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Articolo 1022 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Abitazione

Dispositivo dell'art. 1022 Codice Civile

Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia [540 comma 2, 1023](1).

Note

(1) Tale istituto, può essere considerato alla stregua di uso (art. 1021 del c.c.) avente ad oggetto un immobile adibito a finalità abitative oppure lo si può considerare come figura giuridica avente caratteri diversi da quelli propri del diritto in esame.
L'abitazione, in particolare, non dà al titolare alcun diritto sui frutti, dato che le facoltà allo stesso attribuite si riferiscono soltanto ai bisogni suoi e della sua famiglia, mentre nell'uso questo limite riguarda solo i frutti (c.d. modica perceptio).
Nell'ipotesi esemplificativa di uso su di una casa, il titolare del diritto reale di godimento ha non solo il diritto di abitarla, ma anche di adibirla a negozio, a laboratorio, a magazzino, escludendo del tutto dal godimento il proprietario.
Nell'ipotesi di abitazione, il titolare ha, invece, l'obbligo di godere e limitare l'abitazione a quella porzione dell'immobile bastevole al soddisfacimento dei bisogni abitativi suoi e della sua famiglia, avendo il proprietario la possibilità di persistere nell'uso della rimanente porzione di casa.

Ratio Legis

Importante la differenza tra diritto d'abitazione e contratto di locazione (artt. 1571 ss. c.c.). Quest'ultimo è, infatti, regolato dalla c.d. legge sull'equo canone (legge del 1978, n. 392 così come modificata dalla legge n. 359, del 1992 e dalla legge n. 431 del 1998), la quale mira a proteggere il conduttore, quale parte debole del rapporto. Al fine di evitare il rischio di elusione della normativa in esame tramite l'occultamento della locazione con un contestuale palesarsi di un diritto di abitazione, la dottrina procede ad un'attenta analisi dei casi pratici.

Brocardi

Habitatio
Iura in re aliena

Spiegazione dell'art. 1022 Codice Civile

L 'uso e l'abitazione nei confronti dell'usufrutto

La disciplina di quei due diritti reali minori che sono l'uso e l'abitazione è rimasta pressoché immutata rispetto al codice del 1865. La differenza tra l'usufrutto da un lato e l'uso e l'abitazione dall'altro è sempre imperniata sulla diversità di contenuto, dato che il primo importa il diritto al godimento della cosa nella sua piena capacità produttiva, mentre i secondi attribuiscono un godimento limitato ai bisogni del titolare e della sua famiglia. Pertanto, mentre l'usufruttuario ha diritto a tutti i frutti che la cosa produce e può anche fare di quelli e di questa una utilizzazione indiretta, il titolare del diritto di uso e di abitazione invece deve servirsi della cosa solo direttamente e nei limiti in cui la sua utilizzazione serva a soddisfare direttamente i bisogni del titolare e della sua famiglia.

La distinzione fra uso e abitazione è quasi puramente nominale: l'uso è la categoria pia generale dalla quale l'abitazione si differenzia non solo perché ha per oggetto un edificio ma perché ha riguardo alla soddisfazione di un particolare bisogno, ossia quello dell'alloggio (infatti l'uso di un edificio darebbe la possibilità di utilizzazione della cosa per un bisogno diverso, come ad es. quello di tenervi un ufficio, una bottega ecc.). Ma a parte ciò l'identità concettuale fra uso e abitazione è innegabile.


Il godimento dell'usuario e del titolare dell'abitazione

Poiché la caratteristica di questi due diritti e data dalla limitazione del godimento che essi attribuiscono, in funzione dei bisogni del titolare, si deve escludere non solo la possibilità del godimento indiretto ma anche quella di servirsi dei frutti naturali della cosa come mezzo di scambio per conseguire altri beni idonei alla soddisfazione di bisogni del titolare del diritto. I frutti quindi devono essere prelevati solo nella misura in cui sono sufficienti a soddisfare direttamente, e non come beni strumentali, i bisogni dell'usuario e della sua famiglia: se essi eccedono tale limite, il proprietario fa sua l'eccedenza acquistando direttamente la proprietà dei frutti. Si fa luogo cosi a una vera e propria comunione di godimento tra proprietario e usuario.

Quanto al diritto di abitazione, il limite in oggetto serve a determinare la parte dell'edificio che il titolare del diritto può abitare: come egli non può locare la casa, così non può servirsene per un bisogno diverso da quello dell'alloggio. È escluso quindi che se ne possa servire per i bisogni della sua attività professionale, industriale, commerciale e cosi via. Quanto al diritto di uso, esso comprende, secondo la chiara formula dell'art. 1021, che ha reso più evidente il concetto insito nell'art. 521 del vecchio codice, sia l' uso (utilizzazione della cosa in sè) sia il fructus (possibilità di percepire i frutti naturali), nel caso che la cosa sia fruttifera, ma entrambe le forme di godimento soggiacciono al limite intrinseco che si è visto, per cui sono possibili in quanto sono necessarie e idonee a soddisfare direttamente i bisogni dell'usuario.

Si intende che il bisogno dell'usuario o del titolare del diritto di abitazione, se costituisce il limite del contenuto del diritto, non è affatto una condizione per il suo esercizio. Non interessa quindi vedere se i bisogni del titolare possono essere da lui soddisfatti attraverso una via diversa da quella della utilizzazione della cosa oggetto dell'uso e dell'abitazione (come sarebbe invece importante se si trattasse di un diritto alimentare), basta vedere se l'utilizzazione diretta della cosa o i suoi frutti possono soddisfare direttamente un bisogno dell'usuario e se il godimento e limitato in funzione di questo scopo.

Quanto alla valutazione del bisogno essa deve esser fatta con riguardo alle condizioni del titolare e dei membri della sua famiglia, all’età, alla condizione sociale, al sesso e cosi via. Appunto per ciò l’ art. 1021 stabilisce che i bisogni si devono valutare secondo la condizione sociale del titolare del diritto. Questo criterio di valutazione che la legge detta per l'uso è evidentemente applicabile anche per il diritto di abitazione (per i1 quale anzi lo dettava esclusivamente l'art. 524 del codice del 1865): il criterio del bisogno, come limite del godimento, è un criterio elastico ed e suscettibile, secondo le circostanze, di una certa latitudine di apprezzamento.


Il titolo costitutivo dell'uso e dell'abitazione

I caratteri essenziali dell'uso e dell'abitazione che abbiamo sinora delineati portano senz'altro a ritenere che non tutte le cose ne possono formare oggetto. A prescindere dall'abitazione che ha sempre per oggetto un edificio, è chiaro che non si può costituire il diritto di uso su una somma di denaro o su altro bene strumentale o comunque su un bene che direttamente non è idoneo alla soddisfazione di un bisogno (es. un'azienda commerciale o industriale).

Il diritto di uso e quello di abitazione possono derivare dal contratto (ipotesi però assai rara, che troverà riscontro solo quando sia emerso che le parti vollero un comodato o una locazione), e vi è qualche caso di diritto di abitazione che può avere una fonte legale ((art. 540 comma 2 c.c.).

Come s'intende, il titolo costitutivo può regolare il diritto di uso e di abitazione in maniera diversa da quanto è stabilito negli articoli 930 e segg., che contengono norme indubbiamente dispositive. Cosi può essere esteso o ridotto il godimento, e può essere determinata con precisione la misura ecc. Quel che si deve sottolineare è che, se dal titolo risulta che il limite del bisogno non opera (per es. se il titolo ammette la cedibilità del diritto), allora bisognerà concludere che non si può parlare di uso o di abitazione e che si dovrà invece ritenere che le parti o il testatore hanno voluto costituire un usufrutto

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1022 Codice Civile

Cass. civ. n. 12042/2020

Il diritto di abitazione, che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540, secondo comma, c.c.), può avere ad oggetto soltanto l'immobile concretamente utilizzato prima della morte del "de cuius" come residenza familiare. Il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare.

Cass. civ. n. 14687/2014

In tema di diritto di abitazione, il limite sancito dall'art. 1022 cod. civ. riguardo ai bisogni del titolare e della sua famiglia non deve essere inteso in senso quantitativo, che imporrebbe l'ardua determinazione della parte di casa necessaria a soddisfare tali bisogni, ma solo come divieto di utilizzo della casa in altro modo che per l'abitazione diretta dell'"habitator" e dei suoi familiari.

Cass. civ. n. 4562/1990

Il diritto di abitazione, che ha le sue origini nell'usus domus del diritto romano classico, ha natura reale e quindi può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata (art. 1350, n. 4, c.c.).

Cass. civ. n. 3974/1984

Il diritto di abitazione, a differenza dell'usufrutto e del diritto di uso, ha carattere talmente particolare e personale da non potere né essere ceduto ad altri, nemmeno quanto all'esercizio, né avere attuazione diversa da quella dell'abitazione personale dell'immobile da parte del relativo titolare.

Cass. civ. n. 3342/1984

L'art. 84 della L. 27 luglio 1978, n. 392 — in forza del quale sono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con la legge stessa — non ha inciso sull'art. 1022 c.c., non riguardando tale norma la materia disciplinata dalla richiamata legge — e cioè la locazione degli immobili urbani — bensì il diritto di abitazione, che costituisce un diritto reale immobiliare.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1022 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. S. chiede
venerdì 16/09/2022 - Emilia-Romagna
“Famiglia composta da padre, madre ed una figlia maggiorenne.
Padre proprietario di un immobile a Genova, in comunione di beni con la moglie. In questo immobile ha la residenza la figlia.
Il padre è deceduto nel 2015, lasciando testamento in cui lascia la nuda proprietà di questo immobile al nipote (figlio della figlia), con diritto di abitazione per la figlia.
Ora la figlia vuole suddividere questo immobile in due distinte unità immobiliari, che saranno rispettivamente la residenza sua e del figlio (che ha la nuda proprietà).
Si richiede se, fino ad oggi, ha agito correttamente la figlia, considerando l'immobile quale sua abitazione principale (con tutte le agevolazioni del caso) in quanto il padre era in comunione dei beni con la moglie.
Si richiede se il diritto di abitazione, variando i dati catastali dell'immobile, continuerà ad esistere sull'immobile abitato dalla figlia.
Si richiede inoltre se la stessa può vantare dei diritti patrimoniali sull'immobile in cui andrà ad abitare il figlio (frutto della divisione dell'immobile stesso).”
Consulenza legale i 26/09/2022
La soluzione del caso in esame richiede di affrontare un problema di cui si sono occupati sia la dottrina che la giurisprudenza, ovvero quello della ammissibilità della costituzione del diritto di abitazione su un immobile in comproprietà.
La situazione che si descrive, infatti, vede due coniugi, Tizio e Tizia, comproprietari, in regime di comunione legale dei beni, di un immobile, in relazione al quale Tizio ha manifestato la volontà testamentaria di disporre attribuendo la nuda proprietà al nipote ex filia ed il diritto di abitazione in favore della figlia.
In realtà, trattandosi d immobile in comproprietà, la volontà di Tizio può produrre i suoi effetti soltanto pro quota, ovvero in misura pari ad un mezzo indiviso, non potendo certamente Tizio disporre della quota di cui rimane proprietaria il coniuge superstite Tizia, né costituire diritti sulla medesima.

Ora, il tema della ammissibilità di un diritto di abitazione ex art. 1022 c.c. pro quota vede contrapposti due diversi orientamenti dottrinari e giurisprudenziali.
In particolare, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, alla luce del principio della tipicità dei diritti reali ed in considerazione del suo contenuto tradizionalmente non divisibile, deve ritenersi inammissibile la costituzione pro quota di un diritto di abitazione da parte del singolo comproprietario.
Tale tesi trova il suo fondamento nella considerazione secondo cui, essendo il diritto di abitazione per sua stessa natura indivisibile, come tale non può essere oggetto di una situazione di comunione.
Sotto questo profilo, esso si differenzierebbe dal diritto di usufrutto, il quale di contro potrebbe spettare sulla stessa cosa in comune a più persone ed a ciascuna per una quota ideale (in tal senso vanno segnalate due risalenti pronunce giurisprudenziali, e precisamente Cass. 18 febbraio 1935 e Appello di Bari 24.05.1936).

A sostegno di tale tesi si adduce altresì un ulteriore argomento, ossia la considerazione secondo cui il diritto di abitazione altro non sarebbe che una sottospecie del diritto di uso avente ad oggetto una casa per abitarvi, con riferimento al quale si è escluso che si possa acquistare o perdere per parti e che possa spettare in comune per quote ideali sulla medesima cosa a più persone.

A tale tesi, tuttavia, si è opposto un diverso orientamento dottrinario e giurisprudenziale (in dottrina Bigliazzi Geri, Pugliese, mentre in giurisprudenza Cass. 18.07.1980 n. 4706 e Trib. Lucera 07.02.1976), secondo cui “non si vede per quale ragione una casa non dovrebbe poter essere lasciata o concessa a titolo di abitazione a più soggetti, riducendosi soltanto il godimento nei limiti della quota, proporzionalmente determinata sulla base dei bisogni di ciascuno di essi e delle rispettive famiglie”.

Sulla scorta di tale orientamento, la dottrina maggioritaria ha ritenuto ammissibile la costituzione pro quota del diritto di abitazione, affermando quanto segue:
a) il comproprietario è legittimato a costituire un diritto reale di godimento (è tale il diritto di abitazione) sulla propria quota, così come il proprietario esclusivo è legittimato a costituire il medesimo diritto solo su una quota della proprietà;
b) colui in favore del quale viene costituito il diritto di abitazione (sia con atto inter vivos che mortis causa, come nel caso di specie), viene a trovarsi in una situazione di comunione di godimento con il comproprietario o i comproprietari, ed entrambi sono autorizzati ad abitare la casa, purchè non se ne impedisca l’uso dell’altro, dovendo sopportare le spese in proporzione alla propria quota e potendo entrambi concorrere nell’amministrazione.
Sotto il profilo pratico, ne deriverà che sia il comproprietario (che non ha ceduto il proprio diritto di abitazione) che l’habitator avranno diritto di coabitare nell’immobile.

Una volta chiarito questo primo ed essenziale aspetto, può affermarsi che, dovendosi ritenere correttamente costituito il diritto di abitazione in favore della figlia (seppure relativo ad una quota indivisa dell’immobile), la medesima, in quanto habitator con diritto di coabitazione ed ivi residente, ha legittimamente utilizzato quell’immobile come sua abitazione principale, anche avvalendosi delle possibili agevolazioni previste in materia fiscale (a titolo esemplificativo, ci si sarebbe potuti avvalere delle agevolazioni prima casa, consentite anche per l’acquisto del diritto di abitazione su un immobile).

Per quanto concerne il secondo aspetto che si chiede di prendere in esame, ossia quello relativo alla possibilità di frazionare l’immobile (con conseguente e necessaria variazione dei dati catastali) ed alle conseguenze che da tale frazionamento ne potrebbero derivare al diritto di abitazione, va osservato quanto segue.
Poiché, come è stato prima osservato, il diritto di abitazione si è potuto giuridicamente costituire soltanto su una quota dell’immobile (quella caduta in successione), nel momento in cui si procederà alla divisione dello stesso (alla quale dovranno necessariamente prendere parte tutti i comproprietari, ossia la moglie ed il nipote), una particella rimarrà al coniuge superstite (già proprietaria di un mezzo indiviso dell’intero), mentre l’altra particella andrà assegnata alla figlia per il diritto di abitazione ed al nipote per la nuda proprietà.
Trattasi di atto per il quale occorre necessariamente rispettare la forma scritta (atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata, ex art. 1350 del c.c.) e che va trascritto ex art. 2643 del c.c. (con successiva voltura al catasto).
Da tale momento né il nipote né la figlia potranno vantare alcun diritto sulla porzione di immobile assegnata in sede di divisione al coniuge superstite.

Questo è il procedimento corretto da seguire per mantenere legittimamente il diritto di abitazione e concentrarlo su una sola delle due particelle che si andranno a formare.
Qualora, invece, ci si decidesse a non far seguire al frazionamento catastale il conseguente e necessario atto di divisione, il rischio a cui si potrebbe andare incontro è quello che possa considerarsi estinto il diritto di abitazione per perimento dell’immobile su cui lo stesso era stato costituito e trascritto, dovendosi fare applicazione analogica del disposto di cui al n. 3 dell’art. 1014 del c.c., dettato in materia di usufrutto, ma richiamato dall’art. 1026 del c.c..

Giorgio M. chiede
sabato 09/01/2021 - Piemonte
“Buongiorno, vorrei costituire un diritto di abitazione gratuito a favore di mia figlia su un alloggio di mia esclusiva proprietà.
Sarebbe possibile nell’Atto di costituzione stabilirne la risoluzione all’accadimento del primo tra i due seguenti eventi:
lo scadere di una certa data oppure il mio decesso (ad es. inserendo una clausola risolutoria del tipo: “fino al termine del 31 dicembre 2030 e/o comunque non oltre il decesso del cedente”)?
In caso affermativo, quale sarebbe l'esatta formulazione di questa clausola?
Grazie”
Consulenza legale i 14/01/2021
E’ possibile costituire a favore di un terzo ed a titolo gratuito un diritto di abitazione su un immobile di esclusiva proprietà del concedente il diritto, indicando nel relativo atto costitutivo un termine di scadenza di tale diritto ovvero una condizione o un evento al verificarsi dei quali il diritto si estingue.

Come si ritiene possa essere ben noto, il diritto di abitazione attribuisce al suo titolare il diritto di abitare una casa, di proprietà altrui, utilizzandola per il bisogno proprio e della propria famiglia.
A differenza della locazione, che ha ad oggetto la prestazione del locatore (ossia quella di consentire al conduttore il pacifico godimento dell’immobile), il diritto di abitazione comporta il sorgere di un diritto di natura reale.
Oltre che da contratto (sia esso a titolo oneroso o gratuito) o da testamento, il diritto di abitazione può derivare dalla legge (è tale il diritto del coniuge superstite sulla casa coniugale ex art. 540 del c.c.), da sentenza del giudice (classico caso è quello della ex moglie a cui vengono affidati i figli dopo la separazione e il divorzio ed a cui viene concesso di rimanere nell’abitazione di proprietà del marito) ovvero da usucapione.

Si tenga presente che il diritto di abitazione ha natura temporanea, non potendo ad esso attribuirsi carattere di perpetuità.
Infatti, per effetto del richiamo operato dall’art. 1026 del c.c. alle norme dettate in tema di diritto di usufrutto, ed in particolare all’art. 979 del c.c. ed all’art. 1014 del c.c., tale diritto si estingue per:
  1. morte del titolare;
  2. prescrizione;
  3. consolidazione, ossia riunione nella stessa persona della titolarità del diritto di abitazione e della piena proprietà;
  4. perimento del bene;
  5. rinuncia del titolare del diritto di abitazione;
  6. scadenza del termine indicato nell’atto costitutivo.

In ogni caso, in forza di quanto prescritto dall’art. 979 c.c., è prevista una durata massima del diritto commisurata alla vita del beneficiario, tant’è che la predeterminazione nel contratto della durata del diritto, così come del suo contenuto, non configura neppure un requisito essenziale del contratto avente ad oggetto la sua costituzione, considerato che tali elementi, in difetto di previsione delle parti, vanno determinati secondo la disciplina dettata dagli artt. 979 e 981 c.c. (così Corte d’Appello di Genova, Sez. I, 13.10.2005, Corte d’Appello di Roma, Sez. IV, 12.09.2007).

L’essenziale temporaneità del diritto di abitazione (così come del diritto di usufrutto) fa sì, peraltro, che esso non possa cadere in successione (mortis causa), in quanto, come si è appena detto, una delle cause di estinzione è la morte del titolare di esso.

Pertanto, considerato che è del tutto conforme a legge costituire un diritto di abitazione a termine e/o ricollegare l’estinzione del diritto al verificarsi di un evento incertus quando sed certus an (anzi, risponde appieno alla sua natura temporanea), si suggerisce di utilizzare la seguente formula:
Il Sig. Tizio costituisce, a titolo gratuito, a favore della propria figlia Tizietta, che ringrazia ed accetta, il diritto di abitazione dell’alloggio di sua esclusiva proprietà sito in….., composto da…..

Il diritto di abitazione a favore di Tizietta avrà inizio col giorno….. (si può anche indicare un termine di decorrenza del diritto) ed avrà termine in data 31.12.2030 ovvero nel giorno della morte del concedente, se tale evento dovesse verificarsi in data anteriore a detto termine.

Si vuole infine evidenziare che l’atto costitutivo del diritto di abitazione, in quanto ha ad oggetto un diritto di natura reale, deve rivestire, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata con sottoscrizione autenticata (così art. 1350 del c.c. n. 4), per poi essere successivamente trascritto (a cura del notaio rogante) presso la Conservatoria dei Registri immobiliari territorialmente competente (ex art. 2643 del c.c. n. 4) ai fini della sua opponibilità ai terzi.


Raul R. chiede
lunedì 01/04/2019 - Marche
“Con atto notarile ho acquistato il diritto di abitazione vitalizio su 111/1000 di un immobile nel comune di O.
Il proprietario di questi 111/1000 è stato costretto a vendere la sua quota al proprietario degli altri 899/1000.
Vorrei sapere se il mio diritto di abitazione vitalizio rimane valido
Distinti saluti.

Consulenza legale i 11/04/2019
Il diritto di abitazione (art. 1022 c.c.), com’è noto, consente a chi ne gode di abitare ed utilizzare una casa assieme alla sua famiglia, limitatamente però a quanto occorre a far fronte ai suoi bisogni; inoltre, si possono occupare solo le parti della casa la cui utilizzazione si renda necessaria in funzione del soddisfacimento di detti bisogni.

In base alla disciplina del codice civile relativa al diritto di abitazione, quest’ultimo si estingue – tra le altre ipotesi - o quando la persona fisica che ne sia titolare muore oppure quando scade il termine finale di durata fissato dalle parti nell’atto costitutivo.
Trattandosi, dunque, nel caso di specie di termine a vita, il diritto di abitazione si conserva nonostante la modifica della titolarità dell’immobile.
Se infatti, come nel caso in esame, il diritto di abitazione viene costituito con atto negoziale trascritto, ai sensi degli articoli 2643 n. 4 e 2644 c.c., esso sarà destinato a gravare la proprietà del bene per tutta la sua durata e sarà opponibile ai successivi acquirenti o aventi causa dal proprietario che abbiano trascritto il proprio titolo successivamente alla trascrizione di quello costitutivo del diritto in questione.

Va ancora ricordato che il diritto di abitazione è impignorabile e non può essere soggetto ad ipoteca, a differenza dell’immobile su cui grava.
Quest’ultimo rimane infatti soggetto ad esecuzione forzata ma quando viene venduto coattivamente il diritto di abitazione diviene opponibile alla procedura (al creditore pignorante ed all’acquirente da vendita forzata) se era stato trascritto anteriormente al pignoramento.
La proprietà del bene pignorato viene insomma trasferita come gravata dal diritto di abitazione e il titolare del diritto di abitazione resta terzo rispetto al procedimento di vendita forzata, nel senso che gli atti espropriativi non possono pregiudicare tale diritto.

Diverso sarebbe invece se, per effetto della vendita, si riunissero nella stessa persona il titolare del diritto di abitazione e quello della piena proprietà dell'immobile: si parlerebbe in questo caso di estinzione del diritto per consolidazione.

Solo una precisazione sulla costituzione di un diritto di abitazione pro quota.
Contrariamente a quello che pensa certa parte della dottrina, siamo del parere che un diritto di abitazione pro quota sia ammissibile.
Secondo la nota giurista Bigliazzi Geri il diritto di abitazione può spettare in comune a più soggetti ed in questo caso il godimento deve ridursi nei limiti della quota.
Ciò che conta è che venga costituito su una casa idonea a fornire alloggio, con relativi accessori.
Anche secondo il giurista Palermo è possibile la costituzione di un diritto di abitazione su parte di una casa se essa è comodamente divisibile.
Del resto, partiamo dal presupposto che il diritto di abitazione costituisce una delle facoltà che ha il titolare del diritto di proprietà, anche pro quota, su un immobile, e non si vede sulla base di quale norma si possa impedire a quel comproprietario di disporre di tale sua facoltà di abitare l’immobile in ragione della quota di cui è titolare.
Se poi di fatto risulta difficile stabilire in quale misura o su quale parte dell’immobile esercitare il diritto di abitazione (perché si tratta di una quota minima), resta sempre impregiudicato il diritto di ciascun comproprietario di chiedere la divisione dell’immobile, a seguito della quale, se lo stesso risulta comodamente divisibile, il titolare del diritto di abitazione potrà concentrare il suo diritto sulla parte di bene che gli viene assegnata.
Se, al contrario, l’immobile non sarà comodamente divisibile, il proprietario della quota maggiore avrà diritto a chiedere l’attribuzione dell’intero, ma dovrà liquidare al titolare per quota del diritto di abitazione il valore monetario del suo diritto.

Esiste, peraltro, altra contraria opinione che non ritiene affatto costituibile un diritto di abitazione pro quota.

Fabio M. chiede
mercoledì 05/07/2017 - Emilia-Romagna
“buongiorno, a giugno del 2016, ho costituito a favore di mia moglie un diritto di abitazione. premetto che sono titolare e amministratore di una società che attualmente si trova in grave stato d'insolvenza e che ho prestato alcune fidejussioni personali ad istituti bancari. i creditori della società a cui ho prestato la mia garanzia personale, possono ottenere la revocatoria? preciso che l'impegno a garantire è stato sottoscritto prima dell'atto di cessione del diritto di abitazione. Grazie”
Consulenza legale i 12/07/2017
La risposta è, purtroppo, positiva.
La responsabilità patrimoniale del debitore poggia sul disposto dell’art. 2740 c.c, a mente del quale “il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri”.
Questo significa che i creditori, dal momento che ha prestato fideiussioni personali, possono rivalersi anche sui suoi beni personali e non solo su quelli della società.

L’art. 2901 c.c. prevede che il creditore possa chiedere in giudizio che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione patrimoniale, posti in essere dal debitore, che costituiscono pregiudizio alle sue ragioni.

Presupposti dell’azione revocatoria sono dunque 1) l’esistenza di un credito; 2) un atto dispositivo che mira a far uscire uno o più beni fuori dal patrimonio del debitore; 3) la consapevolezza del debitore di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni creditorie se trattasi di atto a titolo gratuito, come in questo caso ove a fronte del godimento del diritto di abitazione non è stato previsto alcun corrispettivo.

L’azione revocatoria si prescrive in 5 anni decorrenti dalla trascrizione dell’atto dispositivo nei pubblici registri (art. 2903 c.c.).

La Cassazione in precedenti casi ha sempre riconosciuto che la costituzione del diritto d’abitazione da parte del debitore ed in favore di soggetti terzi, costituisce atto dispositivo pregiudizievole delle ragioni creditorie e dunque è suscettibile di essere dichiarato inefficace a seguito dell’esperimento dell’azione revocatoria (Cass. 8516/2006).

L'unico caso in cui non dovrebbe essere ammessa la possibilità di esperire l’azione revocatoria è il caso della separazione giudiziale, conclusasi dunque con sentenza e non con l’accordo dei coniugi omologato, con la quale l’immobile viene assegnato dal Giudice al coniuge non proprietario, in quanto trattandosi di provvedimento dell'autorità giudiziaria e quindi deciso e voluto dal Giudice, non si sarebbe in presenza di un atto dispositivo.

Merita poi precisare che al di là dell’esperimento dell’azione revocatoria, il creditore potrà sempre espropriare il bene anche se sullo stesso sussiste un altrui diritto personale di godimento.

Infatti una cosa è la proprietà del bene, il diritto di disporne, altra cosa sono i diritti di godimento altrui esistenti sul medesimo e la loro opponibilità ai terzi acquirenti (in questo caso ai terzi esproprianti), cioè la loro efficacia nei confronti dei terzi che ad esempio ne acquistino la proprietà.
Stante il disposto dell'art. 2915 c.c. la costituzione del diritto di abitazione se non revocata, è opponibile (ovverosia è efficace nei confronti dei terzi e dei creditori) se l'atto costitutivo è stato trascritto nei registri immobiliari prima del pignoramento.

Se il diritto d’abitazione fosse opponibile ed i creditori non esperissero l’azione revocatoria, la proprietà del bene verrebbe trasferita comunque ai terzi acquirenti, ma unitamente al diritto d’abitazione che il terzo acquirente, a questo punto, sarebbe tenuto a rispettare anche se nuovo proprietario. Dunque se ha trascritto l'atto prima del pignoramento ed i creditori non volessero proporre azione revocatoria, sua moglie e la sua famiglia potrebbero continuare ad abitare la casa, anche se di proprietà altrui.

Tuttavia, dal momento che l’esistenza del diritto di godimento altrui diminuisce il valore dell’immobile e quindi il ricavato della vendita, i creditori hanno probabilmente tutto l’interesse di agire ex art. 2901 c.c. .

Cesira A. chiede
lunedì 27/04/2015 - Liguria
“Premetto:
Mio marito ha contratto con Equitalia per Irpef e multe (dei vigili urbani e della polizia stradale) non pagate un debito di circa 45.000 Euro (comprensivo dell' importo delle tasse,
degli interessi e della mora); mio marito non possiede nulla e riscuote, attualmente, una pensione di 980 Euro; la casa dove abitiamo è intestata a me così come i terreni (che ho ereditato dai miei genitori e su cui sorge la casa); al momento del matrimonio è stata
scelta la separazione dei beni (anche il conto corrente è separato)
Chiedo:
a) Equitalia può imporre che il suddetto debito sia saldato facendo riferimento al "reddito familiare" e, quindi, coinvolgendomi nel pagamento, oppure mio marito deve provvedere al
pagamento di un debito che è esclusivamente suo visto che è lui a non aver pagato, a tempo debito, quanto dovuto?
b) Ho una figlia a favore della quale ho fatto testamento quale erede universale; nel testamento ho scritto che mio marito ha esclusivamente "il diritto di abitazione" è sufficiente per escluderlo dalla quota di legittima?
Vi ringrazio anticipatamente”
Consulenza legale i 13/05/2015
a) Costituisce principio generale del nostro ordinamento che i debiti devono essere pagati dal debitore, cioè da colui che li ha contratti. Ciò implica che i debiti assunti da un soggetto non devono essere pagati da altri, anche se si tratta di suoi parenti o del coniuge, a meno che queste persone abbiano contratto il debito assieme al debitore o si siano offerti come garanti (es. fideiussori).
In particolare, con riferimento al caso di specie, il mancato pagamento di imposte sul reddito e di multe costituisce certamente debito personale del marito.
Ciò significa che i beni della moglie sono al riparo da qualsiasi azione esecutiva dei creditori del marito, salvo che vi siano state simulazione di vendita dal marito alla moglie, ma non ci pare che ciò sia avvenuto nel caso di specie.
I creditori potranno rivalersi solo sulla pensione del marito, pignorandola nei limiti previsti dalla legge e meglio chiariti dalla giurisprudenza: in particolare, la Cassazione ha sottolineato che al pensionato vanno garantiti i mezzi adeguati alle sue esigenze di vita e che, di conseguenza, si possono pignorare solo le somme che eccedono tale limite di sopravvivenza.

b) La quota di legittima che spetta al coniuge nel caso in cui ci sia anche un figlio è stabilita dall'art. 542 del c.c.: al figlio è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge.
Per poter rispondere alla domanda si dovrebbe calcolare il valore del patrimonio della moglie ed evincere quale sia la quota di 1/3.
Il diritto di abitazione è quel diritto reale di godimento su una cosa altrui, per il quale il titolare ha facoltà di abitare una casa limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia (art. 1022 del c.c.): esso può sorgere per atto tra vivi (un contratto) o per atto mortis causa (testamento).

Come si calcola il valore del diritto di abitazione?
Dal punto di vista fiscale, il valore economico del diritto di abitazione va determinato applicando i criteri previsti dall'art. 15 legge n. 179 del 17.2.1992 e nella tabella allegata al D.P.R. 131 del 26.4.1986 (T.U. in materia di imposta di registro) come modificata dalla legge n. 408/1990. Tali criteri dettati con riferimento al diritto di usufrutto vanno applicati anche al fine di valutare il diritto di abitazione.

Dal punto di vista civile, invece, non opera questa equiparazione con il diritto di usufrutto, quindi non vi sono principi universalmente applicati. Alcuni tecnici calcolano il diritto di abitazione in proporzione, come quota del diritto di usufrutto.

Ciò che è certo è che il valore di un immobile diminuisce in presenza di un diritto di abitazione. Ciò è stato chiarito dalla giurisprudenza nel caso di diritto di abitazione spettante al coniuge superstite, ma può trovare applicazione anche per il diritto di abitazione costituito con testamento: "Qualora il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite cada sulla residenza familiare del de cuius sita in un immobile in comproprietà lo stesso deve convertirsi nel suo equivalente monetario. Il diritto di abitazione in questione, infatti, trova limite e attuazione in ragione della quota di proprietà del defunto, cosicché ove per l'indivisibilità dell'immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell'immobile spettante e l'immobile venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all'attribuzione dell'equivalente monetario del diritto di abitazione" (Cass. civile 14594/2004).

Per essere certi che il valore del diritto di abitazione nella fattispecie concreta costituisca un terzo del valore del futuro compendio ereditario si dovrebbe affidare ad un tecnico l'incarico di verificare la consistenza economica del patrimonio della signora. Non è purtroppo possibile determinarlo senza una indagine tecnica.

In conclusione, una precisazione: i debiti contratti dal marito possono ricadere sulla moglie e sulla figlia alla morte dell'uomo, se queste non rinunciano espressamente all'eredità. Si dovrà, quindi, nel momento in cui il marito deceda, prestare attenzione a non compiere atti che possano implicare l'accettazione dell'eredità, ma procedere subito a rinunciarvi in modo formale (notaio).

Ivana B. chiede
venerdì 19/10/2012 - Valle d'Aosta
“Il diritto di abitazione si estende anche al giardino della casa?”
Consulenza legale i 19/10/2012

Sì, il diritto si estende a tutto ciò che concorre ad integrare la casa che ne è oggetto (Cass., sez. II, 17 aprile 1981 n. 2335).


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