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Articolo 92 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese

Dispositivo dell'art. 92 Codice di procedura civile

Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue (1); e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'articolo 88, essa ha causato all'altra parte [disp. att. 151 2] (2).

Se vi è soccombenza reciproca (3) ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero. [Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti ] (4).

Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione [disp. att. 88].

Note

(1) Generalmente si considerano eccessive o superflue quelle spese che la parte avrebbe potuto limitare o evitare rispetto allo scopo da raggiungere. Sono eccessive ad esempio le spese derivanti dalla nomina di più difensori o consulenti tecnici di parte anche se la complessità della causa non era tale da richiederla. Sono invece definite superflue quelle spese totalmente inopportune ed inutili che avrebbero potuto essere evitate senza pregiudicare l'esito della lite (come ad esempio l'uso della carta bollata per un atto per il quale non era richiestaai fini del raggiungimento dello scopo prefissato). L'eccessività o la superfluità della spesa deve essere valutata al momento in cui la spesa è stata effettuata, e tale valutazione spetta al giudice che discrezionalmente deciderà se le spese sostenute per il compimento dei singoli atti siano o meno superflue o eccessive.
(2) Una deroga al criterio della soccombenza si verifica nel caso in cui la parte vincitrice venga condannata a causa della trasgressione del dovere di lealtà e probità. In tal caso infatti viene riconosciuto anche al soccombente il diritto al rimborso.
(3) La soccombenza reciproca si verifica quando vengono rigettate sia la domanda principale che quella riconvenzionale oppure nell'ipotesi in cui vengono accolte solo alcune delle domande (proposte da un'unica parte) o alcuni capi dell'unica domanda proposta (c.d. soccombenza parziale). In tale ultimo caso il giudice di merito decide, in virtù di una valutazione insindacabile in sede di legittimità, quale delle parti deve essere condannata alle spese e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione parziale.
(4) Il secondo comma è stato prima aggiornato con le modifiche introdotte dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69. I "giusti motivi" della precedente formulazione sono stati sostituiti dalle "gravi ed eccezionali ragioni", che hanno un significato più restrittivo, qualificando così la compensazione come evento eccezionale.
Oggi il comma è stato nuovamente riformato ad opera del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.

Ratio Legis

La norma in esame ha l'intento di temperare il rigore previsto dal principio della condanna alle spese, in presenza di particolari circostanze e di evidente buona fede del soccombente. La norma sancisce, infatti, il principio della compensazione delle spese per giusti motivi.

Spiegazione dell'art. 92 Codice di procedura civile

La disposizione in esame stabilisce, per il riparto definitivo delle spese, una serie di regole divergenti rispetto al criterio oggettivo della soccombenza dettato dall’art. 91 del c.p.c..
Tratto comune delle varie ipotesi è l’ampio potere discrezionale che viene concesso al giudice nel verificare la ricorrenza di una delle deroghe al principio della soccombenza.
La prima parte del primo comma prevede una prima attenuazione della responsabilità del soccombente, riconoscendo in capo al giudice il potere di escludere dalla ripetizione (e, perciò, dalla condanna del soccombente) le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma che ritiene eccessive o superflue.

Il problema che tale parte della norma ha fatto sorgere è stato quello di stabilire il significato concreto da attribuire alle generiche espressioni di eccessività e superfluità che qui vengono utilizzate.
E’ stato così affermato che spese superflue sono quegli esborsi sostenuti dalla parte vincitrice per le quali non si può ravvisare alcuna relazione di indispensabilità o quantomeno di utilità con il processo (esempio che viene fatto è quello della presentazione di un ricorso ex art. 669 bis del c.p.c. nel momento in cui già le parti non avevano manifestato alcuna volontà conciliativa).
Sono, invece, qualificabili come spese eccessive quelle che, pur se connesse al compimento di atti necessari per le finalità difensive, risultano sproporzionati ed esorbitanti rispetto al fine, nel senso che il medesimo risultato poteva essere conseguito anche sostenendo costi inferiori.
La distinzione tra i due tipi di spese ha una finalità pratica, in quanto mentre per le spese superflue la ripetibilità è del tutto esclusa, per quelle eccessive è ridotta, ovvero l’esborso viene ricondotto dal giudice nella giusta misura.

La valutazione della natura superflua o eccessiva deve essere compiuta ex ante, ossia con riferimento al momento in cui la spesa è stata effettuata, e non ex post, cioè alla luce della decisione giudiziale, in relazione alla quale sarebbero da considerare superflui tutti gli atti che non siano stati utilizzati nella formazione del convincimento del giudice (nella prassi sono ritenute eccessive o superflue, ad esempio, le spese per la nomina di più difensori o per l’indennità di trasferta del difensore residente in luogo diverso dalla sede del giudice adito).
La decisione del giudice al riguardo si ritiene che sia insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui alla base della motivazione vengano poste illogiche o contraddittorie ragioni.

Altra deroga al principio generale della soccombenza è rappresentata dall’ipotesi prevista dall’ultima parte del primo comma di questa norma, ove viene previsto che il giudice può porre le spese a carico della parte che abbia trasgredito ai doveri di lealtà e probità, anche se vittoriosa in giudizio.
Tale disposizione trova la sua giustificazione nel principio della responsabilità processuale e la condanna può avere ad oggetto sia spese relative a singoli atti che le spese dell’intero giudizio (ricorre quest’ultimo caso allorchè il giudice accerti che la proposizione del giudizio sia connessa ad una condotta preprocessuale delle parte vittoriosa violativa dell’obbligo di lealtà e probità).
La decisione di condanna in esame richiede una espressa e specifica giustificazione ed è censurabile in sede di legittimità solo per illogicità o manifesta erroneità della motivazione.

Il secondo comma della norma disciplina le ipotesi di compensazione delle spese, da non intendere in senso tecnico, ossia come modalità di estinzione di reciproche obbligazioni aventi ad oggetto debiti omogenei, liquidi ed esigibili.
Si tratta di quei casi in cui al giudice viene riconosciuta la possibilità di non applicare il criterio di ripartizione dettato dall’art. 91c.p.c., facendo sì che operi in via definitiva il principio della anticipazione (ogni parte sopporta le spese relative agli atti che compie e che richiede).

Costituiscono vicende che possono legittimare la compensazione: la soccombenza reciproca e l’assoluta novità della questione trattata o un mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Al ricorrere di tali ipotesi il giudice può, con valutazione ampiamente discrezionale, escludere radicalmente la ripetizione della spese (compensazione totale) oppure limitare l’obbligazione del soccombente al rimborso solo di una frazione delle spese sopportate dalla controparte (compensazione parziale); la discrezionalità attribuita al giudice investe l’an (ossia l’opportunità della compensazione) e la misura totale o parziale della stessa.

La compensazione per soccombenza reciproca costituisce di fatto un corollario della regola generale della soccombenza contenuta nell’art. 91c.p.c.
L’ipotesi della novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza (che ha sostituito, in forza dell’art. 13 D.l. n. 132/2014, quella della ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni) ha come palese finalità quella di costituire un deterrente alle cause temerarie.
La suddetta previsione è stata successivamente inasprita in sede di conversione del D.l. ad opera della Legge 162/2014, essendo stati inseriti la specificazione della assoluta novità della questione trattata ovvero il mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.

L’ultimo comma della norma pone come regola generale la compensazione ipso iure delle spese nell’ipotesi di conciliazione delle parti litiganti, facendo salva una loro diversa volontà, da documentarsi per iscritto nel processo verbale di conciliazione.
A questo proposito si ritiene sia il caso di richiamare il disposto di cui all’art. 68 R.D. n. 1578/1933 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), in cui viene previsto che, nei casi in cui un giudizio viene definito con transazione, tutte le parti transigenti sono solidalmente obbligate al pagamento delle spese e competenze di cui tutti gli avvocati sono creditori per attività professionali relative alla controversia.

Massime relative all'art. 92 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 41360/2021

Nel processo tributario, ai sensi dell'art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 (sia prima che dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 156 del 2015), l'ipotesi del mutamento giurisprudenziale su questione dirimente può rientrare tra le "gravi ed eccezionali ragioni" da indicare esplicitamente in motivazione per giustificare la compensazione delle spese di lite. (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. NAPOLI, 20/05/2019).

Cass. civ. n. 26856/2021

Nel procedimento d'equa riparazione, disciplinato dalla legge 24 marzo 2001 n. 89, la liquidazione dell'indennizzo in misura inferiore a quella richiesta dalla parte per l'applicazione, da parte del giudice, di un moltiplicatore annuo diverso da quello invocato dall'attore, non integra un'ipotesi di accoglimento parziale della domanda che legittima la compensazione delle spese, ai sensi dell'art. 92, comma 2 c.p.c., poiché, in assenza di strumenti di predeterminazione anticipata del danno e del suo ammontare, spetta al giudice individuare in maniera autonoma l'indennizzo dovuto, secondo criteri che sfuggono alla previsione della parte, la quale nel precisare l'ammontare della somma richiesta a titolo di danno non patrimoniale non completa il "petitum" sotto il profilo quantitativo, ma soltanto sollecita, a prescindere dalle espressioni utilizzate, l'esercizio di un potere ufficioso di liquidazione. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO POTENZA, 31/01/2020).

Cass. civ. n. 26912/2020

In materia di procedimento civile, il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 17/01/2019).

Cass. civ. n. 11068/2020

La consulenza tecnica d'ufficio è un atto compiuto nell'interesse generale di giustizia e, dunque, nell'interesse comune delle parti, trattandosi di un ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno e non di un mezzo di prova in senso proprio; le relative spese rientrano pertanto tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c., sicché possono essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa, senza violare in tal modo il divieto di condanna di quest'ultima alle spese di lite, atteso che la compensazione non implica una condanna, ma solo l'esclusione del rimborso. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 09/01/2014).

Cass. civ. n. 1269/2020

In tema di spese di lite, nel caso di soccombenza reciproca determinata dal parziale accoglimento di domande contrapposte, il giudice, ove non ritenga di compensare integralmente le spese, deve porle (in tutto od in parte nell'ipotesi di compensazione parziale) a carico della parte la cui domanda, pur se accolta, ha valore minore rispetto a quella, anch'essa accolta, dell'altra parte. (Cassa e decide nel merito, TRIBUNALE ROMA, 20/11/2017).

Cass. civ. n. 27846/2019

In caso di intervento adesivo, l'interventore diventa parte del giudizio, in ordine alla cui posizione si applicano gli artt. 91 e 92 c.p.c., potendo, perciò, essere anche condannato alle spese in caso di soccombenza della parte adiuvata o vedersi riconoscere il favore delle spese nell'ipotesi di vittoria della stessa parte adiuvata.

Cass. civ. n. 26849/2019

Le spese della consulenza tecnica d'ufficio rientrano tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c., sicché possono essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa, costituendo tale statuizione una variante verbale della tecnica di compensazione espressa per frazioni dell'intero. (Nel ribadire il principio, la S.C. ha confermato il decreto del Tribunale che, in sede di omologa ex art. 445-bis c.p.c., aveva dato atto non soltanto della sussistenza del requisito necessario al godimento dell'assegno mensile di assistenza, ma anche dell'insussistenza di quello necessario al godimento della pensione di inabilità civile e dell'indennità di accompagnamento, compensando le spese di lite e ponendo a carico della parte ricorrente le spese della consulenza tecnica d'ufficio).

Cass. civ. n. 21157/2019

Ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., come riformulato dalla l. n. 69 del 2009 ("ratione temporis" applicabile), la compensazione delle spese legali può essere disposta, in difetto di soccombenza reciproca, per "gravi ed eccezionali ragioni", tra le quali, trattandosi di nozione elastica, rientra la situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso. (Fattispecie in tema di ripetizione di prestazioni previdenziali derivanti da un rapporto di lavoro agricolo risultato fittizio all'esito di un'ispezione che aveva rivelato una situazione di obiettiva e grave incertezza sull'effettività delle prestazioni lavorative della ricorrente).

Cass. civ. n. 17816/2019

Il giudizio sulla sussistenza di giusti motivi per la compensazione delle spese processuali, nella vigenza dell'art. 92 c.p.c. nella formulazione anteriore allle modifiche introdotte dall'art. 2, comma 1, della legge n. 263 del 2005, è rimesso al giudice di merito ed è di norma incensurabile in sede di legittimità, a meno che la motivazione che lo sorregge non sia illogica, tautologica, inesistente o meramente apparente. (Nella specie, la S.C., decidendo nel merito, ha cassato la sentenza con cui la corte di appello, quale giudice del rinvio, pur avendo accolto totalmente la domanda del ricorrente, aveva integralmente compensato le spese di tutti e quattro i gradi in cui si era svolto il giudizio, adducendo quale giusto motivo "l'estrema particolarità delle questioni affrontate in ordine alla soluzione dei controversi profili interpretativi della normativa regolante la materia" senza fornire alcuna giustificazione dell'affermazione).

Cass. civ. n. 12633/2019

Il dichiarato assorbimento di una questione prospettata dalla parte non consente di configurare, nei suoi confronti, una soccombenza parziale e non costituisce, pertanto, giusto motivo per la compensazione delle spese processuali ai sensi dell'art. 92 c.p.c., nella formulazione anteriore alla novella introdotta con la l. n. 263 del 2005, dovendo tale statuizione essere sorretta da giustificazioni adeguate e, ancorché non specificamente riferite alla pronuncia di compensazione, inequivocamente desumibili dalla motivazione della decisione di merito.

Cass. civ. n. 11329/2019

In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione.

Cass. civ. n. 10685/2019

In tema di spese processuali, il potere del giudice di disporre la compensazione delle stesse per soccombenza reciproca ha quale unico limite quello di non poter porne, in tutto o in parte, il carico in capo alla parte interamente vittoriosa, poiché ciò si tradurrebbe in un'indebita riduzione delle ragioni sostanziali della stessa, ritenute fondate nel merito.

Cass. civ. n. 4696/2019

Ai sensi dell'art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell'eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall'art. 92, comma 2, c.p.c.

Cass. civ. n. 23059/2018

In tema di spese giudiziali, le "gravi ed eccezionali ragioni" richieste per giustificare la compensazione totale o parziale, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., nella formulazione applicabile "ratione temporis", non sono determinabili "a priori" ma devono essere specificate in via interpretativa dal giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto illogica, erronea e non conforme al principio di lealtà ex art. 88 c.p.c. la compensazione delle spese processuali giustificata con il pagamento pressoché integrale degli importi dovuti dall'ingiunto, effettuato in esito all'emissione del provvedimento monitorio e prima della pronuncia di primo grado sul giudizio di opposizione, trattandosi di comportamento non caratterizzato da spontaneità ed inidoneo ad esonerare la parte opposta dall'onere di impugnazione della eventuale pronuncia di accoglimento dell'opposizione proposta).

Cass. civ. n. 8346/2018

In tema di spese processuali, dovendo trovare un adeguato supporto motivazionale il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per "giusti motivi" ex art. 92 c.p.c., pur nel regime anteriore a quello introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a), della l. n. 263 del 2005, la compensazione delle spese giustificata dall'esiguo valore della causa si traduce, allorquando l'importo delle stesse sia tale da superare quello del pregiudizio economico che la parte ha inteso evitare agendo in giudizio, in una sostanziale soccombenza di fatto della parte vittoriosa ed in una lesione del diritto di agire in giudizio, con conseguente violazione di legge per l'illogicità e l'erroneità delle motivazioni addotte.

Cass. civ. n. 9532/2017

Il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, ex art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, né in primo grado né in appello, sicchè non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c.

Cass. civ. n. 24234/2016

In tema di compensazione delle spese processuali, ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c. (nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, "ratione temporis" applicabile), quando la decisione sia stata assunta in base ad atti o argomentazioni esposti solo in sede contenziosa, a fronte della novità o dell'oggettiva incertezza delle questioni di fatto o di diritto rilevanti nel caso specifico, ovvero dell'assenza di un orientamento univoco o consolidato all'epoca della insorgenza della controversia, in presenza di modifiche normative o pronunce della Corte costituzionale o della Corte di giustizia dell'Unione Europea intervenute, dopo l'inizio del giudizio, sulla materia. (Così statuendo, la S.C. ha ritenuto illegittima la compensazione delle spese operata dalla sentenza di merito che, in un giudizio di opposizione a sanzione amministrativa per violazione del Codice della strada, aveva ravvisato gravi ed eccezionali ragioni nel provvedimento di revoca della contravvenzione in sede di autotutela in data antecedente alla prima udienza di comparizione).

Cass. civ. n. 20838/2016

Il rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c., malgrado l'accoglimento di quella principale proposta dalla stessa parte, configura un'ipotesi di soccombenza reciproca idonea a giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 92 c.p.c., atteso che, in applicazione del principio di causalità, sono imputabili a ciascuna parte gli oneri processuali causati all'altra per aver resistito a pretese fondate o per aver avanzato istanze infondate.

Cass. civ. n. 11222/2016

In tema di spese giudiziali, le "gravi ed eccezionali ragioni", indicate esplicitamente nella motivazione per giustificare la compensazione totale o parziale, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., nella formulazione applicabile "ratione temporis", non possono essere illogiche o erronee, altrimenti configurandosi il vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che ha fondato la compensazione sull'opportunità di risolvere in via di autotutela la controversia tributaria, al fine di evitare la proliferazione del contenzioso, in tal modo limitando il diritto di agire in giudizio ex art. 24 Cost.).

Cass. civ. n. 11217/2016

In tema di spese giudiziali, le "gravi ed eccezionali ragioni", da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, non potendosi ritenere sufficiente, per derogare il principio della soccombenza, il mero riferimento alla "peculiarità della materia del contendere".

Cass. civ. n. 21083/2015

In tema di spese giudiziali, in forza dell'art. 92, comma 2, c.p.c. (nella formulazione introdotta dalla l. n. 69 del 2009, applicabile "ratione temporis") può essere disposta la compensazione in assenza di reciproca soccombenza soltanto ove ricorrano "gravi ed eccezionali ragioni", che devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza, senza che possa darsi meramente rilievo alla "natura dell'impugnazione", o alla "riduzione della domanda in sede decisoria", ovvero alla "contumacia della controparte", permanendo in tali casi la sostanziale soccombenza di quest'ultima, che deve essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese.

Cass. civ. n. 14546/2015

In tema di spese giudiziali, le "gravi ed eccezionali ragioni", da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, non potendosi ritenere sufficiente il mero riferimento a ragioni di giustizia o al diverso esito del giudizio di primo grado.

Cass. civ. n. 11301/2015

L'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. (come sostituito dall'art. 45, comma 11, della legge 18 giugno 2009, n. 69), nella parte in cui prevede la possibilità di compensare le spese di lite allorché concorrano "gravi ed eccezionali ragioni", non consente di disporre la compensazione in parola in base al carattere ufficioso del rilievo dell'interruzione della prescrizione ed all'esiguità della pretesa creditoria, atteso che, quanto al primo profilo, esso integra un normale esito dell'attività valutativa del giudice, mentre, quanto al secondo, specialmente ove l'importo delle spese fosse tale da superare quello del pregiudizio economico che la parte avesse inteso evitare agendo in giudizio per fare valere il proprio diritto, tale statuizione si tradurrebbe in una sostanziale soccombenza di fatto della parte vittoriosa, con lesione del principio costituzionale di cui all'art. 24 Cost., nonché della regola generale dell'art. 91 cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 24634/2014

Ai sensi dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. nella formulazione vigente "ratione temporis", introdotta dall'art. 45, comma 11, della legge 18 giugno 2009, n. 69, può essere disposta la compensazione delle spese in assenza di reciproca soccombenza soltanto in presenza di "gravi ed eccezionali ragioni", la cui configurabilità è esclusa, peraltro, dalla mera "peculiare natura" della declaratoria di improcedibilità dell'appello. (Nella specie, il giudice di merito, nel dichiarare improcedibile l'appello avverso una sentenza di opposizione agli atti esecutivi, notoriamente inappellabile, aveva compensato le spese del giudizio di gravame per la "peculiare natura" della pronuncia).

Cass. civ. n. 16037/2014

In tema di spese giudiziali, le "gravi ed eccezionali ragioni", da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, non potendosi ritenere sufficiente il mero riferimento alla "natura processuale della pronuncia", che, in quanto tale, può trovare applicazione in qualunque lite che venga risolta sul piano delle regole del procedimento.

Cass. civ. n. 319/2014

In tema di spese processuali, l'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. ne legittima la compensazione, ove non sussista reciproca soccombenza, solo in presenza di "gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione", che non possono essere ravvisate nella oggettiva "opinabilità della soluzione accolta", in quanto la precisa individuazione del significato di un testo normativo in relazione alla fattispecie concreta a cui deve essere applicato costituisce il nucleo della funzione giudiziaria, sicché l'ordinario esercizio nell'esegesi del testo normativo non può essere valutato come evento inusuale, almeno finché non siano specificamente identificate le ragioni per le quali la soluzione assegnata al dubbio interpretativo assurga (per la sua contrarietà alla consolidata prassi applicativa, ovvero per la del tutto insolita connotazione lessicale e sintattica del tessuto letterale della norma) a livello di eccezionale gravità.

Cass. civ. n. 1703/2013

In tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell'una o dell'altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l'oggetto della lite nel suo complesso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, in un giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha individuato l'oggetto della lite nell'attribuzione di un assegno in favore di un coniuge, ed ha concluso che l'obbligato era il soccombente principale, in quanto gravato dell'assegno sia pure non con la modalità da lui considerata più svantaggiosa).

Cass. civ. n. 1371/2013

Ai fini della compensazione delle spese processuali, i "giusti motivi", di cui all'art. 92 c.p.c. (nel testo applicabile "ratione temporis"), possono fondarsi sull'affidamento riposto dal soccombente nelle risultanze di un pubblico registro (nella specie, affidamento riposto dal prefetto, che, per una violazione del codice della strada, aveva sanzionato il proprietario risultante dal P.R.A., nonostante egli avesse ceduto il veicolo, già prima dell'infrazione, con trasferimento non trascritto).

Cass. civ. n. 1023/2013

Compensando le spese processuali, il giudice può ripartire le spese della consulenza tecnica d'ufficio in quote uguali tra la parte soccombente e la parte totalmente vittoriosa, senza violare, in tal modo, il divieto di condanna di quest'ultima alle spese di lite, atteso che la compensazione non implica condanna, ma solo esclusione del rimborso, e, altresì, che la consulenza tecnica d'ufficio, quale ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno, anziché mezzo di prova in senso proprio, è un atto compiuto nell'interesse generale della giustizia e, dunque, nell'interesse comune delle parti.

Cass. civ. n. 13460/2012

In tema di spese giudiziali, nei giudizi instaurati dopo l'entra in vigore della legge 28 dicembre 2005, n. 263, il giudice può procedere a compensazione parziale o totale tra le parti in mancanza di soccombenza reciproca solo se ricorrono "giusti motivi" esplicitamente indicati nella motivazione, atteso il tenore dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., come modificato dall'art. 2, comma primo, lett. a), della legge citata.

Cass. civ. n. 2572/2012

L'art. 92, secondo comma, c.p.c., nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano "gravi ed eccezionali ragioni", costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili "a priori", ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche. In particolare, anche la novità delle questioni affrontate integra la suddetta nozione, se ed in quanto sia sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente, ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere in giudizio e, quindi, da valutare con riferimento al momento in cui la lite è stata introdotta o è stata posta in essere l'attività che ha dato origine alle spese, sempre che si tratti di questioni sulle quali si sia determinata effettivamente la soccombenza, ossia di questioni decise. (Nella specie, la S.C. ha cassato, decidendo poi nel merito, la statuizione sulla compensazione delle spese per aver il TSAP dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e di interesse processuale del ricorrente, senza affrontare alcuna questione "nuova").

Cass. civ. n. 316/2012

Ai sensi dell'art. 92, secondo comma, c.p.c., nel testo applicabile "ratione temporis" prima dell'entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, costituisce giusto motivo di compensazione delle spese processuali l'esistenza di una giurisprudenza basata su di un principio di diritto astrattamente non controverso, ma variamente enunciato nella concretezza delle sue applicazioni, atteso che le decisioni altalenanti ben possono dipendere dalla difficoltà pratica d'identificare la fattispecie corrispondente. (Principio enunciato con riferimento alla giurisprudenza che afferma la sussistenza della competenza per materia del giudice di pace sulle cause relative alle modalità d'uso dei servizi condominiali, con esclusione solo di quelle in cui si controverta dell'esistenza stessa del diritto, precisandosi che sussistono varie declinazioni del suddetto orientamento con riferimento al diritto al parcheggio).

Cass. civ. n. 26987/2011

In tema di spese giudiziali, le "gravi ed eccezionali ragioni", da indicarsi esplicitamente nella motivazione, in presenza delle quali, ai sensi dell'art. 92, secondo comma, c.p.c. (nel testo introdotto dall'art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263), il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese del giudizio non possono essere tratte dalla struttura del tipo di procedimento contenzioso applicato né dalle particolari disposizioni processuali che lo regolano, ma devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva dichiarato compensate le spese in un giudizio di opposizione avverso l'irrogazione di sanzione amministrativa, sul presupposto della limitata attività difensiva della parte, correlata alla natura della controversia).

Cass. civ. n. 15413/2011

In materia di spese processuali la compensazione è subordinata alla presenza di gravi ed eccezionali ragioni che il giudice è tenuto ad indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza. (Fattispecie in cui è stato ritenuto insufficiente il mero richiamo alla formula generica "in considerazione delle questioni trattate", non altrimenti specificate e senza che vi fosse soccombenza reciproca tra le parti).

Cass. civ. n. 25250/2010

In materia di spese processuali, il provvedimento di compensazione per giusti motivi delle spese del giudizio di primo grado è adeguatamente motivato ove si fondi sull'ingiustificato rifiuto della proposta transattiva, proveniente dalla controparte, per una somma superiore a quella successivamente riconosciuta dal giudice d'appello, assumendo rilievo tale condotta quale comportamento processuale idoneo a fondare la decisione sulle spese, restando inapplicabili le condizioni di validità dell'offerta, di cui all'art. 1208 c.c., che operano esclusivamente nell'ambito dei principi sull'adempimento delle obbligazioni.

Cass. civ. n. 21521/2010

L'art. 92, secondo comma, c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, dispone che il giudice può compensare le spese, in tutto o in parte, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre "gravi ed eccezionali ragioni", esplicitamente indicate nella motivazione. La compensazione delle spese è dunque subordinata alla presenza di gravi ed eccezionali ragioni e tale esigenza non è soddisfatta quando il giudice abbia compensato le spese "per motivi di equità", non altrimenti specificati.

Cass. civ. n. 20324/2010

Nei giudizi soggetti alla disciplina dell'art. 92, secondo comma, c.p.c., come modificato dall'art. 2, primo comma, lett. a), della legge 28 dicembre 2005, n. 263, ove non sussista reciproca soccombenza, è legittima la compensazione parziale o per intero delle spese processuali soltanto quando i giusti motivi a tal fine ravvisati siano dal giudice esplicitamente indicati.

Cass. civ. n. 7766/2010

Al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, i "giusti motivi" di compensazione totale o parziale delle spese previsti dall'art. 92 c.p.c. (da indicare esplicitamente in motivazione per i procedimenti instaurati dal 1° marzo 2006, a seguito della sostituzione del secondo comma di detta norma per effetto dell'art. 2, comma 1, lett. a, della legge 28 dicembre 2005, n. 263, e succ. modif. ed integr.) possono essere evincibili anche dal complessivo tenore della sentenza, con riguardo alla particolare complessità sia degli aspetti sostanziali che processuali, ma se nessuno di tali presupposti sussiste deve applicarsi il generale principio della condanna alle spese della parte soccombente, non potendo trovare luogo l'esercizio del potere discrezionale giudiziale di compensazione.

Cass. civ. n. 22381/2009

La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo comma, c.p.c.), sottende - anche in relazione al principio di causalità - una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero anche l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorchè essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo.

Cass. civ. n. 22122/2009

Il giudice di merito, nell'ambito di una pronuncia di compensazione delle spese, adottata in un giudizio di divisione, può legittimamente porre le spese di consulenza tecnica di ufficio a carico di tutti i condividenti "pro quota", posto che, in ragione della finalità propria della consulenza di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi che comportino specifiche conoscenze, la prestazione dell'ausiliare deve ritenersi resa nell'interesse generale della giustizia e, correlativamente, nell'interesse comune delle parti. (Nella specie la S.C. ha respinto il motivo di censura secondo cui tali spese andavano a carico soltanto dell'assegnatario a vantaggio del quale era andato l'accertamento).

Cass. civ. n. 7523/2009

In tema di regolamento delle spese processuali, nel regime anteriore alla novella dell'art. 92 c.p.c. recata dall'art. 2, comma 1, lett. a), della legge 28 dicembre 2005, n. 263, rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito disporne la compensazione, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte. Tale statuizione, ove il giudicante abbia fatto esplicito riferimento all'esistenza di "giusti motivi", non necessita di alcuna esplicita motivazione e non è censurabile in cassazione, salvo che lo stesso giudice abbia specificamente indicato le ragioni della sua pronuncia, dovendosi, in tal caso, il sindacato di legittimità estendere alla verifica dell'idoneità in astratto dei motivi posti a giustificazione della pronuncia e dell'adeguatezza della relativa motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza merito che, nel dichiarare l'illegittimità del licenziamento disciplinare solamente per mancanza di proporzionalità tra i comportamenti contestati, ed effettivamente esistenti, e la sanzione espulsiva, aveva statuito che "la valutazione complessiva della condotta dell'appellato posta in essere durante l'intero arco del rapporto di lavoro" integrava i giusti motivi di compensazione).

Cass. civ. n. 20598/2008

Nel regime anteriore a quello introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a ) della legge 28 dicembre 2005 n. 263, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese «per giusti motivi » deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito ). Ne consegue che deve ritenersi assolto l'obbligo del giudice anche allorché le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito ) contengano in sé considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come a titolo meramente esemplificativo nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali.

Cass. civ. n. 16212/2008

La pronuncia del giudice di integrale compensazione delle spese, ai sensi dell'articolo 92 c.p.c., non si estende a quelle di registrazione della sentenza, ancorché qualificabili come giudiziali. La suddetta pronuncia, quindi, non implica che dette spese rimangano a carico della parte anticipataria e si sottraggano alla regola legale della solidarietà passiva dei contendenti e della loro divisibilità per quote eguali nei rapporti interni.

Cass. civ. n. 14563/2008

L'art. 92, secondo comma, c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a ), della legge 28 dicembre 2005, n. 263, dispone che il giudice può compensare le spese, in tutto o in parte, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione. Tale esigenza non è soddisfatta quando la compensazione si basi sulla «peculiarità della fattispecie » in quanto una simile formula è del tutto criptica e non consente il controllo sulla motivazione e sulla congruità delle ragioni poste dal giudice a fondamento della sua decisione.

Cass. civ. n. 20017/2007

In caso d'integrale vittoria di una parte, la compensazione delle spese di lite per «giusti motivi» deve trovare nella motivazione della decisione una giustificazione quanto meno desumibile dall'intero contesto del provvedimento anche se non dall'esplicita mensione di argomentazioni ad hoc. In mancanza, il potere del giudice deve ritenersi esercitato in aperta violazione dell'art. 24 Cost. in particolare quando il valore della causa sia di modesta entità ed in concreto economicamente incomparabile rispetto alle spese processuali. (Nella fattispecie, pur non essendo applicabile ratione temporis la nuova formulazione dell'art. 92 c.p.c., la Corte ha cassato la sentenza del giudice di pace che non conteneva alcuna specificazione delle ragioni della compensazione delle spese di lite in caso di vittoria di una sola parte, per violazione di legge e difetto di motivazione).

Cass. civ. n. 16205/2007

In tema di spese processuali, integra gli estremi della violazione di legge (articolo 92, secondo comma, c.p.c.), denunciabile e sindacabile anche in sede di legittimità, la decisione di compensazione delle spese del giudizio giustificata da generici «motivi di opportunità e di equità» quando le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge per esercitare il potere di compensazione delle spese non emergono né da una motivazione esplicitamente specifica né, quanto meno, da quella complessivamente adottata a fondamento dell'intera pronuncia, cui la decisione di compensazione delle spese accede.

Cass. civ. n. 15882/2007

La modifica dell'art. 92, comma secondo, c.p.c., da parte della legge 28 dicembre 2005, n. 263, il cui art. 2 ha introdotto l'obbligo del giudice di indicare i motivi della compensazione delle spese di lite, vale soltanto nei procedimenti instaurati dopo la sua entrata in vigore. Per i giudizi instaurati precedentemente è ammissibile la compensazione per giusti motivi senza obbligo di specificazione degli stessi e tale decisione non è censurabile in sede di legittimità, salvo i casi in cui sia accompagnata da ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche, tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto dal giudice di merito.

Cass. civ. n. 4854/2007

In tema di spese processuali, l'art. 2, comma 1, lettera a), della L. 28 dicembre 2005, n. 263 ha sostituito il secondo comma dell'art. 92 c.p.c., il quale, nel testo novellato, dispone che “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. Tale norma non ha, peraltro, portata retroattiva, prevedendo espressamente il comma 4 dello stesso articolo che la disposizione del comma 1 entra in vigore il 1° gennaio 2006, applicandosi ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Pertanto, con riguardo a quelli precedenti, continua a trovare applicazione la giurisprudenza di legittimità formatasi nel vigore della normativa preesistente, secondo la quale le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge per la compensazione delle spese possono anche emergere dalla motivazione complessivamente adottata a fondamento dell'intera pronuncia, cui la decisione sulle spese accede. (Mass. redaz.).

Cass. civ. n. 4388/2007

In tema di regolamento delle spese processuali, la violazione dell'art. 91 c.p.c. si verifica soltanto nel caso in cui le stesse siano poste a carico della parte totalmente vittoriosa, mentre rientra nei poteri discrezionali del giudice disporne la compensazione, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte. Tale statuizione, peraltro, deve essere congruamente motivata, a meno che le ragioni sufficienti a giustificare la pronuncia in oggetto non siano deducibili dalla vicenda processuale e dalla motivazione complessivamente adottata a fondamento della intera decisione cui quella relativa alla compensazione accede; e ciò tanto più nell'ipotesi in cui il giudice di merito abbia fatto riferimento alla sussistenza di giusti motivi, dovendo tale enunciazione essere posta in relazione ed essere integrata con la complessiva motivazione della sentenza, che è inscindibilmente connessa alla pronuncia sulle spese.

Cass. civ. n. 5783/2006

Il potere di compensazione delle spese processuali può ritenersi legittimamente esercitato da parte del giudice in quanto risulti affermata e giustificata, in sentenza, la sussistenza dei presupposti cui esso è subordinato, sicché il suo esercizio, per non risolversi in mero arbitrio, deve essere necessariamente motivato, nel senso che le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge devono emergere, se non da una motivazione esplicitamente “specifica” quantomeno da quella complessivamente adottata a fondamento dell'intera pronuncia, cui la decisione di compensazione delle spese accede, e ciò tanto più nell'ipotesi di compensazione “per giusti motivi”. In difetto di tale motivazione verrebbe violato l'art 24 Cost. qualora il valore della causa fosse di modesta entità o comunque in concreto di gran lunga inferiore rispetto alle spese processuali. Né il potere equitativo attribuito al giudice dal secondo comma dell'art. 92 può comportare un giudizio di assoluto carattere extragiuridico, dovendo le ragioni del provvedimento di compensazione trovare un limite nei principi e nelle norme fondamentali dell'ordinamento, come quelli posti a garanzia dell'effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e delle altre situazioni giuridiche soggettive.

Cass. civ. n. 9537/2005

Il giudice di merito, ai sensi dell'art. 92 comma secondo c.p.c., può compensare le spese di lite per «giusti motivi» anche se con la sentenza abbia pronunziato soltanto su una questione pregiudiziale e non abbia affrontato il merito, atteso che l'art. 91 dello stesso codice, nell'imporre la pronunzia sulle spese quando il giudice pronunzia sentenza che chiude il giudizio dinanzi a sè, prescinde dal contenuto della sentenza medesima.

Cass. civ. n. 4755/2004

In caso di accoglimento parziale della domanda, possono sussistere i giusti motivi atti a legittimare la compensazione, totale o parziale, delle spese legali qualora la parte convenuta abbia adottato posizioni difensive concilianti o di parziale contestazione degli assunti avversari, ma non sussiste un'ipotesi di soccombenza reciproca; ne consegue che la parte parzialmente vittoriosa non può essere condannata a pagare per l'intero le spese legali sostenute dall'altra parte, in quanto questa possibilità è consentita dall'ordinamento solo per l'ipotesi eccezionale — espressamente motivata — di trasgressione del dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c.

Cass. civ. n. 13427/2003

Al sensi del'art. 92, primo comma, c.p.c., la violazione del dovere di lealtà e probità stabilito dall'art. 88 dello stesso codice giustifica, indipendentemente dalla soccombenza, la condanna della parte, che è venuta meno a tale dovere, al rimborso delle spese processuali che l'altra parte ha dovuto sostenere a causa del comportamento illecito. Pertanto non viola il principio della soccombenza il giudice che pone a carico della parte vittoriosa le spese del giudizio, ove accerti — con apprezzamento discrezionale non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato in relazione alla logica e alla realtà processuale — che questo è stato reso necessario dal comportamento tenuto dalla parte vittoriosa in violazione del predetto dovere.

Cass. civ. n. 5976/2001

Disposta la compensazione, per giusti motivi, delle spese giudiziali, ove il giudice, con pregresso provvisorio decreto di liquidazione, abbia posto le spese di consulenza tecnica d'ufficio a carico della parte poi risultata soccombente, la statuizione di compensazione comporta che quest'ultima parte non possa ripetere dalla parte vittoriosa, neppure per la metà, le somme anticipate per il pagamento del compenso al consulente, le quali restano pertanto a totale carico della parte che le ha anticipate.

Cass. civ. n. 15353/2000

Al criterio della soccombenza può derogarsi solo quando la parte risultata vincitrice sia venuta meno ai doveri di lealtà e probità, imposti dall'art. 88 c.p.c. Tale violazione è rilevante unicamente nel contesto processuale, restando estranee circostanze che, sia pur riconducibili ad un comportamento commendevole della parte, si siano esaurite esclusivamente in un contesto extraprocessuale, le quali circostanze possono, al più, giustificare una compensazione delle spese.

Cass. civ. n. 9400/1999

Le spese legali corrisposte dal cliente al proprio avvocato in relazione ad attività stragiudiziale seguita da attività giudiziale e non considerate nella nota di cui all'art. 75 att. c.p.c., possono formare oggetto di domanda di risarcimento nei confronti dell'altra parte a titolo di danno emergente purché siano necessarie e giustificate, condizioni, queste, che si desumono dal potere del giudice, ex art. 92, primo comma, c.p.c., di escludere dalla ripetizione le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ove ritenute eccessive o superflue, ed applicabili anche agli effetti della liquidazione del danno di cui si tratta.

Cass. civ. n. 1743/1996

Il principio per cui le spese di giudizio non possono essere poste a carico della parte anche solo parzialmente vittoriosa soffre deroga soltanto con riferimento alle spese che la stessa parte abbia causato all'altra per trasgressione del dovere di lealtà di cui all'art. 88 c.p.c.

Cass. civ. n. 9597/1994

La decisione del giudice di merito di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, essendo l'espressione di un potere discrezionale attribuito dalla legge, è incensurabile in sede di legittimità, a meno che essa non sia accompagnata dalla indicazione di ragioni palesemente illogiche, tali da inficiare, stante la loro inconsistenza, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto l'esistenza di giusti motivi — individuati nella particolare complessità e nella novità delle questioni trattate — per compensare integralmente fra le parti le spese del doppio grado).

Cass. civ. n. 7101/1994

La condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell'inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta, non può derivare solo dal fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo che l'altra parte deduca e dimostri nell'indicato comportamento la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell'ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell'infondatezza delle suddette tesi.

Cass. civ. n. 2653/1994

In caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., ed in applicazione del cosiddetto principio di causalità, escludere la ripetizione di spese sostenute dalla parte vittoriosa ove le ritenga eccessive o superflue, ma non anche condannare la parte stessa vittoriosa ad un rimborso di spese sostenute dalla controparte, indipendentemente dalla soccombenza, poiché tale condanna è consentita dall'ordinamento solo per la ipotesi eccezionale (e la cui ricorrenza richiede specifica espressa motivazione) che tali spese siano state causate all'altra parte per via di trasgressione al dovere di cui all'art. 88 c.p.c. Ne consegue che qualora la parte attrice sia rimasta vittoriosa in misura più o meno significativamente inferiore rispetto all'entità del bene che attraverso il processo ed in forza della pronuncia giurisdizionale si proponeva di conseguire, e la parte convenuta abbia adottato posizioni difensive concilianti o di parziale contestazione degli avversari assunti, possono ravvisarsi — secondo il discrezionale apprezzamento ad opera del giudice, del loro vario atteggiarsi — i giusti motivi atti a legittimare la compensazione, pro quota o per intero, delle spese tra le parti e non anche un'ipotesi di soccombenza reciproca.

Cass. civ. n. 2124/1994

In tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in qual misura debba farsi luogo a compensazione; non integra, del resto, il presupposto della soccombenza, la riduzione, anche se sensibile, della somma richiesta con la domanda giudiziale, di cui il giudice di merito può tener conto per l'eventuale compensazione, totale, o parziale, delle spese.

Cass. civ. n. 6831/1991

Nelle controversie di lavoro, la decisione definitiva sull'onere delle spese per la consulenza tecnica d'ufficio non si sottrae alla disciplina generale in materia (artt. 91, 92 c.p.c.), con la conseguenza che il giudice del merito può, motivatamente, escluderle dalla compensazione disposta per le altre spese e porle a carico di una delle parti.

Cass. civ. n. 2174/1986

Ai sensi del primo comma dell'art. 92 c.p.c., il giudice può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese processuali anche non ripetibili, che per trasgressione al dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c. la medesima abbia causato alla controparte; inoltre, la condanna a dette spese può essere irrogata, nei soli confronti della parte soccombente, anche quando ricorre l'ipotesi della responsabilità aggravata prevista dalla norma dell'art. 96 c.p.c.

Cass. civ. n. 1111/1986

Nel procedimento di divisione, le spese di causa vanno poste a carico della massa per gli atti che servono a condurre, nel comune interesse, il giudizio alla sua conclusione, mentre valgono i principi generali della soccombenza per le controversie verificatesi tra i condividenti. (Nella specie, in base al surriportato principio, si è ritenuto che la corte del merito aveva correttamente compensato le spese inerenti alla divisione dei buoni fruttiferi, avvenuta senza contestazione, e, posto, invece, a carico della parte soccombente, le spese del giudizio attinente alla proprietà di un libretto bancario).

Cass. civ. n. 5928/1980

Nelle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, il lavoratore non è soggetto all'anticipazione delle spese per atti disposti dal giudice (nella specie, consulenza tecnica d'ufficio), dovendo le stesse o essere addossate all'ente assicuratore o essere anticipate dall'erario a norma dell'art. 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533, senza che il lavoratore sia costretto a chiedere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato sicché, ove per un'erronea applicazione dell'art. 90 c.p.c., tale anticipazione sia stata disposta, deve essere ordinata la restituzione del relativo importo. Pertanto, nei confronti del lavoratore, non può trovare applicazione il disposto dell'art. 92, comma primo, parte prima, c.p.c., che esclude dalla ripetizione le spese sostenute dalla parte vincitrice se le ritiene eccessive o superflue, né il disposto del secondo comma dello stesso art. 92 circa la compensazione fra le parti delle stesse spese.

Cass. civ. n. 3716/1980

Le spese della consulenza di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva, vanno comprese fra le spese processuali al cui rimborso la parte vittoriosa ha diritto, sempre che il giudice non ne rilevi l'eccessività o la superfluità, ai sensi del primo comma dell'art. 92 c.p.c.

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Alberto B. chiede
venerdì 24/11/2017 - Piemonte
“Buongiorno,
nell’anno 2007 sono stato citato in giudizio da 5 vicini di casa (marito/moglie+ padre/figlio+ singolo) per la “costituzione di servitù coattiva di passaggio carraio” su fondi di mia proprietà. Nell’anno 2014, il Giudice ha stabilito che la domanda non è meritevole di accoglimento, condannando gli attori in solido tra loro al pagamento di tutte le spese processuali:
spese del mio avvocato ( € 7.500,00 + spese 15% + iva+ cpa)
spese del CTU a carico solidale fra loro ( € 1.500,00 + iva+ cp)
Ma, in relazione alle spese del mio CTP (€ 1.950 + iva +cp) per totali € 2.400,00, il Giudice non si è pronunciato in sentenza. Preciso che il pagamento al mio CTP è avvenuto in data 5.12.2014 e la sentenza è stata emessa il 9.12.2014. Non so se il mio avvocato le abbia potute (o non le abbia volute) quantificare nella nota spese conclusiva.

“ Le spese per le consulenze tecniche (d’ufficio e di parte) gravano sul soccombente (CASS. CIV. 1771/2014)”- “ In relazione alle spese del c.t. di parte, si richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale tali spese rientrano tra quelle al cui rimborso ha diritto la parte vittoriosa. “

Domanda: come si può agire per recupere la somma di € 2.400,00 pagata al mio CPT? (possibilmente la via più veloce con il minor costo possibile a mio carico)
L’invio di una raccomandata con la richiesta di rimborso, con espresso avvertimento, che decorsi ….. gg dal ricevimento, si procederà giudiziariamente con ulteriore aggravio di spese, diritti e onorari di causa, che possibilità di successo avrebbe?
In tal caso, la richiesta può essere inviata anche ad uno solo degli attori richiedendo la somma totale o devono essere inviate 5 richieste di € 480,00 per ogni attore?
Ringrazio anticipatamente della cortese risposta.

Consulenza legale i 29/11/2017
Come da lei osservato, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è costante nel ritenere che "le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92, primo comma, c.p.c., della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue" (Cass. 3-1-2013 n. 84; Cass. 16-6-1990 n. 6056; Cass. 11-6-1980 n. 3716).

Nel caso di specie, dunque, occorrerebbe verificare, innanzitutto, se il Giudice abbia ritenuto di escludere il rimborso delle spese di ctp, ai sensi del succitato art. 92 c.p.c. primo comma, in quanto "eccessive o superflue".

Nel caso in cui il Giudice abbia semplicemente omesso (dimenticato) di pronunciarsi circa il rimborso della spesa, senza motivare in alcun modo tale silenzio, potrebbe valutare di impugnare la sentenza di primo grado, relativamente a tale omessione di pronuncia.

In via preventiva, comunque, potrebbe inviare una raccomandata alla controparte, evidenziando alla stessa (I) che il giudice ha omesso di pronunciarsi circa le spese di ctp, (II) che le stesse, per costante giurisprudenza, sono a carico della parte soccombente e (III) chiedendo, dunque il relativo rimborso, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad impugnare l'emanata sentenza, con ulteriore aggravio di spese.

Precisiamo, inoltre, che potrà chiedere il pagamento a ciascuna delle parti soccombenti per l'intero, in quanto la condanna alle spese processuali è normalmente a carico delle stesse "in solido" tra loro. Sarà, poi, la parte che abbia provveduto al pagamento integrale a potersi rivalere nei confronti delle altre, per le rispettive quote di competenza.



G. M. chiede
sabato 06/05/2017 - Toscana
“l'avvocato al momento del conferimento dell'incarico mi aveva quantificato il costo dell'intera causa in euro 4.000 oltre( oneri ed accessori (contributo unificato -iva ecc) per un totale di euro di e 4,873.20 con due email inviatemi dall 'avvocato stesso.

Mi sono stati pero'richiesti dall'avvocato durante il corso della causa ulteriori importi e che ho bonificato che hanno portato il totale da me versato a euro 7.296.40.
Quindi ho versato in piu' euro 2.423,20.
La causa e' andata a sentenza di primo grado e che dice :-
dichiara compensate le spese del giudizio per il 50% e per l'effetto condanna l'azienda sanitaria e il dott P. a rimborsare le spese di lite a L.P.,quota che si liquida in e 239,65 per spese ,euro 1.500 per ctp ,euro 5.000,00 per onorari oltre iva cpa e 15% per spese generali.
pone il costo della ctu interamente a carico delle parti convenute.

Ho diritto quindi a riavere indietro quanto versato in piu' e cioe' 2423,20 avendo stabilito l'avvocato stesso il costo dell'intera causa dalla denuncia iniziale fino a sentenza?
In attesa distinti saluti.
G.M.”
Consulenza legale i 29/05/2017
Con la conclusione del procedimento, il Giudice provvede anche in ordine alla determinazione delle spese processuali, ponendole generalmente a carico della parte soccombente ed in favore, dunque, della parte vincitrice.

La liquidazione giudiziale dei compensi e delle spese legali dovute dalla parte soccombente, sulla base dei parametri legislativi di cui al decreto ministeriale n. 55/2014, mira ad evitare che la parte vittoriosa si auto attribuisca compensi sperequati rispetto all'attività svolta.

E’ ben possibile che, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., quando “vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”, il giudice deroghi alla regola della soccombenza e compensi le spese in tutto od in parte, di modo tale che ognuno provveda al pagamento delle spese della propria difesa.

Dallo stralcio della sentenza riportato, se ne ricava che il giudice, in relazione al procedimento da lei intrapreso, abbia deciso di compensare, pareggiando, solo il 50% delle spese, addossando l’altro 50% alle parti convenute.

Dunque il 50% delle spese sostenute dalla parte parzialmente vincitrice verranno pagate dalle soccombenti, mentre l’altro 50% verrà corrisposta dalla stessa parte parzialmente vincitrice.
Le soccombenti dovranno poi sobbarcarsi il peso, altresì, delle proprie spese legali, dei consulenti di parte ed interamente l’onorario del consulente tecnico d’ufficio.

Il giudice, nel determinare i compensi dovuti in base al decreto ministeriale 55/2014, ha implicitamente determinato il compenso che il suo avvocato avrebbe potuto richiederle in € 10.000 per onorari, oltre spese generali (15%), iva (22%) e contributo per la cassa previdenziale forense (4%) - c.p.a. -, ed al consulente tecnico di parte ben 3.000 euro.

Dunque, le parti convenute dovevano corrispondere 5.000 euro per le spese legali (più oneri ed accessori), e 1.500 euro per il consulente tecnico.
I rimanenti 5.000 euro, oltre alle spese generali (€ 750,00), c.p.a avvocati (€ 230,00), ad iva (€ 1.315,60), per un totale di € 7.295,60, sarebbero rimasti a carico della parte vincitrice.

Tuttavia nel caso specifico è intervenuto un accordo tra l’avvocato ed il cliente che aveva determinato in minus, rispetto alla liquidazione del giudice, i compensi dovuti per l’attività prestata e che nulla prevedeva in ordine all’eventuale liquidazione giudiziale degli stessi.

In questi casi, per comprendere se possa prevalere la determinazione giudiziale e non invece l'accordo delle parti, bisogna tener distinti i rapporti avvocato-cliente dai rapporti tra parte soccombente-parte vincitrice e suo avvocato.

Con riferimento a questi ultimi la Cassazione ha infatti affermato più volte che “la liquidazione delle spese nel rapporto interno tra avvocato e cliente non vincola il giudice nell'ambito della liquidazione delle spese tra quest'ultimo e la sua controparte nel giudizio.
Infatti, la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese ed agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti (Cass. n. 1264/99).”

Tale principio - continua la Suprema Corte - e' perfettamente rovesciabile nel senso che non e' possibile neppure l'inverso, ossia che la determinazione in un'autonoma sede contenziosa del compenso dovuto dal cliente al proprio avvocato vincoli i terzi e il giudice della causa cui si riferisce l'attivita' giudiziale svolta, il quale e' il solo titolare del potere di regolare e quantificare le spese relative”. (Cass. 17739/2016)

Dunque, quando vi è una determinazione giudiziale dei compensi e questi siano stati posti, per l'intero od in parte, a carico della parte soccombente, allora l’avvocato vincitore avrà diritto ad ottenere quanto a lui liquidato.
Se ad esempio il giudice avesse liquidato € 10.000 euro di spese legali ponendole interamente a carico della parte soccombente, il cliente non avrebbe potuto trattenere la differenza e pagare al proprio legale solamente gli onorari previsti dall’accordo.
L’avvocato avrebbe diritto all’intero compenso liquidato, a prescindere dall’accordo con il cliente.

Per la parte delle spese compensate, e quindi con riferimento al rapporto tra assistito e suo avvocato, invece, deve ritenersi valido ed efficace l’accordo sui compensi professionali preso a monte del giudizio.
Nella sentenza n. 1264/99 la Cassazione ha infatti affermato che “la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese ed agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti”.

Dunque, a parere di chi scrive, il suo avvocato ha diritto di ricevere una parte del compenso pari ad € 5.000 dalla controparte, in base a quanto liquidatogli dal giudice, ed ha altresì diritto di ricevere un’altra parte del compenso dal suo cliente, nella misura determinata per accordo delle parti pari ad € 4.000, oltre iva c.p.a e spese generali per un totale di € 5.836,48.

Stando a quanto sinora affermato, ha diritto perciò alla restituzione della sola differenza tra quanto corrisposto (€ 7.296,40) e quanto dovuto (€ 5.836,48), per € 1.459,92 .

Mariano A. chiede
domenica 17/01/2016 - Campania
“Sono stato citato in giudizio per un fatto di cui ero completamente estraneo. Ho dovuto costituirmi e alla fine ho vinto la causa. Il giudice ha deciso per la compensazione delle spese. Il mio legale, che mi ha difeso egregiamente, mi ha presentato una parcella di € 5.000,00.Non ritengo giusto tale decisione da parte del Giudice e pertanto vorrei sapere se mi conviene fare appello sulla compensazione. Grazie”
Consulenza legale i 21/01/2016
Nel processo di cognizione le spese di lite seguono il principio della soccombenza (art. 91 co. 1 c.p.c.): vanno poste a carico della parte che soccombe, che è quella le cui domande non sono accolte ovvero quella che non abbia avanzato domande e veda accolte quelle di controparte. Questo principio non rappresenta una sanzione per la parte bensì la naturale conseguenza del fatto che abbia perso nel giudizio.

Il codice individua però anche una serie di temperamenti al principio, tra cui quello dello stesso art. 91 co. 1 c.p.c. (per cui se viene accolta la domanda in una misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa fatta la parte che ha rifiutato detta proposta è condannata al pagamento delle spese maturate dopo la proposta stessa). Inoltre, ai sensi dell'art. 92 co. 1 c.p.c. il giudice può condannare una parte a rimborsare all'altra le spese che le abbia causato per violazione del dovere di probità e lealtà ex art. 88 del c.p.c..

La compensazione delle spese è esplicitamente ammessa dall'art. 92 co. 2 c.p.c. (comma riformato con d.l. 132/2014 ma con novella applicabile ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto, quindi si deduce non applicabile al caso sottoposto). Nella formulazione anteriore al 2014 la disposizione stabiliva che "Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti" (a sua volta, il comma era stato modificato dalla l. 69/2009 con formulazione applicabile ai giudizi instaurati dopo il 4/7/2009, data di entrata in vigore della legge).

Il giudice, quindi, può stabilire la compensazione sia in caso di soccombenza reciproca che quando sussistono gravi ed eccezionali ragioni, le quali vanno anche esplicitate nella motivazione. Questi profili, dunque, dovranno essere considerati dal richiedente per valutare l'opportunità di proporre appello avverso la decisione di compensare le spese.

Dall'esame della giurisprudenza possono trarsi alcuni principi in materia. Ad esempio, secondo una recente pronuncia le gravi ed eccezionali ragioni "devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa che il Giudice è tenuto ad indicare esplicitamente e specificamente nella motivazione della sentenza" (Cass. 21083/2015). In altra occasione la Corte ha stabilito che tali ragioni "non possono essere tratte dalla struttura del tipo di procedimento contenzioso applicato né dalle particolari disposizioni processuali che lo regolano, ma devono trovare riferimento in specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa" (Cass. 26987/2011; nel caso di specie la Corte ha cassato la sentenza che aveva compensato le spese a causa della limitata attività difensiva della parte, dovuta alla natura della controversia). La stessa Corte ha affermato che le gravi ed eccezionali ragioni "non possono essere ravvisate nella oggettiva "opinabilità della soluzione accolta", in quanto la precisa individuazione del significato di un testo normativo in relazione alla fattispecie concreta a cui deve essere applicato costituisce il nucleo della funzione giudiziaria, sicché l'ordinario esercizio nell'esegesi del testo normativo non può essere valutato come evento inusuale, almeno finché non siano specificamente identificate le ragioni per le quali la soluzione assegnata al dubbio interpretativo assurga (per la sua contrarietà alla consolidata prassi applicativa, ovvero per la del tutto insolita connotazione lessicale e sintattica del tessuto letterale della norma) a livello di eccezionale gravità" (Cass. 319/2014).

Prima della novella del 2009 (quindi nella formulazione della norma applicabile ai giudizi instaurati prima del 4/7/2009) l'art. 92 c.p.c. consentiva la compensazione in presenza di "gravi motivi", concetto da ritenersi più ampio rispetto a quello di ragioni gravi ed eccezionali. Anche in ordine ad esso la giurisprudenza si era pronunciata più volte statuendo, ad esempio, che i gravi motivi si potevano evincere anche dal tenore complessivo della pronuncia, in relazione a profili di complessità sia sostanziale che processuale (Cass. 7766/2010), ovvero che potevano essere motivati sulla base di "oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali" (Cass. 20598/2008).

Infine, come detto, l'esistenza delle gravi ed eccezionali ragioni ovvero dei giustificati motivi deve essere motivata dal giudice nella sentenza. In tal senso la Cassazione ha statuito che dette ragioni devono essere desumibili in modo inequivoco e chiaro dalla motivazione, anche se non è necessario adottare motivazioni specifiche in punto di compensazione (Cass. S.U. 20598/2008).

Emilio F. chiede
martedì 24/02/2015 - Calabria
“In una sentenza di primo grado si legge:
Considerata l'obbiettiva controvertibilità di alcune delle questioni affrontate, la natura della causa e le qualità della parti si ritengono sussistenti i giusti motivi per la compensazione integrale delle spese di giudizio tra tutte le parti di causa.
Causa civile n. .../2010, sentenza .../2014.
Chiedo se quanto sopra in sentenza, sia esplicitamente indicato in tenore dell'art. 92 comma 2, atteso le gravi ed eccezionali ragioni, o sia una sentenza con motivazioni generiche e quindi appellabile.”
Consulenza legale i 26/02/2015
Il secondo comma dell'art. 92 c.p.c. è stato riformato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132 (convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162), che ha sostituito l'espressione "altre gravi ed eccezionali ragioni" con "nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti": la nuova disposizione è, però, applicabile solo ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Nel caso in esame, quindi, si deve fare applicazione del secondo comma così come formulato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69: "Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti".
Escludendo che nel caso di specie si sia avuta soccombenza reciproca, si analizzerà il presupposto delle "gravi ed eccezionali ragioni". La Corte di Cassazione ha avuto modo di esprimersi sulla materia in alcune occasioni.

Con sentenza n. 2572 del 2012, la Suprema Corte ha affermato che la disposizione del secondo comma dell'art. 92 "si pone come norma 'elastica', configurabile quando una disposizione di limitato contenuto (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) delinea un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa. [...] nelle individuazione delle gravi ed eccezionali ragioni la cui concorrenza autorizza all'esercizio del potere discrezionale di compensare le spese, il giudice di merito è dunque chiamato ad integrare il contenuto della norma [...] La ragione addotta nella specie per giustificare la disposta compensazione - novità delle questioni - si inscrive in un ambito da sempre valutato a tali fini dalla giurisprudenza di legittimità - sia pure formatasi con riguardo alla precedente versione dell'art. 92 -, la quale ha ritenuto giusto motivo di compensazione la "dubbiezza della lite" (v. già Cass. n. 197 del 1948), l'obiettiva incontrovertibilità delle questioni di diritto trattate (v. Cass. n. 340 del 1976 e n. 2885 del 1979), la "peculiarità", "complessità", o, appunto "novità" delle predette questioni (v. Cass. n. 4918 del 1985, n. 9597 del 1994, n. 8210 del 2003, n. 18352 del 2003 e n. 4854 del 2007, ma vedi anche Cass. n. 14563 del 2008, secondo la quale non costituisce giusto motivo di compensazione la "peculiarità della fattispecie"). [...] La novità delle questioni è dunque ragione idonea a giustificare la compensazione delle spese se ed in quanto sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere in giudizio".

Con sentenza n. 21951/2014, la Cassazione ha reputato insufficientemente motivata la sentenza laddove affermava laconicamente "compensa le spese di lite per il 50% in considerazione della posizione difensiva assunta dall’Amministrazione nel costituirsi nella procedura", senza altro aggiungere o specificare.
Nell'ordinanza n. 319 del 9.1.2014, la Corte così si esprimeva: "In tema di spese processuali, l'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. ne legittima la compensazione, ove non sussista reciproca soccombenza, solo in presenza di "gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione", che non possono essere ravvisate nella oggettiva "opinabilità della soluzione accolta", in quanto la precisa individuazione del significato di un testo normativo in relazione alla fattispecie concreta a cui deve essere applicato costituisce il nucleo della funzione giudiziaria, sicché l'ordinario esercizio nell'esegesi del testo normativo non può essere valutato come evento inusuale, almeno finché non siano specificamente identificate le ragioni per le quali la soluzione assegnata al dubbio interpretativo assurga (per la sua contrarietà alla consolidata prassi applicativa, ovvero per la del tutto insolita connotazione lessicale e sintattica del tessuto letterale della norma) a livello di eccezionale gravità".

Alla luce della giurisprudenza citata, va analizzata anche la sentenza indicata nel quesito, che deve essere esaminata, naturalmente, nella sua interezza.
La motivazione della compensazione può essere congrua e completa, se effettivamente, dal tenore dell'intero provvedimento e delle domande introdotte nel processo si può evincere che siano state affrontate questioni dubbie, nuove, tali che vi fosse una obiettiva incertezza circa la loro risoluzione (questioni, quindi, che non abbiano semplicemente richiesto al giudice di esplicare la normale attività esegetica che gli è demandata!); se, al contrario, le espressioni "obbiettiva controvertibilità di alcune delle questioni affrontate" e "natura della causa" sono formule vuote, di stile, non facendo riferimento ad alcunché di concreto nel processo che si è svolto, la motivazione può dirsi insufficiente.

P. Z. chiede
giovedì 15/09/2022 - Veneto
“Spettabili Consulenti.
Sono in lite (l'ennesima) con una persona. il mio Legale mi scrive, relativamente a questa lite perché altre le ho pagate secondo tariffario. "( FILONE RECUPERO CORRISPETTIVO PATTO DI NON CONCORRENZA VALORE 11.400, COMPETENZE:1/3 SUL RECUPERATO incluso 15% spese generali,oltre cassa e Iva, SALVO SPESE VIVE (CONTRIBUTO UNIFICATO+MARCA 145,50 già PAGATO). Vi chiedo cortesemente:in caso di soccombenza come vanno divise (ammesso che vadano divise) le competenze del MIO Legale? quelle del Legale di controparte? In caso di vittoria o soccombenza l'importo di sentenza sarà da dividere? Grazie”
Consulenza legale i 04/10/2022
Per rispondere al presente quesito è necessario sgombrare il campo da un equivoco piuttosto frequente, riguardante i compensi dell’avvocato per l’attività svolta in occasione di un procedimento civile. Occorre tenere distinte, infatti, da un lato, la richiesta di onorari fatta dall’avvocato al proprio cliente, che normalmente dovrebbe discendere da un accordo in forma scritta preceduto da un preventivo di massima; dall’altro, la liquidazione delle spese di giudizio da parte del giudice nella sentenza. Come ha chiarito la giurisprudenza, infatti (si veda Cass. Civ., Sez. VI - 2, ordinanza 17/10/2018, n. 25992), “in tema di onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato, anche nel vigore della nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, di cui alla l. n. 247 del 2012, la loro misura prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese e agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti (quali, tra gli altri, risultato e altri vantaggi non patrimoniali), in ragione del diverso fondamento dell'obbligo di pagamento degli onorari, che riposa, per il cliente, nel contratto di prestazione d'opera, e, per la parte soccombente, nel principio di causalità e dell'inefficacia nei confronti dell'avvocato della sentenza che ha provveduto alla liquidazione delle spese, in quanto non parte del giudizio”.
Con riferimento alle spese di lite, i criteri che presiedono alla loro liquidazione sono quelli contenuti negli artt. 91 e ss. c.p.c.
In particolare, l’art. 91 del c.p.c. stabilisce che il giudice, con la sentenza che chiude il processo dinanzi a sé, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa.
Il successivo art. 92 del c.p.c. introduce delle deroghe al principio della soccombenza sancito dall’articolo precedente.
Si prevede, innanzitutto, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e possa, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, causate all'altra parte per trasgressione al dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 del c.p.c..
In secondo luogo, la norma in commento attribuisce al giudice il potere di compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti (il che significa che ogni parte sopporta, in parte o per intero, le spese che ha anticipato), nelle seguenti ipotesi:
  • soccombenza reciproca;
  • assoluta novità della questione trattata;
  • mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
Inoltre la Corte Cost., con sentenza 19/04/2018, n. 77, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile, nel testo modificato dall'art. 13, comma 1, del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.
Naturalmente, non è possibile prevedere in anticipo quale sarà la statuizione del giudice sulle spese, dal momento che, come si è visto, essa dipende non solo dall'esito puro e semplice del processo (e dunque dalla soccombenza), ma da una pluralità di altri fattori, ivi compreso il comportamento delle parti.

Socrate M. chiede
giovedì 04/03/2021 - Sardegna
“Ho impiantato nel 2018 una pianta di fico, in terreno di cui ero comodatario e autorizzato dal proprietario, a 68 cm di distanza dal confine rappresentato da un muro alto 1,5 mt senza nessuna apertura. La confinante ha il possesso del terreno oltre il muro, terreno di proprietà di altra persona. La confinante nel muro citato ha successivamente aperto un cancello alto 2.08 mt e sollevato il muro con una grata per altri 93 cm; oscurando sia cancello che grata con un telo scuro che impedisce la visuale. La pianta di fico a tutt'oggi non supera l'altezza del muretto attuale (sempre 1,5 mt) anche perché qualcuno, non si sa chi, ha ripetutamente spruzzato, contro la pianta, del diserbante. Solo in alcune foto presentate dalla confinante, in una possessoria nei miei confronti, le fogli del fico vanno a incidere, per una decina di cm, sulla grata con telo oscurante. La confinante ha ricorso in giudizio chiedendo:

1 - "Immediata reintegrazione nella pienezza del possesso della servitù di passaggio". (considerata dal Giudice inammissibile)

2 - "immediata cessazione, da parte dello stesso resistente, delle molestie per gli ingressi in mapp. 2033 e 2035 e inibendo al medesimo gli ingressi nei citati mapp." (respinta in quanto all'epoca dei fatti il sig. Morlacchetti era comodatario.

3 - "immediata rimozione del cancello ivi descritto e conseguente immediato ripristino dello stato dei luoghi."
(non accolta in quanto deve essere considerata azione di manutenzione - art. 1170 cc e il ricorrente non ha il possesso. "In ogni caso anche se le ricorrenti avessero provato di essere in possesso della servitù di passaggio l'azione non avrebbe trovato parimenti accoglimento ecc. ecc.."

4 - " Immediato espianto dell'albero di fico."
a- Per non rispetto art. 892. (Accolta per sentenza cassazione n°12949 del23 giugno 2015 e perché non ricorrono i presupposti per la deroga da concedere se esiste un muro divisorio; "per le sue caratteristiche il muro presente in loco non può essere qualificato come muro divisorio e inoltre l'albero ha già superato l'altezza consentita. sotto il primo profilo è utile richiamare quanto al riguardo affermato da Corte di Cassazione, 29 settembre 2000, n. 12956: in merito questa corte , con sentenza 14 marzo 1975 n. 968, richiamata in corso, ha deciso che la nozione di muro divisorio, proprio o comune, che a seguito del quarto coma dell'art. 892 cc consente di non osservare le distanze stabilite per chi nel piantare alberi presso il confine, coincide con quella di muro divisorio risultante all'art. 881 cc. Muro, a tali effetti, è soltanto quel manufatto che impedisce al vicino di vedere le piante altrui, in quanto la ratio della norma è appunto quella di nascondere le piante alla vista del vicino.
In ragione di quanto esposto:
- il muro deve essere necessariamente proprio o comune.
- non è considerato muro l'inferriata sopra il muro per cui l'altezza delle piante deve essere inferiore
all'inferriata sovrastante il muro."
b- "Per impedimenti al passaggio": respinta; nessun impedimento al passaggio.


Il giudice mi ha condannato a: " sradicare l' albero di fico nell'arco di sette gg, a corrispondere la somma do 25 euro oltre il settimo gg e a rifondere le spese del provvedimento". Durante la possessoria sia il terreno ove ho impiantato il fico sia il terreno oltre il muro ove la confinante ha il possesso sono passate di proprietà del sott.to.
Il muretto originario di 1,5 mt è presumibilmente stato edificato dalla confinane; non ci sono prove ma racchiude anche altro terreno di sua proprietà.
La sentenza, per quanto riguarda il fico è impugnabile ?

In realtà la sentenza dello spoglio in questione ha condannato il sott.to oltre allo sradicamento anche a:
"rifondere alle ricorrenti 2935.05 euro (pari al 1/2 del totale oltre spese generali, cpa e iva ".
Il Giudice ha determinato il 50% della somma da rifondere con le seguenti argomentazioni :
"Quanto alle spese di lite, stante alla reciproca soccombenza e considerando che le domande proposte dalle ricorrenti hanno trovato solo in parte accoglimento, mentre quelle proposte dal resistente sono state rigettate, quest'ultimo è tenuto a rifondere......(vedi sopra)
Il sottoscritto ha proposto due domande riconvenzionali che sono state dichiarate inammissibili.

Per le condanne, relative alla percentuale di colpe 50% e al relativo importo (trattasi di causi senza determinazione di valore), ci sono gli estremi di un ricorso ?”
Consulenza legale i 15/03/2021
Va premesso che le risposte alle domande formulate nel quesito verranno fornite sulla base di quanto desumibile dall’esame della sola ordinanza del giudice, con esclusione di tutte quelle valutazioni che avrebbero implicato un confronto con le altre risultanze di causa (come ad esempio documentazione fotografica).
Fatta tale doverosa precisazione, la decisione assunta dal tribunale in merito all’espianto dell’albero di fico appare, nei limiti di cui sopra, giuridicamente corretta.
Infatti, non trova fondamento la tesi del resistente, secondo cui l’albero in questione rientrerebbe addirittura tra le categorie di piante di cui al n. 3 dell’art. 892, comma 1 c.c.: come correttamente rilevato dal tribunale e come ribadito dalla Corte di Cassazione (si veda ad es. Sez. II, 26/02/2003, n. 2865), “gli alberi di alto fusto che, a norma dell'art. 892, n. 1, c.c., debbono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica come «di alto fusto», ovvero, se trattisi di pianta non classificata come di alto fusto, con riguardo allo sviluppo da essa assunto in concreto, quando il tronco si ramifichi ad un'altezza superiore a tre metri”.
La stessa ordinanza in esame menziona una pronuncia della Suprema Corte emessa proprio in riferimento al caso specifico dell’albero di fico, la n. 12949/2015: “gli alberi di fico non possono considerarsi di alto fusto e rientrano, agli effetti delle distanze da osservarsi dal confine, nella categoria di cui all'art. 892, primo comma, n. 2, cod. civ., la quale comprende gli alberi il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami e che vanno piantati alla distanza di un metro e mezzo dal confine stesso”.
Va inoltre esclusa, nella vicenda in esame, l’operatività della deroga prevista dal 4° comma dell’art. 892 c.c., che esonera appunto dal rispetto delle distanze previste dalla norma in presenza di un muro divisorio, proprio o comune, sul confine, all’ulteriore condizione che le piante siano tenute ad altezza non eccedente la sommità del muro.
In proposito la recente Cass. Civ., Sez. VI - 2, ordinanza 12/07/2018, n. 18439, ha chiarito che “la nozione di muro divisorio rilevante, ai sensi dell'art. 892, comma 4, c.c., al fine dell'esenzione dalle prescrizioni relative alle distanze legali degli alberi e delle piante dal confine, coincide con quella di cui all'art. 881 c.c., costituendo muro, a tali effetti, solo quel manufatto che impedisca al vicino di vedere le piante altrui”. Simili condizioni, nel nostro caso, risultano (stando alla motivazione dell’ordinanza) insussistenti, proprio perché la recinzione di cui trattasi non impedisce affatto la visuale sulle piante altrui.
Quanto alla seconda domanda, va precisato che non si tratta di una ripartizione di “colpe”, ma di una compensazione delle spese processuali ai sensi e per gli effetti dell’art. 92, comma 2 c.p.c.
Secondo la norma in questione, la compensazione delle spese - che costituisce una deroga al principio generale della soccombenza, art. 91 c.p.c. - è ammessa sia in caso di soccombenza reciproca, sia in caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. La compensazione può essere totale o (come nel nostro caso) parziale.
Nella fattispecie oggetto del quesito la compensazione al 50% è stata disposta in virtù della reciproca soccombenza. Tale decisione (che non è regolata da un criterio “matematico”, ma appare in buona parte rimessa alla discrezionalità del giudice) appare equa, alla luce del fatto che le ricorrenti avevano proposto diverse domande, due soltanto delle quali sono state accolte, mentre il resistente, oltre ad essere condannato all’espianto del fico, ha visto rigettate le riconvenzionali da lui proposte.
Al riguardo Cass. Civ., Sez. I, 26/05/2006, n. 12629, ha precisato che “il concetto di soccombenza reciproca, che consente la compensazione tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.), sottende una pluralità di pretese contrapposte, rigettate dal giudice a svantaggio di entrambi gli istanti”.
Con riferimento, infine, alla quantificazione delle spese, il giudice ne ha specificato i criteri di liquidazione nella motivazione dell’ordinanza. I parametri per la liquidazione giudiziale delle spese sono quelli contenuti nel D.M. 55/2014.
Trattandosi di causa di valore indeterminabile, ma a complessità bassa (come correttamente ritenuto dal giudicante), deve farsi riferimento, per la determinazione degli onorari, allo scaglione di valore compreso tra euro 26.000,00 ed euro 52.000,00. La liquidazione operata nel caso concreto appare contenuta entro tali parametri.

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