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Articolo 2275 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Liquidatori

Dispositivo dell'art. 2275 Codice Civile

Se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non sono d'accordo nel determinarlo, la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori, nominati(1) con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale [2259, 2309].

I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci e in ogni caso dal tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci [2450].

Note

(1) Possono essere nominati liquidatori sia i soci, sia gli amministratori, sia terzi estranei alla società. Essi, in qualsiasi modo nominati, devono accettare la carica.

Ratio Legis

La previsione riconosce ai soci la possibilità di regolare autonomamente la fase di liquidazione del patrimonio, prevedendo tuttavia che in assenza di accordo sul punto tale fase debba essere affidata ai liquidatori. La norma, pertanto, non contribuisce a rendere del tutto facoltativa la liquidazione del patrimonio, assegnando semplicemente all'autonomia privata la possibilità di derogare alle norme che ne regolano lo svolgimento.

Spiegazione dell'art. 2275 Codice Civile

La legge riserva all’autonomia privata un ampio spazio anche nella determinazione delle modalità secondo le quali procedere alla liquidazione del patrimonio sociale.
Nel silenzio del contratto sociale, dovrà procedersi alla nomina dei liquidatori, il cui compito è quello di convertire in denaro il patrimonio e soddisfare i creditori sociali. Sul punto la norma prescrive che la decisione di nomina sia assunta all’unanimità, ma è controverso se il contratto sociale possa prevedere l’applicazione della regola di maggioranza.
Solo in caso di mancato raggiungimento dell’unanimità o della maggioranza richiesta dal contratto sociale la nomina spetta al Presidente del Tribunale competente, su ricorso dei soci.

E’ invece tutt’ora oggetto di discussione se il contratto sociale possa già indicare i nomi dei liquidatori.

La revoca dei liquidatori, al contrario, deve necessariamente essere assunta all’unanimità dalla collettività dei soci, a prescindere dall’esistenza di una giusta causa di revoca. La giusta causa dovrà invece sussistere affinché la revoca possa essere disposta giudizialmente dal Tribunale, su ricorso dei singoli soci.

La nomina, la cessazione e la sostituzione dei liquidatori devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.

Massime relative all'art. 2275 Codice Civile

Cass. civ. n. 4019/2017

Il decreto di revoca del provvedimento di nomina del liquidatore giudiziale emesso dal presidente del tribunale in sede di volontaria giurisdizione non ha efficacia retroattiva, in quanto è ontologicamente inidoneo ad accertare un'eventuale situazione di invalidità pregressa degli atti compiuti in costanza di un incarico giudizialmente conferito.

Cass. civ. n. 15070/2011

Il decreto emesso dalla corte d'appello, che abbia negato la reclamabilità del decreto del tribunale, avente ad oggetto la nomina del liquidatore di società personale, non è suscettibile di ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione che non assume carattere decisorio, neanche quando sussista contrasto sulla causa di scioglimento e vi sia pronuncia sul punto, in quanto il giudice adito (nella prima e nella seconda fase del procedimento), dopo un'indagine sommaria e condotta "incidenter tantum", può nominare i liquidatori sul presupposto che la società sia sciolta, ma non accerta in via definitiva nè l'intervenuto scioglimento nè le cause che lo avrebbero prodotto, tanto che ciascun interessato, purchè legittimato all'azione, può promuovere un giudizio ordinario su dette questioni e, qualora resti provata l'insussistenza della causa di scioglimento, può ottenere la rimozione del decreto e dei suoi effetti. Né tale principio viene meno allorchè il giudice (nella specie la Corte d'appello) si sia pronunciato su di un profilo processuale, atteso che la pronuncia sull'osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi ed i tempi con i quali la domanda può essere portata all'esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e non può pertanto avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, se di tale carattere detto atto sia privo, stante la strumentalità della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel merito.

Cass. civ. n. 29776/2008

La messa in liquidazione di una società non determina un mutamento della personalità giuridica della stessa, nè tantomeno la sostituzione di un soggetto di diritto ad un altro, ma semplicemente la modifica dell'oggetto sociale, che, per effetto della liquidazione, è ora diretto alla liquidazione dell'attivo ed alla sua ripartizione tra i soci, previa soddisfazione dei creditori sociali; pertanto, vi è continuità tra la società prima e dopo la messa in liquidazione, sì che gli atti compiuti prima di essa continuano a produrre effetti e ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti della società. (Sulla base dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito, la quale - ritenendo esistente un nuovo soggetto giuridico in virtù della messa in liquidazione di una s.n.c. - aveva dichiarato cessata la materia del contendere in ordine all'impugnazione di una delibera assembleare di utilizzo del finanziamento del socio dissenziente a copertura delle perdite e di una delibera di aumento del capitale, nonchè in ordine alla domanda del socio di revoca dell'amministratore e di risarcimento del danno dal medesimo cagionato).

Cass. civ. n. 4377/2007

In tema di legittimazione ad agire, poiché alla stregua dell'articolo 2275 c.c. per le società di fatto è solo facoltativo il procedimento di liquidazione, e di questo, in quanto finalizzato a definire i rapporti con i terzi creditori, non può legittimamente invocarsi l'applicazione quando sopravvengano attività che rimangono oggetto, a seguito del pregresso scioglimento, di mera comunione fra gli ex soci, va riconosciuta a questi ultimi piena legittimazione ad agire per il recupero delle dette attività. (Nella specie, la S.C. ha affermato che l'attore, che aveva fatto specifico riferimento alla società collettiva irregolare, sciolta due anni addietro, quale ex socio e amministratore, era legittimato ad agire nei confronti della convenuta per il recupero del corrispettivo per lavori di falegnameria eseguiti dalla detta società, senza dover ricorrere alla procedura di liquidazione o a imprecisati provvedimenti giurisdizionali).

Cass. civ. n. 61/2003

La nomina del liquidatore di una società di persone (nella specie, società in accomandita semplice) da parte del Presidente del Tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, ex art. 2275, c.c., è possibile, allo scopo di supplire all'inattività dell'assemblea, esclusivamente quando tra i soci non sia in contestazione lo scioglimento della società. Pertanto, nel caso in cui sia controverso tra i soci il verificarsi di una causa di scioglimento, la nomina del liquidatore spetta al giudice adito in sede contenziosa, anche se il relativo giudizio sia definito con una pronunzia che dichiari cessata la materia del contendere, a seguito del sopravvenuto passaggio in giudicato della sentenza che, in un separato giudizio, ha dichiarato sciolta la società per insanabile contrasto tra i soci e per l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale.

Cass. civ. n. 16175/2000

Il combinato disposto degli artt. 2252 e 2275 c.c., autorizza, in conformità con i principi generali in materia di società di persone, i soci di tali enti a determinare liberamente le modalità di liquidazione delle società, sia in via preventiva (nell'ambito delle pattuizioni costituenti l'oggetto del contratto sociale), sia in via successiva (mediante accordo tra i soci), atteso che le valutazioni in merito alle procedure di estinzione dei rapporti societari pendenti competono, innanzitutto, a coloro che si rendano interpreti degli interessi dell'ente, evitando, se del caso (ed ove possibile), di imporre l'osservanza di un procedimento formalizzato, eventualmente incongruo rispetto alle esigenze ed alle dimensioni della società a base personale (nelle quali le ragioni dei creditori sono già garantite dal regime di responsabilità illimitata dei soci).

Cass. civ. n. 8670/2000

Anche nella società di persone composta da due soli soci, ove la morte di un socio determini il venir meno della pluralità dei soci, non può riconoscersi un diritto degli eredi del socio defunto a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, anziché il controvalore in denaro della quota di partecipazione, in quanto lo scioglimento della società costituisce un momento successivo ed eventuale rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei mesi dalla mancanza della pluralità medesima.

Cass. civ. n. 2376/2000

Nelle società di persone (nella specie, società di fatto), il procedimento formale di liquidazione non è imposto dalla legge in modo assoluto, in quanto i soci possono evitarlo decidendo di pervenire alla estinzione dell'ente sociale con altre modalità, ed, eventualmente, con l'intervento di un giudice. L'esistenza di un tale accordo non è esclusa da semplici divergenze nella determinazione dell'entità delle quote, ma solo dal rifiuto — anche implicitamente manifestato — di addivenire alla definizione dei rapporti sociali secondo modalità diverse da quelle proprie del procedimento legale di liquidazione.

Cass. civ. n. 13875/1999

La pendenza del procedimento di liquidazione di una società di persone non determina l'improcedibilità della domanda di liquidazione della quota del socio che abbia esercitato il recesso bensì l'improponibilità della medesima non desumibile dagli articoli 2275 e segg. c.c.

Cass. civ. n. 11361/1999

Così come la dichiarazione di fallimento di una società, se priva la stessa di ogni potere in relazione al suo patrimonio (eccezion fatta per i beni sottratti all'esecuzione concorsuale per disposizione di legge e per i beni sopravvenuti che non siano acquisiti dalla massa), non comporta di per sé alcuna alterazione dell'organizzazione sociale, i cui organi restano in funzione, sia pur con le limitazioni derivanti dall'intervenuta dichiarazione di fallimento, analogamente la chiusura del fallimento fa venir meno lo «spossessamento» della società fallita, con il conseguente riacquisto da parte sua della libera disponibilità dei beni (art. 120 l. fall.) e non comporta invece l'estinzione della società, in coerenza del resto con il principio secondo cui la società non può ritenersi estinta neanche a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese, fin quando sono pendenti rapporti giuridici o contestazioni giudiziarie. (Nella specie la questione era rilevante per stabilire se, in un giudizio diretto a far valere la simulazione di alcuni contratti, era concretamente operativa la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di società di capitali che era stata parte dei contratti stessi).

Cass. civ. n. 3221/1999

Lo scioglimento di una società non ne produce l'estinzione, ma essa continua ad esistere con la stessa individualità, struttura e organizzazione, sia pure con un restringimento della capacità, derivante dalla modificazione dello scopo che non è più quello dell'esercizio dell'impresa, bensì quello della sua liquidazione, attraverso la definizione dei rapporti di credito e di debito con i terzi. (Fattispecie relativa ad una società in accomandita semplice).

Cass. civ. n. 959/1999

Il socio di una società in accomandita semplice che adduca un sopravvenuto ed essenziale mutamento della attuale realtà societaria rispetto alla situazione iniziale, per avere la società dismesso l'esercizio dell'attività d'impresa ed essere rimasta solo formalmente in vita per l'espletamento di un'attività di mera gestione dei propri beni immobili, fa valere una causa di scioglimento dell'ente e, quindi, al fine di ottenere la divisione degli immobili con attribuzione della quota di sua competenza, non può esperire l'azione all'uopo accordata al comproprietario della cosa comune, dovendo, viceversa, necessariamente avvalersi del procedimento di liquidazione di cui agli artt. 2275 ss. c.c., a meno che egli non alleghi e dimostri la esistenza di un contratto equipollente, sostitutivo della liquidazione, nel quale risultino fissati anche i diritti di ciascun socio sul patrimonio della disciolta società (dopo la definizione dei rapporti pendenti).

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relative all'articolo 2275 Codice Civile

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Cliente chiede
lunedì 09/10/2023
“Invio nuovamente il testo per avere aggiunto le ultime righe.

ANTICIPO LA DOMANDA: può un decreto ingiuntivo passato in giudicato prevalere sulla sua nullità anche quando la Cassazione si accorga che il decreto ingiuntivo pur passato in giudicato era in realtà fondato su una nullità assoluta per violazione del contraddittorio nei riguardi di una parte rimasta sempre assente in giudizio pur essendo tale parte litisconsorte necessaria?

Una società S.N.C. chiamata XXX era composta da tre fratelli che volevano costringermi a vendere per sanare i loro debiti personali. Con speciosi motivi erano riusciti a farmi revocare da amministratore per far nominare un liquidatore di una società da sempre in attivo che conseguiva il suo oggetto sociale con l'affitto a terzi della sala cinematografica. Per errore materiale l'11 marzo 1996 fu nominato un liquidatore dal presidente del tribunale che mi diede come consenziente, mentre dagli atti risultavo contrario. Ma già il 29 gennaio era stato nominato un curatore per la XXX perché ero stato già sospeso, non ancora revocato, dalla carica di amministratore. Il procedimento di volontaria giurisdizione avvenne senza la presenza in giudizio della XXX perché per ignoranza di uno dei due soci e del suo avvocato non era stata citata in giudizio la XXX nella persona del suo curatore, poi trasformato in liquidatore l'11 marzo 1996. Non poteva valere la presenza in giudizio dei tre soci (ma l'atto di citazione per ignoranza fu indirizzato solo a me) a causa del dissidio tra i soci, per cui, anche per questo motivo doveva essere citata in giudizio la XXX con il suo curatore. Il 13 novembre 1997 avvenne la vendita tramite liquidatore nonostante avessi avvisato il liquidatore e il promissario acquirente il 23 agosto 1997 con Racc. A.R. che la nomina del liquidatore era nulla dato il mio documentato dissenso e mi accingevo a chiederne la revoca. Entrambi non attesero che il successivo presidente del Tribunale l'11 dicembre 1997 revocasse la nomina del liquidatore "data la sua abnormità" a causa del mio documentato dissenso. In Tribunale trovai due giudici che convalidarono la vendita e il decreto ingiuntivo scrivendo che io ero tornato ad essere amministratore con sentenza 34/2001 della Corte d'Appello che aveva dichiarato nulla la sentenza che l'11 novembre 1997 mi aveva revocato dalla carica di amministratore e pertanto io, tornando ad essere amministratore, ero legittimato a stare in giudizio per rappresentare la XXX. Ma i due giudici non capirono che 1) entrambi i giudizi erano iniziati nel 1998 quando la XXX era ancora priva di amministratore e che pertanto sarebbe stata necessaria da parte dei giudici verificare il contraddittorio con la XXX, che nel 1998 era ancora priva di amministratore dopo che era stato revocata la nomina del liquidatore. 2) Anche prescindendo da ciò i due giudici non avvertirono che proprio in base alla sentenza 34/2001 della Corte d'Appello si poteva dedurre che io ero stato sempre amministratore e che pertanto non poteva giustificarsi la nomina del liquidatore. In sostanza, se ne sarebbe dovuta trarre la conclusione della nullità dei due giudizi. Che cosa avrebbero dovuto fare i due giudici in Tribunale nei due distinti processi (domanda di nullità o annullamento della vendita e decreto ingiuntivo)? Verificare il rispetto del contraddittorio con la XXX1) richiedendo subito la nomina di un curatore per la XXX; 2) o sospendere i due processi in attesa che si definisse con sentenza passata in giudicato la causa riguardante la mia revoca dalla carica di amministratore che era stato l'unico motivo per cui un socio di minoranza aveva chiesto prima la nomina di un curatore per la XXX e poi la nomina di un liquidatore. Nessuna delle due strade è stata percorsa.
In Corte d'Appello i due procedimenti furono unificati. Ma incontrai una giudice che invertì il rappporto logico-giuridico tra sentenza non definitiva e sentenza definitiva perché con la prima mise subito al riparo la parcella del liquidatore ritenendo assurdamente che la nomina del liquidatore era valida e che, al massimo, potesse essere solo "un vizio nel merito", non comportante la nullità della nomina del liquidatore e che l'acquirente era in buonafede non avendo alcun valore il fatto di avere ricevuto una mia Racc. A.R. in cui gli spiegavo in 4 pagine i motivi della nullità della nomina del liquidatore, perché io, secondo la giudice, non ero una "persona del settore", cioè non ero competente, e pertanto il promissario acquirente non era tenuto a ritenere fondate le mie osservazioni, tanto più che io ero stato revocato dalla carica di amministratore. La giudice citò la sentenza 34/2001 ma non ne tenne affatto conto. Come detto, la giudice in Corte d'Appello fece prima una sentenza a favore della parcella del liquidatore per porla subito al riparo e poi, con contestuale ordinanza chiese che si documentasse che la XXX risultasse ancora iscritta nel registro delle imprese. In attesa pose a carico mio l'importo della parcella del liquidatore. Essendosi poi documentato che la XXX risultava ancora iscritta nel registro delle imprese presso la Camera di Commercio, nella sentenza definitiva spostò il carico della parcella dal socio Pietro M. alla società XXX e convalidò la vendita. Un vero pasticcio. Purtroppo il Ricorso in Cassazione contro la sentenza non definitiva fu negativo a causa di un avvocato che impostò male il Ricorso contestando le voci della parcella che riguardavano questioni di merito e non di legittimità. Ho cambiato avvocato per cercare di rimettere a posto le cose nella Memoria difensiva puntando almeno sulla nullità della vendita. Come può salvarsi il decreto ingiuntivo fatto passare in giudicato se all'origine di tutto il processo, anche in Corte d'Appello, vi era anche alla base del decreto ingiuntivo, una nullità assoluta per mancato contraddittorio con la XXX? Da notare che i due soci di minoranza non fecero opposizione al decreto ingiuntivo, per cui per essi il decreto ingiuntivo era passato in giudicato. Se la notifica del decreto ingiuntivo doveva ritenersi nullo a causa del fatto che anche in questo processo risultava assente la XXX si arriverebbe ad un CONTRASTO tra il decreto ingiuntivo e, in ipotesi (in Cassazione), la nullità della vendita per mancato contraddittorio con la XXX. In altri termini: se la vendita risultasse nulla perché messa in atto da un liquidatore di nomina revocata e comunque di nomina nulla anche perché in contrasto con il fatto che io ero stato sempre amministratore, come si può conciliare con il giudicato un decreto ingiuntivo che ha come presupposto la nullità della nomina del liquidatore e dunque anche la nullità della vendita operata da un liquidatore falsus liquidator?
Il decreto ingiuntivo del liquidatore passò in giudicato a causa della Cassazione. Ma non fu rilevato che il decreto ingiuntivo era già passato in giudicato perché i due soci di minoranza non avevano fatto opposizione al decreto ingiuntivo, e pertanto per essi il decreto ingiuntivo era già passato ingiudicato. I giudici non si accorsero di ciò e addebitarono il decreto ingiuntivo alla soc. XXX. E' un errore rimediabile? Vi era all'origine una nullità per mancato contraddittorio con la XXX litisconsorte necessaria che precedeva il processo nato dall'opposizione al decreto ingiuntivo.
Come può considerarsi passata in giudicato (in Cassazione) una sentenza (riguardante il decreto ingiuntivo) se alla sua origine vi era una nullità assoluta 1) o per mancato contraddittorio con la XXX sin dall'atto di citazione dell'11 giugno 1998; 2) o per nullità dichiarata dalla Corte d'Appello (34/2001) della sentenza 11 novembre 1997 che mi aveva revocato dalla carica di amministratore per cui risultavo essere stato sempre amministratore e non potevano coesistere insieme amministratore e liquidatore. Il giudicato del decreto ingiuntivo prevale forse sulla sua nullità dall'origine?”
Consulenza legale i 31/10/2023
Per rispondere al quesito avanzato occorre porre in essere alcune premesse.

La revoca del liquidatore non rende nulli gli atti da lui compiuti nel periodo in cui rivestiva tale ruolo, poiché detti atti sono stati espletati in forza di un decreto giudiziale di nomina, emanato ai sensi dell’art. 2275 del c.c., che lo legittimava, sulla scorta del quale egli esercitava i poteri e sottostava agli obblighi imposti dalla legge.
Si rammenti che l’art. 2278 del c.c. conferisce al liquidatore il potere di porre in essere gli atti necessari alla liquidazione della società.

Nel caso di specie, il liquidatore agiva come tale in forza di un decreto giudiziale di nomina ed era obbligato ad agire come tale, fino alla sua rimozione, senza essere tenuto a considerare le argomentazioni contrarie eventualmente mosse da altri soggetti, quali quelle contenute nella Sua missiva del 21.08.1997.
Soltanto la volontà di tutti i soci o la revoca giudiziale avrebbero potuto rimuoverlo dall’incarico (art. 2275, comma 2, del c.c.); da quel momento sarebbe cessato anche il potere di compiere gli atti finalizzati alla liquidazione della società, compresa la vendita dei beni aziendali.
Al contrario, gli atti compiuti nel periodo in cui ricopriva quel ruolo restano validi ed efficaci, poiché posti in essere in virtù del decreto giudiziale di nomina.

La questione della nullità della nomina, peraltro, è stata affrontata e superata in grado di Appello, dalla citata sentenza 34/2001, la quale, ci riferisce, ha ritenuto la nomina illegittima, non nulla.
In assenza di impugnazione del capo della sentenza relativo alla questione della nullità della nomina del liquidatore, su di essa è sceso il giudicato, con l’effetto preclusivo per le parti di richiedere nuovamente al Giudice una pronuncia in merito.

Passiamo ad analizzare la questione connessa alla sentenza non definitiva, contenente la pronuncia sull’opposizione a decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dal liquidatore per vedersi liquidare la parcella dovuta alla vendita dell'immobile.
Sono non definitive le sentenze che decidono il merito solo parzialmente, o si limitano a risolvere una questione pregiudiziale o preliminare, consentendo la prosecuzione del processo.
La questione è stata affrontata dalla Corte d’Appello, non rilevando la nullità della nomina del liquidatore e dichiarando la buona fede del terzo acquirente, così confermando il decreto ingiuntivo opposto.
Avverso detta pronuncia veniva, altresì, proposto ricorso per Cassazione, poi rigettato.
Non è possibile proporre ulteriori impugnazioni, pertanto la sentenza è divenuta definitiva, le domande in essa affrontate non sono proponibili innanzi da un altro giudice e l'accertamento contenuto nella sentenza, ormai passata in giudicato, fa stato tra le parti (2909cc).

Da quanto si può ipotizzare sulla scorta delle informazioni fornite, risultano tutte coperte da giudicato, poiché affrontate e decise e non più impugnabili, le questioni concernenti: la revoca dell’amministratore; la nullità della nomina del liquidatore; l’eventuale violazione delle norme relative al litisconsorzio necessario (comprese nei procedimenti attinenti alla nomina del liquidatore e la revoca dell’amministratore); la validità della notifica del decreto ingiuntivo, il quale è divenuto definitivo.

Il tema della nullità della vendita non incide su quello della nullità della nomina del liquidatore, bensì può in astratto essere vero il contrario.
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 2275 e 2260 del c.c., i diritti e gli obblighi dei liquidatori sono regolati dalle norme sul mandato.
Ciò comporta che se la vendita fosse stata poste in essere da un soggetto (liquidatore) in forza di una nomina nulla, egli non avrebbe avuto la rappresentanza della società, pertanto gli atti posti in essere non avrebbero avuto effetto nei confronti della stessa.
Il tema, tuttavia, è stato affrontato nel corso dei gradi di giudizio esperiti; i giudici aditi hanno dichiarato che la nomina del liquidatore non era nulla.

Lo stesso può dirsi in ordine all’eventuale violazione del principio del contraddittorio per mancata partecipazione ai giudizi relativi alla revoca dell’amministratore e alla nomina del liquidatore, nonché al successivo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Per quanto concerne il procedimento concernente l’eventuale nullità della vendita, posto che ci riferisce che il procedimento è giunto alla fase decisoria dell’ultimo grado di giudizio, sarà la Cassazione a disporre a riguardo.
Nell’eventualità in cui la Corte rilevasse la nullità della vendita effettuata, per prevedere gli effetti della pronuncia sarebbe necessario visionare tanto la sentenza, quanto gli atti di causa, così da comprendere con chiarezza le domande avanzate nel corso dei successivi gradi di giudizio e le eventuali preclusioni maturate.
In ogni caso, ciò non determinerebbe la caducazione del decreto ingiuntivo da Lei opposto, poiché confermato con sentenza passata in giudicato.

Neppure sono applicabili al caso di specie gli artt. 395 e 369 del c.c. che tipizzano i casi di revocazione delle sentenze.

Si segnala, peraltro, che se decreto ingiuntivo (ormai definitivo) pone il pagamento in solido in capo a Lei e agli altri soci di minoranza, il creditore (ex liquidatore) può legittimamente avanzare la propria pretesa anche verso uno solo degli obbligati.
Questo, tuttavia, potrà agire ai sensi dell'art. 1299 del c.c. in via di regresso nei confronti degli altri coobbligati per ripete la parte di debito a carico di ciascuno di essi.

V. G. chiede
sabato 15/04/2023
“In un procedimento in VG per la nomina di un liquidatore di una società semplice art. 2275 c.c. è stato presentato un documento falso (falso ideologico e falso materiale, art. 221 c.p.c.) per illegittimamente dimostrare la volontà di tutti di sciogliere la società; fatto assolutamente non vero perché la maggioranza dell'assemblea è contraria. Tenendo conto che il presidente del tribunale ha già emesso un decreto e quindi il procedimento è terminato, si può all'interno di quel procedimento fare una citazione in virtù dell'art. 221 c.p.c. per neutralizzare prima il documento e di conseguenza poi il decreto? Nel caso contrario, come si può far valere la querela di falso in quel procedimento in VG visto che il decreto non è decisorio?”
Consulenza legale i 20/04/2023
L’art. 2272 del c.c. dispone che la società semplice si sciolga
  • per il decorso del termine di durata
  • per il conseguimento dell’oggetto sociale o
  • per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo
  • per la volontà di tutti i soci, quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita
  • e per le altre cause previste dal contratto sociale
  • per l'apertura della procedura di liquidazione controllata.
Dette cause di scioglimento agiscono di diritto, pertanto al verificarsi di una di queste la società entra automaticamente nella successiva fase di liquidazione.
Per effetto dello scioglimento, infatti, si apre la fase di liquidazione della società, che consta nell'estinzione degli eventuali debiti e nella ripartizione dell'eventuale residuo tra i soci.
Per compiere le attività necessarie alla liquidazione e alla successiva cancellazione della società, può essere nominato un liquidatore che provvede a riscuotere i crediti residui, pagare i debiti residui, liquidare la società ripartendo il patrimonio residuo fra i soci e, al termine della liquidazione, chiedere la cancellazione dal registro delle imprese.

Ai sensi dell’art. 2275 del c.c., se i soci non concordano nel determinare le modalità di liquidazione del patrimonio sociale, questa debba essere fatta da uno o più liquidatori, che possono essere scelti con il consenso di tutti i soci o, in difetto, dal Presidente del Tribunale.
Al contempo, al secondo comma prevede che i liquidatori stessi possano essere revocati con il consenso di tutti i soci o, su domanda di almeno uno, dal Tribunale per giusta causa.

Dalle informazioni fornite non appare alcuna causa di scioglimento della società semplice, posto che si riferisce non sussistere il consenso di tutti i soci.
Se è effettivamente così, tenendo a mente le cause di scioglimento sopra elencate, i soci dissenzienti potranno ricorrere al Tribunale chiedendo la revoca del liquidatore per giusta causa, motivandola con l’insussistenza di alcuna causa di scioglimento.

Al contempo, si ritiene astrattamente proponibile la querela di falso ai sensi dell’art. 221 del c.p.c..
Si deve, tuttavia, tenere presente che il giudizio di falso è finalizzato alla contestazione dei mezzi di prova che sono dotati di efficacia di prova legale, di conseguenza la querela di falso può quindi avere ad oggetto: gli atti pubblici, le scritture private autenticate o riconosciute e le scritture private verificate (Cass. Civ. 28 febbraio 2007, n. 4728).
La proposizione della querela deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità; a tal fine è sufficiente che la parte indichi un qualsiasi mezzo di prova in grado di far emergere la falsità del documento (anche mediante presunzioni; Cass. Civ., 03 febbraio 2001, n. 1537).
Infine, si dovrà introdurre un giudizio autonomo, proponendo la querela in via principale, posto che la querela di falso in via incidentale può essere proposta soltanto nei procedimenti in cui il documento è stato prodotto come mezzo di prova.

Una soluzione potrebbe essere quella di limitarsi a ricorrere per la revoca del liquidatore per giusta causa, sostenendo la falsità della documentazione utilizzata a sostegno della nomina stessa; solo nell’eventualità in cui gli altri soci dovessero costituirsi e produrre il documento incriminato, si potrebbe optare per proporre la querela di falso.
Si tratta, in ogni caso, di strategie difensive da valutare esclusivamente con una conoscenza approfondita dei fatti e dei documenti coinvolti.

V. G. chiede
venerdì 14/04/2023
“Oggetto: Quesito per la procedura giudiziaria per impugnare/revocare un decreto (in volontaria giurisdizione art. 2275 di nomina di liquidatore per una società semplice agricola fatta dal Presidente del tribunale) per infondata volontà dei soci di sciogliere la società e infondata impossibilità di raggiungere lo scopo sociale.
Si chiede se vi è una procedura giudiziaria per revocare un decreto di nomina liquidatore in Vg. Si è provato a fare reclamo alla corte d'appello ma è stato considerato inammissibile perché non è decisorio. Ad ora si è instaurata una causa urgente di merito al tribunale ordinario ,ma anche se il decreto non è decisorio il liquidatore procede o vuole procedere ugualmente. Visto che non vi è la volontà della maggioranza patrimoniale della società di scioglierla e quindi di fare amministrare la stessa al liquidatore (tra l'altro non è terzo è il commercialista di due socie che detengono la minoranza) si chiedeva se vi era la possibilità di fare delle azioni in volontaria giurisdizione (esempio c.p.c. 742) . Si chiedeva anche se la maggioranza può revocare la nomina del liquidatore nominato in Vg.
La società rischia di già essere cessata quando il giudice di merito avrà fatto la sentenza anche se è stata utilizzata la procedura d'urgenza.
Il sottoscritto in questa s.s., da statuto, è il socio amministratore con pieni poteri decisionali e socio di maggioranza. Anche se vi è una contraddizione nello statuto perché c'è anche scritto che l'amministrazione è disgiunta.
Vi è una posizione di stallo nella amministrazione della società perché dalla visura camerale risulta ancora il mio nominativo come amministratore nonostante il liquidatore abbia tentato di iscriversi ma la sua iscrizione è stata respinta dalla CCAA. Quindi chiedo anche chi ha il potere amministrativo della s.s. in questo momento.
NB: SE IL QUESITO è TROPPO COMPLESSO, CHIEDO UN PREVENTIVO DEGLI EVENTUALI ULTERIORI COSTI”
Consulenza legale i 20/04/2023
La volontà di tutti i soci e l’impossibilità di raggiungere lo scopo sociale costituiscono, ai sensi dell’art. 2272 del c.c., cause di scioglimento della società semplice.
Dette cause di scioglimento agiscono di diritto, pertanto al verificarsi di una di queste la società entra automaticamente nella successiva fase di liquidazione.

L’art. 2275 del c.c. dispone che, nell’eventualità in cui i soci non siano in accordo nel determinare le modalità di liquidazione del patrimonio sociale, questa debba essere fatta da uno o più liquidatori, che possono essere scelti con il consenso di tutti i soci o, in difetto, dal Presidente del Tribunale.
Al secondo comma prevede che i liquidatori stessi possano essere revocati con il consenso di tutti i soci o, su domanda di almeno uno, dal Tribunale per giusta causa.

Al fine di revocare il liquidatore nominato, pertanto, letto il ricorso presentato dalle controparti e il decreto di nomina, potrà essere richiesta ai sensi dell’art. 2275, comma 2, del c.c. la revoca del liquidatore per giusta causa, allegando l’insussistenza di alcuna causa di scioglimento; inoltre, quale ulteriore motivo di revoca, potrà allegarsi il fatto che il commercialista nominato liquidatore intrattiene rapporti professionali con le controparti.
In questo modo, stante la brevità del giudizio che andrà ad instaurarsi, si potrà tentare di paralizzare nel minor tempo possibile l’attività del liquidatore ad oggi nominato.

Va segnalato, tuttavia, che fintantoché il liquidatore è in carica, l’art. 2276 del c.c. pone su di esso gli obblighi e le responsabilità degli amministratori; inoltre, ai sensi dell’art. 2278 del c.c., questi potrà compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione.

In merito al fatto che la maggioranza patrimoniale della società non concorda allo scioglimento, detta circostanza è irrilevante.
Al verificarsi di una causa di scioglimento, infatti, la società si scioglie di diritto, pertanto se il Giudice adito ha ritenuto sussistente (a torto o ragione) l’impossibilità di raggiungimento dell’oggetto sociale, la società deve essere posta in liquidazione ed il ricorso avanzato dai soci di minoranza porta inevitabilmente alla nomina di un liquidatore e all’inizio delle operazioni di liquidazione.

Trattandosi di decreto non decisorio, posta l’inammissibilità del reclamo in Corte d’Appello, potrà, inoltre, intraprendersi un procedimento di revoca o modifica del decreto medesimo, introducendo una domanda ex art. 742 del c.p.c., applicabile a tutti i procedimenti in camera di consiglio in forza della disposizione di cui all’art. 742 bis del c.p.c..
In ogni caso, si ritiene più opportuno agire per la revoca del liquidatore ai sensi dell’art. 2275, comma 2, del c.c..
Ai fini della revoca del liquidatore nominato, infatti, non è sufficiente la volontà della maggioranza, bensì la volontà di tutti i soci, oppure l’apposito ricorso al Tribunale competente, salva la sussistenza della giusta causa di revoca, proprio come la norma sopra citata prescrive.

Per quanto concerne il potere di amministrare la società, oggi va individuato in capo al liquidatore, in forza del disposto degli artt. 2276 e 2278 del c.c..
In ogni caso, i patti sociali prevedevano all’art. 10 che l’amministrazione (e la rappresentanza legale) della società spettassero disgiuntamente a tutti i soci.
Lei, infatti, veniva individuato come unico responsabile, con pieni poteri, in ambito di tutela antinfortunistica, applicazione del D. Lgs. 626/94, adempimenti in materia di collocamento, adempimenti contributivi, previdenziale e fiscali.

Anonimo chiede
giovedì 07/04/2022 - Veneto
“Sono socio accomandatario di una società in accomandita semplice in liquidazione, dove il liquidatore ha concluso la liquidazione ed ha rilasciato il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto. Il bilancio è inattendibile in quanto praticamente il liquidatore per il suo compenso si eroga cifre spropositate (che ha già peraltro provveduto a incassare) e mai pattuite, oltre al fatto che vi sono tutta una serie di movimenti del conto corrente esagerati per erogazioni di denaro a professionisti senza capire per cosa e liquidazioni di imposte per cifre altissime, senza che venga indicato il tipo di tributo e per che cosa. Ovviamente da ripartire non rimane più nulla, anzi vi sono da pagare alcune migliaia di euro che il liquidatore ha intimato a me solo di versare il prima possibile, a pena di ricorrere ad un decreto ingiuntivo. Quello che vorrei capire è questo:

se impugno questi due documenti (bilancio e piano di riparto), ciò significa che io non faccio altro che chiedere la revoca giudiziale del liquidatore e la nomina di un nuovo liquidatore giudiziale che controlli non solo la gestione della liquidazione ma anche questi due documenti oppure l’impugnazione consiste nel richiedere al giudice di demandare un incarico ad un CTU per un atto di controllo sulla gestione del liquidatore e su questi due ultimi documenti della liquidazione (bilancio e piano di riparto)?

Vorrei che la domanda come la risposta rimangano riservate, grazie.”
Consulenza legale i 12/04/2022
La domanda di revoca dei liquidatori e l’impugnazione del bilancio finale di liquidazione costituiscono due azioni logicamente distinte.

Ai sensi dell’art. 2275 del c.c., comma 2, i liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci, oppure in ogni caso dal tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci.
Lei, pertanto, anche autonomamente e senza l’accordo degli altri soci, potrà agire presso il competente Tribunale per chiedere la revoca del liquidatore precedentemente nominato; il Giudice, se riterrà sussistente una giusta causa, provvederà a revocare il liquidatore e nominarne un altro.
Sarà il nuovo liquidatore di nomina giudiziale ad occuparsi della procedura di liquidazione, adottando gli opportuni correttivi, se li ritiene necessari.

L’impugnazione del bilancio finale di liquidazione e del piano di riparto costituiscono un’azione autonoma prevista dall’art. 2311 del c.c., comma 2, che deve essere intrapresa entro il termine di decadenza di due mesi dalla ricezione della comunicazione che il liquidatore deve inviare a mezzo raccomandata ai soci.
All’interno del procedimento, sarebbe opportuno richiedere la nomina di un CTU che verifichi la correttezza tanto del bilancio finale, quanto del piano di riparto.


Anonimo chiede
domenica 21/02/2021 - Emilia-Romagna
“Premesse: sono accomandataria di una società in accomandita semplice in liquidazione. Il liquidatore è giudiziale e quando prese in carico la gestione della società, non comunicò ai soci e in particolar modo alla scrivente accomandataria, a quanto sarebbero ammontate le sue parcelle, ossia non definì il prezzo dei suoi compensi all’inizio della liquidazione.
In seguito, dopo 5 anni sono riuscita finalmente ad acquisire gli estratti conto e ho riscontrato che il liquidatore effettuava dei bonifici a suo favore di cifre elevate. Durante l’assemblea espressi il mio malcontento per questi prelievi di denaro e chiesi se tali compensi erano stati liquidati dal tribunale o erano stati decisi da lui. Il liquidatore non rispose, ma garantì che avrebbe inviato i prezzi dei suoi compensi ai soci qualche mese dopo. Quando giunse il suo prospetto di parcella, tutti i soci (compresa la scrivente) respinsero, tramite missive, tali prezzi giudicandoli spropositati e chiedendo al liquidatore di concordare assieme ai soci il suo compenso. Il liquidatore, però, rifiutò e rifiuta tuttora di rispondere a tali richieste, ma contestualmente continua a svolgere il suo incarico di liquidatore, chiedendo anche alla scrivente, in quanto accomandataria ed ex-amministratrice, dei pareri scritti sulla gestione, che io continuo a fornirgli.
La mia domanda è questa:
Poiché il liquidatore continua a svolgere la sua funzione, senza che i soci intervengano per revocargli l’incarico (tramite assemblea o tramite ricorso al Tribunale), “tale comportamento può configurarsi come un comportamento concludente da parte dei soci, ossia un’accettazione implicita dei prezzi del compenso voluti unilateralmente dal liquidatore?” Io continuo ad intimare al liquidatore di concordare il prezzo dei suoi compensi, avendo rifiutato il suo prospetto di parcella, ma nello stesso tempo, come detto sopra, essendo lui l’amministratore, continuo ad aiutarlo nello svolgimento delle sue funzioni, consigliandolo sui problemi legati alla gestione. Tale mio comportamento può essere considerato come un’implicita accettazione del prospetto di parcella preteso dal liquidatore, essendo già trascorsi 6 mesi dalla presentazione da parte del liquidatore del prospetto di parcella (sebbene subito contestato per iscritto dai soci)? RIASSUMENDO QUANTO SCRITTO: posso attendere la fine della liquidazione (avendo ricusato per iscritto il prospetto di parcella del liquidatore, presentato dal stesso dopo 5 anni), per poi adire le vie legali, affinché sia il giudice a liquidare equamente i compensi del liquidatore OPPURE per evitare un comportamento concludente (e se rientro ancora nelle tempistiche essendo stato insufficiente il diniego scritto dei prezzi delle parcelle), devo subito attivarmi per revocare l’incarico al liquidatore, con l’appoggio degli altri soci (visto che il liquidatore non intende variare gli importi delle sue parcelle)?
Grazie. Saluti cordiali.

Consulenza legale i 25/02/2021
Come per le società di capitali, anche per le società di persone, come nel caso di specie, la determinazione del compenso del liquidatore, sia che sia nominato dalla società che dal Tribunale, spetta all’assemblea.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono state chiamate a dirimere un contrasto sorto su una questione che presenta analogia con quella del quesito formulato, ovvero la possibilità che il compenso di un amministratore possa essere approvato tacitamente da parte dei soci con l’approvazione del bilancio della società, in cui risulta nelle poste passive il compenso autoliquidato dall’amministratore stesso.

Ebbene, la Suprema Corte ha stabilito che, se si ritenesse ciò possibile, si verificherebbe “una sostanziale violazione delle competenze attribuite alla assemblea generale dei soci (organo societario attraverso il quale si realizza la garanzia della tutela della minoranza), e dunque una difformità assoluta dallo schema legale del procedimento di formazione della volontà dell’ente collettivo (come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “la delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollente e pertanto l’atto negoziale adottato in difformità e affetto da “nullità assoluta ed insanabile”: Corte Cass. Sez. I, Sentenza n. 10869 del 01/10/1999; id. Sez. I, Sentenza n. 9901 del 24/04/2007; id. Sez. L, Sentenza n. 14963 del 07/07/2011, ...), atteso che la entità del compenso viene - di fatto - ad essere (auto)determinata dagli stessi amministratori (dovendo esclusivamente ad essi imputarsi la redazione del bilancio), non potendo l’ammontare del compenso fatturato in alcun modo ricondursi alla volontà della assemblea…” (Cass. Civ., 28 ottobre 2015, sentenza n. 21953).

Si ritiene dunque che, mutuando detto principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, non si possa sostenere che, nel caso di specie, la determinazione del compenso del liquidatore possa essere stata in alcun modo approvata tacitamente dai soci. Peraltro, risultano, come evidenziato nel quesito, diverse e specifiche contestazioni sul compenso, provenienti proprio dai soci.

Antonio L. A. chiede
martedì 15/09/2020 - Calabria
“In seguito al diniego di cancellazione, da parte della CCIAA, di una Sas che, senza debiti dichiarati con autocertificazione, non è passata dalla fase della liquidazione, mi sono rivolto al Giudice del Registro in volontaria g., sperando che la domanda fosse accolta. Nell'atto introduttivo oltre a precisare che la chiusura senza liquidazione è contemplata dall'art. 15 dello statuto e la società è priva di P.IVA e C.F. ho fatto riferimento al parere del Ministero Sviluppo Economico del 19/05/2014. Il G. del Registro ha rigettato la domanda con il decreto che allego, al fine di conoscere un Vs parere e di avere suggerimenti per richiedere la revoca dell'ordinanza, da presentare al G. Ordinario del Tribunale di COSENZA, sede dalla CCIAA. Visto i tempi stretti, si chiede una risposta possibilmente sollecita. Grazie”
Consulenza legale i 20/09/2020
La giurisprudenza in materia stabilisce che il procedimento di liquidazione previsto dalla legge, per le società come quella di cui al quesito, è meramente facoltativo, non essendovi alcun obbligo legale in tal senso (cfr. Cass. Civ. n. 8599 del 2003).

Il carattere facoltativo trova il suo fondamento nel regime di responsabilità per tali tipi societari. Infatti, considerata la responsabilità solidale e illimitata dei soci, la liquidazione legale risponde più ad un interesse di questi ultimi che dei creditori sociali, i quali sono comunque tutelati dal patrimonio dei soci medesimi, oltre che della società.

Resta, dunque, possibile, nel caso di dette società, prevedere per i soci di quest’ultima modalità diverse per addivenire alla liquidazione del patrimonio sociale, anche se, come correttamente rilevato dal Tribunale di Cosenza, ciò non significa che una liquidazione del patrimonio sociale possa essere omessa. Infatti, è lo stesso art. 2275 c.c., alla cui lettura si rimanda, a richiamare la necessità comunque della liquidazione, ancorché in modalità che deroghino a quelle previste dalla legge.

Pertanto, coglie nel segno il tribunale laddove evidenzia tale mancato svolgimento della liquidazione da parte dei soci della sas, secondo modalità differenti da quelle normativamente previste.

Lo statuto della sas, all’art. 15, prevedeva sì la possibilità di una liquidazione convenzionale (derogatoria rispetto a quella legale) che passasse attraverso “l’assegnazione in natura dei beni sociali”, laddove non vi fossero state passività nel bilancio della medesima, ma ciò non comporta comunque la possibilità di omettere, legittimamente, una qualche forma di liquidazione del patrimonio, con un preliminare accertamento dell’attivo e del passivo (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 1468/1981).

Nel caso di specie, sembra che fosse assente, tra la documentazione versata in atti, tale diversa modalità con cui è stata svolta la liquidazione da parte della sas e, dunque, il Tribunale adito ha ritenuto che il diniego all’iscrizione della cancellazione operato dal Registro delle Imprese fosse stato corretto.

Si condivide, inoltre, anche l’ulteriore argomentazione avanzata dal Tribunale, secondo cui, ferma la necessità di una liquidazione convenzionale, anche laddove si ritenesse sufficiente la mera dichiarazione di scioglimento volontaria da parte dei soci della sas, quest’atto avrebbe comunque dovuto essere redatto nella stessa forma dell’atto costitutivo della sas, in conformità del principio della forma a cui le parti hanno ritenuto di voler aderire per redigere un particolare atto: l’atto costitutivo della sas era nella forma di atto notarile e, pertanto, anche l’atto di risoluzione non può che seguire la medesima forma dell’atto che andrebbe a risolvere.

Alla luce delle suesposte considerazioni, il Tribunale di Cosenza ha correttamente rigettato il ricorso presentato.

Serena chiede
venerdì 25/03/2011 - Puglia

“La previsione del legislatore di lasciare all'autonomia dei soci il modo di determinare la liquidazione del patrimonio sociale e quindi di derogare al procedimento di liquidazione previsto dalla legge,è applicabile solo alla società semplice o anche alle snc e sas? O bisogna considerare che per le snc e le sas la liquidazione debba sempre avvenire rispettando il procedimento di liquidazione previsto dalla legge e quindi con necessaria nomina dei liquidatori? Ringrazio in anticipo cordiali saluti.”

Consulenza legale i 25/03/2011

Consolidata giurisprudenza ritiene che l'estinzione di una società di persone (non solo della società semplice) non richieda necessariamente un formale procedimento di liquidazione, verificandosi essa anche per effetto dell'accordo dei soci diretto alla cessazione dell'ente sociale, previa definizione, con libere modalità, dei rapporti ad essi inerenti (Cass. 92/860; Cass. 80/6212, Sez. I) ovvero in conseguenza della richiesta avanzata dai soci stessi, direttamente al giudice, per la definizione dei rispettivi rapporti di credito e debito.
L'art. 2275 del c.c. si ritiene pertanto applicabile sia alla s.n.c. che alla s.a.s.


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