuni condomini contro altro condomino per ottenere, a seguito di denuncia di nuova opera, la sospensione dei lavori ed il ripristino della precedente situazione, l'intervento di altro condomino proprietario di appartamento direttamente interessato dall'opera, il quale, deducendo l'illegittimità della costruzione ed aderendo alle ragioni degli altri condomini contro lo stesso convenuto, introduce nel processo domande dipendenti dal proprio specifico titolo, integra un intervento adesivo autonomo. Detto interventore può proporre domande nuove, non essendo la sua attività processuale legata a quella della parte che ha iniziato il giudizio, stante l'autonomia del diritto fatto valere nei confronti dell'altra parte convenuta.

Cass. civ. n. 2928/1995

L'interveniente adesivo ha un interesse di fatto all'esito a lui favorevole della controversia, determinato dalla necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose della decisione, ma detto interesse non è idoneo ad attribuirgli un autonomo diritto da far valere nel rapporto controverso. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata la quale d'ufficio aveva attribuito l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale al terzo che, quale intestatario della licenza di commercio e titolare dell'attività esercitata nell'immobile locato, aveva spiegato intervenuto adesivo nella causa fra il locatore ed il conduttore concernente la cessazione del rapporto locatizio ed il pagamento della detta indennità).

Cass. civ. n. 6309/1994

L'intervento adesivo dipendente, previsto dall'art. 105, comma 2, c.p.c., dà luogo ad un giudizio unico con pluralità di parti nel quale la pronuncia che lo definisce non può che essere la stessa rispetto alla parte principale e all'interveniente, i poteri del quale sono limitati all'espletamento di un'attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni unicamente nell'ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte; conseguentemente, se le parti del giudizio principale pongono termine al rapporto processuale, ovvero, per rinuncia od acquiescenza delle stesse, la lite cessa di esistere, l'interveniente non ha il potere di far proseguire il processo, né, per il caso di rinuncia, è necessaria la sua accettazione, non essendo configurabile un suo interesse alla prosecuzione del giudizio alla stregua della previsione dell'art. 306, comma 1, c.p.c.

Cass. civ. n. 12758/1993

L'interesse richiesto per la legittimazione all'intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti ex art. 105 comma secondo c.p.c. deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tal che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere — solo in via indiretta o riflessa — pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa. Pertanto, i soci di una cooperativa sono portatori di un interesse che legittima il loro intervento ad adiuvandum nella lite tra la società e l'appaltatore, per il pagamento del corrispettivo dell'appalto del fabbricato sociale, i cui appartamenti sono destinati, in conformità dello scopo statutario, ad essere assegnati in proprietà ai soci, sui quali viene a gravare, in definitiva, il costo degli immobili.

Cass. civ. n. 11404/1992

I due tipi di intervento adesivo, dipendente ed autonomo, sono tra loro inconciliabili, fondandosi su presupposti del tutto diversi e tra loro collidenti, atteso che col primo l'interveniente tende a sostenere, sulla base di un proprio interesse giuridico, l'altrui diritto, mentre l'intervento autonomo è spiegato ad infringenda jura utriusque partis; tuttavia essi possono essere spiegati contemporaneamente, ove siano proposti in via tra loro subordinata: in tal caso non si verifica alcuna contraddizione, ben potendo sussistere l'affermazione di un proprio diritto o, in subordine, l'interesse che lo stesso diritto sia riconosciuto a favore di una delle parti in causa.

Cass. civ. n. 1949/1983

Qualora il terzo spieghi volontariamente intervento litisconsortile assumendo esser lui — e non il convenuto — il soggetto nei cui confronti si rivolge la pretesa dell'attore, la domanda originaria, anche in mancanza di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, nei confronti del quale il giudice può, pertanto, assumere le conseguenziali statuizioni.

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Anonimo chiede
venerdì 29/03/2024
“Buongiorno
Avrei un quesito da porre in merito al contenzioso fra mio marito e la ex moglie, avente come oggetto la modifica delle condizioni divorzili.
La ex moglie ricorrente, nel suo ricorso ha dedicato pagine intere alle mie vicende economiche, vicende concluse prima che io sposassi l'attuale marito, dove disciplinavo materie con il mio ex marito nell'interesse del nostro figlio, quindi, figlio di precedente matrimonio.
Inoltre, la signora ha allegato documenti patrimoniali dei miei genitori assolutamente estranei alla lite fra mio marito e la signora medesima. Il richiamo di questi fatti voleva dimostrare che mio marito aveva sposato una persona benestante (peraltro assolutamente non vero), e che quindi ben poteva aumentare l'assegno divorzile a favore della ex moglie.
Nel giudizio di primo grado, mio marito ha ben spiegato quale fosse la mia situazione economica e ha fatto presente le mie risorse economiche dovevano tenere conto anche del figlio minore che io ho avuto da precedente unione.
Il giudice di 1° grado ha sentenziato che le questioni di mio figlio non dovevano pregiudicare la situazione economica di mio marito e ha dato una lettura contra legem ai fatti allegati, deducendo elementi favorevoli per la ricorrente statuendo un aumento dell'assegno divorzile.
La ex moglie ricorre nuovamente in appello chiedendo un ulteriore aumento è ottiene un raddoppio dell'assegno! Nella sentenza di 2° grado il Collegio espressamente derubricava il mio matrimonio (di oltre 7 anni) in semplice "relazione", e ometteva del tutto la nostra bambina nata dal secondo matrimonio. Il provvedimento della Corte è ricompresa in 5 righe!!!!!!
Mio marito è ricorso in Cassazione per apparente motivazione, violazione del principio di contraddittorio e per omissione di fatto decisivo oggetto di dibattito fra le parti!
Fatta la premessa, le mie domande sono come segue:
- le mie vicende sono state oggetto di dibattito fra le parti, senza che io - diretta interessata - potessi adeguatamente spiegare o difendermi. Le questioni con il mio ex marito e con i miei genitori sono stati determinanti ai fini decisori, decisioni che hanno leso i miei diritti, quelli di mio figlio e di nostra figlia minore. Ci sono i termini per intervenire in processo?
- poichè il provvedimento sarà sicuramente cassato con rinvio, potro' intervenire per la prima volta presso la Corte di Appello?
- eventualmente potrei agirei autonomamente contro il provvedimento della Corte?
Spero di essere stata sufficientemente chiara ai fini di una prima vostra risposta.
Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 05/04/2024
L’intervento in giudizio di un terzo, cioè di un soggetto diverso dalle parti originarie di quel processo, è disciplinato in via generale dall’art. 105 c.p.c.
La norma prevede, in particolare, diversi tipi di intervento:
  • intervento principale o autonomo, con cui il terzo interviene per far valere un proprio diritto nei confronti di tutte le parti; attenzione, perché deve esservi una precisa connessione tra il diritto fatto valere dal terzo e il giudizio pendente, nel senso che il diritto fatto valere dal terzo deve essere relativo all'oggetto del giudizio, o dipendente dal titolo già dedotto nel processo;
  • intervento litisconsortile o adesivo autonomo, con cui il terzo vuol far valere un proprio diritto nei confronti di alcune soltanto delle parti che già fanno parte del processo. Anche in questo caso, comunque, il diritto azionato dal terzo deve essere relativo all'oggetto del processo o dipendente dal titolo già dedotto nel giudizio pendente;
  • intervento adesivo dipendente, previsto dal comma 2 dell’art. 105 cit., con cui il terzo fa il proprio ingresso nel processo per sostenere le ragioni di alcuna delle parti; il presupposto di questo tipo di intervento è che il terzo abbia un vero e proprio interesse.

Ora, per rispondere a un interrogativo quale “Può Tizia intervenire nel giudizio pendente tra Caio e Mevia?”, occorrerebbe quanto meno sapere con precisione che tipo di intervento, tra quelli sopra elencati, si intenda proporre. Nel nostro caso, dunque, si tratterebbe di un intervento adesivo autonomo, proponendo una propria domanda nei confronti della ex moglie di Caio? In questo caso, come abbiamo visto, occorrerebbe specificare quale diritto si ritiene leso e pertanto si vuol fare valere.


Oppure si tratterebbe di un intervento adesivo dipendente, per “appoggiare” le domande di Caio? Anche qui, però, occorrerebbe dedurre, cioè affermare in giudizio, e dimostrare l’esistenza di un vero e proprio interesse giuridico e non di un interesse di mero fatto all’ottenimento di una pronuncia favorevole al proprio attuale compagno di vita.
La Cassazione, infatti, ha precisato - proprio con riferimento all’intervento adesivo dipendente - che “la legittimazione "ad adiuvandum" ex art. 105, secondo comma, cod. proc. civ. presuppone che il giudicato destinato a formarsi tra le parti del giudizio arrechi una lesione ad un interesse giuridico e non meramente fattuale del terzo interveniente” (Cass. Civ., Sez. I, sentenza 10/01/2014, n. 364).
In altri termini, la pronuncia da emettersi nel giudizio in cui il terzo vuole intervenire deve essere in grado di produrre effetti giuridici nella sfera del terzo.

Nel caso, invece di intervento autonomo - sia esso principale o litisconsortile - la Suprema Corte ha affermato che “il diritto che, ai sensi dell'art. 105, comma primo, cod. proc. civ., il terzo può far valere in un giudizio pendente tra altre parti, deve essere relativo all'oggetto sostanziale dell'originaria controversia, da individuarsi con riferimento al "petitum" ed alla "causa petendi", ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale originaria, restando irrilevante la mera identità di alcune questioni di diritto, la quale, configurando una connessione impropria, non consente l'intervento del terzo nel processo” (Cass. Civ., Sezioni Unite, sentenza 05/05/2009, n. 10274).

Riassumendo, e fermo restando che, per poter valutare l’ammissibilità dell’intervento di un terzo in giudizio occorrerebbe conoscere di quale tipo di intervento si tratterebbe e quale sarebbe la situazione giuridica soggettiva - diritto o interesse - che il terzo intende far valere, ci sembra comunque che difficilmente i presupposti per un intervento potranno essere ravvisati in un caso come quello descritto nel quesito.

A. D. chiede
sabato 12/11/2022 - Puglia
“abbiamo due giudizi in corso, uno in primo grado e l'altro in appello, ante precisaz. delle conclusioni.
Le parti nel giudizio di 1° grado sono: A (attore) , B (convenuto), C (interveniente adesivo dipendente di A)
Le parti nel giudizio di appello sono: D(appellante) , E (appellato), F (interveniente adesivo autonomo di D)
Domande:
- il soggetto G può intervenire nel giudizio di 1° grado con intervento adesivo dipendente di C ?
- il soggetto G può intervenire nel giudizio di 2° grado con intervento adesivo dipendente di F ?”
Consulenza legale i 16/11/2022
In primo luogo, va ricordato che l’intervento nel giudizio di primo grado e in grado di appello seguono regole parzialmente diverse, posto che quest’ultimo caso le norme processuali consentono soltanto “l’intervento dei terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell'articolo 404” e non quello adesivo dipendente (344).
Pertanto, per quanto riguarda il giudizio di secondo grado si rileva che comunque, in disparte quello che si dirà poi, non pare essere ammesso l’intervento di G per come prospettato nel quesito.

In secondo luogo, circa il giudizio di primo grado va rilevato che l’intervento di G è ipotizzato come una sorta di “intervento all’intervento”, che però non pare facilmente conciliabile con la ratio dell’istituto processual-civilistico in discorso.
Infatti, con l’intervento adesivo dipendente il soggetto si limita soltanto a sostenere le ragioni di una parte nel processo originaria, senza far valere domande o eccezioni che scaturiscono direttamente da un proprio diritto soggettivo.

La costituzione di G nei termini proposti, dunque, si risolverebbe quasi in una posizione priva di contenuto, in quanto consisterebbe nel mero sostegno alla posizione del soggetto C, il cui unico ruolo nel processo è però quello di sostenere le ragioni della parte A.
Una soluzione molto più piana e meno tortuosa sarebbe invece, a parere dello scrivente, che G spiegasse il proprio intervento adesivo dipendente direttamente a favore della parte A.

Angela D.B. chiede
martedì 17/11/2020 - Puglia
“PREMESSA: soggetto “A” subisce nel 1983 un esproprio in ambito P.E.E.P. di un suolo edificabile tipizzato C2 di espansione semintensiva e dopo il giudizio di opposizione alla stima, ottiene l’indennità di esproprio nel 2010. La P.A. non ha mai minimamente né usato né trasformato il suolo in questione, quindi “A” ricorre anche per la restituzione del bene mediante l’istituto della “Retrocessione totale”, che ottiene nel 2019 con sentenza della Cass. passata in giudicato, ma con rinvio alla C.d’Appello per la sola parte relativa alla quantificazione del corrispettivo che “A” deve versare alla P.A., da stabilire al momento, o con patto amichevole fra le parti o tramite perizia giudiziaria. Riassunto il giudizio nanti la C. d’App., “A” ha chiesto la nomina del C.T.U. per la perizia de qua (il Comune si è opposto) e l’ha reiterata nelle memorie autorizzate depositate a ridosso della prima udienza del Nov./2020, cui è seguita l’Ordinanza collegiale, che da una parte ha ignorato la questione C.T.U.(come se l’istanza non esistesse affatto) e dall’altra ha rinviato la causa al Giu./2021 per la precisazione delle conclusioni.
Altro soggetto “B” (peraltro confinante di “A”) anch’egli proprietario/espropriato nella stessa procedura P.E.E.P., nella stessa situazione di fatto e di diritto e anch’egli con azione giudiziaria in corso per la Retrocessione del bene, pone le seguenti
DOMANDE:
1) “B”, pur avendo in piedi un giudizio autonomo di Retrocessione (la cui conclusione si prevede in tempi lunghi) può ugualmente svolgere “intervento di terzo” nella causa di “A”, già definita x la Retrocessione ed ancora in piedi nanti la C. d’App. solo x il corrispettivo, dato che per "A" l’udienza di precisaz. delle conclusioni non si è ancora svolta ?
2) La Cd’App può, nonostante l’Ordinanza, ritornare sui suoi passi e disporre la C.T.U. atteso che bisogna stabilire puntualmente il valore dei suoli ad oggi oppure l’attività istruttoria è definitivamente chiusa e quindi la Corte deciderà sulla base dei documenti versati in atti ?
3) nello specifico “B”, con intervento adesivo … (da decidere, se “autonomo” o “dipendente”) potrebbe, insieme ad “A”, indurre la Corte a rivedere l’Ordinanza, nel senso di disporre la C.T.U., garantendo così un accertamento puntuale all’attualità del valore del terreno di “A” (che ovviamente si rifletterebbe anche sul terreno di “B”) ?
Disponibile ad inviare gli atti di causa, vorrei almeno allegare l’ Ordinanza CdApp, peralro molto scarna.


Consulenza legale i 23/11/2020
In risposta alla prima domanda si chiarisce che l’art. 268 c.p.c. fissa nella udienza di precisazione delle conclusioni il termine ultimo per l’intervento del terzo nel processo; pertanto, è ancora possibile per il soggetto B costituirsi nel giudizio in questione.
Si nota, comunque, che nel caso di specie non sembra configurabile un intervento autonomo, ma piuttosto un intervento adesivo dipendente, posto che B ha già intentato in proprio una causa, peraltro ancora in corso, relativa all’accertamento del diritto alla retrocessione.

Anche la seconda domanda ha una risposta positiva, in quanto il Giudice, se ritiene di non avere acquisito sufficienti elementi per la decisione, può riaprire la fase istruttoria e eventualmente disporre lo svolgimento della CTU.
In proposito, va ricordato il principio affermato da costante giurisprudenza, secondo cui la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione. Tale principio deve essere esteso anche all'ipotesi in cui sia stato il giudice di appello a non ammettere le suddette richieste, con la conseguenza che la loro mancata ripresentazione al momento delle conclusioni preclude la deducibilità del vizio scaturente dall'asserita illegittimità del diniego quale motivo di ricorso per cassazione (ex multis, Cassazione civile sez. II, 27 febbraio 2019, n. 5741).
Vero è che l’istanza di CTU non è una vera e propria istanza istruttoria, ma è comunque prudente ed opportuno ribadire in modo specifico la richiesta sia nel foglio di precisazione delle conclusioni, nonché nella successiva memoria conclusionale ex art. 190 c.p.c..

Infine, sulla terza domanda si rileva che l’interveniente partecipa alla causa nello stato in cui si trova, ma ha comunque la possibilità di illustrare nel modo che ritenga più efficace ed esaustivo le proprie domande e difese.
Pertanto, non pare che vi siano ragioni ostative alla deduzione nella comparsa di intervento delle ragioni per le quali nel caso di specie si ritenga necessario lo svolgimento della CTU.


Angela D.B. chiede
martedì 29/09/2020 - Puglia
“Premesso che pensavo di esperire intervento di terzo, senza bisogno di proporre istanza di visibilità in quanto cmq ero risalita al num. di R.G., alle generalità delle parti tutte costituite senza contumaci, i fatti presupposti mi erano ben noti e anche gli sviluppi processuali, cmq anteriori dell'udienza di p.d.c.. Data la mia posizione tutta in favore dell'attore (il Comune) e contraria al convenuto (soci della Coop. "A"), pensavo bastasse proporre un intervento di tipo ADESIVO DIPENDENTE. Però riflettendo meglio, anche alla luce delle Vs risposte di cui alla consulenza n. Q202026333, mi chiedo se non sia meglio proporre INTERVENTO ADESIVO AUTONOMO in quanto miro acche vengano accolte tutte le domande del Comune, che peraltro io (ri)formulerò una ad una nella mia comparsa, senza ampliare l'oggetto della causa, diciamo così per una certa economia processuale e comunque per evitare che l'eventuale accoglimento della domanda del convenuto possa ostacolare il riconoscimento del mio diritto (anche se perseguibile tramite un giudizio autonomo o di opposizione di terzo). In altre parole io intendo, col mio intervento, prevenire la pronuncia di una sentenza favorevole al convenuto, che pur senza fare stato contro di me, rappresenterebbe il presupposto per una azione di rivalsa nei miei confronti o comunque mi assoggetterebbe a delle conseguenze che i soci della coop. "A" ritengono giuste, ma io invece (socia della coop. "B") ritengo ingiuste. Il dubbio che mi assale é se con un INTERVENTO ADESIVO DIPENDENTE, sarei parte del processo a tutti gli effetti ? avrei cioé una legittimazione piena, per poter ad es. impugnare la sentenza?. Ma ciò che mi preoccupa di più é se le parti dovessero giungere ad un componimento bonario giudiziale della controversia, di qui le domande:
1) con l'INTERVENTO ADESIVO AUTONOMO, in caso di transazione giudiziale, l'interveniente (avendo proposto proprie domande, quand'anche identiche a quelle di una delle parti in giudizio) è parte a tutti gli effetti del giudizio e quindi ha diritto anch'egli a partecipare alle trattative per un eventuale componimento bonario fra tutte le parti in causa?
2) Ove invece una parte dovesse abbandonare il giudizio, l'interveniente adesivo autonomo, ha titolo a proseguirlo fino alla sentenza?
Grazie

Consulenza legale i 06/10/2020
In risposta al quesito si chiarisce che la differenza tra intervento autonomo e intervento adesivo dipendente consiste nella posizione giuridica fatta valere dal terzo.

Nel caso di intervento autonomo, la parte fa valere nei confronti di tutte le parti (intervento principale) o solo di alcune (intervento liticonsortile) un diritto di cui è titolare e che potrebbe essere azionato anche in un separato giudizio (art. 105, comma 1, c.p.c.).
Ai fini della ammissibilità dell'intervento del terzo come autonomo, è sufficiente che la domanda dell'interveniente presenti una connessione o un collegamento con quella di altre parti relativa allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare il simultaneo processo (Cassazione civile, sez. VI, 23 marzo 2011, n. 6703).
Il soggetto che svolge l’intervento adesivo dipendente, invece, si limita a sostenere le ragioni dell’una o dell’altra parte processuale (intervento ad adiuvandum o ad opponendum), senza però dedurre un diritto proprio e, perciò, ponendosi in una posizione del tutto subalterna a quella dell’attore o del convenuto (art. 105, comma 2, c.p.c.).

Pertanto, nel caso di specie la qualificazione dell’intervento de quo come autonomo o dipendente non va ricercata sotto l’aspetto formale delle conclusioni eventualmente rassegnate nella comparsa, bensì sotto l’aspetto sostanziale del diritto in concreto fatto valere dal terzo.
In mancanza di tale autonoma posizione giuridica, l’intervento si può configurare soltanto come adesivo dipendente, senza che assuma rilievo la mera trascrizione/riproposizione letterale delle domande già svolte da una delle parti principali.

Tanto premesso, si precisa che all'interveniente adesivo non è riconosciuta un'autonoma legittimazione ad impugnare, salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell'intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico, sicché la sua impugnazione è inammissibile, laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole (Cassazione civile, SS.UU., 17 aprile 2012, n. 5992; Cassazione civile sez. I, 06 febbraio 2018, n. 2818).
Analoghe conclusioni ricorrono per quanto riguarda la transazione, in relazione alla quale l’interveniente adesivo dipendente non pare avere una particolare voce in capitolo, se non in merito all’aspetto della suddivisione delle spese di lite.
Chiaramente, in sede di transazione le parti possono includere tutte le clausole che ritengono più opportune, ma nella fattispecie sarebbe necessario e prudente considerare le conseguenze che avrebbe un eventuale accordo raggiunto nel presente giudizio sulla posizione della società B e degli altri soci di tale persona giuridica.

In relazione alla domanda n. 2, inoltre, si rileva che le ipotesi di estinzioneprematura” del processo, cioè prima che si arrivi a una sentenza, sono sostanzialmente due, ossia la rinuncia agli atti del giudizio e l’inattività delle parti (artt. 306 e 307 c.c.).
Quanto alla prima ipotesi, che sembra essere quella richiamata nel quesito, va chiarito che, perché la rinuncia produca effetto estintivo, essa deve essere accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione del giudizio.
Anche in questo caso, quindi, sembra che solo il terzo intervenuto in via autonoma sia legittimato ad esprimere l’accettazione prevista dall’art. 306 c.p.c., mentre tale conclusione non pare facilmente prospettabile per il soggetto che abbia proposto un semplice intervento adesivo dipendente.
Come scritto, infatti, quest’ultimo non è titolare di un diritto autonomo e slegato da quello della parte che intende sostenere e non sembra, dunque, poter vantare un interesse proprio alla prosecuzione della causa.

Infine, l’art. 14, comma 3, D.P.R. n. 115/2002, anche secondo l’interpretazione data nella nota del Ministero della Giustizia 05 febbraio 2015 n. 0020600.U., impone il pagamento del contributo unificato solo in caso di intervento autonomo e non anche in ipotesi di intervento adesivo dipendente.


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