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Articolo 2497 ter Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Motivazione delle decisioni

Dispositivo dell'art. 2497 ter Codice Civile

Le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. Di esse viene dato adeguato conto nella relazione di cui all'articolo 2428.

Ratio Legis

La norma, laddove impone alla società eterodiretta di motivare analiticamente le decisioni assunte sotto l'influenza della capogruppo, è volta a consentire l'accertamento di eventuali condotte abusive della capogruppo dalle quali possa discendere la responsabilità della stessa per l'abuso dei poteri di direzione e coordinamento (art. 2497).

Spiegazione dell'art. 2497 ter Codice Civile

Per ragioni di trasparenza, il legislatore prevede che le decisioni adottate dalle società soggette ad attività di direzione e coordinamento debbano essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi valutati dall'organo che abbia assunto la decisione.
L'obbligo di motivazione, dunque, riguarda esclusivamente quelle decisioni che costituiscano attuazione delle direttive e degli indirizzi impartiti dalla capogruppo nel contesto della propria attività di direzione e coordinamento.

La norma non chiarisce quali siano le conseguenze in caso di mancata o non analitica motivazione. Si ritiene che in tali casi i soci ed i creditori possano esperire esclusivamente rimedi di tipo obbligatorio (risarcimento del danno), non reale (impugnazione della decisione).

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle societā di capitali e societā cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

13 La delega richiede una disciplina di trasparenza con regole tali da assicurare che l'attività di direzione e coordinamento contemperi l'interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza. In questo panorama generale si richiede altresì la motivazione delle decisioni conseguenti ad una valutazione dell'interesse del gruppo; adeguate forme di pubblicità dell'appartenenza al gruppo e adeguate forme di tutela per il socio all'ingresso e all'uscita della società dal gruppo. Come noto, la vigente disciplina del Codice Civile poco o nulla considera il fenomeno del gruppo, fenomeno, d'altro canto, estremamente importante e attuale, nonché oggetto di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Nell'attuare la delega, all'art. 2497 del c.c. si è innanzi tutto ritenuto non opportuno dare o richiamare una qualunque nozione di gruppo o di controllo, e per due ragioni: è chiaro da un lato che le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello sono funzionali a problemi specifici; ed è altrettanto chiaro che qualunque nuova nozione si sarebbe dimostrata inadeguata all'incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica. Sotto altro aspetto si è ritenuto che il problema centrale del fenomeno del gruppo fosse quello della responsabilità, in sostanza della controllante, nei confronti dei soci e dei creditori sociali della controllata. Per dare corretta impostazione e soluzione a questi problemi di responsabilità occorreva porre a base della disciplina il "fatto" dell'esercizio di attività di direzione e coordinamento di una società da parte di un diverso soggetto, sia esso una società o un ente, e la circostanza che l'azione fosse comunque riconducibile al perseguimento di un interesse imprenditoriale proprio o altrui, sebbene svolto in violazione dei corretti principi di gestione societaria. Si è altresì ritenuto che l'esercizio di una tale attività sia del tutto naturale e fisiologico da parte di chi è in condizioni di farlo e che non implica, né richiede, il riconoscimento o l'attribuzione di particolari poteri. Sotto altro aspetto, però, l'esercizio di questa attività solleva delicati problemi quando chi la esercita sia portatore di interessi non omogenei con gli interessi tipicamente "societari" degli altri soci della controllata. In questo panorama, il limite all'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, limite che ne riconosce la legittimità di base e tiene presente e non penalizza i legittimi interessi di chi la esercita, è apparso dovesse essere costituito dal rispetto dei valori essenziali del "bene" partecipazione sociale, bene che la legge individua nella partecipazione al: "esercizio in comune di una attività economica al fine di dividerne gli utili" (art. 2247 del c.c.). Questi valori da proteggere e tutelare possono dunque individuarsi nei principi di continuità dell'impresa sociale, redditività e valorizzazione della partecipazione sociale. Spetterà a dottrina e giurisprudenza individuare e costituire i principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria posti nel nuovo testo a tutela del bene "partecipazione", e ovviamente, in concreto, dottrina e giurisprudenza non potranno non tener conto delle infinite variabili e dell'incessante evoluzione economica ed operativa. Nell'indicare questi principi si è doverosamente tenuto presente che il richiamo a formule generali è ineliminabile nella legislazione commercialistica e basti adesso ricordare l'art. 2598 del c.c., comma 1, n. 3, per il riferimento ai: "principi della correttezza professionale". La responsabilità dettata da questa impostazione normativa è apparsa fondamentalmente di stampo "aquiliano", e necessariamente della controllante direttamente verso i danneggiati. Trattasi di una disciplina che non si sostituisce ad una disciplina attuale, in sé in realtà inesistente, ma che alla disciplina attuale si aggiunge posto che i numerosi tentativi di tutelare gli interessi dei creditori e dei soci della controllata non sembrano essere riusciti a dare ad oggi tutela adeguata. Risulta così chiaro che non viene alterata la tutela del socio verso la società, in generale, ed, in particolare quella offerta dall'art. 2395 del c.c., né, per i creditori sociali la tutela offerta dall'art. 2394 del c.c.; in effetti diverse, e non certo alternative, sono le due azioni, trattandosi, nella nuova disciplina di azione diretta verso la controllante. Per evitare che il margine di iniziativa della società soggetta all'attività di direzione e coordinamento sia eccessivamente ridotto come conseguenza della possibilità di azione diretta da parte dei suoi soci o dei suoi creditori contro la società controllante, il terzo comma dell'articolo 2497 prevede che l'azione sia esperibile solo se essi non siano stati soddisfatti dalla società controllata. Sotto altro aspetto si è ritenuto opportuno precisare che il danno a base dell'azione in esame (e quindi la responsabilità) è il danno derivante dal risultato complessivo dell'attività della controllante e non il danno risultante da un atto isolatamente considerato, onde è eliminabile anche a seguito di specifiche operazioni a tal fine dirette. Nell'impostazione accolta la pubblicità prevista dall'art. 2497 – bis appare una logica necessità. La ragione dell'analitica motivazione delle decisioni di chi esercita attività di direzione e coordinamento, art. 2497-ter, oltre che rispondere ad una precisa indicazione della delega, è altresì coerente all'impianto generale della normativa attenta a prevedere regole di trasparenza, del resto solo la conoscenza delle ragioni economiche ed imprenditoriali di un'operazione può consentire un giudizio sulla correttezza di questa, può cioè consentire di valutare se la apparente diseconomicità di un atto, isolatamente considerato, trova giustificazione nel quadro generale dei costi e benefici derivanti dall'integrazione di un gruppo oppure no. Nel quadro di una concezione generale del recesso che vi riconosce l'attribuzione al socio di un potere di negoziare la sua permanenza in società davanti ad alterazioni rilevanti del quadro originario, all'art. 2497-quater, si è ritenuto di riconoscere il diritto al socio della società soggetta all'attività di direzione e coordinamento di recesso, innanzi tutto se cambia lo scopo del controllante, come può avvenire se si riconoscono le trasformazioni eterogenee; se muta l'oggetto della controllante, in modo da alterare in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta al controllo, così da ridondare in un'alterazione del profilo di rischio, che è ciò che interessa il socio non controllante. Le due ipotesi, discendono evidentemente dal riconoscimento che l'attività del controllante può, in sé legittimamente, esercitare il controllo in modo da alterare il profilo di rischio dell'investimento del socio, quale accettato entrando in società. La seconda causa di recesso è di evidente giustificazione. L'ultima causa di recesso si ricollega alla stessa ragione di fondo delle prime, al riconoscimento cioè che l'entrata e l'uscita dal gruppo cambia le condizioni di esercizio dell'impresa, delle quali, ancora una volta, viene valorizzato il profilo di rischio.

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