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Articolo 844 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Immissioni

Dispositivo dell'art. 844 Codice Civile

Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni(1) derivanti dal fondo(2) del vicino(3), se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso(4).

Note

(1) Si ritiene che le immissioni debbano, comunque, essere passibili di essere percepite da una persona con i cinque sensi o, in alternativa, con apparecchi rilevatori. La disposizione disciplina due casi particolari:
- immissioni tollerabili: sono lecite e, quindi, al proprietario del fondo che subisce l'immissione non si deve nulla;
- immissioni intollerabili: bisogna, però, ulteriormente differenziare le immissioni che, pur venendo superata la normale tollerabilità sono lecite ed è dunque stabilito un indennizzo; le immissioni intollerabili illecite, dal momento che prevalgono le ragioni del proprietario.
A favore del danneggiato sussiste, in questa ipotesi una tutela sia di tipo inibitorio che risarcitorio.
(2) La disposizione riguarda le immissioni indirette, le quali giungono al fondo perché ivi condotte da elementi naturali (vento, ad esempio).
È, viceversa, illecito fare adoperarsi perché l'immissione arrivi in modo diretto sul suolo altrui.
(3) Sono le immissioni che provengono da un fondo vicino, pur non confinante.
(4) Il giudice deve valutare la tollerabilità delle immissioni, tenendo conto del modo in cui esse vengono in essere e degli interventi che ne sono causa. Bisogna, cioè, bilanciare le contrastanti esigenze dei proprietari, anche, se necessario, mutando luoghi od opere: il giudice può, ad esempio, dare ordine di insonorizzare l'ambiente da cui provengono i rumori.

Ratio Legis

Gli autori che si sono dedicati allo studio dell'istituto in esame hanno precisato che il limite da osservare è la tollerabilità dell'attività per i soggetti che la subiscono.
Esso non è stato, peraltro, individuato in modo compiuto dal legislatore, che se, da un lato, ha inteso tralasciare le ragioni di chi vuole evitare le immissioni, ha voluto, dall'altro, richiamarsi alla «condizione dei luoghi» e, cioè, alle situazioni concrete.
La disposizione disciplina i rapporti tra proprietari vicini, e può, quindi, essere tenuta in conto solo dal proprietario o da chi vive sul fondo.
C'è, anche, chi, al contrario, afferma che l'art. 844 può essere compreso solo alla luce dei valori costituzionali posti a tutela della persona e considerato alla stregua degli strumenti a difesa della salute dei cittadini. La Cassazione ha, tuttavia, distinto l'art. 844, inserito nel codice per proteggere i diritti in materia di proprietà, dall'art. 32 Cost., positivizzato per tutelare il diritto alla salute, con azioni di natura personale, in sintonia con gli artt. 2043 e 2058.
A vantaggio del titolare del fondo danneggiato possono essere esperite due differenti azioni, di cui l'una, di natura reale, è finalizzata all'eliminazione della causa delle immissioni (tutela c.d. inibitoria), l'altra, di natura personale, al ristoro dell'eventuale danno ex art. 2043 (tutela c.d. risarcitoria).
Al fine di far cessare le immissioni intollerabili il titolare può agire anche in conformità al disposto dell'art. 949.
Recentemente è stata riconosciuta la possibilità di ricorrere alla procedura d'urgenza ex art. 700 c.p.c., utilizzabile, in particolare, qualora i diritti che si ritengono lesi dalle immissioni siano quelli relativi alla salute e all'ambiente salubre.

Brocardi

Immissio in alienum

Spiegazione dell'art. 844 Codice Civile

Il problema dei rapporti di vicinato nella nuova legislazione

Il problema dei rapporti di vicinato acquista, con le norme contenute in questo articolo, l'aspetto di un problema particolarmente attinente alla proprietà fondiaria: mentre, in mancanza di qualsiasi norma (come ad esempio sotto la vigenza del codice del 1865), assumeva l'aspetto di un problema di carattere generale, ricollegandosi a quello relativo all'esercizio dei diritti e ai limiti entro i quali tale esercizio deve ritenersi legittimo, specie in concorrenza con l'altrui diritto. Problema assai difficilmente risolvibile.

Non si stenta molto, infatti, a rendersi conto delle difficoltà che implica, senza l'ausilio di norme positive, « la ricerca di un criterio supremo, che, all'infuori e al di sopra di qualsiasi limitazione specifica, venga a stabilire un limite generale all'esercizio della proprietà e in pari tempo un limite generale di tolleranza, che permetta, per così dire, di irradiare fuori dal proprio fondo ».

Quando si parla di limiti, si presuppone l'esistenza di norme positive, qualunque sia l'estensione e il carattere di tali limiti e la natura dell'interesse che si vuole proteggere. Limiti che non si ricollegano a norme determinate è una contraddizione in termini: infatti, in sostanza, gli autori tentavano di generalizzare le regole particolari dettate per le c.d. servitù nascenti dalla legge, per estrarre da quelle il preteso criterio generale, senza tener conto della illegittimità di tale procedimento ermeneutico, in contrasto con l'art. 4 disp. prel.


L'autonomia del divieto delle immissioni rispetto al problema dell'abuso del diritto, del divieto degli atti di emulazione e della colpa aquiliana

L'iniziale, insopprimibile difficoltà logica, spiega pure come si potesse fare ricorso al principio del divieto degli atti emulativi o alle regole riguardanti il quasi delitto civile.

Sotto la vigenza del codice abrogato si incontravano non poche difficoltà ad ammettere l'esistenza del generale divieto di atti emulativi, poiché non pareva legittimo desumerlo dalla teoria dell'abuso del diritto, viziata essa stessa da una intima contraddizione logica e non sorretta da elementi positivi. D'altra parte le disposizioni invocate (art. 544-545, 600-606, 609-610, 612-613, 675, 1723 n. 2 codice del 1865) erano ispirate ad esigenze concrete di natura particolare ed era stato giustamente osservato « che quando si ammettesse che i citati articoli veramente fossero riferibili all'emulazione, non vi sarebbe prova migliore di queste particolareggiate restrizioni esplicite poste dal legislatore per mostrare l'inesistenza di un divieto di massima, e quindi l'ammissibilità generica dell'emulazione ». Nè si pensava che le limitazioni che la stessa dottrina poneva al divieto degli atti emulativi, specie con il richiedere (come fa il codice attuale) l'intenzione di nuocere al vicino e la mancanza di utilità per il proprietario, non consentivano neppure di porre un problema i cui termini vanno molto al di là di quelli entro cui la dottrina conteneva il divieto degli atti di emulazione. Infine non si pensava che l'assunzione di tale divieto come punto di partenza doveva logicamente condurre alla soppressione del problema dei rapporti di vicinato, che, in definitiva, si riduceva a una duplicazione di quello da cui si prendevano le mosse. Tale esigenza, logica e pratica insieme, ha appunto ispirato al nuovo legislatore due distinte ed autonome disposizioni.

Per quanto riguarda poi il ricorso alle norme sulla colpa aquiliana, è facile rilevare che esse, anziché offrire un criterio per risolvere il problema dei rapporti di vicinato, presuppongono la risoluzione di tale problema. Infatti perché si possa chiedere il risarcimento del danno occorre che questo sia ingiusto, e cioè che l'atto sia illegittimo; e il problema dei rapporti di vicinato consiste appunto nella determinazione del criterio in base al quale l'atto di esercizio del diritto di proprietà possa considerarsi legittimo, in quanto contenuto nei limiti consentiti dalla legge, ovvero illegittimo, in quanto eccedente tali limiti.


Le varie specie di influenza sul fondo altrui

Bisogna dunque ricorrere ad altri criteri, e infatti, la disposizione che si commenta non offre nessun appiglio alle tesi sopra esposte e criticate.

Per delimitare meglio il campo d'indagine, distinguiamo, sulla scorta di dottrine tradizionali, le varie specie di atti per mezzo dei quali il proprietario di un fondo può influire sulla proprietà altrui. Rispetto alla loro natura, questi atti possono essere temporanei (od episodici) o duraturi (o permanenti); circa il modo dell'influenza possono essere immediati o mediati; circa gli effetti, possono essere sensibili o meno al vicino; quanto all'oggetto, possono toccare direttamente la cosa o le persone del proprietario; quanto alla qualità delle conseguenze possono essere materiali o immateriali.

La prima distinzione è priva di importanza: sia temporaneo o permanente il pregiudizio, se è veramente tale e l'atto è illegittimo, deve essere rimosso. Tutt'al più la natura può influire sulla determinazione del danno e sulle statuizioni accessorie tendenti a rimuoverne le conseguenze ed eventualmente a cautelare per l'avvenire colui che l'ha subito.

La seconda distinzione è invece rilevante, poiché, in base ai principi, le turbative immediate devono ritenersi illegittime. Turbartiva immediata è, infatti, quella che inizia il suo ciclo di influenza e lo compie interamente nella sfera del vicino, mentre è mediata quella che inizia il suo ciclo nella sfera di influenza di un proprietario da cui si estende in quella del vicino. La disposizione in esame si riferisce chiaramente alle turbative mediate: « il proprietario di un fondo non può impedire.... derivanti dal fondo del vicino ».

Anche la terza distinzione ha la sua importanza, poiché, infatti, se il vicino non percepisce neppure gli effetti degli atti compiuti dall'altro proprietario nel proprio fondo, viene meno la base pratica (mancando l'interesse) di ogni discussione. Ma a questo proposito è da tenere presente che turbative percepibili possono essere più o meno gravi, e in questo campo il compito del legislatore e dell'interprete consiste nel dosare gli opposti interessi, di modo da stabilire una equilibrata tutela di entrambi, con prevalenza di quello che di tale tutela è più degno, e la determinazione del limite entro il quale la tutela di entrambi deve essere contenuta.

La terza distinzione potrebbe dare luogo ad una esclusione arbitraria, poiché si potrebbe ritenere tutelabile il vicino solo in relazione alle turbative che toccano la cosa, e non a quelle che riguardano la sua persona. E l'esclusione sarebbe arbitraria poiché il godimento della cosa implica, in fatto, il rapporto della persona con la cosa. E non solo della persona del proprietario, poiché se la cosa viene data in locazione il locatario deve pure goderne, in luogo e in vece del proprietario da cui deriva il suo diritto. Si potrebbe ritenere applicabile il principio per cui, poiché se è vero che si tratta di molestie arrecate da persone che non pretendono di avere diritti sulla cosa locata, non è meno vero che le molestie provengono da persone che ritengono di avere sulla propria cosa diritti che eccedono il limite posto dalla legge, sì da toccare la sfera del diritto del vicino. Si tratta, cioè, di un'attività in cui si esprime l'illegittima imposizione di un limite al diritto altrui.

Naturalmente anche le persone di famiglia o conviventi con il proprietario hanno diritto alla stessa tutela, poiché fa parte pure delle facoltà costituenti il contenuto della proprietà quella di estendere ad altri il godimento della cosa, senza dire che, per le persone di famiglia, l'esercizio di tale facoltà non è libero, ma imposto dalla legge, che stabilisce particolari obblighi a carico di un coniuge rispetto all'altro, e a carico dei genitori rispetto ai figli, nonché dei figli rispetto ai genitori. D'altro canto la tutela accordata alle persone conviventi con il proprietario è la stessa accordata al proprietario, poiché basterebbe l'interesse di questi affinché gli atti illegittimi del vicino fossero colpiti. Nè si potrebbe ammettere una tutela intermittente, cioè limitata al tempo in cui il proprietario è materialmente presente nel suo fondo (ciò che ave valore pratico rispetto agli atti temporanei), perché bisogna aver riguardo non tanto alle modalità materiali in cui il rapporto si concreta, quanto al rapporto come tale, che non ammette soluzioni di continuità.

L'ultima distinzione riflette un momento che può ritenersi ormai superato anche in dottrina: da tempo, infatti, si parla anche di immissioni immateriali, oltre che materiali, come punto di riferimento della tutela del diritto di proprietà.

La disposizione in esame contiene un elenco esemplificativo, che non pare comprensiva tanto delle immissioni materiali quanto di quelle immateriali. Infatti essa considera le immissioni di fumo e di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo vicino, che sono tutte immissioni materiali.

Rimane dunque irrisolta, anzi risolta negativamente, la questione che aveva dato luogo a un numero rilevante di opinioni: quella relativa alla vicinanza di case di tolleranza. Si capiva all'epoca che non si trattava di quegli atti che sollevavano scandalo e, quindi, come delitti o contravvenzioni cadevano sotto la sanzione delle leggi penali o di polizia, ma anche dal semplice fatto dell'eccezionale, anzi anormale frequentazione del locale. Anche se, sottilizzando, si fossero ritenute queste immissioni materiali, per il fatto che, per essere percepite dal senso della vista, presupponevano la vibrazione dell'etere cosmico, o, comunque, la propagazione della luce, non si poteva certo dire che esse erano per natura simili a quelle espressamente indicate nella legge.

La conseguenza che ne derivava era piuttosto grave: mentre, infatti, sotto la vigenza del codice abrogato la mancanza di una norma apposita poteva consentire una certa libertà di interpretazione, in passato l'esistenza della norma poneva dei limiti che non si potevano superare. Appunto per questo la questione veniva risolta in senso negativo.

Qui tuttavia agli inconvenienti pratici poteva ovviare la Pubblica Amministrazione, sia prendendo minute cautele a tutela della pubblica decenza, sia addirittura assegnando determinate zone su cui tali case siano confinate. Però il privato non aveva tutela diretta: egli aveva solo il diritto di denunciare le eventuali infrazioni, per provocare l'applicazione delle sanzioni penali o amministrative, ma non poteva chiedere il risarcimento di danni o cautele personali.


Impostazione del problema del rapporto di vicinato

Torniamo, per l'esatta impostazione delle questioni, al punto di partenza: il compito fondamentale consiste nella ricerca del limite (reciproco) al diritto di proprietà su fondi vicini. I diritti, dunque, vanno considerati in relazione alle cose cui si riferiscono: trattandosi di fondi contigui, che per semplificare si possono supporre collocati su di un medesimo piano, in teoria sarebbe da ritenere che la sfera d'influenza o limite interno di ciascun diritto sia delimitata dalla figura solida risultante innalzando le perpendicolari, sul piano del suolo, da tutti i punti estremi della figura che di ciascun fondo determina il perimetro. Lungo le varie linee di confine verrebbe così ad innalzarsi uno schermo che dividerebbe la zona di influenza di un proprietario da quello dell'altro, e l'attività legittima di esercizio del diritto da parte di ciascun proprietario dovrebbe fermarsi davanti a questo schermo.

Ma già si è visto in pratica che questo ideale teorico non regge: infatti l'attività che un proprietario esercita nel proprio fondo può estendere la sua influenza al fondo del vicino. Da qui il problema del limite e la proposizione dei diversi criteri per la sua determinazione.

Rimanendo fedeli alla suddetta premessa teorica, si tratta di determinare la zona (necessaria) di influenza o di mancata reattività di un diritto in relazione a certe invasioni (ad esso esterne) provenienti dall'esercizio del diritto di proprietà sul fondo vicino, e reciprocamente la zona legittima di espansione del diritto di proprietà su di un fondo entro la sfera di quello del fondo vicino.


Le varie teorie proposte per la sua soluzione

In astratto può essere indifferente considerare l'uno o l'altro aspetto, perché essi sono reciproci: in concreto, invece, tale indifferenza non sussiste, tant'è vero che alcuni fanno capo a uno di tali aspetti, altri fanno capo all'altro.

Con riferimento alla tendenza più comune, tale divergenza di punti di vista è facilmente riscontrabile.

Si allude alla c.d. teoria dell'uso normale, secondo la quale ogni proprietario può fare nel suo fondo ciò che è normale per l'uso di quel fondo (non quello che è giusto o utile, si noti bene, ma quello che è normale): se dai fatti che rientrano nella vita normale si produrrà qualche invasione del fondo altrui, questa dovrà essere tollerata (come accade per esempio per il fumo proveniente dal fuoco che si fa per cucinare): ma non vi è questa necessità di tolleranza per gli usi che esorbitano dalla sfera della normalità dell'uso della proprietà.

Fu però osservato che il criterio dell'uso normale è arbitrario e conduce ad applicazioni erronee. Non si capisce, infatti, per quale ragione logica si possa imporre una misura media che può impedire lo sfruttamento più naturale della cosa. E quanto alle applicazioni, come si può qualificare atto normale il tagliare le vene idriche del vicino, con opere nel fondo proprio, pure se esso non si possa reprimere, nè dà diritto a risarcimento dei danni.

La norma in esame procede dal punto di vista opposto e delinea il limite con riferimento alla normale tollerabilità. Il criterio è, in sè, più legittimo, perché non si traduce nella imposizione di una restrizione su basi statistiche allo sfruttamento della cosa, ma, presupposto questo sfruttamento come libero, tende alla tutela dell'interesse del vicino, in relazione al concreto attuarsi dello sfruttamento stesso.

Il criterio della legge, tuttavia, rimane generico e le sue pratiche applicazioni sono rimesse al prudente arbitrio del magistrato: a restringere la genericità del criterio vale il riferimento alla condizione dei luoghi, ma anche la valutazione del peso da assegnarsi a tale elemento è rimessa al prudente arbitrio del giudice. Per la determinazione del vero significato della norma, è necessario avvertire che con l'espressione condizione dei luoghi si vuole alludere alla condizione materiale piuttosto che a quella sociale, a cui, invece, si fa riferimento alla fine dell'alinea 2.


Il criterio della prevenzione come criterio complementare

Fu pure proposto, sotto la vigenza del codice abrogato, il c.d. criterio della prevenzione, fondato sulla massima prior in tempore potior in iure; ma fu giustamente osservato che, in relazione alla questione che ci occupa, non tanto vale il prima o il poi, quanto il criterio che possa armonizzare le proprietà confinanti. D'altra parte quel principio viene, di solito, applicato alla risoluzione di conflitti tra più diritti reali sulla stessa cosa, non tra due diritti di proprietà su cose differenti. Infine « non è che casualmente vera la sua opportunità pratica ».

Se ne deduce che il criterio della prevenzione non potrebbe essere adottato come criterio generale ed esclusivo, ma ciò non importa necessariamente che esso debba essere del tutto scartato, e non possa, invece, essere utilizzato come criterio complementare. In tal senso, infatti, lo ha adottato il nuovo legislatore, dando al giudice la facoltà di tenere conto della priorità d un determinato uso. Su questa via si era già spinta la giurisprudenza, soprattutto in relazione a certi casi-limite, e a tal proposito è stato autorevolmente rilevato che maggiore dovrebbe infatti essere il rigore nel caso, per esempio, in cui si impiantasse uno stabilimento per la fabbricazione di concimi chimici o altre sostanze simili, e viceversa, più largo dovrebbe essere il trattamento nel caso in cui il reclamante abbia costruito una casa di abitazione in località costituente zona industriale, e perciò ricca di vari stabilimenti.

Ma tra questi casi estremi c'è tutta una gamma ricchissima di situazioni intermedie, sulla quale dovrà esercitarsi il prudente arbitrio del magistrato.


Il prudente arbitrio del giudice

Dalle osservazioni che precedono si rileva che il sistema della uova legge, ispirandosi ad esigenze pratiche e alla necessità di tutelare armonicamente gli interessi in conflitto non ha seguito nessuno dei criteri proposti dalla dottrina, ma ha fissato dei capisaldi, dei punti di orientamento, con riferimento ai vari criteri, e si è affidata al prudente arbitrio e sensibilità del giudice.

Tuttavia non ha mancato di stabilire una direttiva di indole generale. Era stato rilevato, in sostanza, che i più acuti casi di conflitto derivavano dell'espansione dell'attività industriale, le cui esigenze sono soverchianti rispetto a quelle del più comune sfruttamento dei fondi ad uso agricolo o civile. L'importanza sociale dell'attività industriale condusse all'affermazione dei criteri troppo rigidi che presiedevano alla tutela del diritto di proprietà. Questo punto non ha perduto di vista il nuovo legislatore, che ha perciò imposto all'autorità giudiziaria un criterio generale che deve presiedere all'applicazione della norma regolante i rapporti di vicinato. Esso consiste nel contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà.

Il criterio è stato opportunamente generalizzato: non si parla, infatti, solo delle esigenze dell' industria, ma, in genere, delle esigenze della produzione. D'altra parte, nella sua massima generalizzazione il criterio predetto si fonda sulla distinzione tra la proprietà, nel suo aspetto statico, come titolo di godimento, comprensivo anche dei titoli che da essa derivano, e il lato dinamico dello sfruttamento produttivo della cosa. Il problema, dunque, si sposta sul piano dinamico dell'effettivo godimento, sul quale si impone al giudice l'obbligo di dosare le esigenze che presiedono, in atto, all'una o all'altra forma di godimento, e di decidere in base a tali esigenze. Per questa via si fa strada non solo quello che si direbbe elemento sociale di valutazione, ma forse un criterio che potrebbe, almeno in largo senso, dirsi corporativo.

La conferma di tale affermazione si ricava da elementi positivi: anzitutto dall'art. 811 si deduce che i beni in relazione alla loro funzione economica e alle esigenze della produzione nazionale sono sottoposti alla disciplina dell'ordinamento corporativo, ciò che conferma la necessaria dipendenza di tutto ciò che attiene alla produzione dal sistema corporativo. Inoltre, l'organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale (Dich. VII C.d.L.), non può la tutela della produzione, qualunque aspetto sia per assumere, attuarsi con criteri estranei all'ordinamento corporativo.


La norma generale e le norme speciali concernenti i rapporti di vicinato

Sotto l'impero del codice abrogato, pur mancando una norma generale che regolasse i rapporti del vicinato, e dovendosi perciò ricorrere alle norme speciali, anche per desumere il criterio direttivo generale, si tenevano distinte le situazioni rientranti nello schema della norma generale da quelle regolate da norme particolari.

Tale distinzione va mantenuta a fortiori nel nuovo codice, altrimenti di fronte alle norme specifiche contenute, in massima parte, nelle sezioni VI, VII, VIII e IX del Capo II del presente Libro, non avrebbero più giustificazione le norme contenute nell'articolo in esame. E la distinzione ha una notevole portata pratica: può, infatti, ritenersi ed è stato ritenuto che, quando entrino in applicazione le norme particolari, la rigorosa osservanza di queste metta il proprietario al riparo da ogni azione da parte del vicino. La conferma si deduceva dall'art. 573 ult. capov. del codice abrogato, nel quale si faceva l'ipotesi dell'insufficienza delle distanze prescritte ad evitare il danno e si dava al giudice la facoltà di stabilire distanze maggiori e far eseguire le opere occorrenti a riparare e mantenere riparata la proprietà del vicino. L' art. 889 del c.c. non ha conservato tale facoltà, e costituisce quindi un indice che convalida la tesi enunciata. Tanto più che l'art. 62 del progetto consentiva all'autorità giudiziaria di fissare distanze non solo maggiori, ma anche minori.

Tuttavia, le relazioni tra la norma generale che regola i rapporti di vicinato e le norme speciali devono essere precisate rigorosamente. Non si deve, infatti, ritenere che le norme speciali deroghino in maniera assoluta a quella generale, escludendone la totale applicazione, ma si deve piuttosto ritenere che alla disciplina dettata dalla norma generale sfugga quel particolare aspetto che le norme speciali hanno regolato. Così, ad es., se sono state osservate le distanze imposte dall'art. 889 per l'apertura di fosse, pozzi, cisterne e simili, il proprietario del fondo vicino non potrà avanzare pretese nè per la rimozione delle opere, nè perché siano stabilite maggiori cautele, nè per ottenere il risarcimento dei danni. Ma, evidentemente, per tutto ciò che non attiene all'apertura di fosse ecc., e alle relative distanze, sarà sempre da applicare la norma generale (o specificamente per altri concreti aspetti, le altre norme speciali).


Contenuto e mezzi della tutela contro le immissioni

Qual è il contenuto della tutela concessa dalla norma in esame e quali sono i mezzi con i quali essa si esplica?

Quanto al contenuto: sul presupposto del diritto di proprietà del fondo al quale l'influenza degli atti nocivi o intollerabili si estende, spetta la pretesa tendente alla rimozione dell'attività e dell'opera illegittime. Eventualmente l'autorità giudiziaria può stabilire delle cautele, anziché ordinare la rimozione dell'opera o la cessazione dell'attività. Le cautele possono essere stabilite anche al fine di evitare che l'attività possa essere compiuta in divenire, con le stesse conseguenze nocive o intollerabili per il vicino. La prova dell'illegittimità dell'opera o dell'attività deve essere data dall'autore che ne richiede la rimozione o cessazione non solo per il principio generale che governa la distribuzione dell' onus probandi, ma anche per il fatto che l'attività del proprietario compiuta nel proprio fondo deve presumersi legittima, sia pure iuris tantum.

Il mezzo di difesa concesso a tal fine è l'azione negatoria, poiché il vicino tende a difendere il suo diritto di proprietà contro il tentativo di aggravarlo con un onere anormale. E che si tratti dell'azione negatoria in senso proprio si deduce dal fatto che, esorbitando dal limite legale, l'atto del proprietario confinante non può considerarsi come atto di esercizio del proprio diritto, esso è, quindi un atto libero, e pu dare luogo all'acquisto di una vera servitù ove ne esistano i presupposti.

Ma il vicino può chiedere anche il risarcimento dei danni: non c'è dubbio che, essendo l'atto dell'altro proprietario illegittimo, il vicino possa chiedere il risarcimento in base alle regole generali della colpa aquiliana, provando s'intende la colpa dell'autore del danno.

In realtà, però, indipendentemente dall'applicazione delle disposizioni sulla colpa aquiliana, la responsabilità del proprietario confinante che ecceda i limiti legali nell'esercizio del diritto di proprietà è di natura oggettiva, perché non riguarda direttamente ed esclusivamente i rapporti personali tra i vari soggetti, ma mira a proteggere immediatamente il diritto di proprietà, e solo mediatamente, di riflesso, la persona del proprietario o di coloro che da lui derivanti diritti di godimento dalla cosa, o con lui partecipano a tale godimento.

D'altra parte, se si ammette nel vicino la pretesa di far rimuovere l'opera o di far cessare l'attività del proprietario confinante, è assurdo non riconoscergli il diritto al risarcimento del danno già verificatosi, poiché, in sostanza, la prima pretesa mira ad eliminare il danno che potrebbe verificarsi in avvenire. E se non è presupposta la colpa per l'eliminazione del danno futuro, non si capisce perché essa debba essere presupposta per il risarcimento del danno passato. In sostanza, se il vicino avesse agito subito, o preventivamente (mediante l'azione di danno temuto) avrebbe conseguito la prima tutela, evitando ogni danno; e non si può paragonare a negligenza capace di compensare la responsabilità del proprietario confinante o configurare come una specie di decadenza il ritardo nel proporre l'azione. Questa, nell'uno o nell'altro senso – come rimozione e come risarcimento – tende alla tutela della proprietà, e non può essere colpita da decadenze non previste dalla legge.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

412 Il principio di socialità, da cui l'istituto della proprietà è pervaso, torna a riflettersi sulla disciplina delle immissioni. Per l'art. 844 del c.c. il proprietario del fondo deve sopportare le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino che non superino la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alle condizioni dei luoghi. Il duplice criterio del grado d'intensità delle immissioni e del carattere particolare della zona è coordinato a quello delle esigenze della produzione: si prescrive al giudice di contemperare nell'applicazione della norma le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Un ulteriore criterio è indicato al giudice per agevolare la risoluzione dei delicati conflitti nei rapporti di vicinato, autorizzandolo a tener conto della priorità di un determinato uso.

Massime relative all'art. 844 Codice Civile

Cass. civ. n. 11930/2022

Le immissioni rumorose intollerabili ledono il diritto al rispetto della vita privata e familiare, di cui all'art. 8 Cedu, e per conseguenza va riconosciuto un consistente risarcimento del danno provocato, da determinarsi in via equitativa, in relazione alla perduranza nel tempo della turbativa.

L'accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni, sulla base di nozioni di comune esperienza, senza che sia necessario dimostrare un effettivo mutamento delle proprie abitudini di vita. (In attuazione del predetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale proposta dal proprietario di un appartamento limitrofo a un fondo sul quale veniva effettuata attività di stoccaggio e commercio di carte, cartoni, vetro e plastica, desumendo la ricorrenza del pregiudizio dalla circostanza che le immissioni interessavano la quasi totalità dei vani dell'appartamento dell'attore ed erano percepibili anche nei giorni festivi, nelle ore serali, ed anche con gli infissi chiusi).

Cass. civ. n. 24188/2021

Nell'ipotesi di domanda diretta ad ottenere la cessazione di intollerabili immissioni e il risarcimento del danno, allorché esse originino da un immobile condotto in locazione, legittimato passivo è anche il proprietario del fondo da cui provengono le immissioni, ancorché esse derivino solo dalle particolari modalità di uso del fondo da parte del conduttore.

Cass. civ. n. 21649/2021

Pur quando non rimanga integrato un danno biologico, non risultando provato alcuno stato di malattia, la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria casa di abitazione, tutelato anche dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, nonché del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, integra una lesione che non costituisce un danno "in re ipsa", bensì un danno conseguenza e comporta un pregiudizio ristorabile in termini di danno non patrimoniale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto dovuta la riparazione del pregiudizio del diritto al riposo, sofferto dalle parti lese in conseguenza delle immissioni sonore - in particolare notturne - dipendenti dall'installazione di un nuovo bagno in un appartamento contiguo, siccome ridondante sulla qualità della vita e, conseguentemente, sul diritto alla salute costituzionalmente garantito). (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 19/06/2019).

Cass. civ. n. 4836/2021

Qualora sia in discussione la legittimità da parte della Chiesa e degli enti ecclesiastici dell'uso "iure privatorum" di beni soggetti, ex art. 831 c.c. alle norme del codice civile - in quanto non diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano - la Chiesa e le sue istituzioni sono tenute all'osservanza, al pari degli altri soggetti giuridici, delle norme di relazione e quindi alle limitazioni del diritto di proprietà, fra le quali rientrano quelle previste dall'art. 844 c.c. essendo esse inidonee a dare luogo a quelle compressioni della libertà religiosa e delle connesse alte finalità che la norma concordataria di cui all'art. 2 della l. n. 121 del 1985, in ottemperanza al dettato costituzionale, ha inteso tutelare, non avendo lo Stato rinunciato alla tutela di beni giuridici primari garantiti dalla Costituzione (artt. 42 e 32), quali il diritto di proprietà e quello alla salute. (Nella specie, è stata ritenuta applicabile la disciplina dettata dall'art. 844 c.c. alle immissioni sonore provocate dalle campane di una chiesa). (Rigetta, CORTE D'APPELLO GENOVA, 15/09/2015).

Cass. civ. n. 25578/2020

La controversia nella quale il privato, previo accertamento della rumorosità, molestia e intollerabilità delle immissioni prodotte dagli aerogeneratori di un parco eolico, nonché degli effetti pregiudizievoli da esse recati alla salute propria e dei suoi familiari e al valore economico della sua proprietà, ne abbia domandato la cessazione o, almeno, la riduzione entro i limiti della tollerabilità, unitamente al risarcimento del danno, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, avuto riguardo al "petitum" sostanziale della domanda, la quale non concerne l'annullamento del provvedimento amministrativo di autorizzazione all'istallazione e gestione dell'impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica (né presuppone l'accertamento della sua illegittimità), ma ha ad oggetto la tutela dei diritti soggettivi alla salute e di proprietà, sul fondamento della violazione dei limiti di tollerabilità previsti dall'art.844 c.c. (Regola giurisdizione).

Cass. civ. n. 11105/2020

In tema di immissione di onde elettromagnetiche, il principio di precauzione - sancito dall'ordinamento comunitario come cardine della politica ambientale - è assicurato dallo stesso legislatore statale attraverso la regolamentazione contenuta nella l. n. 36 del 2001 e nel d.p.c.m. 8 luglio 2003, che ha fissato i parametri relativi ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione e agli obiettivi di qualità, i quali non sono modificabili, neppure in senso restrittivo, dalla normativa delle singole Regioni (Corte cost., sentenza n. 307 del 2003), ed il cui mancato superamento osta alla possibilità di avvalersi della tutela giudiziaria preventiva del diritto alla salute, che è ipotizzabile solo in caso di accertata sussistenza del pericolo della sua compromissione, da ritenersi presuntivamente esclusa quando siano stati rispettati i limiti posti dalla disciplina di settore. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 25/05/2015).

Cass. civ. n. 28201/2018

Il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (cd. criterio comparativo), sicché la valutazione diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale, appropriatamente e globalmente considerata.

Cass. civ. n. 23754/2018

I parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell'ambiente (dirette alla protezione di esigenze della collettività, di rilevanza pubblicistica), pur potendo essere considerati come criteri minimali inderogabili, al fine di stabilire l'intollerabilità delle emissioni che li superino, non sono sempre vincolanti per il giudice civile il quale, nei rapporti fra privati, può pervenire al giudizio di intollerabilità ex art. 844 c.c. delle dette emissioni anche qualora siano contenute nei summenzionati parametri, sulla scorta di un prudente apprezzamento che tenga conto della particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica. La relativa valutazione, ove adeguatamente motivata, nell'ambito dei principi direttivi indicati dal citato art. 844 c.c., con specifico riguardo al contemperamento delle esigenze della proprietà privata con quelle della produzione, costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 21554/2018

L'art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell'ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Viceversa, l'accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c. comporta, nella liquidazione del danno da immissioni, l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso poiché, venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. e specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile, in quello dell'art. 2059 c.c. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata per avere applicato, ai fini dell'ammontare del risarcimento, pure il criterio della "priorità dell'uso" in un caso in cui le immissioni provenienti da un'officina superavano la soglia di normale tollerabilità).

Cass. civ. n. 21504/2018

L'art. 844, comma 2, c.c., nella parte in cui rimette alla valutazione del giudice il contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, considerando eventualmente la priorità di un determinato uso, va letto tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell'attività di produzione, oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, sicché deve sempre considerarsi prevalente - rispetto alle esigenze della produzione - la soddisfazione di una normale qualità della vita. Ne deriva l'esclusione, in siffatta evenienza, dell'impiego di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso.

Cass. civ. n. 11677/2018

In tema di immissioni che superino la normale tollerabilità, la mancanza della certificazione di abitabilità del bene interessato dalle predette propagazioni non fa venir meno la tutela prevista dall'art. 844 c.c., ad esclusione dei casi in cui emergano circostanze concrete che incidano, negandola, sulla configurabilità dell'illegittima limitazione del godimento dello stesso o della concreta riduzione del suo valore.

Cass. civ. n. 4908/2018

In materia di immissioni intollerabili, allorché le stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilità ex art. 2043 c.c. per i danni da esse derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore del bene, soltanto quando si accerti in concreto che, al momento della stipula del contratto di locazione, il proprietario avrebbe potuto prefigurarsi, impiegando la diligenza di cui all'art. 1176 c.c., che il conduttore avrebbe certamente recato danni a terzi con la propria attività.

Cass. civ. n. 1606/2017

In tema di immissioni (nella specie di rumori ed esalazioni provocati dallo svolgimento di attività di officina), i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità ex art. 844 c.c. costituiscono tipicamente accertamenti di natura tecnica che, di regola, vengono compiuti mediante apposita consulenza d'ufficio con funzione "percipiente", in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l'intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, potendosi in tale materia ricorrere alla prova testimoniale soltanto quando essa verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti e non si riveli espressione di giudizi valutativi.

Cass. civ. n. 1069/2017

In materia di immissioni, il superamento dei limiti di rumore stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che disciplinano le attività produttive è, senz’altro, illecito, in quanto, se le emissioni acustiche superano la soglia di accettabilità prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettività, così pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione esse, ove si risolvano in immissioni nell'ambito della proprietà del vicino, - ancor più esposto degli altri, in ragione della contiguità dei fondi, ai loro effetti dannosi - devono, per ciò solo, considerarsi intollerabili, ex art. 844 c.c. e, pertanto, illecite anche sotto il profilo civilistico.

Cass. civ. n. 23245/2016

L'azione, di natura reale, esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l'accertamento della illegittimità delle immissioni e l'eliminazione, mediante modifiche strutturali, delle cause originanti le stesse, va proposta nei confronti del proprietario del fondo dal quale tali immissioni provengono e può essere cumulata con la domanda, proponibile verso altro convenuto, per responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., volta a conseguire il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionato.

Cass. civ. n. 16074/2016

La tutela prevista dall'art. 844 c.c. concerne anche i fondi rustici, senza che rilevi, ai fini dell'apprezzamento della tollerabilità delle immissioni sonore, come l'immobile sia accatastato, atteso che anche un fabbricato rurale può essere adibito ad uso abitativo di chi coltiva il fondo e, pur se destinato esclusivamente a lavorazioni agrarie, resta imprescindibile l'esigenza di tutela delle persone che in esso svolgono le suddette attività.

Cass. civ. n. 14180/2016

In tema di immissioni acustiche (nella specie provenienti da circolazione stradale), viene in rilievo l'art. 844 c.c., che detta una regola concepita per risolvere i conflitti di interesse tra usi diversi di unità immobiliari contigue qualora le immissioni superino la normale tollerabilità e che, solo in caso di svolgimento di attività produttive, consente l'elevazione della soglia di tollerabilità, sempre che non venga in gioco il diritto fondamentale alla salute, da considerarsi valore comunque prevalente rispetto a qualsiasi esigenza della produzione, in quanto funzionale al diritto ad una normale qualità della vita.

Cass. civ. n. 23283/2014

In caso di immissioni rumorose in danno di un appartamento provenienti dall'impianto termico condominiale ed eccedenti la normale tollerabilità, ai sensi dell'art. 844 c.c., sussiste la responsabilità del condominio, ex art. 2043 c.c., di risarcire i danni subiti dal proprietario dell'unità immobiliare, senza che assuma rilievo la circostanza che l'impianto sia a norma e mantenuto a regola d'arte, in quanto le immissioni moleste integrano comunque gli estremi di un'attività vietata.

Cass. civ. n. 17051/2011

Il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo), sicché la valutazione ex art. 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale. Spetta al giudice del merito accertare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell'ambito della normale tollerabilità.

Cass. civ. n. 2319/2011

Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 1° marzo 1991, il quale, nel determinare le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti di tollerabilità in materia di immissioni rumorose, al pari dei regolamenti comunali limitativi dell'attività rumorosa, fissa, quale misura da non superare per le zone non industriali, una differenza rispetto al rumore ambientale pari a 3 db in periodo notturno e in 5 db in periodo diurno, persegue finalità di carattere pubblico ed opera nei rapporti tra i privati e la P.A.. Le disposizioni in esso contenute, perciò, non escludono l'applicabilità dell'art. 844 c.c. nei rapporti tra i privati proprietari di fondi vicini.

Cass. civ. n. 5564/2010

In tema di immissioni, l'art. 844, secondo comma, c.c., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, considerando eventualmente la priorità di un determinato uso, deve essere letto, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento ad una normale qualità della vita. Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da un'attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati, nel pubblico interesse, da leggi o regolamenti, e da verificarsi in riferimento alle condizioni del fondo che le subisce, sono da reputarsi illecite, sicché il giudice, dovendo riconoscerle come tali, può addivenire ad un contemperamento delle esigenze della produzione soltanto al fine di adottare quei rimedi tecnici che consentano l'esercizio della attività produttiva nel rispetto del diritto dei vicini a non subire immissioni superiori alla normale tollerabilità. (Fattispecie relativa ad immissioni rumorose al di sopra della normale tollerabilità determinate da attività di ristorazione, caratterizzata principalmente dallo svolgimento di banchetti nuziali, con notevole afflusso di persone).

Cass. civ. n. 3438/2010

Il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma è relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della stessa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della Corte di merito che aveva ritenuto non tollerabile immissioni acustiche prodotte dal funzionamento di un'autoclave e di un bruciatore, tenuto conto degli elevati livelli dei valori sonori, accertati strumentalmente, della situazione dei luoghi, trattandosi di edificio ubicato in comune montano, del funzionamento dei detti impianti per molti mesi dell'anno ed anche in ore notturne, della collocazione degli stessi in un locale a stretto contatto con la camera da letto degli attori e della necessità di questi, data la loro avanzata età, di godere di tranquillità e riposo ed aveva, altresì, disposto l'adozione degli accorgimenti suggeriti dal c.t.u.).

Cass. civ. n. 8420/2006

La norma sulla disciplina delle immissioni di cui all'art. 844 c.c., nel prevedere la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, tenendo eventualmente conto della priorità di un determinato uso, deve essere interpretata, tenendo conto che il limite della tutela della salute è da considerarsi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, sicché è legittima la statuizione del giudice di merito preclusiva del prolungamento di un'attività sostanzialmente nociva alla salute dei vicini del fondo, da considerarsi valore prevalente, in funzione del soddisfacimento del diritto ad una normale qualità della vita, rispetto alle esigenze dell'attività commerciale esercitata nel fondo confinante, nel quale la produzione, ancorché iniziata anteriormente all'edificazione dell'immobile limitrofo, si sia svolta e, poi, protratta senza la predisposizione di apposite misure di cautela idonee ad evitare o limitare l'inquinamento atmosferico. (Nella specie, la S.C., sulla scorta di questo principio, ha confermato l'impugnata sentenza, con la quale il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva, interpretando nei suddetti termini l'art. 844 c.c., ordinato l'immediata cessazione di un allevamento di galline, oltre a riconoscere il correlato risarcimento del danno, in quanto detta attività commerciale, ancorché preventivamente iniziata, era proseguita senza che venisse approntato alcun idoneo accorgimento tale da impedire la propagazione di persistenti esalazioni maleodoranti nel fondo limitrofo).

Cass. civ. n. 2166/2006

In tema di immissioni (nella specie rumori provocati da attività sportive praticate all'aperto), il contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle ricreative e sportive, che ai sensi dell'art. 844 c.c. deve essere compiuto anche tenendo conto della condizione dei luoghi, postula la concreta valutazione di ormai diffusi abitudini di vita e comportamenti sociali, nell'ambito dei quali lo svolgimento delle suddette attività, prevalentemente praticate all'aria, è notoriamente più intenso durante le stagioni caratterizzate da un maggior numero di ore di luce e dal clima più favorevole; pertanto, il limite di normale tollerabilità delle immissioni non può essere dal giudice determinato in termini assolutamente avulsi dalla considerazione delle suesposte componenti, trattandosi di elementi intrinsecamente connotanti la liceità delle forme di godimento della proprietà, da valutarsi sullo sfondo del particolare contesto ambientale e sociale nel quale le opposte esigenze assumono rilievo.

Qualora sia in discussione la legittimità da parte della Chiesa e degli enti ecclesiastici dell'uso iure privatorum di beni soggetti, ex art. 831 c.c.. alle norme del codice civile — in quanto non diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano — la Chiesa e le sue istituzioni sono tenute all'osservanza, al pari degli altri soggetti giuridici, delle norme di relazione e quindi alle limitazioni del diritto di proprietà, fra le quali rientrano quelle previste dall'art. 844 c.c. essendo esse inidonee a dare luogo a quelle compressioni della libertà religiosa e delle connesse alte finalità che la norma concordataria di cui all'art. 2 delle legge n. 121 del 1985, in ottemperanza al dettato costituzionale, ha inteso tutelare, non avendo lo Stato rinunciato alla tutela di beni giuridici primari garantiti dalla Costituzione (artt. 42 e 32), quali il diritto di proprietà e quello alla salute. (Nella specie, è stata ritenuta applicabile la disciplina dettata dall'art. 844 c.c. alle immissioni sonore provocate dalle attività sportive praticate nel «campo giochi» di una parrocchia).

Cass. civ. n. 23/2004

Tenuto conto che sono legittime le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, purché formulate in modo espresso o comunque non equivoco — si da non lasciare alcun margine d'incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni — le norme regolamentari possono imporre limitazioni al godimento degli immobili di proprietà esclusiva secondo criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall'art. 844 c.c. Ne consegue che in tal caso la liceità o meno dell'immissione deve essere determinata non sulla base della norma civilistica generale ma alla stregua del criterio di valutazione fissato dal regolamento. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di appello, secondo cui la destinazione di un appartamento a studio medico dentistico non violava la norma del regolamento condominiale di natura contrattuale che vietava l'esercizio negli immobili di proprietà esclusiva di attività rumorose maleodoranti ed antigieniche, atteso che l'attività espletata non presentava in concreto tali caratteri).

Cass. civ. n. 5697/2001

Per stabilire se le immissioni — nella specie rumori, fumo ed esalazioni provenienti da un opificio di panificazione — che si propagano dall'immobile del vicino su quello altrui superano la normale tollerabilità occorre avere riguardo alla destinazione della zona ove sono situati gli immobili, perché se è prevalentemente abitativa, il contemperamento delle ragioni della proprietà con quelle della produzione deve essere effettuato dando prevalenza alle esigenze personali di vita del proprietario dell'immobile adibito ad abitazione rispetto alle utilità economiche derivanti dall'esercizio di attività produttive o commerciali nell'immobile del vicino.

Cass. civ. n. 4963/2001

Quando l'attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio, direttamente o tramite detentore qualificato, è idonea a determinare il turbamento del bene della tranquillità degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento condominiale, non occorre accertare al fine di ritenere l'attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex art. 844 c.c., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dall'indicata norma generale sulla proprietà fondiaria. Né, peraltro, in detta materia è applicabile la legge 26 ottobre 1995, n. 477, sull'inquinamento acustico, perché detta normativa attiene a rapporti di natura pubblicistica tra la P.A., preposta alla tutela dell'interesse collettivo della salvaguardia della salute in generale, ed i privati esercenti le attività contemplate, prescindendo da qualunque collegamento con la proprietà fondiaria.

Cass. civ. n. 15509/2000

L'art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l'obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall'uso delle proprietà attuato nel contesto delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Al di fuori di tali limiti, si è in presenza di un'attività illegittima, di fronte alla quale non ha ragion d'essere l'imposizione di un sacrificio all'altrui diritto di proprietà o di godimento e non sono quindi applicabili i criteri dettati dall'art. 844 c.c. ma, venendo in considerazione, in tali ipotesi, unicamente l'illiceità, del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema generale dell'azione di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. che può essere proposta anche cumulativamente con l'azione ex art. 844 c.c.

Cass. civ. n. 14353/2000

In tema di immissioni, l'accertamento delle cause che determinano immissioni moleste nel fondo altrui non influisce sul giudizio di tollerabilità delle stesse, da effettuarsi, secondo i criteri all'uopo indicati dall'art. 844 c.c., cui è estraneo il criterio della colpa. Pertanto, una volta accertata l'esistenza della propagazione molesta e stabilito, secondo i criteri dettati dall'art. 844 c.c., il suo grado di tollerabilità, l'individuazione delle cause può servire soltanto per stabilire le eventuali misure da adottare per la sua eliminazione.

Cass. civ. n. 13334/1999

In tema di immissioni in alienum, il criterio del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, posto dall'art. 844, secondo comma, c.c., non implica che nelle zone a prevalente vocazione industriale debbano necessariamente considerarsi lecite e tollerabili, per il solo fatto della destinazione urbanistica data dalla competente pubblica amministrazione all'area interessata dal fenomeno, le immissioni di qualsiasi natura ed entità determinate dall'attività produttiva, ma implica solo che, nella riconosciuta preminenza dell'interesse collettivo, in termini di prodotto e di occupazione, ala prosecuzione dell'attività immissiva, possa essere effettuata una valutazione comparativa degli interessi dedotti in giudizio ai fini della determinazione del contenuto della sanzione da applicare, ciò che si realizza con l'attribuire al giudice, una volta che abbia riconosciuto l'esigenza del mantenimento dell'attività produttiva, il potere di astenersi dall'adozione di misure inibitorie, e di far luogo, invece, a statuizioni che, pur con il sacrificio della piena tutela della proprietà individuale, consentano la prosecuzione dell'attività immissiva dietro pagamento di un congruo indennizzo, sempre che detta attività rimanga nei limiti della normale tollerabilità, configurandosi come dannosa, ma lecita. Ove, invece, tali limiti siano superati, si è in presenza di un'attività illegittima, traducentesi in fatti illeciti generatori di danno risarcibile ex art. 2043 c.c.

Cass. civ. n. 161/1996

In materia di immissioni dannose (nella specie di natura olfattiva) il criterio del preuso cui fa riferimento l'art. 844, comma 2, c.c. ha carattere sussidiario e facoltativo, sicché il giudice del merito nella valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, non è tenuto a farvi ricorso quando, in base agli opportuni accertamenti di fatto, e secondo il suo apprezzamento, incensurabile se adeguatamente motivato, ritenga superata la soglia di tollerabilità.

Cass. civ. n. 3090/1993

La disposizione dell'art. 844 c.c., è applicabile anche negli edifici in condomino nell'ipotesi in cui un condomino nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini. Nell'applicazione della norma deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In particolare, nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell'utilità sociale, cui è informato l'art. 844 citato, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (v. Cost., artt. 14, 31 e 47) le esigenze personali di vita connesse all'abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all'esercizio di attività commerciali. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva ordinato la rimozione dal muro perimetrale comune di una canna fumaria collocata nella parte terminale a breve distanza dalle finestre di alcuni condomini, destinata a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli odori prodotti dal forno di un esercizio commerciale ubicato nel fabbricato condominiale).

Cass. civ. n. 8271/1990

L'utilizzazione di un fondo per il decollo e l'atterraggio di elicotteri, in relazione ad esigenze individuali del proprietario (comodità e rapidità di spostamenti), integra attività privatistica, ancorché soggetta ad autorizzazione amministrativa. Pertanto, nel rapporto di vicinato, i rumori e le altre immissioni provocate da detta utilizzazione non si sottraggono alle disposizioni di cui all'art. 844 primo comma c.c., di modo che possono essere impedite dal proprietario del fondo limitrofo, ove superino la normale tollerabilità, anche con riguardo alla condizione dei luoghi (nella specie, amena zona collinare, con caratteri residenziali di elevata qualità).

Cass. civ. n. 3675/1989

Ai fini dell'art. 844 c.c. l'intollerabilità delle immissioni (nella specie esalazioni provenienti dalla evaporazione di idrocarburi adoperati per il lavaggio di pezzi meccanici), da valutarsi tenuto conto del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, sussiste anche quando esse, pur non essendo di eccessiva entità, risultino nocive, a causa della loro costanza ed ineliminabilità che le rende insopportabili, al bene primario della salute.

Cass. civ. n. 6534/1985

Ai fini della valutazione della liceità delle immissioni, l'art. 844 c.c. enuncia tre diversi criteri, di cui due obbligatori ed uno facoltativo e sussidiario: i criteri obbligatori sono quelli della normale tollerabilità e del contemperamento delle ragioni della proprietà con le esigenze della produzione, mentre il criterio facoltativo è quello della priorità dell'uso.

Cass. civ. n. 4523/1984

In tema di immissioni (nella specie di rumori), le disposizioni dell'art. 844 c.c. trovano applicazione avendo riguardo alla situazione del fondo che le riceve, con la conseguenza che se questo è sito in zona residenziale, la normale tollerabilità deve essere valutata in base ai criteri vigenti in tale zona, in cui le immissioni stesse si propagano, a nulla rilevando la loro normalità riferita al luogo di provenienza (nella specie, zona industriale).

Cass. civ. n. 1115/1982

L'art. 844, secondo comma, c.c., che in materia di immissioni, prevede il contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, si applica in ogni caso in cui vi sia conflitto fra la tutela del diritto di proprietà e le esigenze della produzione, quale che sia il campo in cui questa si esplichi, industriale, agricolo o di altra natura, ed anche se essa concerna, invece di beni, servizi (nella specie: servizio della conservazione di prodotti ortofrutticoli, ai fini della vendita al dettaglio, realizzato da impianti refrigeratori).

Cass. civ. n. 3401/1981

Ai fini della valutazione della liceità o meno delle immissioni, il criterio della priorità dell'uso ha natura secondaria e facoltativa, dovendo il limite della tollerabilità accertarsi tenendo conto, anzitutto, della situazione dei luoghi e della necessità di contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione. (Nella specie, il giudice del merito aveva ritenuto che, in una zona residenziale ma con prevalenti interessi industriali, il limite di tollerabilità dei rumori prodotti da uno stabilimento è, indipendentemente dalla data della sua installazione, inevitabilmente più elevato che in una zona soltanto residenziale. La Corte Suprema ha confermato tale decisione enunciando l'anzidetto principio).

Cass. civ. n. 1364/1978

La disciplina dell'art. 844 c.c. è applicabile unicamente alle immissioni indirette, e cioè alle immissioni prodotte dalla propagazione o dalla ripercussione di un fatto posto in essere nel fondo del vicino, ma non alle immissioni dirette, causate immediatamente nel fondo altrui, né alle altre attività illecite compiute da terzi esclusivamente in quest'ultimo. Conseguentemente non può essere imposta al convenuto la chiusura del fondo destinato ad osteria per evitare i danni derivanti dallo sconfinamento di avventori del fondo vicino, poiché tale fatto non può configurarsi come la propagazione in alienum di un'attività svolta nel fondo, ma è un illecito autonomo, contro il quale non è data altra protezione se non quella offerta dall'art. 2043 c.c.

Cass. civ. n. 111/1975

La priorità dell'uso in tema di immissioni ha carattere oggettivo, in quanto l'uso o la destinazione considerati in rapporto con la loro priorità riguardano i fondi e la produzione industriale nei loro reciproci rapporti, e non i proprietari e gli imprenditori tra quali sia sorta la controversia; essa non è pertanto identificabile con quella esistente al momento dell'acquisto della proprietà o della titolarità d'impresa da parte dei soggetti litiganti. (Nella specie, la C.S. ha ritenuto irrilevante, al fine di valutare la liceità delle immissioni di un impianto cementizio e determinare l'indennità dovuta in ragione delle immissioni dannose a carico di un terreno vicino, l'anteriorità dell'esercizio industriale rispetto alla data di acquisto del terreno stesso da parte dell'attore).

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Consulenze legali
relative all'articolo 844 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D. C. chiede
domenica 14/01/2024
“Spett.le Brocardi.it,
il presente quesito è finalizzato a sapere se il testo di una missiva che sto per inoltrare all’amministratore del condominio (missiva che Vi allego), avente ad oggetto i rumori molesti che subisco a causa dei condomini dell’appartamento soprastante al mio, può espormi a dei rischi o a delle ritorsioni di carattere legale.
Mi spiego meglio: vorrei sapere se i condomini dell’appartamento soprastante potrebbero impugnare la missiva che sto per inoltrare all’amministratore e denunciarmi per avere commesso degli ipotetici illeciti di carattere penale (come ad esempio falso, diffamazione, interferenze illecite nella vita privata, eccetera) o di carattere civile (di qualsiasi genere o tipologia).

Descrivo in estrema sintesi la situazione da cui nasce la missiva.
A) Sono proprietario di un appartamento in condominio e da circa 3 anni subisco rumori molesti dall’appartamento soprastante (alloggio popolare erp attualmente locato e abitato da 4 persone); in questi anni ho provato a resistere e a rappresentare in via bonaria la problematica agli abitanti ma al di là delle apparenti scuse verbali la situazione è rimasta sostanzialmente immodificata.
B) Nel Marzo 2023 ho rappresentato la problematica all’amministratore del condominio che si è reso disponibile a mediare e a trovare una soluzione di tipo extragiudiziale: in prima battuta, ha interessato i condomini responsabili dei rumori verbalmente, che purtroppo hanno negano tutto; in seconda battuta, mi ha chiesto di effettuare (e di inoltrargli) delle riprese audio-videografiche che ritraggono i rumori all’interno del mio appartamento, proponendosi poi di recarsi personalmente dai condomini responsabili con le riprese in mano e di ammonirli a cessare le condotte rumorose.
C) Ho aderito quindi all’invito dell’amministratore e ho provveduto ad effettuare delle registrazioni in casa mia tramite una webcam; mi appresto ora ad inoltragli il materiale richiesto, unitamente ad una lettera accompagnatoria (oggetto del presente quesito) nella quale ho riportato tutte le informazioni in mio possesso utili per ricostruire gli accadimenti; ho inoltre aggiunto, alle riprese, un diario dei rumori molesti subiti.

Sono consapevole che le registrazioni effettuate non fanno prova in giudizio ma vorrei comunque assecondare le richieste dell’amministratore perché ho fiducia nel suo operato (per lo meno in questa fase extragiudiziale).
Vi allego la missiva che ho predisposto, significando che, a seguito di Vostra valutazione, e su Vostra eventuale indicazione, potrei ancora tutelarmi apportando le dovute modifiche al testo e/o ‘correggendo il tiro’ a talune frasi o affermazioni che ho scritto, prima di procedere all’invio.
Ringrazio in anticipo per quanto potrete fare.”
Consulenza legale i 23/01/2024
Stante quello che lei ha descritto si consiglia fortemente di non assecondare in alcun modo le richieste dell’amministratore, e di non procedere alla consegna né della relazione né tantomeno delle registrazioni audio. La relazione inoltre ha il forte problema di essere troppo ricca di informazioni e troppo lunga, circostanza questa che potrebbe andare a pregiudicare una successiva linea difensiva qualora si volesse procedere giudizialmente nei confronti dei vicini chiassosi. Per quanto si è sicuri che le intenzioni dell’amministratore siano buone, si dubita fortemente che il suo intervento possa sortire l’effetto sperato, stante anche il forte disinteresse manifestato allo stato attuale dalla controparte.

Si consiglia invece, di portare tutta la documentazione in suo possesso da un legale della sua zona che goda della sua piena fiducia affiche lei possa valutare col professionista incaricato la migliore tutela delle sue giuste ragioni.
In particolare, il collega dovrà inizialmente intimare per iscritto ai vicini la cessazione di ogni rumore molesto: successivamente, se questo primo approccio non avrà sortito alcun effetto, si dovrà valutare la possibilità e l’opportunità di radicare un contenzioso nei confronti della controparte per immissioni ex art. 844 del c.c., preceduto da un obbligatorio tentativo di mediazione ex D.Lgs. n.28/10. In tale contenzioso sarà essenziale e fondamentale per la sua buona riuscita dimostrare che le immissioni prodotte dall’appartamento dei vicini superi la normale tollerabilità.

Per dimostrare tale ultima circostanza, sarà importante ancor prima di radicare il contenzioso, dare incarico ad un perito che valuti proprio se tali rumori integrino i requisiti richiesti dall’art 844 del c.c. A questo proposito, l’elaborato da lei predisposto potrà dare utili spunti difensivi ma è importante che esso venga esaminato prima di tutto da professionisti competenti e a ciò dedicati (cosa che certamente non è i l suo amministratore di condominio), e non è opportuno che finisca nelle mani della controparte prima ancora di rivolgersi ad un legale. Ci si rende conto che la strada che viene prospettata possa apparire più tortuosa ed economicamente più gravosa, ma si è convinti che essa sia l’unica che possa tutelare al meglio le sue ragioni.

Sotto l’aspetto penalistico non pare che lo scritto da lei fornito possa comportare rischi particolari, ma ogni rischio seppur minimo verrà neutralizzato se farà leggere il suo elaborato solo a professionisti che hanno le necessarie competenze per assisterla.


G. V. chiede
lunedì 04/12/2023
“Buongiorno espongo brevemente il mio quesito
Nel 2019 abbiamo fatto un atp preventiva, per danni causati al nostro immobile a seguito di lavori di ristrutturazione del vicino confinante ( no condominio ) . Il consulenze tecnico nominato da giudice con il proprio ausiliario ha fatto la relazione con misure, fotografie e rilevamenti acustici.
La relazione viene acquisita nel successivo giudizio civile, in quanto la medisazione è andata ko,( le cose richieste in mediazione erano spostare i servizio igienico costruito ex novo a distanze inferiori da quelle consentite di legge, in aderenza della cucina e della camera da letto) Dalla relazione del ctu in atp è sorto che i rumori causati dal bagno e dalla lavatrice erano superiori a quanto stabilito dalla legge, e che i danni subiti erano colegati alla esecuzione dei lavori.
In corso di causa civile, la controparte accusa terzi, che non essendo presenti in atp ed inmediazione non si son potuti difendere come da contradditorio ( cosa a lui nota..ma per allungare la situazione ha studiato tutto ad ok)
Durante l'istaurazione del processo civile presantano un pdc in sanatoria nel 2021 viene
negato , e dopo 3mesi presenta una scia in sanatoria ( presentata in modo aritificioso approfitando del superbonus) facendo riferimento a condoni del 1980 ecc.. in modo da trarre in inganno la p.a. ...nonostante questo dietro ns sollecito, il comune prende in riesame anche questo ennesimo titolo e lo diniega.
Adesso il giudice da prima ha dato ok per acquisizione della ctu del 2019, che faceva una fotografia allo stato di luoghi..successivamnete mancano il contradditorio l'ha resa nulla.
Abbiamo gia eseguito il nuovo incontro con tutte le parti in causa e quindi con i terzi chiamati..ma gia da un primo rilievo risultano eseguiti dei lavori, che nemmeno dai docmuenti presenti in comune risultavano...
Ovvero la costruzione su alcune pareti di pannelli per l'isolamento acustico, come erano stati indicati nella precedente atp ..
Pertanto i luoghi sono variati, e a seguito della eventuale valutazione dei rumori certamente le misurazioni saranno differenti dalle precedenti..
Mi chiedo come sia possibile variare in corso di causa lo stato dei luoghi che sono oggetto del danno che abbiamo e stiamo subendo dal 2017...
E inoltre se l'operato del vicino sia stato corretto, in quanto ha eseguito opere che avevamo richiesto in atp, da lui non accettate a suo tempo, il utto per dimostrare che i suoi lavori sono corretti che non ci hanno arrecato danni dai rumori, che si potraggono dal 2017 ad oggi..ma essendo la ctu precedente annullata..non vi sarebbe alcuna traccia di quanto patito..
Gradirei avere una vs risposta in merito, se durante un procedimento civile in cui venga rinnovata la ctu per mancato contradditorio, se i dati obbiettivi risultanti dalla precedente atp , ovvero misurazioni fatte con un metro e con un fonometro, quindi dati certi che non possono essere soggetto di contestazione in quanto numeri..e non pareri o giudizi o interpretazioni alcuna, possono essere presi in considerazione e che l'azione fatta dal vicino sia inqyuadrabile come azione per trarre in inganno il giudice ecc..grazie
Vorrei sapere come poter aver una vs consulenza.”
Consulenza legale i 12/12/2023
Il quesito proposto presenta uno sviluppo processuale piuttosto complesso.
Lo svolgimento di un ATP per verificare l’intollerabilità dei rumori provenienti dal bagno e una causa successiva in cui è stata chiamata in causa dal convenuto una terza parte risultata responsabile, all’esito dell’ATP, della mala esecuzione dei lavori di ristrutturazione.
Si suppone che sia stata introdotta un’azione inibitoria ex art. 844 c.c. e una domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 del c.c..

Sembra che, dopo l’inizio del giudizio di merito, siano stati eseguiti dei lavori da parte del convenuto di insonorizzazione del bagno come indicati all’esito della precedente consulenza tecnica svolta in sede di ATP.

Si analizzano, in primo luogo, le conseguenze della chiamata in causa del terzo.
Si sottolinea come la chiamata in causa del terzo sia dipesa dall’esito del precedente ATP e che sia quindi diritto del convenuto svolgerla al fine di farsi tenere indenne per le opere che ha eseguito o dovrà eseguire e le conseguenze degli eventuali danni che dovrà risarcire per l’intollerabilità dei rumori subiti dal vicino.
Non si ritiene, quindi, che sotto questo profilo ci sia stato un comportamento processuale scorretto della controparte.
È corretto che il giudice non possa acquisire la consulenza tecnica svolta in un procedimento senza il contradditorio di tutte le parti.
Tale consulenza però ha fotografato lo stato dei luoghi precedente all’esecuzione dei lavori e può essere utilizzata dall’attore come prova a tal fine.
La consulenza tecnica successiva evidenzierà che sono stati di recente eseguiti dei lavori che hanno modificato lo stato dei luoghi anche rispetto ai documenti presenti nelle pratiche comunali.
Ammesso che ora la misurazione del rumore risulti diversa, ciò non dimostra che prima i rumori non ci fossero.
Anzi, il fatto che siano stati eseguiti i lavori di insonorizzazione del bagno descritti nella precedente consulenza tecnica è un elemento di prova della consapevolezza del convenuto della intollerabilità dei rumori prodotti.
Sarà compito del consulente tecnico di parte evidenziare che c’è stata una precedente consulenza prima dell’esecuzione dei lavori che ha dato determinati risultati e sollecitare il nuovo CTU affinché calcoli in maniera ipotetica l’immissione rumorosa esistente prima della nuova insonorizzazione.
Si ritiene che il CTU possa quindi utilizzare la precedente perizia come punto di partenza per la nuova consulenza.
Si consiglia anche, sebbene sia irrituale, di predisporre un’istanza al giudice affinché integri il quesito del consulente inserendo di eseguire l’analisi in considerazione dei lavori svolti e di cui si è venuto a conoscenza solo una volta iniziate le operazioni peritali.
Inoltre, poiché l’azione inibitoria per fare cessare i rumori ex art. 844 c.c., ha natura reale, il legittimato passivo della domanda è il proprietario (o locatore) ma non il terzo che ha eseguito male i lavori.
È solo il proprietario che potrà rivalersi poi sull’impresa se davvero risultasse una mala esecuzione delle opere.
L’attore, quindi, non dovrà estendere la propria domanda anche nei confronti di questo soggetto.

In secondo luogo, si affronta la questione della conseguenza dell’esecuzione dei lavori di insonorizzazione durante il processo.
Sembra che queste opere abbiano risolto la causa dei rumori lamentati che, si presume, fosse la domanda principale del giudizio civile.
Solo se così fosse, si consiglia di modificare la propria domanda in sede di precisazione delle conclusioni dando atto che essendo stati eseguiti durante il giudizio i lavori richiesti in precedenza, si rinuncia alla domanda inibitoria ex art. 844 c.c.
Rimarrà in piedi la domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. che deve essere però espressamente provato.
Anche questa domanda può essere svolta solo nei confronti di colui che ha causato i rumori e anche in questo caso nessuna domanda andrà svolta nei confronti del terzo.

Si consiglia, in conclusione, di non perdere di vista l’obiettivo finale della parte attrice e cioè che venga risolta la causa dei rumori ed essere risarcita degli eventuali danni subiti.

R. C. chiede
domenica 22/10/2023
“Buongiorno, vi espongo il nostro problema nella maniera più sintetica possibile, augurandomi di essere sufficientemente chiaro.
Nel nostro condominio esiste a piano terra un bar che dispone anche di un piano interrato che da un paio di anni è stato adibito a discoteca/locale da ballo.
Oltre al problema del volume della musica quasi sempre molto alta e che impedisce un regolare riposo notturno fino addirittura alle prime ore dell’alba, c’è anche un concreto problema di schiamazzi di ogni tipo della clientela che spesso ubriaca si intrattiene fuori dal locale prima e dopo il suo ingresso nel locale, ad ogni ora della notte.
Noi come condomini ci siamo recati già in Comune più volte, abbiamo parlato anche con il Sindaco, ma i risultati sono stati scarsi. Il Comune ha chiesto ai gestori del bar una relazione di impatto acustico e hanno poi inviato l’Arpa una sera per un controllo, che si è risolto nel nulla, dato che il bar era stato avvisato prima del loro arrivo e si sono comportati di conseguenza tenendo basso il volume della musica.
Da parte nostra, considerato che il problema della musica ad alto volume continua a persistere, stiamo per organizzare una perizia di parte con rilievi fonometrici di un professionista per poi eventualmente utilizzare la relazione tecnica come elemento probante davanti ad un eventuale giudice.
Come suggerito anche dal Comune, per gli schiamazzi abbiamo più volte chiamato i carabinieri che sono intervenuti qualche volta ma si sono limitati a dei brevi sopralluoghi, con il risultato di risolvere solo temporaneamente il problema, che puntualmente si ripresentava nelle notti seguenti.
Il nostro Amministratore ha più volte inviato PEC ai signori del bar discoteca invitandoli al rispetto del regolamento Condominiale, che espressamente prevede la non emissione di rumori o musica dopo le ore 24:00 Malgrado i numerosi richiami, salvo qualche rarissima serata dove il volume era sopportabile, l’esito è stato praticamente nullo, anche se nelle comunicazioni Pec più volte veniva “minacciato” che ci saremmo rivolti alle autorità competenti.
Infine, il punto forse che potrebbe rivelarsi decisivo : il disturbo della musica proviene dal Bar a piano terra con DJ set, ma soprattutto dal locale interrato, dove i clienti ballano con un altro DJ set.
Siamo quasi certi che il locale interrato al momento NON ha i permessi e le licenze in regola per operare come locale da ballo. I gestori del Bar aggirano questo problema sostenendo che nel locale si svolgono feste private ( lo hanno dichiarato persino alla Compagnia di Assicurazione per il Condominio ).
In realtà sostengono il falso, dato che il locale in realtà è pubblico a tutti gli effetti, dato che chiunque può telefonare e prenotare l’ingresso o un tavolo, senza alcuna ulteriore necessità di appartenenza a club o circoli, e tantomeno di esser parente o amico per partecipare a un’ ipotetica “festa privata”.
Abbiamo anche il forte sospetto che i limiti di capienza del locale vengano puntualmente superati, creando potenziali pericoli per la clientela e tutti i condomini residenti nell’edificio. Ci era stato suggerito di rivolgerci ai Vigili del Fuoco per un’ispezione, ma non siamo certi se sia un passo da fare ora o dopo eventuali altre azioni.
Abbiamo inoltre telefonato al commissariato PS di competenza segnalando le presunte irregolarità ma ci è stato risposto che non erano tenuti ( ?? ) a controllare e di rivolgerci nuovamente alla stazione locale dei carabinieri che peraltro come già detto si sono limitati a rispondere alle nostre chiamate e a suggerirci di rivolgerci al Comune per il problema della musica ad alto volume.
A questo punto, quale strada dobbiamo percorrere per avere finalmente un intervento concreto e possibilmente risolutorio, e soprattutto quale Autorità deve intervenire per controllare la presunta attività abusiva di discoteca ? E soprattutto, come rendere necessario ed urgente effettuare il controllo ?
Resto a disposizione in caso necessitiate ulteriori elementi.
Grazie mille.”
Consulenza legale i 27/10/2023
Stante la situazione descritta, l’unica strada da intraprendere è quella di incardinare un contenzioso per immissioni moleste ai sensi dell’art. 844 del c.c. nei confronti della impresa che gestisce i locali bar e sala da ballo, sostenendo la non tollerabilità delle propagazioni sonore che giungono da quei locali.

In questo senso quindi è estremamente importante l’aver commissionato ad un perito l’esecuzione dei rilievi fonometrici ovviamente da effettuarsi durante le ore di frequentazione assidua di quei luoghi di ritrovo. Tale perizia, infatti, sarà la prova principale che verrà utilizzata dal legale a cui vi dovrete necessariamente rivolgere per incardinare tutto il contenzioso.

Nel predisporre la perizia il tecnico incaricato dovrà necessariamente tener conto dei principi che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha espresso in merito al concetto di normale tollerabilità a cui fa riferimento l’art. 844 del c.c.

In questo senso, ad esempio, è molto chiaro Cass.Civ. n.28201 del 05.11.18:" il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante della zona, su cui vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi. Non può giungersi a ritenere intollerabili le immissioni sonore sulla base del livello di rumorosità di fondo calcolato in un solo ambiente e in condizioni di assoluto silenzio, prescindendo dalle normali modalità di utilizzo degli immobili e dal livello di rumorosità della zona, correttamente rilevata" (nello stesso senso da ultimo la recente Cass., 20 gennaio 2023, n.1823).

Vi è da dire inoltre che una vicenda come quella descritta potrebbe rientrare nell’ obbligo previsto dall’art. 5 del D.lgs. 28 del 2010 di esperire un tentativo di mediazione, prima di instaurare il giudizio di merito. Tuttavia come prevede espressamente il co. 5° dell’articolo che si sta commentando, l’obbligo di mediazione non esclude che si possa preventivamente adire il giudice affinché adotti i provvedimenti cautelari ed urgenti, sussistendone ovviamente i presupposti richiesti dalla legge. In particolare l’art. 700 del c.p.c. dispone che: " … chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito."

A parere di chi scrive, stante la gravità della situazione descritta vi sarebbero tutti gli estremi per adire il giudice per richiedere l’emissione di un provvedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 del c.p.c. che disponga la cessazione dei rumori molesti, anche solo se in via provvisoria prima di instaurare il procedimento di mediazione o comunque prima di instaurare ogni causa di merito. Ovviamente anche in sede cautelare la perizia fonometrica già commissionata assumerà una rilevantissima importanza: per tale motivo una volta che il tecnico terminerà il suo lavoro si consiglia di non tardare molto ad adire le vie legali nei confronti del gestore del bar.

F. B. chiede
martedì 20/09/2022 - Veneto
“Buongiorno sono di XXX. C’è un evento musicale autorizzato per 10 giorni dal comune e organizzato dagli studenti universitari a breve distanza (100 m) da un gruppo di abitazioni tra le quali c’è anche la mia. Musica autorizzata fino alle 24:00. Il volume è esagerato. La polizia municipale dice che non può fare nulla per il volume. Che strumenti ho per evitare questo disagio? Devo chiamare un tecnico Arpa e chiedere il vostro aiuto per portare avanti una denuncia per prevenire di rivivere la stessa il prossimo anno o ci sono altre vie? Può servire raccoglie firme dal vicinato o bisogna creare un comitato? Gli organizzatori dell’evento non hanno fatto nessun studio dell’impatto ambientale della zona e probabilmente non hanno avuto il parere positivo dei vigili del fuoco perché la zona non presenta vie di fuga essendo circondata dalle mura di XXX e da un canale.”
Consulenza legale i 27/09/2022
Secondo la normativa di riferimento relativa all’inquinamento acustico, i Comuni sono competenti ad autorizzare, anche in deroga ai valori limite di immissione, lo svolgimento di attività temporanee e di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico e per spettacoli a carattere temporaneo ovvero mobile, nel rispetto delle prescrizioni indicate dal Comune stesso (art. 6, L. n. 447/1995).
Tale previsione viene interpretata nel senso di ammettere la deroga ai valori limite soltanto per attività sporadiche ed occasionali, quali una festa paesana, uno spettacolo in piazza, una specifica manifestazione destinata a tenersi in una certa data ed in una certa ora, ma non permette in alcun modo di estendere la deroga anche ad attività di carattere continuativo, quale quella di un esercizio commerciale, che per loro natura incidono in modo molto più rilevante sul bene salute tutelato dalle norme in tema di inquinamento acustico (T.A.R. Brescia, sez. I, 13 aprile 2011, n. 556).
L’attività autorizzata nel caso di specie ha una durata abbastanza limitata, che la fa dunque rientrare nella categoria degli eventi temporanei per i quali è ammessa la deroga alle ordinarie soglie di inquinamento acustico.
Questo, tuttavia, non consente agli organizzatori di agire in completa libertà, in quanto sono comunque tenuti al rispetto delle specifiche prescrizioni contenute nell’autorizzazione.
In genere, inoltre, i Comuni disciplinano la materia con appositi regolamenti, che possono anche contenere norme di dettaglio in materia di autorizzazioni per gli eventi temporanei.
Per quanto riguarda la sicurezza delle manifestazioni in luoghi pubblici, infine, il Ministero dell’Interno ha emanato vari provvedimenti (ad es. la circolare n. 11001/110(10) del 28.07.2017 e la direttiva n. 11001/1/110 del 18.07.2018) con le indicazioni da seguire, aspetto che probabilmente è stato valutato nel corso dell’istruttoria finalizzata all’autorizzazione dell’evento.

Pertanto, è opportuno verificare, mediante un accesso agli atti, il contenuto del provvedimento autorizzativo e del regolamento comunale, per capire se l’evento sia stato organizzato nel rispetto dei principi sopra enunciati.
In caso contrario, è possibile sollecitare il potere sanzionatorio del Comune (anche segnalando l’accaduto alla Polizia locale o alle forze dell’ordine).
In alternativa, rimane sempre la possibilità di ricorrere al TAR, nel termine di decadenza di sessanta giorni, contro il provvedimento autorizzativo, chiedendo la concessione di una misura cautelare che impedisca l’evento (non è possibile in questa sede, comunque, indicare se un eventuale ricorso possa essere passibile di accoglimento, non avendo potuto esaminare i documenti rilevanti).
La raccolta firme, invece, ha l’effetto di rendere noto al Comune il malcontento di una parte dei cittadini e forse sarebbe più efficace prima che venga rilasciata l’autorizzazione per il prossimo anno, ma non impegna l’attività dell’Ente.

M. A. chiede
mercoledì 07/09/2022 - Lombardia
“Locale sottostante la mia abitazione adibito a bar con musica 7 giorni su 7 dalle ore 23 alle ore 4 del mattino.
effettuato misura fonometrica all'interno della mia abitazione secondo art. 844 cc, i valori rientrano nei 3 decibel dal rumore di fondo.
Tali rumori sono esclusivamente i bassi martellanti, non si sente altra musica o canto ma solo i bassi martellanti che ci impediscono di dormire anche se rientrano nei limiti previsti dalla norma. Abbiamo una figlia di 13 anni che purtroppo risente di questo problema.
Vorrei sapere se il rumore che è intollerabile per noi anche se rientra nei limiti della norma può essere contestato in sede di giudizio, con possibilità di vittoria.”
Consulenza legale i 16/09/2022
È certamente possibile agire in giudizio per ottenere la cessazione delle immissioni rumorose anche se queste non superano i limiti stabiliti dalle leggi speciali vigenti in materia.
Lo afferma chiaramente la Cassazione (Sez. II Civ., sentenza 17/01/2011, n. 939; conforme Cass. Civ., Sez. II, 25/01/2006, n. 1418): “in materia di immissioni, mentre è senz'altro illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell'interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l'eventuale rispetto degli stessi non può fare considerare senz'altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all'art. 844 del c.c., tenendo presente, fra l'altro, la vicinanza dei luoghi e i possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni”.
Sempre la Suprema Corte, infatti, spiega che le disposizioni dettate da leggi speciali o regolamenti “sono di natura pubblicistica e non regolano, quindi, direttamente i rapporti tra privati, per i quali vige la disciplina dell'art. 844 c.c., la quale, nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilità delle stesse” (Cass. Civ., Sez. II, 29/04/2002, n. 6223).

L. M. chiede
domenica 22/05/2022 - Campania
“Buongiorno, premetto che la mia abitazione si trova all’interno di un fabbricato di proprietà dei miei genitori di cui io sono proprietaria di un piano, a seguito di tentato furto, e di un aggressione subita sempre nella mia proprietà fu installato un impianto di videosorveglianza che riprende un box /garage e portone di ingresso dell’abitazione di mio padre persona anziana, e sul lato opposto ingresso al cancello di accesso alla mia abitazione, per agevolare meglio le telecamere e rendere anche luminosa l’area dono stati istallati numero 2 led crepuscolari ad una altezza di non superiore a 3 metri (circa 2,80) che proiettano la luce a terra, inoltre aggiungo che sul lato del box/garage vi è anche un muro di confine superiore di poco ai 3 metri (3,20m). Il vicino si è lamentano che non vuole vedere la luce, come anche le telecamere (che come premesso guardano i miei ingressi) .Volevo chiedervi come agire e se c’è un regolamento per le altezze giuste da rispettare per l’illuminazione esterna (compresi i voltaggi delle luci, anche se i miei già sono bassi).
In attesa Saluti”
Consulenza legale i 24/05/2022
La disciplina del codice non dice espressamente a quale distanza rispetto al confine del fondo del vicino deve essere installato un lampione che proietta un fascio di luce. Si ritiene però che alla fattispecie descritta possa trovare applicazione analogica il 2° co. dell’art. 889 del c.c., secondo il quale i tubi di gas e simili devono essere installati alla distanza di almeno un metro dal confine.

In realtà però, a parere di chi scrive, il vero punto della questione è capire se il fascio di luce proiettato dall’impianto superi quella normale tollerabilità richiesta dall’art.844 del c.c.
Si tratta, in sostanza, di capire se si debba considerare come una propagazione illecita proveniente dal fondo del vicino e quindi come tale removibile.

L’art. 844 del c.c. prevede infatti che il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di calore o altre simili propagazioni (come appunto un fascio di luce) che derivano dal fondo del vicino se non superano la normale tollerabilità tenendo conto anche delle condizioni dello stato dei luoghi.

E’ giusto tranquillizzare subito chi ci legge, in quanto la giurisprudenza pone dei requisiti estremamente severi affinché una immissione proveniente da un fondo possa considerarsi intollerabile e quindi vietata. In particolare, i giudici richiedono che essa sia di una intensità tale da pregiudicare il diritto alla salute, al riposo, alla serenità della persona e alla vivibilità della propria abitazione.

Per fare un esempio pratico potrebbe considerarsi sicuramente intollerabile il fascio di luce che durante le ore notturne proietti la sua energia luminosa dentro l’abitazione del vicino, pregiudicando il buio necessario per un efficace sonno ristoratore.

Sulla base di quanto descritto, si dubita fortemente che i fasci di luce descritti nel quesito siano tali da potersi considerare intollerabili e quindi illeciti: ad ogni modo, sarebbe onere del vicino lamentoso provare in un ipotetico giudizio tale requisito, senza il quale ogni sua ipotetica pretesa sarebbe vana.

Si consiglia quindi di dare la giusta importanza alle lamentele avanzate dal vicino: se poi egli vorrà intraprendere una qualche azione più incisiva ci sarebbero comunque buoni presupposti per una difesa efficace.


E. P. chiede
giovedì 03/03/2022 - Lombardia
“Abito in palazzina che non ha amministratore condominiale in quanto siamo 4 condomini. A piano terra vi è una pizzeria. Nel 2016 in seguito ad una causa vi è stata la suddivisione del cortile comune e nell'atto è stato assegnato alla pizzeria una striscia di marciapiede larga circa 1 mt che affianca il passaggio pedonale condominiale che porta all'ingresso condominiale.
Lungo questa striscia la pizzeria deposita le cassette di bibite vuote (in colonne alte 1,80 cm circa) ed il secchio dell'umido.
Quindi ogni volta che si entra e si esce dal condominio si passa a ridosso delle cassette e dell'immondizia.
Vorrei cortesemente sapere cosa dice la legge in merito. Grazie”
Consulenza legale i 10/03/2022
Purtroppo il caso prospettato non offre spunti per contestazioni degne di rilievo.

Il quesito non chiarisce se a seguito del contenzioso il cortile condominiale sia stato catastalmente suddiviso e poi ciascuna porzione è stata assegnata in proprietà esclusiva a ciascun proprietario, oppure se il cortile, fermo restando la sua natura di bene comune, è stato solo idealmente frazionato e a ciascun condomino sia stato assegnato l’uso esclusivo di una sua porzione.
Ad ogni modo quale che sia la vicenda a monte il risultato non cambia in quanto la pizzeria ha tutto il diritto di utilizzare la porzione ad essa assegnata a patto che ovviamente ciò non impedisca il godimento di altri beni comuni e non venga intralciato l’ingresso nello stabile.
In merito, ad esempio, alle cassette di bibite vuote, esse non possono considerarsi una opera stabile tale per cui possa considerarsi idonea a violare il decoro architettonico.

Anche utilizzare la presenza del secchio dell’umido per fondare una eventuale contestazione in merito alla fuoriuscita di immissioni maleodoranti, non è una via su cui si potrebbe fondare un contenzioso degno di essere coltivato nel tempo.

Contrariamente a quanto si possa pensare l’art. 844 del c.c. non vieta di per sé le immissioni di fumo calore e odori provenienti dai nostri vicini: come regola generale esse sono ammesse e lecite. La norma precisa che le immissioni divengono illecite nel momento in cui si supera la normale tollerabilità. Tuttavia i criteri richiesti dalla giurisprudenza per poter considerare una immissione intollerabile sono piuttosto stringenti. Cass.Civ.,Sez.II, n.939 del 17.01.2011, ci dice, ad esempio, che l’immissione supera la normale tollerabilità quando essa pregiudica le altrui condotte di vita.
Da qui ne discende che l’esalazione di fumo e l’odore acre diventano un atto illecito del nostro vicino, e quindi come tale idoneo per essere contestati in giudizio, solo nel momento in cui essi non siano meramente episodici, ma si protraggono per un considerevole periodo di tempo e abbiano una intensità estremamente elevata. Solo in questo caso si potrebbe ragionare di una eventuale illiceità della immissione.

Si tenga poi conto del fatto che lo stesso art. 844 del c.c. espressamente prevede che il giudice deve contemperare le esigenze della produzione (quindi della pizzeria) con le ragioni della proprietà (quindi delle unità abitative), potendo anche favorire un uso piuttosto che un altro.
Questo non vuol dire che non possa valere la pena rivolgersi ad un legale affinché il professionista invii una raccomandataal proprietario dell’esercizio commerciale invitandolo a riporre meglio il secchio dell’umido e le casse di birra. Questo passo potrebbe indurre la pizzeria a prestare maggiore attenzione nella gestione dei suoi rifiuti, ma comunque si sconsiglia di portare la vicenda in un giudizio civile.



C. O. chiede
domenica 20/02/2022 - Campania
“Buongiorno, vivo a XXX, nella frazione YYY. Tale frazione, una volta abitata prevalentemente da agricoltori, è caratterizzata dalla presenza di numerose case coloniche, con relative aie, recinzioni e cani da guardia. Con lo sviluppo urbanistico della zona sono sorte numerose altre abitazioni come la villa di cui ho in affitto il primo piano. Tale villetta si affaccia su una casa colonica il cui proprietario possiede 4 (quattro) cani di cui tre di grossa taglia, liberi di muoversi, notte e giorno, nell'aia antistante la sua casa , recintata. Il problema che vi sottopongo nasce, come potete immaginare, dall'abbaiare che tali cani producono sia di giorno che di notte. I miei infissi sono insonorizzati, e il problema d'inverno si pone relativamente, ma d'estate sono costretto di notte a dormire con gli infissi chiusi, stante il frastuono prodotto da tali cani. Per fortuna dispongo di climatizzatori, ma mi vedo costretto a sostenere spese energetiche che potrei anche evitare se vi fosse silenzio. Vi chiedo un parere su tale questione.”
Consulenza legale i 26/02/2022
Anche se diverse sentenze hanno affermato l’esistenza di un “diritto del cane ad abbaiare”, il problema del disagio creato dall’abbaio spesso continuo, magari in ore destinate al riposo, ha anch’esso rilevanza giuridica.
Da un punto di vista civilistico, la norma di riferimento è costituita dall’art. 844 c.c., che disciplina le cosiddette immissioni, cioè le “propagazioni” di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili, provenienti dal fondo del vicino. In linea di massima le immissioni non possono essere impedite, a meno che superino il limite della normale tollerabilità.
Qualora ciò avvenga, il vicino che subisce tali immissioni potrà agire in giudizio per ottenere la loro cessazione; di regola, il superamento del limite della normale tollerabilità dovrà essere accertato per mezzo di una consulenza tecnica d’ufficio.
L’abbaiare molesto dei cani può rivestire, ricorrendo determinati presupposti, anche rilievo penale: può sussistere, infatti, la contravvenzione prevista dall’art. 659 c.p. (“disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”), purché la condotta sia idonea a disturbare un numero indeterminato di persone (non occorre, invece, la prova dell’effettivo disturbo, trattandosi di reato di pericolo presunto: Cass. Pen., Sez. III, 29/11/2018, n. 5800).

Elisabetta P. chiede
venerdì 11/02/2022 - Lombardia
“Abito in condominio (vecchia corte con accesso da portone) senza amministratore. Nel 2016 abbiamo, dopo causa legale, diviso il cortile condominiale ricavando posti auto per ogni condomino. Uno dei condomini è una pizzeria posta a piano terra che ha a sua disposizione un posto auto. Purtroppo da qualche anno effettua il servizio di consegna a domicilio con pony pizza automuniti e che quindi usano la propria auto. Fino al 2019 abbiamo tollerato in quanto il pony pizza era solo uno.
Dal 2020 i pony pizza sono diventati 3/4 quindi tutte le sere (escluso la chiusura) dalle 18.30 alle 21.30 ogni 5 minuti vi è una vettura che entra si ferma qualche minuto e riparte (provocando inquinamento atmosferico e acustico).
Chiedevo se questo fosse consentito o se vi è qualche legge che impone dei limiti nell'uso del posto auto.”
Consulenza legale i 17/02/2022
Il comportamento descritto di per sé è perfettamente conforme alla normativa condominiale. L’esercizio commerciale ha infatti il pieno diritto di utilizzare il cortile comune, anche in maniera più intensa rispetto agli altri proprietari, purché ovviamente ciò non impedisca ai condomini di accedere al cortile e parcheggiare l’auto nello stallo loro assegnato.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione infatti con un insegnamento ormai granitico e consolidato ci dice che il diritto di utilizzare il bene comune riconosciuto a ciascun comproprietario dall’art.1102 del c.c., non implica che il singolo debba fare un uso della cosa qualitativamente identico a quello fatto dagli altri partecipanti alla comunione. È ben possibile infatti che un comproprietario possa fare del bene un uso più intenso, sempre che non ne venga alterata la destinazione economica e non venga impedito agli altri comproprietari a loro volta di utilizzarlo.

È difficile censurare il comportamento descritto anche sotto il diverso aspetto delle immissioni. L’art. 844 del c.c. ci dice che il proprietario di un fondo, non può impedire le esalazioni di fumo e calore o altre simili propagazioni provenienti dal fondo del vicino, se ciò non supera la normale tollerabilità, tenuto conto della situazione dei luoghi. La norma, inoltre, precisa che il giudice nel valutare la tollerabilità deve sempre contemperare le esigenze dell’industria con quella della proprietà. Il giudice può inoltre tenere conto della priorità di un determinato uso.

Al di là del problema di contemperare l’esigenza dell’industria (quindi dell’esercizio commerciale), con quelle della proprietà (quindi le abitazioni), bisogna prima soffermarci a chiederci se le immissioni possano di per sé andare oltre la soglia della normale tollerabilità.
Per chi propone il quesito sicuramente i rumori e i fumi provenienti dai gas di scarico dalle automobili dei pony pizza sono altamente intollerabili, ma la situazione descritta non è talmente grave da poter essere censurata in sede giudiziaria.

La Cass.Civ.,Sez.II, con la sentenza n. 28201 del 05.11.2018 ha precisato infatti che: "Il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (cd. criterio comparativo), sicché la valutazione diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale, appropriatamente e globalmente considerata".

In altre parole, per poter considerare una immissione intollerabile ai sensi dell’art. 844 del c.c. il rumore o l’esalazione deve essere estremamente elevata e tale valutazione deve essere fatta tenendo conto anche della situazione dei luoghi in cui si svolge la vicenda. Il semplice via vai della auto del pony pizza (sicuramente fastidiosi), che magari avvengono nei pressi di una strada, ove si affaccia il palazzo condominiale, già trafficata di per sé, difficilmente potrebbe essere causa di immissioni intollerabili secondo il giudizio della giurisprudenza.

Si può comunque inviare una diffida per mezzo di un legale per indurre il proprietario dell’esercizio commerciale ad un maggior riguardo nei confronti dei vicini.


S.C. chiede
lunedì 08/11/2021 - Piemonte
“Sono proprietario di una villetta il cui muro di cinta è adiacente un terreno di proprietà del comune.
Nel 2019 il comune destina detto terreno ad attività di sgambamento cani. In sostanza l'area sgambamento è ubicata a ridosso della mia abitazione.
Preciso che il comune non ha mai chiesto il consenso e da quanto accertato, non ha rispettato le distanze.
Purtroppo i cattivi odori causati dai “bisogni” fisiologici degli ospiti di detta area di sgambamento si sentono fin dentro casa ( specialmente quando fa caldo ) e sono oramai divenuti insopportabili, così come i rumori derivanti dai latrati insistenti dei cani e dalle riunioni rumorose.

Oltre a ciò, violano la privacy della mia famiglia, in quanto i padroni osservano incuriositi la mia abitazione.

Il comune non ha mai dato alcun riscontro alle mie rimostranze verbali e scritte.

Sul terreno in questione sono ubicate casette ( per cani ) 3 panchine ( poste in adiacenza del muro di confine con la mia proprietà ), giochi vari ( es. tunnel ).
per quanto riguarda la distanza, navigando, ho constatato l'esistenza delle “ Linee guida per la gestione del verde urbano “ emesse dal Ministero dell’Ambiente. Dalla lettura di dette linee guida, alle pagg. 26 e 27 si fa riferimento ad una distanza minima di 100 mt. dalle abitazioni.
Altre persone cd. esperte mi hanno comunicato che comunque la distanza, anche in questi casi, deve rispettare è quella prevista dal codice civile.
Oltre alle immissioni di odori ( cattivi ) etc..

Pertanto Vi chiedo cosa posso fare per stoppare e risolvere definitivamente tale incresciosa situazione.

In attesa, cordiali saluti.”
Consulenza legale i 16/11/2021
Per quanto riguarda il problema delle distanze, si rileva che allo stato non è stata adottata una disciplina unica a livello nazionale relativa alla aree di sgambamento dei cani.
Infatti, le “Linee guida per la gestione del verde urbano e prime indicazioni per una pianificazione sostenibile” citate nel quesito, approvate dal Comitato per lo sviluppo del verde pubblico istituito con L. n. 10/2013, costituiscono solo indicazioni tecnico-giuridiche redatte a favore dei Comuni sfornite di un valore cogente.
Anche il regolamento edilizio tipo regionale del Piemonte approvato con deliberazione del Consiglio regionale 28 novembre 2017, n. 247–45856, pur occupandosi delle aree verdi, nulla prescrive in merito alle aree cani.
Pertanto, in mancanza di uno specifico regolamento comunale (la cui esistenza è comunque opportuno verificare), non resta che guardare alle norme generali civilistiche a tutela della proprietà, con particolare riferimento a quelle concernenti le distanze e le immissioni.

Va subito specificato che nel nostro caso è dubbia l’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 873 c.c., posto che quanto realizzato nel terreno di proprietà comunale potrebbe anche non rientrare nella nozione di costruzione rilevante ai fini delle distanze.
Secondo la Cassazione, sono “costruzioni” tutti i manufatti non completamente interrati aventi i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, con esclusione degli elementi che abbiano una funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità (Cassazione civile, sez. II, 29 aprile 2020, n. 8365; Cassazione civile sez. II, 23/10/2018, n.26846).
Anche se si tratta di una definizione molto ampia, è comunque necessario che il manufatto sia dotato di una certa consistenza, mentre le opere citate nel quesito paiono soprattutto riconducibili a meri elementi di arredo.
Potrebbero forse rilevare in tal senso le “casette” per cani, ma senza fotografie o informazioni più precise sulle loro caratteristiche e dimensioni è molto difficile prendere una posizione netta in merito.
In ogni caso, anche ammettendo che si tratti di costruzioni, l’unico effetto che si otterrebbe nell’invocare le disposizioni codicistiche sulle distanze sarebbe quello di eliminare i manufatti “illegittimi”, ma non di ottenere lo spostamento dell’intera area cani in altro luogo.

Molto più pertinente e utile al nostro caso è, invece, l’art. 844 c.c., che tutela il proprietario nei confronti delle immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni provenienti dal fondo del vicino che superino la normale tollerabilità.
L’azione contro le immissioni illecite consente al privato di ottenere sia la cessazione delle turbative che gli impediscono di godere appieno del suo diritto di proprietà, sia il risarcimento dell’eventuale danno patrimoniale e non patrimoniale subito (sulla risarcibilità anche del pregiudizio non patrimoniale v. la recente Cassazione civile sez. VI, 28 luglio 2021, n. 21649).
Il superamento del limite della “normale tollerabilità”, quando la natura delle immissioni non è facilmente misurabile, può essere valutato dal Giudice anche sulla base di nozioni di comune esperienza (Cassazione civile, sez. II, 11 maggio 2005, n. 9865, che ha condiviso la considerazione del Giudice di merito secondo cui “più cani rinchiusi in uno spazio limitato abbaiando costantemente, in particolare durante le ore notturne, arrecano notevole disturbo al riposo ed alla quiete delle persone ed, altresì, possono creare problemi di natura igienica".)
Per costante giurisprudenza è indifferente, ai fini che qui ci occupano, che il “vicino” sia una Pubblica Amministrazione, confermando che l'inosservanza da parte della P.A. delle regole tecniche o dei canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario non solo per conseguire la condanna della P.A. al risarcimento dei danni, ma anche per ottenerne la condanna ad un facere, in quanto tale domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’Amministrazione, ma un'attività soggetta al principio del neminem laedere (Cassazione civile, SS.UU., 12 ottobre 2020, n. 21993; Cassazione civile, sez. II, 12 novembre 2018, n. 28893; Cassazione civile, sez. III, 20 ottobre 2015, n. 21172; Cassazione civile, SS.UU., 06 settembre 2013, n. 20571).

Vista l’inerzia dimostrata dal Comune sino ad ora, è opportuno quindi valutare la possibilità di agire in giudizio nei termini suddetti, chiedendo al Giudice di ingiungere tutte le precauzioni necessarie ad eliminare i disagi determinati dalla presenza dell’area cani nelle immediate vicinanze della propria abitazione.


Nicola M. chiede
venerdì 06/08/2021 - Sicilia
“La mia residenza confina con un edificio cristiano evangelico che per 1/5 è adibito a luogo di culto (chiesa). lo spazio rimanente ha usi di carattere ricreativo. Nelle attività che si svolgono in questo edificio, si fa uso di amplificazione per diffondere musica o guidare ed accompagnare le varie attività che vi si svolgono.
I suoni sono amplificati e diffusi all'esterno con un volume ''rompi timpani'' per le famiglie che risiedono nelle vicinanze.
Tutto ciò non mi sembra legittimo. Come posso imporre o limitare tale attività?”
Consulenza legale i 24/08/2021
Il quesito va risolto alla luce di quanto previsto dall’art. 844 c.c., che disciplina i limiti entro cui sono considerate lecite (o illecite) le cosiddette immissioni.
Per immissioni si intendono le “propagazioni”, tra le quali sono compresi anche i rumori, provenienti dal fondo del vicino.
Ora, se in linea di principio tali propagazioni sono fisiologiche e non possono, pertanto, ragionevolmente essere vietate in maniera assoluta, è anche vero che la legge fissa un limite oltre il quale il vicino non è tenuto a sopportarle.
Tale limite viene individuato dal legislatore nella “normale tollerabilità”: chiaramente non si tratta di un valore fisso, ma di un criterio flessibile, il cui eventuale superamento va valutato caso per caso. Si veda Cass. Civ., Sez. II, Sentenza, 12/02/2010, n. 3438 (“il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma é relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della stessa”).
Si consiglia, pertanto, di inviare una diffida - magari a mezzo di un legale - per invitare i responsabili alla cessazione delle molestie. Qualora la diffida risulti infruttuosa, sarà inevitabile rivolgersi ad un legale per le ulteriori iniziative da intraprendere.

Alberto O. chiede
martedì 20/04/2021 - Lombardia
“Buongiorno, il vicino del piano di sotto, il condomino del 4° piano (io sono al 5°) lamenta spesso i rumori che vengono fatti da mia figlia (6 anni). Io sono un padre separato, ho solo una figlia che viene da me 2-3 giorni a settimana. Non facciamo feste né altro, il vicino lamenta i rumori derivanti dal camminare o correre a piedi nudi sul parquet.
Solo sporadicamente ci sono altri bambini (coetanei o più piccoli), ed in queste occasioni ci può essere un vociare più forte od altri rumori legati agli stessi. Sabato mattino scorso è venuto su a suonare in maniera forsennata il campanello, visto che i bambini erano svegli dalle 7 e facevano qualche rumore (assolutamente non schiamazzi vocali, qualche corsa avanti ed indietro per il salotto).

Spesso il vicino ha chiamato il portiere o la vigilanza per questi rumori.
Vorrei sapere che rispondere al vicino e, quando necessario, portiere, vigilanza o amministratore. Vorrei inoltre sapere se possa denunciare il vicino per stalking, visto che gli interventi della vigilanza non sono affatto piacevoli e l'ultima volta hanno spaventato i bambini.”
Consulenza legale i 28/04/2021
Sotto il profilo civilistico, si osserva quanto segue.
Come previsto dall’art. 844 c.c., il proprietario di un fondo non può impedire i rumori derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
La norma non fornisce una indicazione precisa di cosa sia la “normale tollerabilità”, dovendosi valutare caso per caso.
Sotto il profilo risarcitorio, la Cassazione ha altresì evidenziato che: “il danno non patrimoniale subito in conseguenza di immissioni di rumore superiore alla normale tollerabilità non può ritenersi sussistente in re ipsa […]. Ne consegue che il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un effettivo pregiudizio in termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa, potendosi a tal fine avvalersi anche di presunzioni gravi, precise e concordanti, sulla base però di elementi indiziari (da allegare e provare da parte del preteso danneggiato) diversi dal fatto in sé dell'esistenza di immissioni di rumore superiori alla normale tollerabilità“ (Cass. Civ. n.19434/2019).
Oltre il codice civile occorre far riferimento anche al regolamento condominiale laddove preveda delle fasce orarie in cui deve essere rispettato il riposo delle persone (in genere, le ore notturne fino al primo mattino e le ore del primo pomeriggio).

Ciò brevemente premesso, nella presente vicenda, per come sono stati descritti i fatti, non ci pare che venga superata la soglia della normale tollerabilità.
Riguardo il rumore da calpestio esso può essere dovuto anche alla conformazione dei solai del palazzo per i quali, ovviamente, Lei non ha colpa.
A ciò si aggiunga che questo calpestio non avviene tutti i giorni ma solo 2 o 3 giorni la settimana quando Sua figlia viene a stare presso il Suo appartamento.
Chiaramente, se si verifica la mattina presto (come è accaduto nell’ultimo episodio) ciò può essere fonte di disturbo per il vicino, soprattutto se non vengono rispettati gli orari di riposo previsti dal condominio.
Si tratterebbe comunque di episodi saltuari che non giustificherebbero – a nostro parere- una azione ai sensi dell’art. 844 c.c.
Quindi, laddove il vicino torni a lamentarsi dovrebbe evidenziargli che si tratta di rumori legati alla quotidiana vita all’interno di un condominio senza che venga superata la soglia della normale tollerabilità trattandosi appunto di sporadico calpestio, rumore peraltro forse dovuto anche alla conformazione dei solai dello stabile condominiale.
Su tale ultimo aspetto, sarebbe comunque utile verificare se la struttura rispetti o meno i parametri del DPCM 5/12/1997 che stabilisce, tra l’altro, le caratteristiche acustiche degli elementi strutturali dell’edificio.

Per quanto concerne i profili penalistici, il reato menzionato è rubricato all’art. 612 bis c.p..
È una fattispecie che presenta un disvalore penale molto importante, motivo per cui necessita di essere ben ponderata.
In tal senso la giurisprudenza di legittimità afferma, in senso estensivo all'ambito condominiale, che “integra il reato di stalking la molestia ripetuta nei confronti dei condomini di un edificio in modo da produrre in essi uno stato d'ansia. Ne consegue che vi è l'esistenza del cosiddetto stalking condominiale ogni qual volta un vicino di casa molestia un altro vicino, o altri vicini, con una serie di azioni volte ad a) ingenerare in loro un fondato timore per l'incolumità propria o di un familiare; b) costringere la vittima a cambiare le proprie abitudini" (Cass. pen., sent. 26878/2016).


Al fine della configurabilità della norma in oggetto è necessario la connessione causale tra la condotta dell'agente, caratterizzata dalla reiterazione, ed uno dei tre eventi alternativamente tipizzati dalla norma, ovvero:
-il perdurante e grave stato di ansia o paura della vittima;
-il fondato timore per la propria incolumità o quella di un prossimo congiunto, o per quella di persona affettivamente legata;
-la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita;

Questa redazione ritiene che i fatti menzionati, nonostante spiacevoli, non integrino i requisiti di cui sopra.
Questi debbono peraltro essere valutati all’interno di un arco temporale sufficientemente apprezzabile.

Qualora la situazione continuasse e addirittura degenerasse in episodi più gravi, prima di valutare l’idea di sporgere denuncia-querela, si potrebbe valutare il deposito di un esposto alle Forze dell’Ordine.

L’esposto è l’atto-istanza, diverso dalla denuncia-querela, con cui si richiede l'intervento dell'Autorità di Pubblica Sicurezza in caso di dissidi tra privati, da una o da entrambe le parti coinvolte.
A seguito della richiesta d’intervento, l'Ufficiale di Pubblica Sicurezza invita le parti in ufficio per tentare la conciliazione e redigere un verbale.
Qualora dai fatti si configuri un reato che è caratterizzato dalla procedibilità d'ufficio, l'Ufficiale in questione deve informare l'Autorità giudiziaria.

Qualora si tratti di un delitto perseguibile a querela della persona offesa, l’Ufficiale può, a richiesta, tentare un preventivo componimento della questione-controversia, senza che ciò pregiudichi il successivo esercizio del diritto di querela medesimo.

In conclusione si può affermare come l’esposto sia la segnalazione che il cittadino fa all’Autorità giudiziaria per sottoporre alla sua attenzione fatti di cui ha notizia affinché valuti se ricorre un’ipotesi di reato.

Rimane opportuno evidenziare che la pretesa giuridica che si intende far valere deve essere corredata da elementi di prova concreti e ben specifici, funzionali a provare ciò che si afferma.

Guido D. chiede
giovedì 18/03/2021 - Friuli-Venezia
“Un'azienda industriale che produce suole di gomma, ricadente in Z.I. confinante con zona residenziale (B2), produce rumori insopportabili per i confinanti ed emana cattivi odori, polveri sottili ed ha il tetto con le coperture in amianto.
Per la tutela della salute, gli abitanti possono richiedere all'azienda un progetto che li tuteli e ponga fine a situazione invivibile?
Grazie e cordialità.

Consulenza legale i 25/03/2021
Per rimediare a situazioni come quella descritta nel quesito il codice civile contiene una norma apposita, l’art. 844, il quale disciplina le cosiddette “immissioni”.
Per immissioni si intendono le propagazioni provenienti dal fondo del vicino, come quelle “di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili”.
Si tratta di fenomeni, che, entro certi limiti, possono considerarsi inevitabili nell’ambito dei rapporti di vicinato: proprio per questo l’articolo in commento stabilisce che il proprietario del fondo “disturbato” dalle immissioni non può impedirle, a meno che non superino la normale tollerabilità.
Dunque la normale tollerabilità è il criterio di riferimento per valutare la liceità delle immissioni; tale valutazione va effettuata anche con riferimento alla condizione dei luoghi.
Inoltre, il secondo comma della norma prevede che l'autorità giudiziaria debba conciliare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, e possa tenere conto della priorità di un determinato uso.
La giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, 18/04/2001, n. 5697) ha precisato che “per stabilire se le immissioni che si propagano all'immobile del vicino superino la normale tollerabilità, occorre fare riferimento alla destinazione della zona nella quale sono situati gli immobili: se, infatti, essa è prevalentemente abitativa, il contemperamento delle ragioni della proprietà con quelle della produzione deve essere effettuato dando prevalenza alle esigenze personali di vita del proprietario dell'immobile adibito ad abitazione rispetto alle utilità economiche derivanti dall'esercizio di attività produttive o commerciali”.
Nel nostro caso, peraltro, una valutazione di questo tipo risulta complicata dal fatto che si tratta di due zone, una residenziale e l’altra industriale, confinanti.
Non esistono, comunque, regole astratte in questa materia: sempre la Cassazione (Sez. II Civ., sentenza 12/02/2010, n. 3438) ha ribadito che “il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma è relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della stessa”.
La norma sulle immissioni risente, come molte altre disposizioni del codice civile, di un’impostazione arcaica, incentrata sulla tutela della proprietà in quanto tale, da un lato, e delle esigenze della produzione, dall’altro: tuttavia, nel corso degli ultimi decenni, soprattutto con il diffondersi di nuove forme di inquinamento, si è fatta strada l’idea della tutela prioritaria del diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della stessa Costituzione.
In quest’ottica, la giurisprudenza si è trovata ad affermare che “un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma codicistica sulle immissioni impone al giudice di considerare prevalente la tutela della qualità della vita e della salute, nel contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, indipendentemente dalla priorità di un determinato uso (nella specie, è stata confermata la decisione di merito che aveva inibito la prosecuzione di un'attività produttiva preesistente, poiché nociva per la salute dei vicini dell'azienda nella quale la produzione avicola si era svolta senza la predisposizione di misure di cautela idonee ad evitare o limitare l'inquinamento atmosferico)” (così Cass. Civ., Sez. III, 11/04/2006, n. 8420).
Sempre in tema di rapporto tra art. 844 c.c. e diritto alla salute, “l'art. 844 cod. civ. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell'eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell'ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Viceversa, l'accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all'articolo 844 cod.civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in re ipsa, l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso” (Cass. Civ., Sez. III, 13/03/2007, n. 5844).
Nel nostro caso, pertanto, è opportuno rivolgersi a un tecnico, come un ingegnere ambientale, che possa effettuare i dovuti accertamenti, anche - anzi soprattutto - sotto il profilo della tutela del diritto alla salute.
Va segnalato che, laddove vi sia il pericolo di un pregiudizio grave ed irreparabile per la salute, sarà possibile richiedere al giudice l'emissione di un provvedimento d’urgenza, nelle forme e secondo i presupposti di cui all’art. 700 c.p.c.
Infine, con specifico riferimento alla questione dell’amianto, è possibile segnalare la situazione alla A.S.L. competente e all'A.R.P.A., che provvederanno ad effettuare le verifiche del caso.

Mariano A. chiede
lunedì 20/01/2020 - Lombardia
“Vorrei una valutazione circa l'opportunità o meno di richiedere un esame al COA per una lettera a carattere vessatorio inviatami da un Avvocato.”
Consulenza legale i 06/02/2020
In risposta alla prima delle questioni sollevate, dall’esposizione dei fatti riportata nel ticket non emergono elementi tali da far ipotizzare una fondatezza di eventuali azioni giudiziarie a carico di chi pone il quesito.
Risulta infatti, in primo luogo, che le iniziative intraprese nei confronti di controparte (diffida, verifiche tecniche sui livelli di rumore, esposti, invito alla mediazione) sono state portate avanti dall’amministratore in rappresentanza del condominio. Pertanto eventuali doglianze andrebbero rivolte nei confronti del condominio e non del singolo condomino che non ha agito in proprio.
In secondo luogo, tali iniziative assunte dall’amministratore appaiono, sempre stando alle informazioni fornite, tutt’altro che infondate, smentendo il tenore della prima raccomandata inviata dal legale di controparte, ove si parla addirittura di “insensata attività di denuncia e denigrazione”.
Al contrario, le iniziative in questione risultano supportate da più elementi, quali molteplici verifiche tecniche che hanno più volte attestato il superamento dei limiti di rumore e, soprattutto, dalla circostanza che la società è stata effettivamente sanzionata dalle autorità competenti.

Quanto alla seconda parte del quesito, si chiede se sia fondata la tesi di controparte: ovvero se l’essere a conoscenza, sin dal momento dell’acquisto del proprio appartamento, che nei locali della società si praticava un’attività “rumorosa” quale quella di pianobar impedisca, ora, di dolersi del superamento dei limiti di legge.
Per rispondere è necessario fare riferimento alla disciplina contenuta nel codice civile, e più precisamente all’art. 844 del c.c. che si occupa delle cosiddette “immissioni”.
In particolare, ai sensi della norma in questione, “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”.
Dunque il criterio di riferimento per stabilire la legittimità o meno delle immissioni (in questo caso rumorose) è costituito dalla “normale tollerabilità”.
Il secondo comma della norma prevede, tra l’altro, che - in caso di controversia - il giudice “deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà” e che “può tener conto della priorità di un determinato uso”: si tratta del cosiddetto preuso, cui evidentemente fa riferimento controparte nel sostenere la propria tesi.
Ora, sull'argomento, la giurisprudenza già da tempo ha avuto modo di chiarire che “il criterio del preuso cui fa riferimento l'art. 844, comma 2, c.c. ha carattere sussidiario e facoltativo, sicché il giudice del merito nella valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, non è tenuto a farvi ricorso quando, in base agli opportuni accertamenti di fatto, e secondo il suo apprezzamento, incensurabile se adeguatamente motivato, ritenga superata la soglia di tollerabilità” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 161/1996).
Tale principio è stato ribadito anche da giurisprudenza più recente: si veda ad esempio Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 8367/2011, secondo cui “il criterio del c.d. "preuso", come evidenziato dalla collocazione della disposizione nell'ultima parte dell'articolo 844 c.c., ha natura meramente sussidiaria e costituisce soltanto una extrema ratio cui il giudicante può, con prudente apprezzamento di fatto, ricorrere nel contemperare le opposte esigenze inerenti l'esercizio delle facoltà di godimento di un immobile adibito ad uso abitativo e quelle produttive di un immobile destinato ad uso industriale, tenendo comunque presente, nell'ambito di una doverosa interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica, che quando le esigenze della produzione entrino in diretto conflitto con quelle del diritto alla salute, connesse alla fruibilità dell'immobile soggetto alle immissioni, é a quest'ultimo che va attribuita preminenza, costituendo il rispetto di tale primario diritto un limite intrinseco all'esercizio di quello di iniziativa economica e libero esercizio dell'attività imprenditoriale”.
Peraltro, la medesima sentenza appena citata ha ricordato anche che la valutazione compiuta dal giudice ai sensi dell’art. 844 c.c. è, in un certo senso, anche sganciata dal rispetto o meno dei limiti di esposizione al rumore stabiliti da speciali disposizioni di legge: “i limiti di tollerabilità ambientale previsti dalla normativa speciale in materia di inquinamento acustico, perseguendo interessi pubblici e di tutela ambientale dirette a contenere la diffusività verso una cerchia indeterminata di persone e non, specificamente, verso il fondo del vicino, fissano soltanto dei limiti minimi di accettabilità dei rumori, la cui osservanza tuttavia, sul piano civilistico, agli effetti dell'articolo 844 c.c., non può essere dirimente, dovendo tenersi conto a tal fine della più diretta e continua esposizione dei soggetti passivi, in ragione della vicinanza tra il fondo di provenienza e quello di ricezione, con conseguente necessità di una accurata indagine diretta ad accertarne, secondo la particolarità della situazione concreta, la normale tollerabilità (Cass. nn. 6223/02, 1151/03, 2166/06). Con la conseguenza che la valutazione della normale tollerabilità non può che essere riferita al luogo in cui le "propagazioni" vengano percepite da coloro che fruiscono del bene, in conformità alla destinazione propria dello stesso, e non anche alla relativa fonte di provenienza”.
Ed ancora, il carattere preminente da attribuirsi alla tutela della salute delle persone è stato riaffermato da Cass. Civ., Sez. I, sentenza n. 14180/2016, secondo cui l'art. 844 c.c. “detta una regola concepita per risolvere i conflitti di interesse tra usi diversi di unità immobiliari contigue qualora le immissioni superino la normale tollerabilità e che, solo in caso di svolgimento di attività produttive, consente l'elevazione della soglia di tollerabilità, sempre che non venga in gioco il diritto fondamentale alla salute, da considerarsi valore comunque prevalente rispetto a qualsiasi esigenza della produzione, in quanto funzionale al diritto ad una normale qualità della vita”.
Pertanto, allo stato e sulla base dei dati in nostro possesso, entrambe le pretese di controparte non appaiono fondate.

Francesca S. chiede
giovedì 17/10/2019 - Lombardia
“Buongiorno,
vi rappresento la mia situazione.
Sono proprietaria di un appartamento a Milano sito al 4° piano di un immobile di 5 piani, attiguo ad un altro immobile più basso di circa un paio di metri. Per intenderci il colmo del tetto dell'immobile confinante è alto quanto il terzo piano del mio immobile. Sul colmo del tetto dell'immobile confinante è posta una canna fumaria di vecchia costruzione che dista dalla mia prima finestra circa un metro di distanza (in altezza) e a molto meno di un metro in linea orizzontale. La canna è presumibilmente collegata ad una cappa utilizzata in cucina. Accade che, quando attiva, questa canna scarichi tutte le esalazioni in casa mia con tutte le dovute conseguenze del caso. Mi chiedo se:
- sussistano delle distanze obbligatorie da rispettare stabilite per Legge
- sussistano distanze obbligatorie da rispettare stabilite nel Regolamento del Comune di Milano (io non le ho trovate)
- in generale come muovermi per far rispettare i miei diritti, ammesso che ne abbia.
Grazie”
Consulenza legale i 23/10/2019
Un dato di fatto, purtroppo, è destinato a svolgere un ruolo determinante nella soluzione di questo caso: la vetustà e la preesistenza della canna di esalazione, fonte di immissioni nocive.
Principale norma civilistica di riferimento in materia è l’art. 844 c.c., rubricata appunto “Immissioni”, la quale detta i criteri da seguire per regolare eventuali conflitti tra usi incompatibili di fondi vicini, determinati dalla propagazione di fattori disturbanti, causati dall’opera dell’uomo.
Trattasi di norma che è stata qualificata “aperta”, in quanto non definisce in modo rigido il concetto di immissioni che superano la normale tollerabilità, lasciandone al giudice la determinazione nel caso concreto.
Infatti, l’elenco che in essa viene fatto delle attività idonee a recare molestia, è da considerare soltanto esemplificativo, ma la sua applicazione estensiva si ritiene consentita solo per quelle fattispecie che presentano tassativamente i requisiti previsti dalla norma stessa, requisiti che adesso si andranno ad esaminare singolarmente.
Intanto, caratteristica essenziale delle immissioni deve essere la loro materialità, da intendere nel senso che queste devono generare sostanze fisicamente apprezzabili e misurabili (trattasi di requisito certamente presente nel caso di specie).
Altro presupposto per la sua applicazione è quello della vicinanza dei fondi, da non intendere nel senso di contiguità (anche sulla sussistenza di tale requisito non sembra possano avanzarsi dei dubbi, risultando gli edifici adiacenti).

Ma la nozione chiave dell’intera disciplina è quella espressa al primo comma di tale articolo, ove è detto che il proprietario non può impedire le immissioni che non superano la normale tollerabilità.
Tale formula, più che essere rivolta a fissare precisi doveri comportamentali dei privati, è volta ad indirizzare la valutazione del giudice, il quale, almeno secondo la tesi che attualmente sembra preferibile, dovrà orientarsi tenendo conto non tanto della normalità dell’attività da cui ha origine l’immissione, bensì degli effetti che produce nei vicini in relazione alle specifiche condizioni ambientali di tempo e di luogo.
Ad influenzare la decisione giudiziale, poi, contribuisce anche quanto previsto dal secondo comma del medesimo articolo, nella parte in cui è detto che per determinare se le immissioni debbano essere tollerate o meno dal proprietario del fondo che le subisce, occorre tener conto della priorità dell’uso.
E’ sotto questi ultimi profili che cominciano a nutrirsi dei dubbi in ordine alla possibilità di far concretamente valere il proprio diritto a non subire le esalazioni della canna fumaria del vicino, e ciò in considerazione del fatto che, come viene riferito nel quesito, trattasi di canna di vecchia costruzione, realizzata probabilmente in epoca anteriore al sorgere dell’edificio in cui si trova l’appartamento che subisce le esalazioni.

Da quest’ultimo punto di vista si ritiene che neppure possano venire in ausilio le norme contenute nel Regolamento edilizio del Comune di Milano, regolamento che il successivo art. 890 del c.c. richiama per regolare le distanze per camini e simili manufatti.
Intanto va detto che tali norme sono destinate a trovare applicazione solo per il caso di nuove costruzioni o di rifacimento di edifici esistenti (il che può desumersi dalla lettura dell’art. 1 del Regolamento in oggetto, rubricato “Ambito di applicazione”).
Ciò significa che eventuali distanze potrebbero al più essere imposte soltanto nel momento in cui il proprietario di quella canna di esalazione si decidesse a sostituirla.
Peraltro, sulla necessità di una canna di esalazione di questo tipo nelle abitazioni situate nel Comune di Milano se ne trova traccia all’art. 108 del Regolamento, ove viene detto che “Ogni unità immobiliare destinata ad abitazione deve essere dotata almeno di una canna di esalazione dei vapori di cottura dei cibi di uso esclusivo realizzata secondo le norme vigenti e sfociante in copertura”.
Come si desume dalla lettura di quest’articolo, la presenza della canna di esalazione è prevista come obbligatoria, mentre circa la sua collocazione è soltanto previsto che deve sfociare in copertura (da ciò se ne potrebbe anche far discendere che trattasi di esalazioni che, per loro natura, non possono superare quella normale tollerabilità a cui fa riferimento l’art. 844 c.c., tanto da potersi qualificare come immissioni nocive).

Quanto detto sopra induce ad escludere che vi siano presupposti certi per poter esperire un’azione inibitoria di tipo reale diretta ad eliminare le cause delle immissioni (come l’innalzamento di quella canna oltre il tetto del proprio edificio).

Con ciò, tuttavia, non si vuole escludere ogni possibilità di reagire a tale situazione.
Infatti, più che sotto il profilo delle distanze, si potrebbe cercare di intervenire su un altro fronte, ossia sotto quello della regolarità strutturale della canna fumaria.
E’ noto, infatti, che l’emissione di fumi e vapori derivanti dalla cottura dei cibi rappresenta una fonte di rischio per la salute delle persone e per la sicurezza degli edifici (in termini di emissioni in atmosfera, pericolo di incendio di incombusti e accumuli).
Proprio per questo la normativa in materia prescrive che i vapori derivanti da fonti di questo tipo debbano essere evacuati mediante appositi condotti, i quali devono rispondere a requisiti ben precisi (ad oggi contenuti nella norma UNI7129 parti 2 e 3) e scaricare generalmente a tetto.
Poiché dalle foto fatte pervenire a questa Redazione sembra che quella canna fumaria non goda proprio di ottima salute,, ciò che può consigliarsi è di far pervenire una segnalazione al competente Comando dei Vigili del fuoco o all’ARPA Lombardia (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Lombardia), rappresentando loro una fuoriuscita anomala e nociva dei vapori da quella canna, ed invitandoli ad effettuare un controllo sulla stessa.
Potrebbe questa costituire l’occasione per imporre al vicino delle prescrizioni ben precise, al fine di far sì che quella canna venga, oltre che sostituita, meglio posizionata, in modo che i fumi che da essa fuoriescono non giungano alla propria abitazione.


Mariano A. chiede
lunedì 03/06/2019 - Lombardia
“buongiorno,
trattasi di rumore disturbante proveniente da un locale sottostante la mia abitazione condominiale dove il venerdì e il sabato l'abituale attività di bar ristorante viene incrementata da musica e balli.
Il regolamento condominiale regolarmente trascritto in tribunale, vieta e cito testualmente : I CONDOMINI NON POTRANNO PERTANTO DESTINARE NE LASCIARE DESTINARE I LOCALI DEGLI APPARTAMENTI DI LORO RAGIONE AD USO DI SCUOLE DI CANTO E DI MUSICA O BALLO, ASILI DI INFANZIA... DANDOSI ATTO CHE TALI SPECIFICAZIONI SONO ESEMPLIFICATIVE E NON TASSATIVE. Avete già esaminato il regolamento del condominio in una precedente consulenza Q201822272 nella quale avete manifestato alcun dubbio nella applicabilità rispetto al caso in oggetto.
è stata inviata già una diffida al gestore e alla proprietà del locale a cui hanno risposto mostrando una misura fonometrica dove risulta un valore di Decibel nella norma.
La domanda è la seguente :
nell'ipotesi che la musica rientrasse nei 3 db, tenuto conto che il regolamento del condominio non specifica il valore in decibel della musica disturbante, ma si limita a porre divieto di musica e ballo, il regolamento va comunque applicato dall' amministratore a prescindere dalle misure fonometriche e quindi procedere in via giudiziale per la cessazione delle attività non previste nel regolamento ?
Se la musica, in base alla misura fonometrica fosse nei limiti, la sola attività di ballo svolto in modo spontaneo dagli avventori, sarebbe sufficiente a determinare l'illecito ?
In altre parole, il locale sottostante che svolge attività definite vietate dal regolamento del condominio, per poter procedere in via giudiziale, devono comunque sottostare alle regole previste dalle attuali normative in termini di rumore disturbante (art. 844 cc) o il regolamento può essere applicato a prescindere dai valori minimi previsti dalla normativa (art. 844) e procedere con un intervento giudiziale?
Spero di essere stato chiaro nella mia esposizione e di ricevere una risposta e tutti i riferimenti normativi per procedere nel modo corretto.”
Consulenza legale i 08/06/2019
Il concetto di “normale tollerabilità” a cui fa riferimento l’art. 844 c.c. non è stato in alcun modo definito dal legislatore né ancorato a parametri ben definiti, quale potrebbe essere una misurazione in decibel e la specificazione di un tot numero di decibel oltre il quale i rumori possono considerarsi molesti.
Il codice si limita soltanto a stabilire che, nel valutare tale parametro, si deve:
  1. prendere in considerazione la condizione dei luoghi;
  2. effettuare un contemperamento tra esigenze della produzione e ragioni della proprietà.
Sarà poi il Giudice, in sede di applicazione della norma, ad esprimere il suo giudizio in ordine alla tollerabilità, tenendo conto, nella valutazione del caso concreto, della particolarità della situazione che si trova difronte (così Cass. 27 gennaio 2003, n. 1151).

Sulla natura imprecisata del concetto di “normale tollerabilità” si è successivamente pronunciata sempre la Corte di Cassazione con sentenza n. 17051 del 2011, nella quale in particolare si legge che “…il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo)…”.

Il riferimento alla "condizione dei luoghi" fa sì che la valutazione di tollerabilità debba esser fatta con riferimento al caso concreto, ossia prendendo in esame anche la zona in cui vengono prodotti i rumori molesti, essendo chiaro che lo stesso livello di rumore può essere fonte di maggiore o minor fastidio a seconda che ci si trovi rispettivamente in una zona isolata ovvero in una zona ad alta intensità di rumori.

Quanto sopra precisato, dunque, ci induce a poter asserire che, in ordine alla applicabilità o meno dell’art. 844 c.c., nessun rilievo può assumere la misurazione in decibel dei rumori lamentati ed il fatto che gli stessi possano non superare i 3 decibel.
Il solo fatto che, contravvenendosi al regolamento di condominio, venga svolta in uno dei locali facenti parte di quell’edificio una tipologia di attività vietata e che costituisce peraltro fonte di disturbo per gli altri condomini, impone all’amministratore di condominio (a cui tali fatti dovranno essere denunciati) il dovere di attivarsi per far cessare l’attività vietata ed i rumori molesti.

Qualora, poi, l’intervento dell’amministratore (che sarà opportuno formalizzare con una diffida per iscritto indirizzata a chi svolge l’attività vietata) non porti a risultati concreti, si avrà tutto il diritto di agire in sede giudiziale, a prescindere, si ripete, dal fatto che i rumori rientrino o meno nei decibel per legge consentiti.
Il rimedio più celere è quello di proporre un ricorso d’urgenza ex art. 700 del c.p.c., il quale introduce un giudizio particolarmente breve rispetto a quello ordinario perché ha lo scopo di risolvere, appunto, rapidamente e con urgenza una situazione concretamente dannosa per l’istante.

Il superamento dei limiti dei 3 decibel, invece, costituisce uno dei presupposti per agire in sede penale, legittimando a presentare una denuncia per disturbo al riposo ed alla quiete pubblica ex art. 659 del c.p., sempre che la molestia colpisca tutto il condominio e non riguardi soltanto gli occupanti dell’appartamento immediatamente confinante (ulteriore requisito da tale norma richiesto).
Infatti, occorre tenere ben chiaro il seguente concetto.
La produzione di rumori molesti può comportare una duplice violazione, ossia:
  1. in relazione all’art. 844 c.c.
  2. nei confronti della disciplina sull’inquinamento acustico, Legge n. 447/1995, dettata a tutela della salute pubblica.
Solo la violazione nei confronti di quest’ultima disciplina può integrare la sussistenza di un reato e legittimare la presentazione di una denuncia in sede penale.

Sotto il profilo prettamente civilistico, invece, oltre che della procedura d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c., ci si può avvalere anche dell’esercizio di un’azione ordinaria, e precisamente:
  1. l’azione c.d. inibitoria, con la quale si chiede al Giudice di condannare il molestatore a non svolgere l’attività fonte di rumori molesti;
  2. l’azione di risarcimento danni ex art. 2043 del c.c., qualora si sia in possesso di prove atte a dimostrare che da quei rumori ne è derivato un danno alla persona.
Entrambe le azioni possono essere esercitate congiuntamente nello stesso processo.


M. A. chiede
sabato 16/02/2019 - Lombardia
“Buongiorno, il problema riguarda 2 temi distinti :
Il primo tema è caratterizzato dal rumore emesso da un bar/ristorante/con musica dal vivo e discoteca "abusiva" dico abusiva in quanto il locale è privo di autorizzazioni per il ballo, ma durante la serata molti avventori autonomamente si alzano dal tavolo e ballano, quindi non c'è una pista da ballo apposita.
La musica e i cori degli avventori sono significativi solo per il sottoscritto e la propria famiglia il cui appartamento è ubicato direttamente sopra il locale, nei piani superiori il rumore va via via scemando.
Il proprietario del locale ha effettuato lavori di insonorizzazione e mandato un suo tecnico a misurare il rumore nel mio appartamento, rilevando dei valori al limite dei 3 db, a loro dire sono stati installati dei limitatori nell'impianto di musica e voce del DJ, ma nelle settimane successive il volume a subito delle variazioni in aumento e a livello sensoriale risultano intolleranti, nella famiglia è presente una bambina di 10 anni che ogni venerdì e sabato fa fatica, come anche noi genitori, a prendere sonno, spesso dobbiamo aspettare le 3 del mattino, alla cessazione della musica, per poter dormire.
Presumo che riguardo il rumore dentro gli appartamenti del condominio di essere il solo interessato ad una eventuale azione legale.
Il secondo tema è caratterizzato dal rumore provocato dagli schiamazzi degli avventori che sostano fuori dal locale per fumare e bere con il bicchiere in mano. Questo aspetto riguarda invece una schiera di persone disturbate più vasta, in quanto gli schiamazzi disturbano anche il palazzo di fronte e il parroco della chiesa di rimpetto il quale interpellato è d'accordo a firmare un esposto.
A tutto questo voglio aggiungere anche che io ho un B&B nel mio appartamento e la camera dedicata subisce sia il rumore interno del locale che quello esterno degli schiamazzi degli avventori, impedendomi di affittare nei giorni della settimana, venerdì e sabato, per evitare lamentele e contenziosi con i miei ospiti.
Chiedo scusa se mi sono dilungato, la domanda sulla questione è la seguente :
consapevole che occorrerà un intervento dell'arpa per la misurazione del rumore interno e esterno, e che l'arpa comunicherà sia al sottoscritto che al titolare del locale il giorno dell'intervento per la misurazione del rumore, ovvio che per tale data il gestore del locale si guarderà bene dal sollevare il volume, rendendo vana e negativa la misura dell'arpa.
Quindi vorrei sapere quali devono essere le azioni da intraprendere nella giusta sequenza, e quali sono le probabilità di successo di risolvere a mio favore, in una eventuale causa legale, dove oltre alla cessazione del disturbo posso richiedere eventuali danni immobiliari, biologici e economici legati al B&B.
Per ultimo, dato che mi sono spesso rivolto a voi per altre questioni rimanendo soddisfatto del servizio ottenuto, se in questo caso posso essere da voi rappresentato per arrivare ad una soluzione positiva del caso.
Cordiali saluti

Consulenza legale i 21/02/2019
Quanto osservato nel quesito in ordine agli effetti di un possibile intervento dell’ARPA si ritiene sia del tutto corretto e razionale: sarà fin troppo semplice per chi disturba far rientrare la produzione di rumori nei limiti della tollerabilità nel momento in cui gli addetti della competente struttura territoriale ARPA si recheranno sul posto per effettuare le loro misurazioni.
E’, dunque, su altri fronti che si dovrà cercare di andare avanti e di acquisire quante più prove possibili per dimostrare che quei suoni e schiamazzi notturni sono in effetti intollerabili.

Intanto va detto che presupposto indispensabile per fornire una consulenza mirata al caso di specie sarebbe quello di conoscere ciò che detta il regolamento di condominio al riguardo, onde verificare se sia consentito o meno nel condominio lo svolgimento di quelle attività che provocano i rumori lamentati, e poter così giungere ad una loro qualificazione in termini di immissioni vietate o meno (ci si riferisce non tanto all’attività di bar e ristorazione, sicuramente ammessa, quanto a quella di ballo e discoteca).

Detto ciò, il primo e più semplice passo da compiere è quello di denunciare tale stato di fatto all’amministratore di condominio, chiedendo la convocazione di una assemblea condominiale, nel corso della quale discutere di tale problematica, onde convenire, qualora già non vi siano, delle regole ben precise per lo svolgimento di tale attività, stabilendo gli orari in cui è possibile fare rumore e quelli in cui è doveroso e necessario rispettare il silenzio, magari fissando fasce orarie diverse a seconda delle stagioni.

Si ricorda, solo per inciso, che ai sensi dell’art. 70 delle disp. att. c.c., l’assemblea può in quella sede anche approvare una sanzione per le violazioni alle regole fissate dal regolamento condominiale, sanzione che può arrivare fino a 200 euro per ogni singola infrazione e la cui irrogazione può essere deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell’art. 1136 del c.c..

Sembra evidente che riuscire già a conseguire un risultato di tale tipo (con fissazione di orari ben precisi oltre i quali va osservato il silenzio), sarebbe un notevole traguardo, in quanto si avrebbe in mano uno strumento (l’inflizione di una sanzione economica, che sicuramente arrecherebbe un danno agli utili di esercizio di quel locale) che potrebbe in qualche modo dissuadere i titolari del locale notturno dal produrre rumori molesti, almeno dopo una certa fascia oraria.

Va precisato, comunque, che l’introduzione di tali limiti richiede una valutazione ben ponderata (non affrontabile sicuramente in questa sede in quanto esula dal tema per cui il quesito è stato posto), in quanto si tratta di porre delle vere e proprie limitazioni convenzionali alla proprietà altrui, per le quali occorre tener conto e contemperare gli interessi contrapposti di tutti coloro che fanno parte di quel condominio, ovvero gli interessi di coloro che vi hanno una civile abitazione e di colui o coloro che vi svolgono una attività commerciale.

Qualora non sia possibile risolvere sul piano privatistico il problema, si dovrà necessariamente fare ricorso ad altri strumenti giuridici, che richiedono l’intervento e la collaborazione di terze persone.
Viene riferito nel quesito che al di fuori del locale si manifestano fenomeni di schiamazzo notturno, capaci di disturbare non solo i condomini, ma perfino il vicinato, tant’è che si è pensato di sottoscrivere un esposto da indirizzare alle autorità competenti.
A ciò si aggiunge (non si comprende se per mera supposizione o perché se ne ha la certezza) che il bar/ristorante ad un certo punto viene trasformato in locale da ballo senza che sussista alcuna autorizzazione.

Ebbene, si ritiene che quelli sopra descritti siano elementi più che sufficienti per richiedere l’intervento delle forze di polizia, e ciò per il fatto che il disturbo non riguarda soltanto il condomino soprastante al locale, ma in generale i vicini (dunque un numero di persone non circoscritto) e che gli schiamazzi avvengono sulla pubblica via.
Una volta intervenute le forze di polizia, rientrerà nei loro compiti quello di verificare se il locale è munito di tutte le necessarie autorizzazioni, ivi compresa quella per lo svolgimento di attività da ballo o discoteca (per la quale si tenga presente che occorre una specifica autorizzazione, dovendo il locale possedere requisiti ben specifici).

Ritornando al piano civilistico della vicenda, invece, ciò che si consiglia è nel frattempo di procurarsi quante più prove possibili delle attività lamentate, facendo possibilmente ricorso a persone che possano assumere la veste di testimoni in un eventuale giudizio civile (ottimi testimoni potrebbero essere gli altri vicini che si lamentano di ciò che avviene all’esterno del locale).

Ad incoraggiare un possibile esito positivo della causa si può richiamare una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione, e precisamente la n. 6136 del 14.03.2018, in cui la S.C. sembra sganciarsi dal criterio dei 3 decibel come limite massimo entro cui le immissioni devono ritenersi tollerabili ex art. 844 c.c.
Precisa infatti la Corte che la tollerabilità o meno di un'immissione non può avere carattere assoluto, ma deve valutarsi caso per caso, facendo contestuale riferimento sia al fondo che la subisce che alle condizioni dei luoghi, ossia alla loro concreta destinazione naturalistica ed urbanistica, alle attività normalmente svolte nella zona, al sistema di vita ed alle abitudini di chi vi opera.

In tale valutazione un ruolo primario viene affidato al giudice di merito, il quale avrà il potere di accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità, e nel nostro caso di valutare se la libertà di iniziativa economica privata dei titolari del locale debba subire delle limitazioni a fronte di interessi pubblici, quali sono quelli tutelati dal reato di disturbo delle attività e del riposo delle persone.

Sotto il profilo della possibile pretesa a far valere un risarcimento per il danno biologico subito, è chiaro che occorrerà dare prova del nesso eziologico esistente tra tali rumori ed il danno lamentato, ed anche per ciò occorrerà munirsi delle relative prove, quali possono essere, a mero titolo esemplificativo, dei certificati medici in cui si attesta un pregiudizio alla salute dovuto proprio allo scarso sonno.

Per i riflessi negativi sulla attività di B&B (che si presume sia munita delle dovute autorizzazioni, suggerendosi altrimenti di non metterla in campo), un’ottima prova potrebbe essere costituita dalle recensioni negative dei clienti che vi hanno dimorato e che sono andati via infastiditi da tale situazione.

Queste sono le iniziative che si suggeriscono di intraprendere per risolvere la situazione problematica che si è costretti a vivere.


Mariano A. chiede
domenica 04/11/2018 - Lombardia
“Buongiorno,
Nel mio condominio un bar ristorante svolge, nel seminterrato, anche attività di musica dal vivo con canti e cori fino alle ore 04 del mattino.
Per quanto riguarda la tollerabilità delle emissioni del rumore stiamo già procedendo con le misurazioni del differenziale 3 db. Per quanto riguarda gli schiamazzi notturni su strada ci stiamo muovendo con un esposto.
Dal regolamento condominiale non si evince in modo chiaro il divieto alle emissioni rumorose dell'esercizio, interne ed esterne al locale, (vedi art. 8/a e art. 9)
sembrerebbe che il divieto si rivolga agli appartamenti e non agli esercizi del piano terra.
Se ritenete che il regolamento sia applicabile anche agli esercizi, la responsabilità fa capo all'inquilino gestore dell'esercizio oppure anche al proprietario del locale ?”
Consulenza legale i 11/11/2018
Le immissioni di fumo, rumori, calore, esalazioni e altre simili propagazioni che provengono dal fondo del vicino vengono disciplinati dall’art.844 c.c., norma che trova ampia applicazione nelle controversie condominiali.

Analizzando tale norma possiamo distinguere quelle immissioni che devono essere considerate lecite, in quanto non superano la soglia di tollerabilità, dalle immissioni che, superando tale soglia, sono da considerarsi illecite.
Le immissioni illecite vanno ulteriormente distinte: vi sono, infatti, immissioni che seppur superino la normale soglia di tollerabilità, vengono consentite dall’ordinamento, al fine di far prevalere le ragioni della produzione rispetto a quelle della proprietà; vi sono infine immissioni da considerarsi semplicemente illecite e contro di esse l’ordinamento ammette una tutela inibitoria e risarcitoria.

La tutela inibitoria si realizza nel momento in cui si ottiene dalla autorità giudiziaria un provvedimento, che impedisca al proprietario del fondo da cui provengono le immissioni intollerabili di continuare a porre in essere l’attività che ne è la causa.

Le immissioni illecite e non tollerate comunque dall’ordinamento, devono considerarsi anche fatti illeciti ex art 2043 del c.c. e come tali chi le subisce può avere titolo per pretendere dal proprietario del fondo da cui provengono un risarcimento, qualora innanzi al giudice si arrivi a provare:
- la intollerabilità delle immissioni
- il dolo o la colpa del soggetto che le ha causate e
- il danno subito.

Venendo ad analizzare le norme delregolamento condominiale citate nel quesito, non si ha dubbi nel ritenere che il divieto di immissioni intollerabili si rivolga anche alle attività commerciali fronte strada. Seppur l’art. 8 del regolamento non sia stato redatto in maniera chiarissima, qualsiasi avvocato avrebbe gioco facile nell’estendere tale norma anche al bar ristorante. Si tenga inoltre conto che l’art 844 c.c. è posto a tutela di interessi costituzionalmente garantiti, come la proprietà (art [n42cost] Cost.) e la libertà di impresa (art. [n41cost] Cost.). Per tale motivo se le immissioni provenienti dalle attività commerciali saranno considerate illecite dalla autorità giudiziaria sarà riconosciuta la tutela inibitoria e risarcitoria indipendentemente da quanto previsto dal regolamento di condominio.

Maggiori perplessità suscita l’art. 9 del regolamento condominiale. Tale norma impone a chi concede in locazione una unità immobiliare di rendere noto al proprio conduttore il regolamento condominiale, inserendo nei contratti di affitto apposite clausole che prevedano la risoluzione del rapporto contrattuale, qualora vi sia una violazione del regolamento condominiale da parte dell’affittuario. Conclude tale articolo disponendo che il proprietario rimane comunque responsabile nei confronti della compagine condominiale per eventuali violazioni del regolamento.
Tale ultima disposizione, tuttavia, non può interpretarsi nel senso di ritenere responsabile il locatore dei comportamenti rumorosi e chiassosi tenuti dall’affittuario all’interno della unità immobiliare concessa in locazione, per il solo fatto di essere proprietario: la giurisprudenza in questo senso è estremamente chiara.
La Cassazione Civile, Sez.III, del 16.06.1987 n.5287 ha ritenuto che l’azione, iniziata contro l’affittuario dell’appartamento, mirante ad ottenere la cessazione di determinati comportamenti illeciti (ad esempio gli schiamazzi e i rumori notturni intollerabili ex art.844 del c.c.), debba considerarsi azione meramente risarcitoria e come tale proponibile solo nei confronti del detentore dell’immobile, quando detti comportamenti possono cessare senza l’intervento dei proprietari. Tale giurisprudenza seppur oramai datata è stata ribadita in molti interventi recenti della corte di legittimità.

La Cass. Civ,Sez.VI, con l’ ordinanza n. 4908 del 1° marzo 2018 (richiamando una sentenza delle Sezioni Unite del 27.07.1969 n.2711), pronunciandosi in un caso del tutto analogo a quello descritto dal quesito, ha escluso che il locatore possa considerarsi responsabile dei rumori molesti provenienti dal locale bar affittato ad una terza persona.
L’ordinanza va a ribadire come l’azione volta a richiedere la cessazione di un rumore molesto proveniente da un esercizio commerciale, sia sostanzialmente una azione risarcitoria di natura personale, la quale va promossa innanzitutto contro il conduttore e non contro il soggetto che ha affittato i locali.
Non esiste, infatti, nel nostro ordinamento, secondo la giurisprudenza in commento, un obbligo giuridico in capo al locatore che imponga allo stesso di impedire al proprio conduttore di fare chiasso.

Secondo i giudici di legittimità perché il locatore possa essere chiamato a rispondere dei danni generati dai rumori molesti causati dal suo conduttore è indispensabile andare ad applicare gli ordinari principi del neminem laedere disciplinati dall’art. 2043 c.c. e 1176 del c.c. In altre parole, è necessario che la compagine condominiale vada a dimostrare che al momento della conclusione del contratto di locazione:” il proprietario avrebbe potuto prefigurarsi…che in conduttore avrebbe certamente recato danni a terzi con la propria attività.”
L’onere probatorio richiesto dai giudici incombe su chi richiede i danni (in questo caso il condominio), ed è di difficile assolvimento. Esso non potrà considerarsi raggiunto semplicemente allegando in giudizio il fatto che il conduttore svolga nei locali affittati una attività di bar o di intrattenimento.


C. L. chiede
martedì 04/09/2018 - Lombardia
“Buongiorno, sono residente in un bilocale sito al sesto ed ultimo piano di uno stabile di proprietà della cooperativa Uniabita di Milano, i cui alloggi sono affittati ed amministrati dalla stessa.

Il mio problema è la conseguenza di varie concause che dovrò necessariamente premettere.

Al piano sottostante, il quinto, è residente una famiglia di quattro persone, genitori e due figli, i due coniugi fumano in casa, in continuazione, prevalentemente in cucina quando sono assenti i figli, altrimenti fumano affacciandosi alla finestra della cucina stessa. Lavorando entrambi su turni, ogni giorno è sempre presente qualcuno che fuma, ma in determinati orari della giornata, ad esempio la mattina presto, durante i pasti e la sera, sono presenti entrambi e fumano contemporaneamente una sigaretta dietro l'altra.

Dalla finestra di quella cucina dunque esce fumo a getto continuo dalle 7:00 alle 24:00 per 365 giorni all'anno, in special modo durante le ore critiche, ovvero dalle 7:00 alle 10:00 e dalle 19:00 alle 22:00 la quantità di fumo prodotta è almeno quadrupla rispetto al resto della giornata. I signori hanno anche l'abitudine di tenere tutte le finestre chiuse tranne appunto quella della cucina, che è sempre spalancata, ed un'altra finestra situata dall'altro lato del palazzo, dal quale soffia vento costantemente, e in questo modo si genera un flusso naturale d'aria che spinge fumi e cattivi odori fuori, esclusivamente dalla finestra della cucina. Durante la notte poi quest'ultima resta socchiusa, anche d'inverno, e continua ad uscire puzza ininterrottamente finché non ricomincia il ciclo. Al fumo di sigaretta, sia passivo che diretto, si aggiungono poi esalazioni di detersivi aggressivi e puzza di ogni sorta.

La mia situazione invece è la seguente: l'abitazione in cui risiedo ha tutte le finestra collocate sullo stesso lato dell'edificio, questo significa che l'aria non può circolare in modo naturale, neanche se si aprono tutte le finestre contemporaneamente, infatti per tamponate il problema in casa ci sono già cinque ventilatori, ma l'aspetto drammatico della questione è che proprio per questo motivo i fumi e i vapori dei detersivi che entrano dalle finestre non escono, restano bloccati in casa, nonostante l'azione dei ventilatori. Dunque le finestre della mia abitazione sono cinque, affiancate, la prima è quella della cucina, che corrisponde verticalmente alla finestra della cucina dei signori fumatori del piano di sotto, tre delle altre finestre si affacciano su due balconcini. Questi ultimi sono coperti da una pensilina molto bassa di circa 2 mt a forma di mezza luna, la quale, non solo impedisce ai fumi provenienti dal basso di disperdersi, ma addirittura li trattiene e li veicola, come una sorta di tunnel, verso tutte le finestre. Se c'è umidità il fumo di sigaretta e i vapori dei detersivi restano sospesi a mezz'aria, per ore davanti alle finestre, penetrando attraverso le fessure delle serrande abbassate. Questo succede tutte le mattine, anche d'estate. Per di più, nove volte su dieci il vento soffia esclusivamente all'altezza del sesto piano, trasportando orizzontalmente verso le finestre i fumi che salgono dalla finestra della cucina del piano sottostante e spingendoli a forza dentro casa.

In conclusione, ogni giorno, d'estate o d'inverno, quando la mattina apro qualsiasi finestra per cambiare l'aria, invece di entrare aria fresca entra solo fumo di sigaretta, misto a puzza di ogni genere ed esalazioni di detersivi. Sono costretto quindi a tenere le finestre chiuse, anche d'estate, ma in tutte quelle circostanze in cui sono obbligato ad aprirle, ad esempio quando si cucina o si lavano i pavimenti, c'è sempre lo stesso problema, entra fumo e puzza, ripeto da tutte le cinque finestre, e una volta entrati non escono perché essendo tutte le finestre situate sullo stesso lato del palazzo, non si genera alcun flusso d'aria.

Spesso sono costretto ad aprire la porta d'ingresso dell'abitazione, per far circolare l'aria proveniente dalla finestra del pianerottolo che, come se non bastasse, si trova al piano di sotto, invece al sesto piano non c'è finestra nel pianerottolo, e purtroppo il fumo di sigaretta, la puzza e i vapori dei detersivi, provenienti dall'abitazione sottostante spesso si depositano nel pianerottolo del sesto piano, proprio davanti la porta d'ingresso che si trova in un anfratto cieco dello stesso, e non possono far altro che entrare in casa quando apro la porta, d'inverno inoltre penetrano attraverso la fessura tra il pavimento e la porta stessa, nonostante la presenza di un tappeto che non riesce a tapparla. In parole povere la mia abitazione è invasa da fumo passivo proveniente da ogni apertura, ho dovuto sigillare persino la presa d'aria a norma di sicurezza situata in cucina perché d'inverno, con tutte le finestre chiuse, mi svegliavo al mattino con il fumo di sigaretta in camera da letto, proveniente appunto dalla presa d'aria che si trova esattamente sopra la finestra della cucina dei fumatori sottostanti.

Dopo mesi passati a soffrire forti mal di testa dovuti ad infiammazione cronica delle vie respiratorie, oltre ad esaurimento nervoso dovuto a questa situazione, per disperazione ho comprato tre ventilatori industriali da pavimento, che si aggiungono agli altri cinque, e li ho collocati sulla soglia delle finestre per muovere l'aria nel tentativo di disperdere il fumo, in modo da evitare perlomeno che penetri nelle fessure delle serrande, che comunque devono restare abbassate, ostruendo per altro la luce del giorno, questi ventilatori restano in funzione anche d'inverno dalle 7,00 alle 24,00, fanno rumore e consumano corrente elettrica (circa 200 Watt per 18/20 ore al giorno), ma resta sempre il fatto che non posso aprire le finestre, nemmeno d'estate. C'è da aggiungere che in presenza di vento l'azione dei ventilatori si annulla e quando piove sono costretto a toglierli, di conseguenza il fumo comincia ad entrare e devo chiudere le finestre, ma quando poi arriva il momento di cambiare l'aria è sempre il solito dramma, per respirare un po di aria pulita, anche se puzzolente, devo aspettare la notte dopo le 2:00, altrimenti l'aria è irrespirabile persino fuori sui balconi. Senz'aria e senza luce dopo due anni mi sono ammalato di depressione, ma non ho potuto affrontare il problema prima perché ne ho avuti altri più gravi. D'estate la casa diventa un forno, ed io devo scegliere se soffrire di caldo con le finestre chiuse nella penombra o se soffrire di mal di testa per via del fumo, mentre i signori del piano di sotto si godono la brezza fresca profumata proveniente dall'altro lato del palazzo che gli consente addirittura di non accendere il condizionatore, mentre io e la persona con cui convivo, patiamo le pene dell'inferno.

Ecco io vorrei sapere quindi se c'è reale possibilità di vincere una causa, obbligano gli inquilini sottostanti a dotarsi di un aspiratore di fumi o qualcosa del genere per evitare la fuoriuscita dalla finestra, se possibile anche un risarcimento danni, quanto meno per le spese legali, ed inoltre una stima indicativa dei tempi per questo genere di casi. Grazie.”
Consulenza legale i 11/09/2018
Ai fini della risoluzione del caso sottoposto al nostro esame, occorre partire dall’esame dell’art.844 c.c.rubricato “Immissioni” alla lettura del quale si rimanda.
La norma fa riferimento, al fine di bilanciare opposti interessi, alla “normale tollerabilità”, da intendersi con ciò che, nella maggior parte dei casi, è accettato dalla società.
Di fronte, tuttavia, alle ingerenze/sopportazioni che superano il grado sociale di accettazione, l’individuo ha diritto di reagire essendo in presenza di un’attività illegittima.

Quando sia accertato che le immissioni di fumo, rumore e odori sono intollerabili, si versa in una situazione di illiceità, cosicché il giudice deve ordinare la cessazione delle immissioni e condannare chi le effettua al risarcimento del danno procurato.

Il concetto di “normale tollerabilità” non è peraltro stato precisamente definito dal legislatore.
Il codice spiega solo che nel valutare tale parametro si deve tenere conto delle condizioni dei luoghi e dell’esigenza di dover contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà.
Il giudizio in ordine alla tollerabilità, dunque, è rimesso a chi applica la norma, ovvero il giudice, che dovrà valutare il caso concreto tenendo conto della particolarità della situazione concreta (Cass. 27 gennaio 2003, n. 1151).

Contro le immissioni è prevista una tutela civilistica mediante l’esercizio di 2 azioni:
- L’azione inibitoria, che è un tipo di azione diretta ad impedire al proprietario del fondo da cui provengono le immissioni il perpetuarsi delle stesse.
- L’azione di risarcimento danni ai sensi dell’art. 2043 c.c. che prevede il diritto al risarcimento nel caso di danno ingiusto derivante da fatto doloso o colposo altrui.
L’azione inibitoria e quella risarcitoria possono essere proposte congiuntamente nello stesso procedimento.
Sotto il profilo probatorio, chi intende ottenere il risarcimento del danno dovrà dimostrare da un lato il superamento del limite della normale tollerabilità delle immissioni di fumo e, dall’altro lato, di aver subito danni a seguito dell’esposizione ai fumi.

Venendo al caso in esame, sicuramente Lei è legittimato ad agire in giudizio per far valere i suoi diritti.
Occorre, però, dar prova che il fumo supera il limite della normale tollerabilità e dei danni che le immissioni di fumo le hanno causato e le stanno causando.
Potrà agire in via ordinaria mediante un’azione di inibizione con la quale chiedere al giudice la cessazione delle immissioni di fumo o comunque condannare i suoi vicini ad adottare le precauzioni necessarie ad evitarle, sia proporre un’azione di risarcimento di tutti i danni subiti per effetto del comportamento altrui.

Non siamo in grado di stabilire i tempi per la conclusione della causa, ma non risolverà certo la questione in breve tempo. Sono noti a tutti i tempi della giustizia italiana. Un giudizio ordinario assai difficilmente si conclude in meno di due anni.
Laddove, tuttavia, vi siano danni relativi alla salute ed all’ambiente salubre è possibile ricorre alla procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c. che dovrebbe portare ad una soluzione della controversia in tempi molto più rapidi.

Umberto E. chiede
mercoledì 02/05/2018 - Piemonte
“Salve,
abito in quartiere residenziale costituito da abitazioni indipendenti.
Da quando è stata istituita la raccolta differenziata nel mio paese nel 2011, il mio vicino di casa che già non teneva molto in ordine la parte esterna della sua abitazione, ha deciso di non pagare sulla tassa rifiuti il cosiddetto "verde" e molto tranquillamente ha iniziato a fare del "compostaggio". Il compostaggio però non è stato fatto nella maniera giusta ma accumulando in un punto dell'esterno della casa tutto il verde o i rami delle piante che ogni tanto toglieva in giro per la sua proprietà. Inoltre per non pagare neanche "l'umido" sulla tassa per i rifiuti ha deciso di buttare nel cumulo di erba anche il cibo.
La situazione con gli anni è peggiorata, gli insetti di ogni tipi sono aumentati, girano anche i topi (e infatti il mio vicino si è preso due gatti selvatici), l'odore alle volte dà fastidio.
Quando un paio di anni fa è morto mio padre (che è stato sempre zitto), io al mio vicino ho detto che doveva tenere il compostaggio a cielo aperto nella maniera giusta e non accumulare tutto ciò che tagliava in un punto e tutti felici e contenti...., che il compostaggio era fatto per creare concime per il suo orto, visto che le uniche piante che mette nell' "orto" (definiamolo così) sono solo i pomodori mentre lui da tale cumulo non aveva mai tratto niente.
Il mio vicino si è scatenato, è diventato molto dispettoso, e mi sono regolato mettendo molte luci con sensori di accensione, impianto di allarme con i perimetrali esterni e rilevatori vari, sistema di videosorveglianza ; se non avessi attuato queste misure di difesa non so cosa avrebbe fatto, visto che il resto del vicinato è indifferente o addirittura compiacente per diversi motivi che in questa sede non è il caso di riportare.
Naturalmente l' estate scorsa ho mandato una segnalazione all'Ufficio di Igiene della mia provincia e, dopo un sopralluogo di due tecnici, ho ricevuto da parte dell'Ufficio di Igiene una comunicazione che mi dà ragione sul fatto che il vicino con il suo modo di fare il compostaggio può creare anche danni alla salute; tale comunicazione è stata spedita anche al mio comune di appartenenza che, attraverso due suoi rappresentanti, prima ha contattato noi e poi si è rivolto al vicino, ma alla fine non so cosa gli è stato detto o notificato.
Alla fine non è cambiato nulla ed ora ho deciso di andare avanti continuando a fare foto sull'evoluzione del "cumulo" di compostaggio del vicino e poi un giorno mia madre si è accorta che il vicino usciva di casa con un contenitore contenente bucce di frutta e verdura e che invece di buttarlo nel compostaggio scavava una buca nell'orto e lo seppelliva.
Dopo avermelo comunicato ho deciso di filmare tale azione e purtroppo il mio vicino ha praticato il seppellimento della suddetta frutta e verdura per parecchie settimane.
Premesso tutto ciò, la mia domanda è questa: le mie registrazioni sul cattivo comportamento del vicino, probabilmente non valide legalmente, posso almeno farle vedere a qualche autorità o rischio subito una bella denuncia per violazione della privacy?
E lo stesso discorso vale anche per le fotografie del "cumulo" di compostaggio?
Credo che se non faccio vedere tali prove a qualcuno sembra che racconti una situazione assurda perché ho un vicino non molto pulito ed ordinato.
Probabilmente chiederò dei consulti ulteriori sempre inerenti a questa problematica di non facile soluzione, viste le "reticenze" di un certo sistema.
Grazie per le risposte”
Consulenza legale i 07/05/2018
La problematica in esame si ritiene che possa essere risolta facendo ricorso al disposto di cui all’art. 844 c.c., dedicato proprio alle immissioni moleste provenienti dal fondo del vicino.
Intanto si rende necessario fare una premessa sull’attività di compostaggio domestico ed a tal fine un sicuro riferimento normativo lo si può rinvenire nella delibera di giunta regionale n. 13426 dell’1 marzo 2010 (il riferimento è alla Regione Piemonte, che è quella qui interessata).
La Tabella 11 di tale delibera disciplina espressamente quali debbono essere i luoghi di attuazione e le modalità operative del compostaggio domestico, disponendo tra l’altro che le operazioni di compostaggio domestico devono essere effettuate il più lontano possibile dalle abitazioni, in aree private esterne ai fabbricati e che abbiano superficie non pavimentata.
Viene anche ivi precisato che le operazioni di compostaggio, indipendentemente dalla metodologia utilizzata, devono garantire il rispetto delle norme igienico sanitarie ed ambientali, con particolare riguardo all’emanazione di odori sgradevoli, al proliferare di insetti, all’infestazione da ratti o altri animali, ecc., dettando delle indicazioni operative di massima, proprio per scongiurare l’insorgere di tali inconvenienti.
Dal confronto tra ciò che viene riferito in ordine all’attività di compostaggio svolta dal vicino e le modalità operative che il decreto regionale sopra citato richiede di rispettare, si ritiene che vi sia un enorme divario.

Fatta questa necessaria premessa e tenuto conto che già la strada della segnalazione al competente ufficio di igiene (e, quindi, ad una pubblica autorità) è stata percorsa senza conseguirne alcun risultato positivo, si ritiene che non resti altra soluzione che quella di affidarsi ad una decisione giudiziale, possibilmente facendo precedere il giudizio da una lettera di diffida e messa in mora, con cui si intima al vicino di svolgere l’attività di compostaggio nel rispetto della normativa vigente e senza arrecare danni a coloro che abitano nella zona.

Come già anticipato il riferimento normativo per la tutela delle proprie ragioni lo si rinviene nell’art. 844 c.c.
Trattasi di norma c.d. aperta, in quanto non definisce in modo rigido il concetto di immissioni che superano la normale tollerabilità.
Secondo gli sviluppi dottrinali e giurisprudenziali che hanno interessato tale norma, perché l’applicazione della stessa possa essere invocata occorre che le immissioni abbiano il carattere della materialità (individuabile nella circostanza che le stesse devono generare sostanze fisicamente apprezzabili e misurabili), che siano conseguenza di una attività lecita (svolta in modo continuato e periodico, non accidentale) e che provengano da un fondo vicino (ove per vicinanza non si intende contiguità).
Trattasi di elementi che si ritiene siano tutti presenti nella fattispecie in esame.

Per quanto riguarda l’ulteriore requisito richiesto dalla norma, ossia quello secondo cui non possono impedirsi le immissioni che non superano la normale tollerabilità, secondo la tesi oggi prevalente la tollerabilità delle immissioni non va desunta dalla normalità dell’attività che la origina, ma dagli effetti che produce nei vicini, in relazione alle specifiche condizioni ambientali di tempo e di luogo.
Ciò significa che non occorre fermarsi a valutare la normalità dell’attività di compostaggio domestico, ma è necessario valutare più che altro gli effetti negativi che tale attività produce a danno dei vicini; a tal fine un ruolo fondamentale viene attribuito al prudente apprezzamento del giudice investito della questione (cfr. Cass. 5607/2001).
A ciò si aggiunga che, qualora a seguito anche di una consulenza tecnica, dovesse accertarsi che l’attività di compostaggio viene praticata in maniera illecita, ovvero non conforme a legge (ipotesi alquanto possibile), il parametro della normale tollerabilità neppure trova più applicazione, in quanto non vi è ragione per imporre un sacrificio all’altrui diritto di proprietà (Cass. 10715/2006; 1156/1995).

Ricorrendo, dunque, tutti i presupposti richiesti dalla norma in esame, si ritiene che possa senza alcun dubbio esperirsi l’azione inibitoria di tipo reale diretta ad eliminare le cause delle immissioni, mentre per quanto concerne l’azione risarcitoria a carattere personale, è opinione diffusa quella secondo cui l’azione risarcitoria ex art. 844 non si estende alla tutela dei diritti personalissimi, per cui in caso di danni provocati alla salute, sia da immissioni intollerabili provenienti dal fondo del vicino sia da fatto illecito, sarà necessario fare ricorso all’applicazione degli artt. 2043 e 2058 c.c.

Per quanto concerne la problematica relativa alle prove acquisite per il tramite di videoregistrazioni e rappresentazioni fotografiche, si ritiene interessante segnalare la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II penale n. 22093 del 27.05.2015, con la quale la S.C., pur se con specifico riferimento al processo penale, ha ritenuto legittime le videoriprese eseguite da privati relative a luoghi di privata dimora liberamente visibili dall’esterno senza particolari accorgimenti, costituendo le stesse prova atipica, pienamente utilizzabili senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
In particolare, sono state proprio ritenute legittime le videoriprese eseguite da privati mediante telecamera esterna installata sulla loro proprietà, che consentano di captare ciò che accade nell’ingresso, nel cortile e sui balconi del domicilio di terzi, i quali, rispetto alle azioni che ivi si compiono, non possono vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza, trattandosi di luoghi che, pur essendo di privata dimora, sono liberamente visibili dall’esterno senza
particolari accorgimenti.
Si parla di prova atipica perché non prevista dalla legge, ma che il giudice può assumere in giudizio in quanto idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudizievole della libertà morale della persona.

Chiaramente si intuisce bene che il principale timore che si ha in questo caso è quello di incorrere in una violazione del domicilio altrui, della cui tutela si occupano delle norme indubbiamente di non scarso rilievo, ossia gli artt. 14 cost. e 8 Cedu.
Tuttavia, va detto che nell’ampio concetto di luoghi di privata dimora, in relazione ai quali può concretarsi una lesione della inviolabilità del domicilio, occorre distinguere tra ambienti esposti al pubblico, e come tali oggettivamente visibili dall’esterno da più persone senza l’utilizzo di particolari accorgimenti, e ambienti, al contrario, la cui visione dall’esterno è occultata o comunque possibile solo con la predisposizione di particolari accorgimenti o comunque con il consenso del titolare.
Il caso che ci riguarda, almeno per la descrizione che ne viene fatta, sembra rientrare a pieno titolo nella prima delle due fattispecie sopra delineate, riguardando un ambiente visibile da soggetti estranei.

Con tale orientamento, peraltro, la S.C., argomentando proprio dalla considerazione che la percettibilità all’esterno dei luoghi fa venir meno ogni lesione della riservatezza, si è posta in aperto contrasto con le regole dettate dal Garante della Privacy, il quale, attraverso una stretta applicazione di quanto disposto dal D.lgs. 196/2003, propende per una assoluta inutilizzabilità dei dati personali acquisiti a seguito dell’utilizzo di sistemi di videosorveglianza.

E’ quella giudiziale, dunque, la strada che si consiglia di perseguire, ritenendosi che solo l’organo giudiziario potrà essere quello meglio deputato a valutare la legittimità e l’utilizzabilità delle prove nel tempo acquisite, senza correre il rischio di affidarsi ad organi ed autorità di tipo amministrativo che, probabilmente ignari di quanto statuito dalla Corte di Cassazione in materia, potrebbero non vedere di buon occhio gli elementi probatori che si intendono fornire a supporto delle proprie ragioni.


ANDREA B. chiede
giovedì 05/04/2018 - Toscana
“Buongiorno, vi scrivo a nome di un gruppo di persone che abitiamo nei dintorni nell'autodromo del Mugello e vi scriviamo perché abbiamo intenzione di intraprendere una causa civile contro la Mugello Circuit spa che ha in gestione la pista di proprietà Ferrari a Scarperia e San Piero. Abbiamo già tentato in tutti i modi la via amministrativa con i comuni di Scarperia e Borgo San Lorenzo che rilasciano ormai da anni una deroga illimitata per il rumore per 360 giorni all'anno. Negli ultimi anni il calendario prove libere ed eventi del circuito si è molto intensificato tale da avere "rumore" a partire da aprile fino a Novembre inoltrato.
Abbiamo fatto delle misurazioni empiriche con fonometri da casa e abbiamo riscontrato una differenza tra situazione di non attività del circuito e situazione di attività del circuito molto superiore ai 3 e/o 5 decibel che influiscono sulla normale tollerabilità. Sicuramente saranno necessarie misurazioni co strumenti certificati ecc. e sicuramente un fattore molto importante specialmente per la conformazione del ns. territorio è il fattore vento che però abbiamo riscontrato e verificato con uno studio metereologico essere predominante da sud est e quindi che va ad impattare più su alcune zone rispetto ad altre. Ad oggi abbiamo avuto un paio di incontro con studi tecnici ed avvocati consigliati dal Prof. N*** e secondo il loro parere dovremmo avere la "vittoria" abbastanza facile... ad oggi ci chiediamo però quali assi nascosti bene nella manica potrebbero avere gli avvocati della Mugello Circuit per far cadere le ns accuse?
Spero di essere stato abbastanza chiaro. A disposizione per chiarimenti. Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 09/04/2018
Prima di rispondere alla domanda contenuta nel quesito, sono doverosi alcuni cenni alla normativa in materia.
In primo luogo, la norma di carattere generale relativa alle immissioni moleste nei rapporti tra privati è contenuta nell’art. 844 del codice civile, alla lettura integrale del quale si rimanda.

Per “normale tollerabilità”, nella prevalente elaborazione giurisprudenziale, si ritiene che: “Il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo), sicché la valutazione ex art. 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale. Spetta al giudice del merito accertare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell'ambito della normale tollerabilità” (Cass. 17051/2011).
Il superamento di tale limite da diritto a un equo indennizzo.

Ciò posto in linea generale, nel caso in esame (considerato che si tratta di un autodromo) occorre far riferimento anche alla relativa disciplina speciale in tema di immissioni sonore prodotte nello svolgimento delle attività motoristiche contenuta nel DPR 304/2001.
In particolare, l’art. 3 di tale testo normativo, individua dei precisi limiti di dette immissioni e prevede altresì (al comma 8) che eventuali deroghe a tali limiti “devono essere richieste dai gestori degli autodromi al comune territorialmente competente, il quale le concede sentiti i comuni contigui interessati dal superamento dei valori limite di cui al comma 3. Le aree nelle quali è previsto il superamento dei valori limiti ed i relativi comuni di appartenenza, sono indicate in una relazione tecnica allegata alla richiesta di deroga”.
Tuttavia, occorre tenere presente che la predetta normativa speciale in tema di immissioni regola solo i rapporti tra pubblica amministrazione e privati e non disciplina, quindi, direttamente i rapporti tra i privati per i quali si fa riferimento al sopra citato art. 844 c.c.
Ad ogni modo, l’eventuale superamento delle soglie di immissioni indicate nella normativa speciale determina sempre un'immissione illecita, (anche tra privati), mentre un immissione che non superi tali soglie in base alla normativa speciale non viene considerata lecita (tra privati) soltanto se non è tollerabile ex art. 844 cc. (valutazione rimessa al giudice di merito sulle base delle circostanze di fatto).

Ciò precisato dal punto di vista della normativa, ci preme segnalare una recente pronuncia di merito del Tribunale di Firenze (la n.721/2017) che costituisce il primo precedente di condanna di un autodromo per immissioni rumorose. Nella sentenza in questione, infatti, l’autodromo è stato condannato a pagare agli attori un equo indennizzo ai sensi dell’art. 844 c.c.

Alla luce di tutto quanto precede, in risposta al quesito si osserva quanto segue.
Se oggetto dell’eventuale giudizio sarà una richiesta ai sensi dell’art. 844 c.c. riteniamo che vi siano ragionevoli probabilità di successo. Più difficile invece dimostrare un eventuale danno ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Di contro, gli “assi nascosti nella manica” di controparte (cioè l’autodromo) potrebbero essere argomentazioni basate sul rispetto dei limiti sonori stabiliti dalla legge e sull’esistenza di deroghe concesse dal comune. Tuttavia, anche in tal caso, spetterebbe al giudice del merito accertare in concreto se tali immissioni rientrino o meno nell'ambito della normale tollerabilità. Inoltre, sempre con riguardo a quanto disposto dall'art. 844 c.c. (ultimo comma) l'autodromo potrebbe sostenere che l'attività era già in essere quando sono state edificate le case (sempre che nei fatti sia così).
In ogni caso, per poter individuare tutte le eventuali argomentazioni di controparte occorrerebbe leggere il contenuto dell'atto di citazione con cui si intende chiamare in giudizio l'autodromo.

A. P. chiede
martedì 19/12/2017 - Puglia
“Buongiorno!! Sono ....... scrivo dalla provincia di Bari e vi racconto la mia storia: da circa un mese sono esasperato dal latrare di un cane messo in un giardino dal nuovo proprietario di un abitazione confinante con la mia abitazione (il suo giardino confina con la mia zona notte) il disturbo è continuo dalle 07.30 di mattina in poi e non mi permette di poter dormire considerando che svolgo un lavoro usurante (guardia giurata) solo ed esclusivamente notturno in media dalle 21.00 alle 05 per 25 giorni al mese domeniche e festivi inclusi. Ho provato con tutta la buona educazione a parlarne con il proprietario che si è rifiutato di voler trovare un accordo pacifico per risolvere il problema che ad oggi dopo 40 giorni è diventato impossibile da sostenere considerando che ogni giorno dormo massimo 4 ore spezzettate perché ogni 10 minuti vengo svegliato appunto dall abbaiare del cane e puntualmente affronto un turno di servizio notturno come responsabile in un territorio ad alto indice di criminalità organizzata.. il tutto è documentato con oltre 40 video anche della durata di 90 minuti che dimostrano chiaramente il disagio che stiamo subendo... cosa mi consigliate?”
Consulenza legale i 22/12/2017
Per rispondere al quesito da lei posto occorre analizzare, innanzitutto, la normativa dettata dal codice civile in tema di "immissioni".

L'articolo di riferimento è l'art. 844 c.c., il quale prevede che il proprietario di un fondo debba sopportare le immissioni rumorose derivanti dal fondo del vicino se queste non superano la soglia della "normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi".

La norma prevede, inoltre, che, il giudice debba contemperare "le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà" e che lo stesso possa tener conto della "priorità di un determinato uso".

Il legislatore, dunque, non ha previsto una precisa soglia di rumore oltre la quale il rumore possa ritenersi "intollerabile": semplicemente, lo stesso ha fissato il criterio della "normale tollerabilità", facendo, quindi, riferimento alla sensibilità dell'uomo medio.

Il riferimento alla "condizione dei luoghi", poi, comporta che la valutazione di "tollerabilità" debba essere fatta con riferimento al caso concreto, tenendo, ad esempio, del fatto che ci si trovi in una zona isolata o in una zona ad alta intensità di rumori, essendo evidente che lo stesso livello di rumore può comportare maggiore o minore fastidio a seconda dell'ambito territoriale nel quale lo stesso viene posto in essere.

Passando alla tutela prevista in caso di immissioni intollerabili, occorre distinguere tra tutela civile e penale:

- dal punto di vista civilistico, è possibile agire in giudizio al fine di ottenere dal giudice, oltre che il risarcimento del danno, un provvedimento con il quale venga imposto al proprietario del cane di far cessare le immissioni rumorose.

Ovviamente, sarà necessario dimostrare che l'abbaiare del cane supera la soglia della normale tollerabilità: a tal fine, oltre al ricorso alla prova per testimoni, sarà opportuno, in corso di causa, disporre una consulenza tecnica d'ufficio", che accerterà la natura e l'intensità del rumore oggetto di contestazione.

Per riportare un esempio concreto, il Giudice di Pace di Ancona, con la sentenza n. 525 del 30.07.2003, si è occupata di un caso in cui un vicino di casa aveva agito in giudizio ai sensi dell'art. 844 c.c., sostenendo che l’abbaiare dei due cani di proprietà del convenuto fosse intollerabile e chiedendo, pertanto, la cessazione dell'immissione.
Veniva svolta una consulenza tecnica, all'esito della quale si concludeva che l'abbaiare dei cani può ritenersi "normale" solo quando fa parte dei "rumori di fondo", per tali dovendosi intendere i "latrati occasionali, stimolati quasi sempre dal passaggio di pedoni o di automezzi, in prossimità delle recinzioni di proprietà”.
Di conseguenza, il Giudice di Pace, "ritenuto che il diritto di libertà di tenere con sé animali di affezione (...)non è assoluto o illimitato, ma deve essere contemperato con il diritto alla salute e alle esigenze personali di vita connesse all'abitazione del vicino" riconosceva l’intollerabilità del rumore derivante dall'abbaiare del cane, disponendo la cessazione di tale attività nociva, obbligando il convenuto a non collocare i cani in giardino durante l'orario di riposo.

- dal punto di vista penalistico, l'abbaiare del cane, laddove sia idoneo a disturbare (anche solo potenzialmente) un numero indeterminato di persone, può configurare il reato di "disturbo alla quiete pubblica" (art. 659 c.c.).

Affinché l'abbaiare del cane possa assumere rilevanza penalistica, dunque, è necessario che venga disturbato un numero indeterminato di persone, come evidenziato dalla Corte di Cassazione, la quale ha precisato che "per configurare il reato di disturbo al riposo e alla quiete delle persone è necessario che le emissioni sonore moleste siano idonee ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone in presenza di un luogo abitato (esclusa, nella specie, la configurabilità del reato, atteso che l'abbaiare del cane era idoneo a disturbare solo i vicini di casa e non un numero indeterminato di persone)" (Cass. pen., sentenza n. 15230 del 2012).

Come accennato, ai fini della rilevanza penale, è sufficiente la potenzialità nociva dell'abbaiare del cane, dal momento che la Corte di Cassazione (sentenza n. 715 del 2010), ha precisato che "elemento essenziale della fattispecie di reato in esame è l'idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone e non già l'effettivo disturbo alle stesse".

Venendo al caso concreto, le consigliamo, in primo luogo, di rivolgersi ad un legale, inviando una diffida al suo vicino di casa (lettera raccomandata), evidenziando l'intollerabilità dell'immissione prodotta dall'abbaiare dei suoi cani e invitandolo a cessare immediatamente tale attività lesiva, minacciando, in caso contrario, di rivolgersi alle autorità competenti al fine di tutelare i suoi diritti.

Laddove la diffida non dovesse andare a buon fine, potrà valutare di agire in giudizio senz'altro in sede civile, ed eventualmente anche in sede penale (ma in quest'ultimo caso solo a condizione che sussista il presupposto del disturbo, anche potenziale, ad un numero indeterminato di persone).


Giancarlo M. chiede
sabato 17/06/2017 - Toscana
“Al piano terra del condominio dove abito c'è un bar che fa della musica talmente alta che anche di notte disturba il sonno di una buona parte del condominio stesso .
Sono anni che va avanti così e più volte le amministratrici hanno cercato di fare qualcosa ma non ci sono mai riuscite.
Adesso , sempre per lo stesso caso, ci rispondono che dobbiamo arrangiarci noi condomini, perché loro amministratrici non possono far nulla.
Posso avere delle indicazioni al riguardo che possano una volta per tutte risolverci il problema, che oltre a disturbare porta degrado alle ns. abitazioni - che pur essendo in una posizione meravigliosa sono mal viste, proprio per i disturbi di ogni genere che ci sono, dentro e fuori il condominio.”
Consulenza legale i 21/06/2017
Partiamo subito col precisare come non corrisponda al vero che l’amministratore di condominio, contrariamente a quanto riferito ai condòmini nel caso in esame, non possa far nulla in casi come questo: anzi, egli ha il preciso dovere di attivarsi per far cessare i rumori molesti.

Prima, tuttavia, di analizzare le possibilità di soluzione del problema, è bene ricordare brevemente le norme di riferimento in materia.
La prima e la più importante è sicuramente quella sulle immissioni di cui all’art. 844 c.c., norma posta a tutela della salute dell’individuo e che recita: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.”
L’articolo, come si vede, pone quale criterio per valutare se le immissioni sono illecite o meno quello della “normale tollerabilità”, concetto che tuttavia non può intendersi in senso assoluto, dal momento che la tollerabilità o meno di un’immissione (come un rumore, appunto) dev’essere valutata in relazione alla situazione ambientale e quindi può variare da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti (Tribunale Lucca, 30/11/2016, n. 2499).

In tema di rumori, più precisamente, per un’analisi oggettiva del livello di tollerabilità degli stessi, non si può prescindere dalla rumorosità di fondo, ovvero dalla fascia rumorosa costante sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni moleste.
Infine, l’analisi deve altresì tenere conto della sensibilità al rumore dell’uomo medio.

Anche nel caso del condominio, se non esiste alcun norma di natura regolamentare (regolamento di condominio) che disciplini l’ipotesi in esame, occorrerà fare riferimento all’art. 844 c.c. citato.

Come si diceva all’inizio, nel caso di rumori condominiali molesti e che superino la normale tollerabilità, l’amministratore deve attivarsi e, se non ottiene nulla con i consueti avvertimenti di natura “bonaria” e con i tentativi stragiudiziali di soluzione del conflitto di interessi tra condomini, ha il diritto di far cessare coattivamente le molestie attraverso la proposizione di un ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c..
Quest’ultimo introduce un giudizio particolarmente breve rispetto a quelli ordinari perché finalizzato a risolvere rapidamente e con urgenza una situazione concretamente dannosa per l’istante, quando l’ordinamento non preveda altri specifici strumenti processuali per farlo.

I condomini, poi, hanno un ulteriore e diverso strumento per far cessare le molestie, strumento che non necessita necessariamente dell’intervento e dell’attività dell’amministratore: si tratta della denuncia penale per disturbo al riposo ed alla quiete pubblica (ovvero di una molteplicità di persone), ai sensi dell’art. 659 c.p..
Il reato, si noti bene, non si configura quando il rumore disturba solo gli occupanti dell’appartamento confinante, ma solo se – come nel caso di specie – la molestia colpisce tutto il condominio: in questo caso si può presentare denuncia all’Autorità giudiziaria, la quale, con ogni probabilità, affiderà l’accertamento del reato all’Agenzia regionale a ciò deputata.

A tale ultimo proposito, si segnala che un rumore può semplicemente superare la normale tollerabilità, ed allora il comportamento del responsabile costituirà una violazione del solo art. 844 c.c., oppure può anche darsi che superi i limiti fissati dalla disciplina sull’inquinamento acustico (Legge n. 447/1995) e dettati a tutela della salute pubblica.
Si noti bene, in ogni caso, che per la Cassazione: “In tema di immissioni sonore, l'eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non può fare considerare, senz'altro, lecite le immissioni” (Cassazione civile, sez. II, 12/05/2015, n. 9660).
Il regolamento di attuazione di quest’ultima legge stabilisce, infatti, i limiti che il rumore emesso in ambiente abitativo non deve superare rispetto al rumore di fondo.
Nel caso di superamento di questi limiti, la violazione è dunque duplice: rispetto all’art. 844 c.c. e rispetto alla legge n. 447/1995.


Per concludere, in definitiva, per risolvere la spiacevole situazione condominiale di cui al quesito, si possono percorrere - anche contemporaneamente - due strade: un’azione civile ed un’azione penale.
Concretamente, si ritiene opportuno, come primo passo, inviare formale diffida al bar (se non lo si è già fatto), tramite l’amministratore quale rappresentante di tutto il condominio, minacciando (solo) la denuncia alla pubblica autorità nonché un’azione d’urgenza in sede civile (art. 700 c.p.c.) per la cessazione immediata dei comportamenti illeciti.

Dopodiché, se nulla si ottiene con la minaccia (come spesso, purtroppo, accade) i condòmini dovranno riunirsi in assemblea e decidere se intendono o meno procedere con un ricorso d’urgenza davanti al Giudice (la denuncia penale, che non costa nulla, ad avviso di chi scrive andrebbe fatta in ogni caso).
Va tenuto presente che nel caso di provvedimenti d’urgenza, il Giudice li può concedere a prescindere dalla previa instaurazione di un procedimento preventivo e stragiudiziale di mediazione (che invece, per regola generale, è obbligatorio nelle “liti condominiali”).

Purtroppo non esiste un altro modo, stragiudiziale e concretamente efficace, per far cessare i comportamenti molesti.

Altre fonti su cui approfondire il tema sono qui presenti:
http://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/disturbo-riposo-delle-persone-condominio-reato-sussiste-solo-vengono/976.html

http://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/divieto-attivita-rumorose-condominio-diritto-risarcimento-danno/109.html

http://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/rumori-molesti-condominio-oltre-alle-norme-codice-civile-bisogna/301.html

Anonimo chiede
venerdì 17/03/2017 - Campania
“salve! ho un problema con le api del mio vicino che ha un apiario vicino casa mia ed anche se ho verificato che rispetta le distanze la direzione delle api invade come un autostrada il mio giardino, di fatto impedendomi di sostare nello stesso sia a me che ai miei figli 4 12 e 15 anni, pena.... punture a go go. Essendo preoccupatissimo in quanto due dei miei figli sono soggetti allergici sono impossibilitati ad uscire in giardino perché terrorizzati dalle api e dalle possibili conseguenze. Pur dispiaciuto devo procedere legalmente. La legge quali tutele mi dà in questo caso?Attendo Vs risposta.”
Consulenza legale i 24/03/2017
Mentre sono poche le norme che il codice civile dedica alle api ed agli apiari, vi è invece una prolissa, eterogenea e specifica disciplina dell’apicoltura con finalità produttive.
Questo perché la Sua situazione è piuttosto infrequente, solitamente gli apiari non vengono attrezzati in contesti urbanizzati o comunque vicino ad abitazioni.

A parte l’art 924 c.c. sull’introduzione fortuita dello sciame d’api sul fondo altrui, l’art 896 bis c.c. regola la distanza tra gli apiari ed i confini della proprietà pubblica e privata.
La norma al 1°comma prevede che gli “apiari devono essere collocati a non meno di dieci metri da strade di pubblico transito e a non meno di cinque metri dai confini di proprietà pubbliche o private.
Il rispetto delle distanze di cui al primo comma non e' obbligatorio se tra l'apiario e i luoghi ivi indicati esistono dislivelli di almeno due metri o se sono interposti, senza soluzioni di continuità, muri, siepi o altri ripari idonei a non consentire il passaggio delle api. Tali ripari devono avere una altezza di almeno due metri. Sono comunque fatti salvi gli accordi tra le parti interessate”.
Tuttavia, dal momento che il suo vicino ha rispettato la normativa sulle distanze, non può essergli imposto di spostare l’attività e/o di rimuoverla.

La problematica esposta inerisce piuttosto al pieno e libero godimento del Suo immobile ed in particolare del Suo giardino che non può utilizzare per il pericolo fondato delle punture.

A tutela di queste situazioni supplisce l’art. 844 c.c, norma che vieta le immissioni nel fondo del vicino che superino la normale tollerabilità.
L’art 844 continua statuendo che “nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso".

La tollerabilità indica quel livello massimo di immissione, considerata in relazione alla specifica situazione, che sia tale da non attentare alla Sua integrità psicofisica.
Spetta al Giudice decidere, caso per caso, quando una immissione supera la normale tollerabilità, ma è granitica la giurisprudenza della Cassazione nel ritenere prevalente la tutela della qualità della vita e della salute, garantiti costituzionalmente dall’art. 32 Cost., rispetto alle esigenze della produzione, e ciò indipendentemente dalla priorità di un determinato uso (Cass. n.8420/2006 e n. 17051/2011).

Sulla base della dottrina e della giurisprudenza dominanti, dunque, il giudice dovrà ritenere prevalente il Suo diritto a godere della Sua abitazione senza turbative che possano attentare alla salute, e ciò anche se l'apicoltore aveva iniziato la sua attività prima che Lei acquistasse la sua casa.
Un’altra tutela prevista per il proprietario di un fondo leso dalle turbative del vicino è quella prevista e disciplinata dall’art. 949 c.c. : “il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio.
Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno”.
Infatti secondo una risalente giurisprudenza l’ambito di applicazione dell’art. 844, sarebbe ristretto alle immissioni indirette, cioè attività compiute dal vicino sul proprio fondo (facere in proprio) che si riversano e/o propagano per effetto di fattori esterni sul fondo del vicino.
Secondo questo indirizzo sono immissioni dirette, e rientrano dunque nell'ambito di applicazione dell'art. 949 e non invece dell'art 844 c.c., fattispecie caratterizzate dall'invasione del fondo da parte di api od animali (Cass. n.2488 del 1979 e Pret. Torino 4 dicembre 1956).

Ad ogni modo la differenza tra immissioni dirette ed immissioni indirette è più teorico che pratico, atteso che in sede contenziosa vale il principio iura novit curia, nel senso che è il giudice a qualificare la fattispecie, mentre il legale potrà più semplicemente proporre le due azioni contemporaneamente nello stesso giudizio, in subordine l’una rispetto all’altro.

In entrambi i casi sarà possibile richiedere la rimozione e/o lo spostamento dell'apiario oppure l'adozione degli accorgimenti idonei ad evitare l'immissione molesta, ma spetterà al Giudice cercare la soluzione che bilanci gli interessi confliggenti.

Resta poi da sottolineare che il proprietario degli animali è sempre responsabile ex art. 2052 c.c. dei danni cagionati dagli stessi e dunque il vicino che abbia subìto un pregiudizio di tipo non patrimoniale, ad esempio abbia dovuto intraprendere una terapia a seguito di una puntura d’ape, oppure di tipo patrimoniale, ad esempio i danni agli infissi ed alle porte causati dal deposito della propoli (Cass. n.7260/2013), potrà sempre richiedere il ristoro di ogni danno.


Maria C. M. chiede
venerdì 11/09/2015 - Calabria
“Ho un problema di rumore e vibrazioni dovute a ventola di proprietà del vicino, posta su facciata esterna comune, al di sopra della mia finestra e affacciante su strada pubblica. Tramite fonometro personale ho verificato che il livello di immissione notturno eccede le soglie di tollerabilità, tuttavia non posso verificare le vibrazioni. Sono una donna sola in allattamento di un bambino di 4 mesi, vengo risvegliata di notte da un mese, ho cominciato ad avere problemi gravi di salute, e, visto l'indifferenza dei vicini, sono stata costretta a lasciare l'abitazione, anche per timori sulla salute del bambino, con gravi danni alla vita familiare. Inoltre ho sviluppato un acufene e iperacusia. Ho fatto richiesta scritta al comune per dei controlli, tuttavia dopo in mese attendo ancora risposta. Sono stata ai carabinieri, ma non ho avuto delucidazioni. Non possiedo all momento un reddito fisso, il giudice di pace mi ha comunicato la necessità di istruire una causa civile e accertamenti tecnici con costi superiori a 1500 euro, che non ritengo di dover sostenere, per diritto alla sicurezza fisica e alla salute. Il comune/altri enti non dovrebbero provvedere ad accertamenti? E' necessaria querela per danno continuato al riposo e alla salute? Solo da un anno vivo in Italia, nel Regno Unito il comune verifica ogni problema su segnalazione gratuitamente ed il vicino in errore entro un mese viene multato per più di 5000 pounds.”
Consulenza legale i 06/10/2015
Purtroppo le soluzioni che si sarebbero potute prospettare sono state già tutte menzionate nel quesito.
Nella situazione descritta, infatti, solitamente il primo passo da compiere è avvertire il comune, che dovrebbe effettuare una misurazione del rumore, di regola svolta materialmente da tecnici ARPA. Se il tecnico dovesse rilevare un livello di rumore eccedente il limite stabilito dal DPCM del 1997, sussisterebbe in capo al Sindaco un potere di ordinanza, come ufficiale di governo, per obbligare colui che provoca le immissioni a cessare immediatamente le stesse o a ridurne l'entità in modo da rientrare nella normale tollerabilità.

Nel nostro paese, tuttavia, tale intervento del comune è spesso poco sollecito e quasi mai risolutivo, e quindi il cittadino perlopiù deve rivolgersi al giudice di pace per ottenere una sentenza a suo favore. E' certamente vero che l'attore in giudizio deve sostenere inizialmente le spese di avvio del procedimento, ma se egli risulterà avere ragione ne avrà comunque ristoro: questo il meccanismo vigente nell'ordinamento italiano, dove le spese di lite vengono poste a carico della parte soccombente, che deve rimborsare la parte vittoriosa di tutto quanto anticipato per avviare e continuare il processo (contributo unificato, etc., ma anche i compensi del legale). Inoltre, si deve ricordare che la persona indigente (cioè chi possiede un reddito imponibile, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.369,24) ha diritto al gratuito patrocinio, cioè ad avere l'assistenza di un avvocato che verrà poi retribuito dallo Stato. A tal proposito, si può sentire il competente Consiglio dell'Ordine degli Avvocati.

Anche la querela è una strada potenzialmente percorribile, poiché si può configurare il reato previsto e punito dall’art. 659 del c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). Tuttavia, va segnalato che secondo una parte della recente giurisprudenza, per aversi contravvenzione i rumori devono arrecare disturbo alla tranquillità di molte persone, non di un solo vicino (v. Cass. pen., sez. I, 11.01.2012, n. 270: "Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo, come nel caso di specie, ai soli occupanti di un appartamento, all'interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio in cui è inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti; infatti, in tale ipotesi non si produce il disturbo, effettivo o potenziale, della tranquillità di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite persone, sicché un fatto del genere può costituire, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di danno, ma giammai assurgere a violazione penalmente sanzionabile").

Una soluzione economica e ancora da intraprendere può essere quella di convenire il vicino di casa in sede di conciliazione volontaria (i rapporti di vicinato non rientrano nelle materia obbligatorie, quindi la mediazione può essere intrapresa solo su base volontaria). In questo modo, con costi molto contenuti (il primo incontro è gratuito se la mediazione dà esito negativo), si può invitare la controparte a trovare una soluzione comune e si ottiene anche lo scopo di far capire che vi è intenzione di tutelare i propri diritti e di non "lasciar correre".
Il buon esito della conciliazione dipende certamente dalla volontà delle parti di risolvere il problema - il convenuto può semplicemente rifiutarsi di partecipare -, tuttavia come incentivo vi è il fatto che il giudice, nel successivo giudizio di merito, può prendere provvedimenti nei confronti della parte che ha rifiutato la proposta di conciliazione. Gli organismi di mediazione sul territorio sono molti, è consigliabile sentire in prima battuta il Consiglio dell'ordine territorialmente competente.

David C. chiede
mercoledì 01/10/2014 - Toscana
“Vivo in zona IV da un po di tempo si sono insediate due fabbriche vicino a me (meno di 30 metri) . Misurando con un applicazione ho rilevato sul confine 55 Db i rumore è un ronzio di macchinari , colpi di fustellatrici e un soffio di compressore generalmente a cadenze regolari circa 2 minuti i lavori durano mediamente da lunedì a venerdì dalle 8.00 alle 20.00 il sabato dalle 8.00 alle 17.00 e talvolta anche la domenica. Che possibilità ho in una eventuale causa invocando la normale tollerabilità.”
Consulenza legale i 07/10/2014
Il codice civile, all'art. 844, sancisce che il proprietario di un fondo non può impedire i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Il codice specifica anche che devono essere tenute in considerazione le esigenze della produzione industriale, che potrebbero essere ritenute prevalenti sulle ragioni della proprietà.
La valutazione del livello di normale tollerabilità del rumore è lasciata al giudice di merito, che potrà liberamente apprezzarne l'eccessività e quindi ordinarne la cessazione.
Tuttavia, anche il giudice ha dei limiti entro i quali operare il suo giudizio. La legge n. 13 del 27.2.2009 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 dicembre 2008 n. 208, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente”, all'art. 6-ter (Normale tollerabilità delle immissioni acustiche) stabilisce: "Nell’accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’articolo 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso".
Le norme principali che disciplinano il settore dell’inquinamento acustico esterno sono contenute nella legge quadro 26 ottobre 1995, n. 447, nel DPCM 1 marzo 1991 e nel successivo DPCM 14 novembre 1997.
La legge quadro sull’inquinamento acustico ha riconosciuto ampi poteri alle regioni e agli enti locali, in particolare ai Comuni, in relazione alla classificazione acustica dei loro territori e al rilascio dei provvedimenti autorizzatori, da esercitare nell’ambito delle funzioni già detenute in materia di governo del territorio.
Il DPCM del 1997 ha disciplinato ulteriormente la materia, così definendo la "classe IV - aree di intensa attività umana": rientrano in questa classe le aree urbane interessate da intenso traffico veicolare, con alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali e uffici, con presenza di attività artigianali; le aree in prossimità di strade di grande comunicazione e di linee ferroviarie; le aree portuali, le aree con limitata presenza di piccole industrie.
Nelle zone IV, i valori limite assoluti di emissione consentiti sono: periodo diurno (06.00-22.00), fino a 65 Db; periodo notturno (22.00-06.00), fino a 55 Db. Vi è chi lamenta che tali limiti siano eccessivi (già a 55DB, infatti, secondo alcuni studiosi, possono sorgere disturbi del sonno), ma purtroppo questi sono i livelli attualmente in vigore.

Nel caso di specie, quindi, il valore rilevato sembrerebbe non violare i limiti dettati dalla normativa. Tuttavia, è consigliabile affidare ad un tecnico specializzato la rilevazione del livello di "rumore", anche in riferimento alla zona in cui è prodotto il rumore, al fine di valutare con esattezza tale livello e verificare anche opportunamente la regolamentazione comunale in materia.
O ci si affida ad un privato, con l'intenzione poi di adire un giudice, oppure si può chiedere al Comune competente una misurazione del rumore, di regola effettuata da tecnici ARPA: se il tecnico dovesse rilevare un livello di rumore eccedente il limite stabilito dal DPCM del 1997, sussisterebbe in capo al Sindaco un potere di ordinanza, come ufficiale di governo, per obbligare colui che provoca le immissioni a cessare immediatamente le stesse o a ridurne l'entità in modo da rientrare nella normale tollerabilità.

Angela T. chiede
venerdì 23/11/2012 - Campania
“salve
abito in un appartamento sito al primo piano che affaccia interamente nel cortile del parco.Da qualche mese un tombino posto sotto le finestre delle mie camere da letto ha incominciato a fare un rumore fastidioso che ci disturba soprattutto di notte; ho chiesto all'amministratore di ripararlo ma mi è stato detto che non è possibile senza una perizia per stabilire la soglia di tollerabilità. Un anno fa inoltre da un giorno all'altro sono state tolte le plafoniere dai lampioni del parco e messe nuove luci con il risultato che la mia casa è molto illuminata e di notte devo tapparmi dentro per contrastare la luce. Anche in questo caso le mie proteste non hanno sortito effetto.
Il ripristino delle plafoniere e la riparazione del tombino non rientrano forse nella manutenzione ordinaria? Quali sono i miei diritti?”
Consulenza legale i 26/11/2012

La disposizione dell'art. 844 del c.c. disciplina l'ipotesi delle così dette immissioni, ovvero l'insieme di propagazioni di rumori, fumo, calore ed esalazioni, provenienti dal fondo del vicino che il proprietario del fondo confinante non può impedire a meno che non superino il livello di normale tollerabilità, soglia che deve essere misurata in base alle condizioni dei luoghi. La norma specifica poi che le esigenze della produzione devono essere contemperate con le ragioni della proprietà.

La disposizione di cui in analisi è applicabile anche negli edifici in condominio nell'ipotesi in cui l'utilizzo delle parti comuni avvenga in maniera tale da dar luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà dei singoli condomini.

Nel caso in cui un condomino subisca immissioni moleste come quelle descritte nel quesito, le quali superino un livello ordinario e di normale tollerabilità, si potrà difendere con l'azione generale di risarcimento di cui all'art. 2043 del c.c. posta l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato. Inoltre, si potrà ritenere applicabile il procedimento d'urgenza di cui all'art. 700 del c.p.c. per far cessare le immissioni prodotte dai rumori derivanti dal tombino e dall'eccessiva illuminazione delle nuove plafoniere, ritenute intollerabili ed arrecanti grave ed irreparabile pregiudizio al diritto alla salute dei condomini.

Infine, per ciò che concerne le spese condominiali è possibile distinguerle in ordinarie e straordinarie. Nella prima categoria rientrano la pulizia delle scale, ascensore, giardino, portineria, illuminazione delle parti comuni, vuotature fosse biologiche e pulizia degrassatori, riscaldamento centralizzato. Diversamente, sono straordinarie quelle spese relative al rifacimento del tetto e dei solai, tinteggiatura della facciata del palazzo. Quelle descritte nel quesito pertanto rientrano tra le spese ordinarie di manutenzione.


Saverio chiede
sabato 11/02/2012 - Veneto
“Salve.
Cosa è esattamente il "preuso"?”
Consulenza legale i 11/02/2012

Con "preuso" si vuol semplicemente significare, in modo sintetico, quanto espresso nell'ultima parte del corrente articolo laddove recita: "Può tener conto della priorità di un determinato uso"


Simone chiede
giovedì 26/05/2011 - Toscana

“Buongiorno,
abito al piano terra di un condominio e ho il giardino privato sia sulla facciata anteriore che sul retro del palazzo.
all'interno del mio giardino sita nella parte posteriore, ho montato un barbecue in muratura, che dista circa 5 metri dal balcone sovrastante più vicino.
alcuni condomini hanno lamentato la possibilità di fumo.
la mia domanda è la seguente:
All'interno della mia proprietà ho degli obblighi da rispettare in termini di distanza per montare il barbecue?
o sta al buon senso di chi lo usa?
i condomini possono farmi togliere il barbecue?

c'è da considerare che l'uso di questo elemento è molto raro... circa 3 / 4 volte l'anno.

grazie mille.”

Consulenza legale i 26/05/2011

La norma sulle immissioni regola i limiti di godimento del proprio fondo rispetto al fondo del vicino (anche non confinante). Si è ritenuto che l'art. 844 del c.c. sia applicabile anche agli edifici in condominio per i casi in cui un condomino nel godere della propria unità immobiliare dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini. Nell'applicazione della norma deve aversi riguardo al criterio della valutazione della normale tollerabilità delle immissioni da parte di chi deve subirle. E' bene ricordare che una certa tolleranza è sempre necessaria per permettere la vita in società, soprattutto qualora l'attività venga svolta saltuariamente. Parte della dottrina, infatti, prevede che, affinché si possa parlare delle immissioni di cui all'art. 844 c.c., queste debbano concretarsi in attività lecite svolte con carattere di ripetitività, se non di continuità. Se, come prospettata nel caso di specie, le attività vengono svolte saltuariamente e nei limiti della normale tollerabilità, non vi sono gli estremi affinché possano essere impedite.


Ivan chiede
mercoledì 18/05/2011 - Abruzzo
“il nostro vicino che vive ad un piano sotto di me, lamenta dei rumori, a suo dire molesti, dovuti al mio solo vociare con altri amici nelle diverse ore della giornata. Si lamenta sia alle 12 e sia alle 23 richiedendo anche l'intervento delle forze dell'ordine. Cosa posso rispondere? Posso dire che le immissioni sono lecite e non possono essere misurate? grazie”
Consulenza legale i 24/05/2011

Il limite della immissione è dato non dalla normalità del suo esercizio, ma dalla normale tollerabilità, anche in relazione alla specifica situazione ambientale, per chi deve subirla. La tollerabilità è un criterio oggettivo (che cioè prescinde dalle caratteristiche di un determinato soggetto). Si è ritenuto che l'art. 844 del c.c. sia applicabile anche agli edifici in condominio per i casi in cui un condomino nel godere della propria unità immobiliare e delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini. E' possibile che i condomini, attraverso regolamento condominiale, disciplinino i reciproci rapporti in materia di immissioni, adottando una norma più rigorosa dell'art. 844 c.c.: in tal caso la valutazione della liceità o meno dell'immissione deve essere effettuata alla stregua del criterio di valutazione fissato nel regolamento. Ciò non toglie che una certa tolleranza sia sempre necessaria, perché altrimenti non sarebbe nemmeno possibile la vita in società. Solo quando sarà superata la normale tollerabilità il giudice potrà ordinare la cessazione della causa della immissione.


Giuseppe chiede
lunedì 28/02/2011 - Lazio

“Il proprietario del piano sovrastante il mio suona il pianoforte e il violino nelle ore diurne. Cosa posso fare? Grazie.”

Consulenza legale i 01/03/2011

Trattandosi nella fattispecie sottoposta all’esame, di ipotesi di violazione delle normali regole di buon vicinato, è d’uopo richiamare l’art. 844 del c.c. che, in tema di limitazioni legali della proprietà, impone dei limiti alle immissioni acustiche e sonore provenienti dalla proprietà contigua. Si tratta, però, di accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità. Il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma è relativo alla situazione ambientale (abitazione situata in un condominio), variabile da luogo a luogo (predisposizione o meno di attrezzature di isolamento acustico), secondo le caratteristiche personali (spiccata sensibilità) e le abitudini degli abitanti. L’azione che il singolo è, in teoria, abilitato a promuovere davanti all’Autorità Giudiziaria è di c.d. inibitoria, volta cioè ad interrompere il comportamento produttivo delle immissioni, qualora esse superino la normale tollerabilità. Si consiglia, tuttavia, precauzionalmente, di individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della tollerabilità con un approccio bonario: invito al vicino a stabilire orari e/o a provvedere a isolare acusticamente la stanza riservata alle proprie esercitazioni.


Giuseppe chiede
domenica 20/02/2011 - Lombardia

“Causa disturbi notturni causati dalla messa in funzione di una macchina da lavoro (macchina da cucire professionale) dal condomino soprastante al mio appartamento dalla ore 23,30 fino alle ore mattutine, lo scrivente NON riesce a prendere sonno.
Nonostante i reiterati richiami, il rumore continua.
Che fare ?
In attesa di una Vs. risposta, ringrazio e invio cordiali saluti.”

Consulenza legale i 21/02/2011

Il problema lamentato trova soluzione nella tutela apprestata dall'art. 844 c.c.
Nel caso le immissioni sonore superino il limite della normale tollerabilità è possibile adire l'autorità giudiziaria affinché ordini al molestatore di cessare le immissioni o di ridurle entro i limiti del lecito.


M. P. chiede
martedì 17/10/2023
“Un appartamento sito al piano terra realizzato con concessione edilizia del 1991 dispone di un camino collocato sul muro di confine con altro proprietario. Nelle planimetrie della concessione edilizia del 1991 è chiaramente indicata la posizione del camino e della relativa canna fumaria. Attualmente si sta procedendo alla ristrutturazione dell'immobile e si è proceduto all'abbattimento del vecchio camino ed al rifacimento dello stesso con un design diverso ma senza spostarlo dalla collocazione originaria. Il confinante, a causa della presenza del camino, lamenta di sentire calore nella sua stanza adiacente al confine e minaccia azioni legali se non ci si asterrà dalla realizzazione dello stesso. Lo scrivente ritiene che, in assenza di apposito regolamento comunale che disciplini la distanza del camino dai confini, usando gli opportuni accorgimenti tecnici per eventualmente ovviare al passaggio di calore oltre il muro di confine, possa ultimare la realizzazione del caminetto. Si richiede Vostro parere in merito.
Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 26/10/2023
Il quesito proposto ha ad oggetto due appartamenti confinanti, non si sa se appartenenti allo stesso condominio o riconducibili a due proprietà autonome.
Uno dei due proprietari sta compiendo delle opere di ristrutturazione che comprendono la sostituzione del camino già presente in quella posizione dal 1991.
La norma di legge applicabile in questo caso è l’art. 890 c.c. che ha la funzione di regolare i rapporti tra proprietà autonome confinanti ma che trova applicazione anche in ambito condominiale (Cass. civ. n. 3348/1969).
Infatti l’articolo disciplina la distanza che devono avere tutta una serie di impianti che possono essere fonte di pericolo di danni e che possono mettere a rischio la solidità, salubrità e sicurezza degli immobili.
La legge dice però che la distanza deve essere stabilita dai regolamenti comunali e in mancanza deve essere tale da non costituire un rischio per i fondi vicini.

È principio ormai affermato in dottrina e giurisprudenza quello per cui in presenza di regolamenti comunali che disciplinano le distanze di determinati impianti, si ritiene ci sia una praesumptio iuris et de iure di pericolosità.
In questo caso la distanza non è derogabile, non è ammessa la prova contraria e non si può costituire una servitù di installazione della fonte di pericolo a distanza inferiore rispetto a quella prevista dai regolamenti (Cass. civ. n. 22389/2009, Cass. civ. n. 3199/2002).
In senso opposto, invece, in caso di mancanza di regolamenti, si ritiene che ci sia una presunzione relativa di pericolosità e che quindi la parte interessata possa dimostrare che la posa del manufatto non arrechi alcun rischio per solidità, salubrità e sicurezza del fondo confinante (Cass. civ. n. 3199/2002). In questo caso le parti potranno quindi accordarsi per trovare una soluzione che soddisfi entrambe ed eviti che ci sia il rischio di danni.

Nel caso di specie, pare che non ci siano dei regolamenti che stabiliscono le distanze e, quindi, il proprietario può posizionare il camino dove ritiene dovendo però provare che non arrecherà alcun pericolo al vicino.
A parere dello scrivente, inoltre, essendoci un camino nella stessa posizione dal 1991 e non essendoci una presunzione assoluta di pericolosità, la proprietà può fare accertare in giudizio di avere usucapito il diritto di servitù di posa del camino a quella specifica distanza.

Si ritiene, però, che il vicino confinante possa sostenere di subire delle immissioni oltre la normale soglia di tollerabilità ai sensi dell’art. 844 del c.c. dal camino posto sul confine.
L’azione inibitoria è ritenuta imprescrittibile e potrà quindi essere intrapresa in qualunque momento dal proprietario che subisce le eventuali immissioni.

In conclusione si consiglia di presentare al vicino un progetto che elimini i rischi e riduca il passaggio di calore o di qualsiasi altra immissione almeno sotto la soglia di intollerabilità.

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