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Articolo 2391 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Interessi degli amministratori

Dispositivo dell'art. 2391 Codice Civile

L'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società [1395], precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione [1394, 2373, 2631], investendo della stessa l'organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile.

Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione.

Nei casi di inosservanza a quanto disposto nei due precedenti commi del presente articolo ovvero nel caso di deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell'amministratore interessato, le deliberazioni medesime, qualora possano recare danno alla società, possono essere impugnate(1) dagli amministratori e dal collegio sindacale entro novanta giorni dalla loro data [2964]; l'impugnazione non può essere proposta da chi ha consentito con il proprio voto alla deliberazione se sono stati adempiuti gli obblighi di informazione previsti dal primo comma. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione [2377].

L'amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione.

L'amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo incarico.

Note

(1) L'azione di annullamento del contratto posto in essere dall'amministratore in conflitto di interessi è soggetto a prescrizione quinquennale che decorre dalla data dell'atto. Vengono delineati, inoltre, i soggetti legittimati a proporre l'azione.

Ratio Legis

La norma disciplina il conflitto d'interessi degli amministratori, da una parte imponendo a questi ultimi l'obbligo di dichiarare preventivamente la propria posizione conflittuale, dall'altra sanzionando con l'invalidità le delibere del consiglio, laddove l'amministratore non abbia adempiuto ai propri doveri informativi. Rimane in ogni caso ferma la possibilità di invalidare le decisioni cui abbia partecipato in maniera determinante l'amministratore in conflitto d'interessi, se dannose per la società, anche nel caso in cui questi abbia correttamente assolto ai propri obblighi di trasparenza.

Spiegazione dell'art. 2391 Codice Civile

La norma detta una particolare disciplina per le operazioni decise ed eseguite da un amministratore che si trovi in conflitto d’interesse. Si ha conflitto d’interesse qualora l’amministratore sia portatore di un interesse esterno alla società, tale per cui possa trarre una specifica utilità dall’operazione, sfruttando le informazioni in proprio possesso e la propria posizione nell’ambito dell’organizzazione sociale.

Deve osservarsi che il legislatore non impone all’amministratore un generale obbligo di astensione, bensì richiede a quest’ultimo di informare preventivamente il consiglio di amministrazione circa la natura dei propri interessi e la durata della situazione di conflitto. Un obbligo di astensione sussiste invece solo per l’amministratore delegato, il quale non può procedere al compimento di simili operazioni, dovendo rimettere la decisione al plenum del consiglio di amministrazione.

Analogamente a quanto disposto riguardo al conflitto d’interesse del socio, la partecipazione dell’amministratore alla votazione non rende la decisione consiliare automaticamente invalida.
A tal fine, fermo restando l’obbligo di provare la potenzialità dannosa della decisione, bisognerà alternativamente dimostrare:
  • che l’amministratore non abbia ottemperato agli obblighi informativi;
  • che il voto dell’amministratore sia stato determinante.

La legittimazione all'impugnazione spetta ai singoli amministratori.

Qualora non ricorra una delle due condizioni non appena elencate non potrà azionarsi la tutela reale, rimanendo comunque gli amministratori responsabili degli eventuali danni patiti dalla società per comportamenti assunti in violazione del dovere di lealtà e di diligente gestione.

In ogni caso, la norma fa salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera annullata.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

6 Il consiglio di amministrazione e la circolazione delle informazioni L'amministrazione della società continua a poter essere affidata ad un amministratore unico oppure ad un consiglio di amministrazione. In quest'ultimo caso il maggior "costo" della collegialità è compensato da un'effettiva partecipazione di tutti i consiglieri alla gestione della società. A tale fine sono state aumentate le attribuzioni non delegabili (art. 2381 del c.c., terzo e quarto comma); è stato previsto un ampio e periodico obbligo informativo degli organi delegati al consiglio e al collegio sindacale sulle operazioni più rilevanti per dimensioni o caratteristiche (anche qualitative, quali ad esempio operazioni atipiche, inusuali o compiute o deliberate da amministratori interessati), ed esteso anche alla gestione delle controllate (art. 2381, quinto comma); e si è disposto che gli amministratori debbano agire in modo informato ed abbiano correlativamente un diritto individuale all'informazione cui gli organi delegati devono far fronte riferendo al consiglio (art. 2381, ultimo comma). Si è anche precisato nell'art. 2389 del c.c. che è possibile attribuire agli amministratori, a titolo di compenso, il diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione; in tal modo si è confermata la diffusa pratica delle stock-options con la cautela, però, non essendosi modificato l'ultimo comma dell'art. 2441 del c.c., che deliberazioni assembleari in tal senso richiederanno in ogni caso una congrua motivazione alla luce dell'interesse sociale richiamato dal quinto comma del medesimo articolo, e l'applicazione pertanto delle maggioranze rafforzate ivi richieste. Un'informativa dettagliata è stata poi prevista, come si vedrà, per le operazioni relativamente alle quali un amministratore abbia - per conto proprio o di terzi - un interesse, anche se coincidente con quello della società (art. 2391 del c.c., primo comma). L'ampia circolazione delle informazioni sulla gestione, con particolare trasparenza sulle operazioni relativamente alle quali gli amministratori possano, anche per conto terzi, avere un interesse, tende da un lato a rendere efficaci ed utili le riunioni e le deliberazioni del consiglio (che può impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega: art. 2381, terzo comma) e, d'altro lato, a definire un'articolazione interna del consiglio e del suo funzionamento in cui i rispettivi poteri e doveri del consiglio e degli organi delegati siano delineati con precisione, in modo che anche le rispettive responsabilità possano essere rigorosamente definite.
6 Il conflitto di interessi Il conflitto di interessi è disciplinato dall'art. 2391 con particolare rigore sotto vari profili; in primo luogo si tutela la trasparenza, imponendosi agli amministratori di dare notizia di ogni interesse che essi abbiano, anche per conto di terzi, in operazioni della società, anche se l'operazione sia nell'interesse sociale; in secondo luogo si impone agli amministratori delegati interessati di astenersi dal compiere l'operazione, investendone l'organo collegiale ed obbligando a motivare la deliberazione adottata nella situazione prevista dalla norma; in terzo luogo, si persegue la prevenzione del danno consentendo l'impugnativa della deliberazione dell'organo non solo agli amministratori assenti o dissenzienti, ma anche a quelli consenzienti ed al collegio sindacale quando non siano stati debitamente informati del conflitto; da ultimo, sotto il profilo propriamente risarcitorio si prevede che il risarcimento integrale del danno sia dovuto, oltre che nei casi di violazione dei doveri di informazione o di astensione dal voto, anche nei casi in cui un amministratore abbia utilizzato a vantaggio proprio o di terzi, o abbia comunicato a terzi, dati, notizie od opportunità di affari appresi nell'esercizio delle proprie funzioni. Il maggior rigore di questa disciplina vuole sottolineare non solo che qualsiasi amministratore, essendo un gestore di un patrimonio altrui, non può approfittare della sua posizione per conseguirne diretti o indiretti vantaggi, ma, soprattutto, il valore della trasparenza nella gestione delle società. Resta ovviamente salva, come da dottrina prevalente e giurisprudenza da tempo consolidata, l'applicazione della disciplina generale dell'art. 1394 del c.c. in tema di conflitti di interessi del rappresentante nell'ipotesi in cui l'attività dell'amministratore non sia preceduta da una deliberazione collegiale, come può avvenire in caso di amministratore unico o di amministratore delegato con poteri di rappresentanza.

Massime relative all'art. 2391 Codice Civile

Cass. civ. n. 255/2022

Quando un amministratore ponga in essere, in nome della società, un atto o un negozio nei confronti di un terzo, ancorché rientrante nella competenza del consiglio di amministrazione, il conflitto di interessi, in assenza di previa deliberazione collegiale, non può essere regolato dall'art. 2391 c.c., in quanto nelle fattispecie regolate da questa norma il conflitto emerge in un momento anteriore in quanto afferente all'esercizio del potere di gestione, ma dall'art. 1394 c.c., il quale impone di accertare l'esistenza di un rapporto di incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante, da dimostrare in modo non astratto o ipotetico, ma tenendo conto dell'idoneità del singolo atto o negozio alla creazione dell'utile di un soggetto mediante il sacrificio dell'altro.

Cass. civ. n. 27783/2008

In tema di negozio concluso in conflitto di interessi dall'amministratore unico di società di capitali (nella specie, società a responsabilità limitata), non essendovi separazione tra potere deliberativo e potere rappresentativo della volontà sociale, è inapplicabile l'art. 2391 cod. civ., che riguarda il conflitto di interessi degli amministratori in presenza di un consiglio di amministrazione, trovando, invece, applicazione la disciplina generale della rappresentanza di cui agli art. 1394 e 1395 cod. civ., i quali costituiscono eccezione al principio generale dell'irrilevanza del rapporto interno tra rappresentante e rappresentato.

Cass. civ. n. 1525/2006

In tema di società per azioni, quando il singolo amministratore ponga in essere, in mancanza di una delibera del consiglio di amministrazione, un atto con il terzo che rientri, invece, nella competenza di tale organo, l'incidenza del conflitto di interessi sulla validità del negozio deve essere regolata sulla base, non già dell'art. 2391 c.c. (il quale, riferendosi al conflitto che emerge in sede deliberativa, concerne l'esercizio del potere di gestione, in un momento, quindi, anteriore a quello in cui l'atto viene posto in essere, in nome della società, nei confronti del terzo), ma della disciplina generale di cui all'art. 1394 c.c.. Al riguardo, costituendo il divieto di agire in conflitto di interessi con la società rappresentata un limite derivante da una norma di legge, la sua rilevanza esterna non è subordinata ai presupposti stabiliti dal secondo comma dell'art. 2384 c.c., il cui ambito di applicazione è riferito alle limitazioni del potere di rappresentanza derivanti dall'atto costitutivo o dallo statuto, che abbiano, cioè, la propria fonte (non nella legge, ma) nell'autonomia privata. (Pronuncia resa in fattispecie anteriore al d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6).

Cass. civ. n. 4505/2000

La disciplina dell'atto compiuto dall'amministratore unico in nome della società ed in conflitto d'interessi con la stessa si rinviene nell'art. 1394 c.c., e non nel successivo art. 2391, che presuppone, per la sua applicabilità, l'esistenza di una delibera consiliare.

Cass. civ. n. 3483/1998

Ai fini della sussistenza della responsabilità degli amministratori per la loro partecipazione ad una delibera riguardante un'operazione in conflitto di interessi con la società, è sufficiente che tale operazione presenti una utilità per la controparte nella quale i suddetti amministratori abbiano un interesse, risultando ininfluente, a tal fine, la valutazione delle scelte gestionali e delle ragioni che hanno indotto gli amministratori a compierle, posto che, in presenza di un conflitto di interessi, la fonte della responsabilità è costituita dal compimento dell'azione in sé e per sé considerata, dalla sua illegittimità conseguente all'essere stata compiuta in violazione di precisi canoni generali e specifici di comportamento, e dalla dannosità della scelta gestionale, senza che, peraltro, possa rilevare il merito di tale scelta.

Cass. civ. n. 1089/1992

Con riguardo al contratto, che sia stato stipulato, in posizione di conflitto di interessi, dall'amministratore unico di una società di capitali, ovvero dall'amministratore delegato che abbia agito nell'ambito dei poteri conferitigli e quindi senza preventiva delibera del consiglio di amministrazione , l'applicabilità dell'art. 1394 c.c., con la conseguenziale annullabilità del contratto stesso su domanda della società rappresentata (sempre che quella situazione sia conosciuta o conoscibile dall'altro contraente), non possono essere contestate in relazione alle previsioni dell'art. 2391 c.c., in materia di conflitto di interessi fra amministratore e società, atteso che quest'ultima norma, riferendosi alle delibere del consiglio di amministrazione e contemplandone l'annullabilità (oltre che la responsabilità dell'amministratore verso la società), non opera quando una delibera del consiglio medesimo difetti.

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relative all'articolo 2391 Codice Civile

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A. B. chiede
lunedì 13/06/2022 - Toscana
“Dopo un rapporto di fornitura di circa 20 anni, per 3 anni esclusiva con una società per azioni filiale italiana di una multinazionale, che, ove non era regolamentata da contratto, è provata da regolari fatture pagatemi, mi è stato chiesto dall’azienda di verificare l’opportunità di una sponsorizzazione proposta da un dirigente, nel farlo ho scoperto che quest’ultimo cercava di sponsorizzare per circa 100.000 euro un suo socio in una società terza, che tra l’altro per codice attività risulta essere in possibile conflitto d’interessi con la filiale della multinazionale per la quale lavora.
Ho riferito tutto in modo dettagliato all’azienda (filiale multinazionale) che mi ha commissionato la consulenza, per la loro normativa interna la mia consulenza (provata per tabula) avrebbe dovuto produrre il licenziamento dl dirigente e la segnalazione alla corporate dell’accaduto.
L’amministratore delegato, amico del dirigente ha affossato tutto all’interno della azienda e alla prima occasione ha promosso il dirigente mettendolo a capo della divisione con la quale lavoravo e cambiato il fornitore “scomodo” (la mia ditta) con un’azienda di suoi amici di famiglia (anche questo è provato palesemente), totalmente fuori ruolo rispetto al lavoro affidatogli. Ho testi interni all’azienda.
Sulla base di quali norme posso agire contro questi soggetti: AD, Dirigente e azienda concorrente?
Ad ora ho individuato il 2391 Codice Civile. Grazie per l’ottimo lavoro che mettete a disposizione a saluti!”
Consulenza legale i 21/06/2022
Ai sensi dell’art. 2104 del c.c., “il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa […]”.
L’art. 2105 del c.c. dispone, inoltre, che “il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore […]”.

Tanto premesso, nel concludere una sponsorizzazione in conflitto di interessi con l’impresa presso la quale è impiegato, il dirigente avrebbe posto in essere un comportamento in violazione dell’art. 2104 del c.c., poiché non avrebbe utilizzato la diligenza richiesta dall’interesse dell’impresa; nonché dell’art. 2105 del c.c., poiché avrebbe trattato affari in concorrenza con l’imprenditore.
Presupposto per entrambe le violazioni è la reale sussistenza del conflitto di interessi tra l’operazione trattata dal dirigente e l’impresa per la quale svolge la propria attività lavorativa; il dirigente/lavoratore, infatti, si troverebbe a trattare un affare in concorrenza con l’imprenditore.
Il danneggiato da tale condotta, tuttavia, sarebbe l’impresa (la s.p.a. italiana), unica che potrebbe agire per chiedere il risarcimento danni al proprio dipendente per violazione delle norme sopra citate.

In relazione all’amministratore aelegato della s.p.s., in primo luogo si deve considerare il disposto dell’art. 2391 del c.c., il quale impone all’amministratore delegato di dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; nonché di astenersi dal compiere l'operazione e di investire della stessa l'organo collegiale.

Il primo aspetto rilevante consiste nel valutare l’applicabilità della norma, che disciplina il conflitto di interessi dell’amministratore di una s.p.a., al caso concreto esposto: valutare, cioè, se il rapporto personale intercorrente con il dirigente possa integrare un’ipotesi di conflitto di interessi, tanto nell’ambito dell’operazione di sponsorizzazione, quanto nell’affidamento della fornitura ad un’impresa con la quale vantava rapporti personali extralavorativi.
Si rammenti che si ha interesse quando sussiste un ragionevole motivo di ritenere che l'amministratore, nelle concrete circostanze del caso, si rappresenti di ricavare dal compimento o dall'omissione di una determinata operazione una utilità qualitativamente e quantitativamente significativa e rilevante (Enriques; Sambucci).
L'interesse dell'amministratore è, al contrario, irrilevante quando l'utilità prospettata non è di consistenza tale da essere idonea ad influire sulle scelte di gestione o sul voto dell'amministratore.
L'interesse, che per rilevare deve avere natura patrimoniale, può essere un interesse che l'amministratore ha in proprio o che si trova a curare per conto di terzi.
In quest'ultimo caso, per far scattare gli obblighi fissati dall'art. 2391 del c.c., la cura dell'interesse del terzo deve trovare origine in un rapporto giuridicamente rilevante; in altri termini l'amministratore deve curare l'interesse del terzo in virtù di un rapporto cui l'ordinamento riconosce rilevanza giuridica, quale ad es. quello coniugale, o quello contrattuale.

Nella giurisprudenza presa in rassegna si ha sempre a riguardo a rapporti giuridicamente rilevanti (ex multis Trib. Milano, 19 gennaio 1974; Trib. Milano, 9 giugno 1977, per due casi relativi a contratti stipulati con il coniuge; Cass. Civ, 4 aprile 1998, n.3483, per un caso in cui il c.d.a. aveva deliberato di dare in affitto l'azienda della società ad altra società della quale gli stessi amministratori erano soci ed uno di questi era anche amministratore).
Entro certi limiti, anche situazioni di fatto potrebbero rilevare, purché si tratti però di situazioni cui normalmente nell'ordinamento si riconoscono effetti giuridici, quali convivenza more uxorio o le società di fatto.
Non pare invece possa essere riconosciuta rilevanza a rapporti di mera amicizia o a relazioni amorose, che, comunque, parte della dottrina considera rilevanti (Enriques).

A prescindere dalla sussistenza o meno di un conflitto di interessi dell’amministratore delegato con la s.p.a. presso il quale svolge il proprio ruolo, le conseguenze di tali condotte possono ricondursi da un lato all’annullabilità degli atti posti in essere dall’amministratore; dall’altro lato al sorgere di una responsabilità dello stesso per i danni derivati alla società dalla sua azione od omissione, nonché per i danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell'esercizio del suo incarico.
La valutazione, pertanto, non incide sulla possibilità da parte Sua di ottenere un risarcimento, che non appare possibile mediante questa via.

La norma sulla quale occorre porre l’attenzione è l’art. 2395 del c.c., la quale presuppone la possibilità da parte dei terzi (e dei singoli soci) di agire nei confronti dell’amministratore di una società nell’eventualità in cui siano stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori; al secondo comma dispone che l'azione possa essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.

Affinché il terzo possa chiedere agli amministratori il risarcimento dei danni, debbono ricorrere i seguenti presupposti: il compimento da parte degli amministratori di un atto illecito nell’esercizio del loro ufficio; la produzione di un danno diretto al patrimonio del terzo, di un danno cioè che non sia semplice riflesso del danno eventualmente subito dal patrimonio sociale; il nesso di causalità materiale fra la condotta e il danno lamentato dall'attore, qualificato in termini di diretta efficacia causale della condotta.
Si tratta di una responsabilità extracontrattuale.
A fronte dell'inadempimento contrattuale di una società, la responsabilità degli amministratori nei confronti dell'altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente. (Cass. Civ., 8 settembre 2015, n. 17794).
L'amministratore incorre in responsabilità anche quando agisce nell'interesse della società e per adempiere i doveri impostigli dalla carica assunta, se, nello svolgimento di tale attività, produce un danno diretto a terzi agendo con dolo o colpa (Cass. Civ., 3 aprile 2007, n. 8359; Trib. Milano, 2 novembre 2000).

Sulla scorta delle informazioni fornite, pare potersi ragionevolmente affermare che si possa intraprendere un’azione dell’amministratore ai sensi dell’art. 2395 del c.c., il quale con la sua condotta illecita ha cagionato un danno diretto nei Suoi confronti.

Un ulteriore aspetto da considerare può rinvenirsi, tuttavia, anche in una possibile responsabilità della s.p.a. per violazione del rapporto contrattuale sottostante alla fornitura (n.d.r. somministrazione) continuativa da Lei garantita nel corso degli anni.

In proposito va considerato che non è richiesta alcuna forma specifica per la stipula di un contratto di somministrazione di cui agli artt. 1559 e ss del c.c., che pertanto può essere concluso anche oralmente.
La dimostrazione della sussistenza del rapporto contrattuale può essere fornita anche mediante i comportamenti tenuti dalle parti in vigenza del rapporto contrattuale e mediante i precedenti rapporti commerciali tra le parti (possono essere indicativi di una prassi e quindi di un determinato comportamento stabilizzato); nonché mediante altri documenti (scambi di email, preventivi, proposte, fatture).
In via generale, ai sensi dell'art. 1560 del c.c. la determinazione circa l’oggetto del contratto di somministrazione, e nello specifico della quantità di beni o servizi da fornire, è stabilita dalle parti sulla base del loro libero accordo; in assenza di una puntuale determinazione, si presume che la quantità di beni o servizi da fornire sia quella del “normale fabbisogno” che il somministrato ha nel momento della conclusione del contratto.

Una clausola tipica del contratto di somministrazione consta nell’esclusiva a favore del somministrante di cui all’art. 1567 del c.c., la quale è finalizzata ad evitare che il somministrato (colui che riceve i beni o servizi) possa rivolgersi ad altri per la stessa fornitura di prestazioni della stessa natura.
Un’eventuale violazione della clausola di esclusività comporta la risoluzione del e la possibilità di richiedere agire per il risarcimento del danno subito.
Tale clausola, tuttavia, deve essere pattuita nel contratto, che, nel caso di specie, non ha la forma scritta; pur potendo dimostrare la sussistenza del rapporto contrattuale, appare complessa la dimostrazione di un’eventuale clausola di esclusiva, pertanto un’azione in tal senso sembra difficilmente percorribile.

Venendo al recesso dal contratto (verbale) di somministrazione, ai sensi dell’art. 1569 del c.c. nei casi in cui non sia stata previsto un termine finale, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando all’altra parte, un preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, entro un termine congruo avuto riguardo alla natura della fornitura.
In tal senso, dimostrata la sussistenza del rapporto contrattuale e posto il recesso senza preavviso perpetrato dalla s.p.a., appare possibile agire nei confronti della stessa per il risarcimento del danno per il mancato rispetto di qualsivoglia termine per il recesso dal contratto di somministrazione in essere.

Infine, non appare possibile agire nei confronti dell’impresa concorrente subentrata nel contratto di somministrazione, in quanto soggetto terzo che non ha tenuto condotte illecite.

R.S. chiede
martedì 02/11/2021 - Lombardia
“Sono socia di una PMI che è una SpA.
L’amministratore delegato ha proposto di incaricare una società di consulenza per un progetto di riorganizzazione interna.
Poco tempo prima avevo saputo che suo figlio è stato recentemente assunto come consulente junior dalla suddetta società di consulenza.
Alla mia richiesta di chiarimenti, l’amministratore delegato ha risposto che il figlio non sarà coinvolto direttamente nel progetto.
Si può ravvisare un conflitto di interessi?
In caso affermativo, si ha diritto di chiedere che venga selezionata un’altra società di consulenza?
Grazie.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 09/11/2021
La disciplina del conflitto di interessi nelle società per azioni si rinviene nell’art. 2391 c.c., alla cui lettura si rimanda.

Dalla lettura della norma si evince, dunque, che gli amministratori di una società per azioni, se titolari di un interesse proprio o di terzi, per evitare di essere ritenuti responsabili per l’eventuale danno arrecato alla società dall’operazione autorizzata, devono dichiarare il proprio interesse in forma chiara e precisa, ed astenersi dal compiere l’operazione, in attesa che il consiglio di amministrazione deliberi le ragioni per cui l'operazione debba ritenersi conforme all'interesse della società (cfr. Toffoletto, in Diritto delle società di capitali, Milano, 2003, 139). In assenza del rispetto di tale procedura interna, l’operazione si presta ad essere oggetto di contestazione.

Posto che, nel caso di specie, potrebbe evincersi un interesse quantomeno indiretto dell’amministratore nel conferimento dell’incarico ad una società di consulenza in cui presta attività di consulenza il figlio, interesse che non deve essere necessariamente di natura patrimoniale o per forza contrario all’interesse sociale, detto amministratore avrebbe dovuto astenersi dal compiere l’operazione fintanto che non fosse intervenuta una delibera motivata del consiglio di amministrazione. Dunque, in assenza di tale delibera, dell’operazione compiuta l’amministratore delegato potrebbe essere chiamato a risponderne, ove la società abbia subito un danno in conseguenza di tale operazione.

Riguardo alla possibilità di “bloccare” l’operazione, è opportuno segnalare che gli altri amministratori o il collegio sindacale devono impugnare l’eventuale delibera con cui viene autorizzata l’operazione entro 90 giorni, tenendo a mente comunque che sono fatti “salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione”, non essendo ammessa dunque l’azione contro i terzi in buona fede (società di consulenza) da parte della società per azioni nel caso in cui quest’ultima si fosse impegnata con la società di consulenza.

Manlio C.R. chiede
domenica 21/07/2019 - Puglia
“Sono socio di una Banca di Credito Cooperativo, ho appreso da poche settimane che nel 2012, e anche in precedenza, il Consiglio di Amministrazione ha finanziato, con somme ingenti, una società di cui erano Amministratori e Sindaci alcuni degli amministratori e dei sindaci della Banca stessa, che quindi avrebbero occultamente finanziato se stessi.
Quale socio, tenuto all'oscuro di tali operazioni mai passate al vaglio dell'Assemblea dei soci, come posso agire contro questi Amministratori e Sindaci, la precrizione quinquennale si applica anche se i soci non sono a conoscenza dei fatti?
Vi è un modo per superare l'ostacolo della prescrizione e agire contro gli amministratorie i sindaci?”
Consulenza legale i 13/08/2019
L’art. 2391 c.c., nella formulazione ottenuta dalla Riforma del codice civile del 2003, stabilisce che l’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori ed al collegio sindacale di ogni interesse che egli abbia in una determinata operazione della società.

La norma ha una portata generale e preventiva, e va coordinata con l’art. 2497 ter ter c.c., che stabilisce che la delibera dell’organo societario collegiale competente dev’essere adeguatamente motivata, dando puntuale indicazione degli interessi degli amministratori e delle ragioni sottese all’approvazione o al rigetto della decisione.
Sempre l’art. 2931 c.c. statuisce che la delibera sia impugnabile sia quando l’indicazione degli interessi e delle motivazioni sia carente, sia quando sia stata assunta senza la puntuale informazione da parte dell’amministratore.

Requisito ulteriore per l’impugnazione è che il voto dell’amministratore avente interesse sia stato determinante.
Quindi va valutata, in concreto, anche l’incidenza del voto degli amministratori aventi interesse potenzialmente in conflitto.
Legittimati ad impugnare la delibera sono il collegio sindacale, ciascun amministratore se non informato e solo gli amministratori dissenzienti in caso di informazione.

Ciò che però deve sussistere per ottenere l’annullamento della delibera è un danno potenziale alla società, poiché l’amministratore sarà chiamato a rispondere, in sede civile, dei danni cagionati alla società.
Tali norme civilistiche vanno, poi, coordinate con l’art. 136 TUB che stabilisce un divieto - per chi ha l’amministrazione, la direzione ed il controllo in un istituto di credito - di porre in essere attività in conflitto d’interessi con l’art. 149, I comma, del TUF per quanto concerne il dovere di vigilanza da parte del collegio sindacale e le conseguenze di tale omessa vigilanza (Cass. n. 5357/2018).

Evidente sembrerebbe, nel caso di specie, la violazione di tali disposizioni normative e la conseguenza potrebbe essere anche quella della necessità di una denuncia all’Autorità Giudiziaria ex artt. 2629 bis c.c.

Per quanto riguarda, poi, il termine prescrizionale per l’azione contro gli amministratori ed i sindaci, l’art. 2313 c.c. stabilisce che essa è esperibile entro i cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica. Pertanto, anche se sono decorsi più di cinque anni dalla delibera ma gli amministratori sono cessati dalla carica da meno di cinque anni, l’azione è ancora esperibile.

Ipotesi residuale, ma di portata generale, rimane la possibilità di ottenere l’annullamento ex artt. 1394 e 1395 c.c. dei contratti (mutui, finanziamenti in genere) conclusi dal rappresentante (consiglio di amministrazione) in conflitto di interessi con sé stesso.