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Articolo 279 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Forma dei provvedimenti del collegio

Dispositivo dell'art. 279 Codice di procedura civile

Il collegio (1) pronuncia ordinanza quando provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide soltanto questioni di competenza. In tal caso, se non definisce il giudizio, impartisce con la stessa ordinanza i provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa.

Il collegio pronuncia sentenza:

  1. 1) quando definisce il giudizio, decidendo questioni di giurisdizione [o di competenza] (2);
  2. 2) quando definisce il giudizio, decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito (3);
  3. 3) quando definisce il giudizio, decidendo totalmente il merito;
  4. 4) quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1, 2 e 3, non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa [125 bis, 129, 129 bis, 133 bis disp. att.] (4);
  5. 5) quando, valendosi della facoltà di cui agli articoli 103, secondo comma, e 104, secondo comma (5), decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite (6), e con distinti provvedimenti (7) dispone la separazione delle altre cause e l'ulteriore istruzione riguardo alle medesime, ovvero la rimessione al giudice inferiore delle cause di sua competenza.

I provvedimenti per l'ulteriore istruzione, previsti dai numeri 4 e 5, sono dati con separata ordinanza.

I provvedimenti del collegio, che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, non possono mai pregiudicare la decisione della causa; salvo che la legge disponga altrimenti, essi sono modificabili e revocabili dallo stesso collegio (8), e non sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze (9). Le ordinanze del collegio sono sempre immediatamente esecutive. Tuttavia, quando sia stato proposto appello immediato contro una delle sentenze previste dal n. 4 del secondo comma, il giudice istruttore, su istanza concorde delle parti, qualora ritenga che i provvedimenti dell'ordinanza collegiale siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza impugnata, può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione o la prosecuzione dell'ulteriore istruttoria sia sospesa, sino alla definizione del giudizio di appello [125bis, 126 disp. att.].

L'ordinanza è depositata in cancelleria insieme con la sentenza.

Note

(1) L'espressione "collegio" deve intendersi come riferita genericamente all'organo giudicante (quindi anche al giudice istruttore in funzione di giudice unico).
(2) Le parole tra parentesi quadre sono state soppresse con l. 18 giugno 2009, n. 69.
(3) Le sentenze di cui ai nn. 1 e 2 sono definitive quando le questioni sottese (di giurisdizione, pregiudiziali di rito o preliminari di merito) siano decise in modo tale da escludere il successivo esame della causa nel merito. Pertanto, ad esempio, il giudice dovrebbe accertare e dichiarare il proprio difetto di giurisdizione o di competenza, oppure risolvere in senso negativo questioni circa la sussistenza delle condizioni dell'azione, come la legittimazione o l'interesse ad agire.
I provvedimenti definitivi sono immediatamente appellabili, tranne le decisioni sulla giurisdizione, contro le quali va proposto il regolamento di giurisdizione (art. 41 del c.p.c.).
Questo tipo di sentenze definitive non acquista valore di cosa giudicata sulle questioni di merito e quindi non preclude la riproposizione della domanda, ad esempio, al giudice investito di giurisdizione.
(4) Il provvedimento di cui al n. 4 è una sentenza c.d. non definitiva: il giudice, pur ritenendo che le questioni di cui ai nn. 1, 2 e 3 (ipotesi da considerarsi tassative) non ostino all'esame del merito, ritiene che la causa sia solo parzialmente matura per la decisione e pertanto si limita a pronunciare la sua decisione sulle sole domande in relazione alle quali siano stati acquisiti sufficienti elementi di giudizio. Le altre questioni dovranno essere approfondite nel prosieguo del processo, che viene disposto con separata ordinanza.
Questo tipo di pronuncia corrisponde esattamente a quella descritta all'art. 277 del c.p.c..
(5) Gli articoli richiamati disciplinano il potere del giudice di disporre la separazione di cause - quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo-:
- che, ai sensi dell'art. 103 del c.p.c., siano state proposte unitamente in quanto connesse per l'oggetto o per il titolo o dipendenti dalla risoluzione di questioni identiche;
- proposte nel medesimo processo in quanto connesse per ragioni soggettive (accomunate dal fatto di rivolgersi contro lo stesso soggetto, art. 104 del c.p.c.).
(6) La pronuncia con cui il giudice decide alcune delle cause è definitiva e quindi autonomamente impugnabile nei termini ordinari.
(7) Si tratta di ordinanze, non soggette ai mezzi di impugnazione propri delle sentenze e nemmeno al ricorso per cassazione ex art. 111 Cost..
(8) La norma chiarisce, anche se ciò appare già pacifico in base alla disciplina delle ordinanze (art. 177 del c.p.c.), che i provvedimenti di natura ordinatoria pronunciati dall'organo giudicante non possono mai pregiudicare la decisione della causa: essi non "anticipano" la sentenza definitiva e possono essere sempre revocati o modificati dal collegio/giudice unico che li ha emanati (salvo i casi in cui la legge disponga altrimenti, art. 308 del c.p.c.).
Se la sentenza definitiva contrasti con il contenuto di una ordinanza, emessa nel medesimo giudizio, si dovrà considerare quest'ultima implicitamente revocata.
(9) Pertanto, se la parte voglia contestare errori o imprecisioni dell'ordinanza, lo potrà fare esclusivamente in sede di impugnazione della sentenza (definitiva o non definitiva), se il provvedimento ordinatorio abbia inciso sul contenuto di questa.

Brocardi

Absolutio ab instantia

Spiegazione dell'art. 279 Codice di procedura civile

La norma in esame individua le diverse forme e contenuti dei provvedimenti che il collegio può emettere una volta che la causa viene rimessa in decisione.
La distinzione fondamentale che viene fatta è tra ordinanza e sentenza; nell’ambito di questa seconda categoria, poi, si distingue tra sentenze definitive e non.

Il primo comma è stato modificato dalla Legge n. 69/2009, stabilendosi che il collegio adotta la forma dell'ordinanza non solo per la decisione di questioni relative all'istruzione della causa e che non definiscono il giudizio, ma anche quando decide soltanto su questioni di competenza; la forma della sentenza sulla competenza può essere adottata solo nei casi in cui la sentenza comprende la pronuncia sul merito, ed in tal caso essa può essere impugnata nei modi ordinari.

Il secondo comma prevede che il collegio emette sentenza nei seguenti casi:

1) quando definisce il giudizio decidendo questioni di giurisdizione: in questo caso la sentenza è definitiva, avendo riscontrato il giudice adito il difetto di giurisdizione con un provvedimento ostativo alla prosecuzione del giudizio;

2) quando definisce il giudizio decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito. Anche in questo caso la sentenza è definitiva, in quanto viene riscontrato un difetto attinente a un requisito del processo o alla situazione sostanziale.

In entrambe le ipotesi si tratta di una pronuncia dichiarativa del dovere del giudice di astenersi dal decidere la domanda nel merito, per difetto di alcuni presupposti processuali indispensabili per la decisione della causa nel merito.

3) quando definisce totalmente il merito: trattasi di sentenza definitiva, la quale può essere emessa anche in seguito o contestualmente alla pronuncia di una sentenza avente ad oggetto questioni di giurisdizione, di competenza, pregiudiziali di rito o preliminari di merito, ma in tal caso le questioni di cui ai nn. 1 e 2 devono essere decise in senso non ostativo alla prosecuzione;

4) quando decide su alcune delle questioni di cui ai nn. 1, 2, 3, impartendo ulteriori provvedimenti per l'istruzione della causa.
Si tratta di sentenza non definitiva, la quale presuppone una decisione delle eventuali questioni di giurisdizione, preliminari di merito o pregiudiziali di rito, indicate nei numeri precedenti, in senso non ostativo alla prosecuzione del giudizio.

5) quando il collegio decide solo su alcune delle cause riunite, provvedendo contestualmente alla separazione delle cause ai sensi degli art. 103 del c.p.c. comma 2 e art. 104 del c.p.c., ossia quando vi sia istanza concorde di tutte le parti o quando il giudice ritenga che il simultaneus processus renderebbe più gravosa la continuazione.
In tal caso è anche disposta l'ulteriore istruzione delle cause separate o la rimessione delle stesse al giudice inferiore competente.
La sentenza in questo caso sembra essere definitiva.

Il collegio, invece, emette ordinanza quando decide ai sensi dei nn. 4 e 5 dell'art. 279, cioè quando viene emessa una sentenza non definitiva che decide su alcune delle questioni di cui ai nn. 1, 2, e 3 o quando decide con sentenza definitiva solo su alcune delle cause riunite.
In entrambe le situazioni si hanno due diversi e separati provvedimenti: la sentenza, definitiva o non, e l'ordinanza.

Per quanto concerne il regime dell'ordinanza, il terzo comma della norma in esame ribadisce quanto già stabilito dai commi 1 e 2 dell'art. 177 del c.p.c., ovvero che le ordinanze non possono mai pregiudicare la decisione della causa, sono sempre modificabili dal collegio e non sono soggette ai mezzi di impugnazione delle sentenze.
In generale la forma della sentenza è prescritta per tutti quei provvedimenti che hanno carattere decisorio (sia che si tratti di una decisione sul rito o di una decisione sul merito), mentre le ordinanze svolgono un ruolo meramente ordinatorio, interno al processo.

Problemi di ricostruzione possono porsi per quei casi in cui il giudice pronunci per errore un provvedimento con una forma diversa da quella prevista dalla legge, dovendosi scegliere, anche e soprattutto ai fini dell'impugnazione, se qualificare il provvedimento prendendo in considerazione la sua forma estrinseca o, al contrario, la sua sostanza.
In dottrina prevale la tesi secondo cui è necessario, al fine di qualificare un determinato provvedimento, riferirsi unicamente alla veste formale; in giurisprudenza, invece, è ormai da tempo consolidato l'orientamento opposto, che ritiene prevalente la sostanza sulla forma.

E’ stato così affermato che i provvedimenti di cui all'art. 279 che contengono una statuizione decisoria, sia essa su una questione preliminare, pregiudiziale, sulla giurisdizione o sulla competenza, anche non in grado di definire il giudizio, pur avendo la forma di ordinanza dovranno, comunque, essere considerati sentenze non definitive, con l'ulteriore conseguenza dell'impossibilità di revoca o modifica di tale provvedimento che comporta l'esaurimento del potere giurisdizionale.

Sono sentenze non definitive le decisioni che rigettano le eccezioni pregiudiziali di rito (questioni di giurisdizione e di competenza prima della riforma del 2009) e preliminari di merito (art. 279, 2° co., n. 4) in quanto non ostacolano la prosecuzione del giudizio.

Il codice non fornisce alcuna definizione esplicita di questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito, alle quali si fa riferimento non solo al secondo comma della norma in esame, ma anche al secondo e terzo comma dell'art. 187 del c.p.c. e all'art. 34 del c.p.c., con una terminologia piuttosto infelice.

Nell'ambito delle questioni pregiudiziali è possibile distinguere quelle attinenti al processo (di cui all'art. 279, 2° co., n. 2), che concernono l'esistenza dei presupposti processuali e delle condizioni delle azioni e le questioni pregiudiziali che riguardano il merito (di cui all'art. 34), la cui risoluzione si configura come un passaggio obbligato nell'iter che conduce alla decisione sulla domanda principale, in quanto concernono l'oggetto sostanziale del processo e ne costituiscono un presupposto logico-giuridico.

Le questioni preliminari di merito esorbitano dalla fattispecie costitutiva del diritto fatto valere processualmente dall'attore ed hanno valore meramente preparatorio rispetto alla decisione della causa, poiché l'eventuale accoglimento da parte del giudice determina la caducazione della domanda proposta dall'attore.
Per tale motivo, a differenza delle questioni pregiudiziali di merito ex art. 34 c.p.c. non possono formare oggetto di un autonomo giudizio.
La remissione delle parti al collegio, per la decisione separata di una questione preliminare di merito, può sboccare in un autonoma pronuncia, quando l'eccezione preliminare venga rigettata, a norma dell'art. 279, 2° co., n. 4, con sentenza non definitiva, immediatamente impugnabile.

Il quarto comma disciplina l'ipotesi in cui, emessa una sentenza non definitiva ai sensi del n. 4 dello stesso articolo, la stessa venga immediatamente impugnata, mentre contestualmente prosegua il giudizio di primo grado.
In tal caso il giudice, quando ritenga che i provvedimenti dell'ordinanza collegiale siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza impugnata, può disporre la sospensione dell'istruttoria.


Massime relative all'art. 279 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 16289/2019

È da considerarsi definitiva la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) delle domande o su capi autonomi della domanda, mentre è da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza resa su questioni preliminari alla decisione finale e che non contenga quegli elementi formali sulla base dei quali va operata la distinzione, cioè la pronuncia sulle spese o un provvedimento relativo alla separazione dei giudizi.

Cass. civ. n. 27229/2014

I provvedimenti pronunciati dal collegio per l'ulteriore istruzione della causa a norma dell'art. 279 cod. proc. civ., sono revocabili, non hanno contenuto decisorio (ancorché la loro motivazione sia contenuta nella sentenza non definitiva) e non sono sindacabili con ricorso per cassazione avverso la sentenza parziale coeva, ma solo con la sentenza definitiva, pronunciata all'esito della prosecuzione dell'istruttoria, sicché essi non hanno alcuna attitudine al giudicato.

Cass. civ. n. 19836/2014

In caso di sentenza non definitoria dell'intero giudizio, accertare se essa debba qualificarsi, o meno, come non definitiva rileva solo allo scopo di valutare la validità dell'eventuale riserva di impugnazione e non al fine dell'ammissibilità dell'impugnazione immediatamente proposta, che resta sempre consentita.

Cass. civ. n. 14714/2012

Qualora in una sentenza non definitiva, oltre a statuizioni di carattere decisorio, siano contenute anche disposizioni meramente ordinatorie od istruttorie, esse non possono formare oggetto di gravame con la sentenza non definitiva, restando impregiudicata la futura decisione sulle domande e sulle questioni per le quali è stato disposto il prosieguo del giudizio, senza che sulle statuizioni a carattere istruttorio della sentenza non definitiva si formi un giudicato per mancata riserva di impugnazione. Ne consegue che la decisione, assunta con la sentenza definitiva, di applicare criteri di liquidazione del danno parzialmente diversi, rispetto a quelli indicati al CTU con il provvedimento ordinatorio istruttorio contenuto nella sentenza non definitiva, costituisce semplice modifica di detto provvedimento.

Cass. civ. n. 5214/2008

Il provvedimento che abbia deciso esclusivamente sulla non condivisibilità del metodo di stima seguito dalla consulenza tecnica d'ufficio già esperita e sulla necessità di disporre una nuova indagine peritale, ancorché contenuto nella sentenza non definitiva, ha natura e funzione ordinatoria e, quindi, rimane revocabile e modificabile. Ne consegue che le censure avverso tale provvedimento possono essere fatte valere non con la sua impugnazione, ma solo con l'impugnazione della successiva sentenza definitiva, che abbia mantenuto fermo il provvedimento stesso ed utilizzato i risultati di quel mezzo d'indagine istruttoria.

Cass. civ. n. 22944/2007

Nel rapporto fra il giudizio di impugnazione di una sentenza parziale e quello che sia proseguito davanti al giudice che ha pronunciato detta sentenza, l'unica possibilità di sospensione di quest'ultimo giudizio è quella su richiesta concorde delle parti, ai sensi dell'art. 279, quarto comma, c.p.c. (che trova applicazione anche nel caso di sentenza parziale sul solo an debeatur), restando esclusa sia la sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c., sia la sospensione ai sensi del secondo comma dell'art. 337 c.p.c., per l'assorbente ragione che il giudizio è unico e che per tale ragione la sentenza resa in via definitiva è sempre soggetta alle conseguenze di una decisione incompatibile sulla statuizione oggetto della sentenza parziale.

Cass. civ. n. 21816/2006

Qualora il giudice di primo grado, separando due cause connesse, ne decida una soltanto e rimetta, con separata ordinanza, l'altra in istruttoria, la decisione di separazione dei giudizi può essere impugnata soltanto con l'appello, perché con esso non viene censurata l'ordinanza con la quale il giudice provvede per l'istruttoria della causa separata, bensì il provvedimento della sentenza con il quale è posta in essere la separazione delle cause.

Cass. civ. n. 8174/2006

Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di sentenza o di ordinanza, è decisiva non già la forma adottata ma il suo contenuto (cosiddetto principio della prevalenza della sostanza sulla forma), di modo che allorquando il giudice, ancorché con provvedimento avente veste formale di ordinanza, abbia, senza definire il giudizio, deciso una o più delle questioni di cui all'art. 279 c.p.c. a detto provvedimento va riconosciuta natura di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, comma secondo, n. 4, c.p.c.

Cass. civ. n. 18510/2004

Nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, secondo e quarto comma c.p.c. e di prosecuzione del giudizio per l'ulteriore istruzione della controversia, il giudice resta da questa vincolato (anche se non passata in giudicato) sia in ordine alle questioni definite, sia per quelle da queste dipendenti, che debbono essere esaminate e decise sulla base dell'intervenuta pronuncia, a meno che questa sia stata riformata con sentenza passata in giudicato pronunziata a seguito di impugnazione immediata. Pertanto, detto giudice non può risolvere quelle questioni in senso diverso con la sentenza definitiva e, ove lo faccia, il giudice del gravame, anche di legittimità, può rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva che non sia immediatamente impugnata, né fatta oggetto di riserva di impugnazione differita, ed è abilitato ad interpretare la pronuncia che si assume definitiva, poiché la formazione della preclusione data dal giudicato interno fa parte dello sviluppo del procedimento e gli errori che eventualmente affliggano il procedimento possono essere accertati dalla Corte di cassazione anche attraverso indagini di fatto.

Cass. civ. n. 18187/2004

La sentenza non definitiva, nella parte in cui, statuendo solo sull'an ravvisi la necessità di ulteriore istruttoria per la liquidazione del quantum non spiega effetti vincolanti sulla sentenza definitiva (giacché la mancata acquisizione della prova dell'entità della prestazione controversa non è un presupposto della decisione sull'an debeatur bensì del provvedimento ordinatorio di separazione di tale decisione da quella sul quantum) e non osta, pertanto, a che tale sentenza definitiva provveda alla suddetta liquidazione alla stregua dei soli elementi già acquisiti al processo, ove ritenuti sufficienti.

Cass. civ. n. 13104/2004

La questione dell'integrazione del contraddittorio non costituisce, per se stessa, questione preliminare «di merito» ai sensi dell'art. 279, secondo comma, nn. 2 e 4, c.p.c., ma, piuttosto, questione processuale; né, inoltre, costituisce, comunque, questione pregiudiziale attinente al processo ai sensi della stessa norma, dato che le questioni pregiudiziali prese in considerazione dall'art. 279, cit., sono esclusivamente quelle idonee — ove decise in un certo senso — a definire il giudizio, mentre la decisione sulla integrazione del contraddittorio, sia essa positiva o negativa, non può mai porre fine al processo, che invece prosegue in ogni caso, dovendo, anche in ipotesi di decisione positiva (nell'ipotesi opposta il giudizio prosegue puramente e semplicemente tra le parti originarie), disporsi l'integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso, e non certo definirsi il giudizio con una pronuncia di mero rito. Pertanto l'ordinanza in proposito emessa dal giudice ha in ogni caso contenuto e natura meramente ordinatori, giammai decisori, e, conseguentemente, non può mai costituire sentenza non definitiva suscettibile di separata impugnazione o riserva di appello e, in difetto, di passaggio in giudicato.

Cass. civ. n. 11842/2004

Quando il dispositivo contenga statuizioni che riguardino solo alcune cause decise (e la sentenza va intesa, quanto ad esse, come definitiva ai sensi di cui all'art. 279, secondo comma, n. 5, c.p.c.) e si limiti, per il resto, a disporre la rimessione delle parti in istruttoria «come da separata ordinanza» l'esistenza di una sentenza «non definitiva» in merito alle residue cause, non può essere desunta da mere affermazioni contenute nella motivazione. Infatti l'essenza volitiva della sentenza si concreta nel «dispositivo» destinato ad accogliere l'ordine formale con il quale viene data concreta attuazione al precetto normativo, mentre la motivazione esprime, invece, il momento «logico» della sentenza, e, appunto per questo, le considerazioni in essa contenute, se assumono rilievo ai fini della individuazione del contenuto precettivo della sentenza, chiarendo e integrando il significato delle statuizioni del dispositivo, non possono sostituirsi a queste ultime quando esse siano del tutto mancanti, anche perché manifeste esigenza di salvaguardia della certezza delle situazioni giuridiche e di tutela della parti portano ad escludere che una decisione giudiziaria idonea ad assumere la forza del giudicato possa essere individuata nella sola parte motiva del provvedimento.

Cass. civ. n. 3769/2004

Rientra nel potere discrezionale del giudice del merito tanto la facoltà di derogare, in presenza di richiesta della parte, alla regola generale della concentrazione della decisione in un'unica sentenza, quanto quella di rigettare, anche senza espressa motivazione, tale richiesta ed emettere un'unica sentenza. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il motivo di ricorso con il quale la sentenza impugnata veniva censurata perché, in presenza di una richiesta di decisione limitata ad alcune soltanto delle conclusioni formulate con l'atto introduttivo, aveva deciso su tutte le domande proposte).

Cass. civ. n. 17780/2003

Per la qualificazione come ordinanza o come sentenza di un provvedimento del giudice civile, anche in composizione monocratica ai sensi dell'art. 281 bis c.p.c., ai fini della sua impugnabilità, è necessario ricorrere al criterio del contenuto e della sostanza di esso secondo le norme di legge; pertanto, sono sentenze — soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato — i provvedimenti che, ai sensi dell'art. 279 c.p.c. contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito) anche quando non definiscono il giudizio; ne consegue che, attesa l'ammissibilità della pronuncia di sentenze non definitive anche nel rito del lavoro, il provvedimento con il quale, nell'ambito di tale processo, il giudice decida una questione pregiudiziale idonea a definire il giudizio, ai sensi dell'art. 279, secondo comma, n. 4) con riferimento al n. 2), deve essere necessariamente qualificato come sentenza. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva qualificato come ordinanza il provvedimento del giudice di primo grado che aveva deciso con provvedimento non definitivo la questione relativa al potere di rappresentanza sostanziale di una parte).

Cass. civ. n. 11881/2002

L'ordinanza collegiale che rimette la causa dinanzi al giudice istruttore (nel caso di specie, perché questi accerti le donazioni fatte in vita dal de cuius) non ha natura decisoria ma ordinatoria, e quindi non è autonomamente impugnabile dalle parti, che potranno impugnare solo la decisione che risolva la controversia indicando in quella sede anche per i vizi del procedimento che si ripercuotono sulla correttezza della decisione.

Cass. civ. n. 10101/2000

In difetto di impugnazione immediata o differita, non è consentito, nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, comma secondo, c.p.c., il riesame nel prosieguo del giudizio, neppure nei gradi successivi, delle questioni già decise con la pronuncia stessa.

Cass. civ. n. 8969/2000

Il processo in cui si succedano una decisione parziale e una decisione definitiva non dà luogo a una progressione, in virtù della quale a una prima risposta giurisdizionale provvisoria segua una risposta definitiva, che la prima sia in grado di infirmare. La prima sentenza è detta non definitiva solo perché non esaurisce l'oggetto del contendere, decidendo solo una parte delle questioni controverse in causa: ma nell'ambito di tali questioni è decisione piena, non sommaria o provvisoria. Salvo che il giudice istruttore non abbia fatto uso del potere di rimettere le parti al collegio su una questione pregiudiziale o preliminare di merito, vale il principio per cui il collegio deve decidere su tutte le domande ed eccezioni, definendo il giudizio. La scelta di emettere una decisione non definitiva è affidata alla discrezionalità del collegio stesso, ma presuppone che il giudice istruttore gli abbia rimesso la decisione sull'intera causa, e in rapporto all'intera causa le parti debbono in ogni caso formulare le conclusioni.

Cass. civ. n. 7358/2000

Se si chiede il risarcimento del danno senza alcuna specificazione o riserva, la domanda per la sua genericità comprende il danno nella sua interezza e rimane escluso che dopo la formazione del giudicato si possa azionare lo stesso diritto per ottenere voci di danno non considerate da esso, mentre questa possibilità è ammessa, ove fin dal primo momento si delimiti l'oggetto della domanda a determinate voci, restando in tal caso le voci ulteriori fuori dall'oggetto del primo giudizio. Poiché gli interessi compensativi costituiscono una componente del danno, il relativo giudizio è assoggettato al medesimo regime di quello risarcitorio, con la conseguenza della necessaria partecipazione a esso del proprietario del veicolo assicurato, responsabile del danno.

Cass. civ. n. 5860/1999

Nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, secondo e quarto comma, c.p.c. e di prosecuzione del giudizio per l'ulteriore istruzione della controversia, si verifica per il giudice che ha adottato la pronuncia una preclusione al riesame delle questioni decise con tale sentenza, conseguente all'esaurimento con essa della relativa potestas decidendi, onde detto giudice non può risolvere quelle questioni in senso diverso con la sentenza definitiva ed ove lo faccia il giudice del gravame può rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva, che non sia stata immediatamente impugnata né fatta oggetto di riserva di impugnazione differita, a nulla rilevando che la detta violazione non sia stata oggetto di specifico gravame di parte. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che correttamente il giudice dell'appello contro la sentenza definitiva avesse d'ufficio rilevato la violazione del giudicato, sotto il profilo che una questione di individuazione di un termine di prescrizione, decisa dal giudice di primo grado con sentenza parziale non definitiva, non impugnata e non fatta oggetto di riserva di impugnazione, era stata decisa differentemente con la sentenza definitiva, pur non sottoposta dalla parte interessata a gravame incidentale sul punto).

Cass. civ. n. 4821/1999

Nel vigente sistema processuale il frazionamento della decisione comporta l'esaurimento dei poteri decisori per la parte della controversia definita con la sentenza interlocutoria, con la conseguenza che la prosecuzione del giudizio non può riguardare altro che le questioni non coperte dalla prima pronuncia. Ciò significa che il giudice che ha emesso una sentenza non definitiva - anche se non passata in giudicato - resta da questa vincolato agli effetti della prosecuzione del giudizio davanti a sé in ordine sia alle questioni definite sia per quelle da queste dipendenti che debbano essere esaminate e decise sulla base dell'intervenuta pronunzia, a meno che questa sia stata riformata con sentenza passata in giudicato pronunziata a seguito di impugnazione immediata (la quale rappresenta l'unico strumento per sottoporre a riesame le statuizioni contenute in una sentenza non definitiva).

Cass. civ. n. 4465/1997

Nel caso in cui le parti contendenti accampino contrapposte pretese creditorie fondate sullo stesso titolo o scaturenti da rapporti diversi, il giudice di merito, ai sensi degli artt. 103, 104, 279 c.p.c. ha facoltà di separare le cause relative a diverse pretese e quindi di statuire, con sentenza non definitiva, su una o su talune di queste e di rimettere al prosieguo, all'esito dell'ulteriore istruzione ravvisata necessaria, la decisione sulle altre.

Cass. civ. n. 9448/1995

Affinché una sentenza possa configurarsi come definitiva, con conseguente esclusione della possibilità di differirne l'impugnazione, è necessario che essa concluda l'intera controversia su una o più domande così esaurendo la decisione delle questioni dalle medesime implicate ed acquistando connotati di autonomia ed autosufficienza, laddove costituisce sentenza non definitiva quella che rinviando al prosieguo il riconoscimento del bene in contestazione (o di una parte di esso) statuisca su questioni in senso lato pregiudiziali o su domande connesse o su alcuni capi dell'unica domanda ovvero solo sull'an debeatur.

Cass. civ. n. 4225/1995

Al fine di stabilire se un provvedimento abbia o meno carattere di ordinanza o di sentenza e sia quindi o meno soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per quest'ultima deve aversi riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione datagli dal giudice che lo ha pronunziato ma all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre, talché si è in presenza di un'ordinanza quando il provvedimento dispone circa il contenuto formale delle attività consentite alle parti mentre si è innanzi ad una sentenza quando il giudice, nell'esercizio del suo potere giurisdizionale, si pronuncia in via definitiva o non definitiva sul merito della controversia o su presupposti e condizioni processuali. Pertanto, concesso dal pretore provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., con termine per l'instaurazione del giudizio di merito, qualora detto giudice, adito entro tale termine dalla parte contro la quale il provvedimento è stato emanato con ricorso diretto alla revoca del provvedimento medesimo, dichiari con ordinanza l'inefficacia del provvedimento per mancata instaurazione del giudizio di merito entro il termine assegnato, ritenendo inidoneo a tal fine il ricorso proposto, in quanto mirante alla revoca della cautela accordata, e la conseguente inammissibilità di tale ricorso per difetto di interesse, una volta caducato il provvedimento cautelare, detta ordinanza, pronunziandosi in via definitiva su condizioni processuali, ha natura di sentenza, impugnabile con l'appello e non con il ricorso per cassazione

Cass. civ. n. 5541/1994

L'accertamento, in sede di sentenza non definitiva, degli elementi materiali che individuano una determinata convenzione fra le parti, non preclude al giudice di provvedere, con la sentenza definitiva resa fra le medesime parti, alla qualificazione giuridica di tale convenzione, in relazione ai dati definiti con la precedente pronuncia. Pertanto, ove con la prima decisione, dichiarativa della simulazione di un contratto di locazione, il giudice abbia accertato l'esistenza di una convenzione per la concessione gratuita dell'utilizzazione dell'immobile, ciò non impedisce che, con la definitiva decisione della causa, la dissimulata convenzione venga ascritta all'archetipo del comodato, delineato dall'art. 1803 c.c.

Cass. civ. n. 1931/1993

Anche la sentenza di appello, nonostante la sua esecutività, può avere carattere non definitivo, ai sensi dell'art. 279 c.p.c. e per gli effetti dell'art. 361 dello stesso codice, quando non chiude il giudizio di appello, non ostandovi, in presenza della riserva di ricorso per cassazione, il pregiudizio della possibilità per la parte soccombente, di chiedere a norma dell'art. 373 c.p.c. la sospensione della immediata esecutività della sentenza, che, correlata alla proposizione del ricorso immediato, dipende solo dalla preclusiva scelta della parte interessata.

Cass. civ. n. 1105/1993

La sentenza di secondo grado che definendo il giudizio di appello avverso una sentenza non definitiva di primo grado esaurisca la fase del giudizio pronunciando su tutte le questioni in essa proposte è da considerare come definitiva e non suscettibile di riserva di impugnazione differita, a nulla rilevando la prosecuzione del giudizio di primo grado per la determinazione del quantum debeatur; contro tale sentenza il ricorso per cassazione deve essere quindi proposto immediatamente nei termini di legge.

Cass. civ. n. 7225/1992

In ipotesi di cumulo di domande, ai fini dell'identificazione di una sentenza resa nel relativo processo come definitiva o non definitiva — onde desumerne il regime dell'impugnabilità e della formazione del giudicato — deve aversi riguardo, non già alle circostanze meramente estrinseche della prosecuzione del processo stesso dopo la sua pronunzia, e della mancanza di provvedimenti sulle spese o di separazione, ma all'effettivo contenuto della sentenza, configurandosi come definitiva quella che conclude l'intera controversia su una o più domande, così esaurendo la decisione delle questioni dalle medesime implicate ed acquistando connotati di autonomia ed autosufficienza, laddove costituisce sentenza non definitiva quella che, rinviando al prosieguo il riconoscimento del bene (o di una parte di esso) in contestazione fra le parti statuisce soltanto su questioni in senso lato pregiudiziali o su domande connesse o su alcuni capi dell'unica domanda o solo sull'an.

Cass. civ. n. 4778/1991

Ai fini dell'operatività dell'istituto della riserva di impugnazione, una sentenza può considerarsi non definitiva, non già in base alla qualificazione attribuitale dal giudice a quo o alla circostanza che questi abbia rimesso a successiva sentenza la pronuncia sulle spese processuali, bensì tenendo conto dell'effettivo contenuto della decisione, con la conseguenza che la natura non definitiva va riconosciuta quante volte la sentenza non conclude l'intera controversia, esaurendo il potere giurisdizionale del giudice adito nei confronti delle parti in contesa, ma statuisca soltanto su questioni pregiudiziali o su alcune domande o su alcuni capi dell'unica domanda o, infine, sull'an, rinviando alla pronuncia definitiva la decisione delle altre domande o degli altri capi ovvero la liquidazione del quantum.

Cass. civ. n. 6311/1990

La sentenza non definitiva, che abbia statuito sulla giurisdizione, segna l'esaurirsi della potestas decidendi sulla relativa questione, e, pertanto, ancorché non passata in giudicato, osta a che lo stesso giudice possa, con la sentenza definitiva, nuovamente pronunciare al riguardo.

Cass. civ. n. 1577/1990

Nel caso di cumulo di domande fra gli stessi soggetti, la sentenza, che decida una o più di dette domande, con prosecuzione del procedimento per le altre, ha natura non definitiva, e come tale può essere oggetto di riserva d'impugnazione differita (artt. 340 e 361 c.p.c.), qualora non disponga la separazione, ai sensi dell'art. 279 secondo comma n. 5 c.p.c., e non provveda sulle spese relative alla domanda od alle domande decise, rinviando all'ulteriore corso del giudizio, atteso che, anche al fine indicato, la definitività della sentenza esige un espresso provvedimento di separazione, ovvero la pronuncia sulle spese, che chiude la contesa cui si riferisce e quindi necessariamente implica la separazione medesima.

Cass. civ. n. 3605/1981

Fuori dell'ipotesi prevista dagli artt. 279, n. 4 e 278 c.p.c. al giudice del merito non è consentito frazionare il procedimento decisorio in più pronunzie, aventi per oggetto la stessa causa. Pertanto, nel caso di violazione di tale principio, tutte le sentenze assumono carattere definitivo, anche se la prima pronuncia erroneamente sia stata indicata come «non definitiva» cosicché priva di ogni effetto è la riserva di impugnazione ex artt. 340 e 361 c.p.c. compiuta dalla parte totalmente o parzialmente soccombente, la quale deve provvedere, invece, all'impugnazione immediata della sentenza nel termine previsto dagli artt. 326, 327 c.p.c.

Cass. civ. n. 1811/1981

Il giudice del merito, indipendentemente dalla richiesta delle parti, ha facoltà di emettere una pronuncia non definitiva, quando ritenga di poter decidere, in base alle prove raccolte, soltanto alcune delle questioni a lui sottoposte, riservando ad una successiva pronuncia, da emanare a seguito dell'espletamento di ulteriori atti istruttori, la decisione definitiva sui restanti capi della domanda.

Cass. civ. n. 2028/1980

A norma della disposizione di cui all'art. 279, n. 4, c.p.c., da interpretare in armonia con tutti i numeri precedenti dello stesso articolo, il giudice è abilitato a decidere con sentenza non definitiva le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito potenzialmente risolutive della controversia anche ove ritenga di risolvere tali questioni in un senso che comporti la prosecuzione del giudizio, ma non è affatto abilitato a frazionare la decisione di merito in ordine alla domanda, ovvero ai capi autonomi della medesima.

Cass. civ. n. 44/1962

In forza del principio enunciato nel penultimo comma dell'art. 279 c.p.c. (per il quale i provvedimenti del collegio che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, non possono mai pregiudicare la decisione della causa e sono sempre modificabili e revocabili salvo che la legge disponga altrimenti), il giudice collegiale non è mai vincolato dalle premesse adottate nella motivazione dell'ordinanza con la quale ha disposto mezzi di prova. Pertanto, qualora, nella sentenza con la quale definisce il giudizio, egli adotti una motivazione contrastante con la suddetta premessa, non è tenuto a pronunciare una formale ed esplicita revoca dell'ordinanza medesima o della motivazione di essa, essendo tali revoche implicite nella stessa contrastante motivazione della sentenza.

Cass. civ. n. 1639/1956

Il contenuto della sentenza non definitiva, nella disciplina dell'art. 279 del codice di procedura civile non comprende la soluzione delle questioni relative alla ammissibilità e rilevanza dei mezzi istruttori proposti dalle parti o da disporre d'ufficio, che si rendono necessari per l'ulteriore istruzione, dovendo tali questioni essere decise con ordinanza del giudice istruttore o del collegio a norma degli artt. 187, quinto comma, 178 e 279, c.p.c. Pertanto se il collegio, in violazione delle norme dianzi citate, pronunci con la sentenza definitiva decisioni di merito e provvedimenti sulla rilevanza e ammissibilità di mezzi istruttori, questi ultimi provvedimenti sono modificabili e revocabili dallo stesso collegio né sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze.

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F. M. chiede
venerdì 02/12/2022 - Puglia
“Buongiorno. Il Giudice di primo grado può sentenziare senza tener conto della sentenza provvisoria precedentemente emanata, ma AMPIAMENTE dimostrata errata dalla relazione del CTU e dalle indagini da questi svolte? Distinti ossequi”
Consulenza legale i 15/12/2022
Prima di rispondere al quesito posto è necessario, innanzitutto, fare chiarezza su cosa sia - secondo la dizione corretta - una sentenza non definitiva.
Ora, l’art. 279 comma 2 del c.p.c. stabilisce che il giudice pronuncia sentenza, tra l’altro:
1) quando definisce il giudizio, decidendo questioni di giurisdizione;
2) quando definisce il giudizio decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito;
3) quando definisce il giudizio, decidendo totalmente il merito;
4) quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1, 2 e 3, non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa.
La sentenza emessa nel caso oggetto di consulenza rientra, appunto, nell'ipotesi prevista dal n. 4; infatti il giudice ha ritenuto di poter decidere subito, senza necessità di istruttoria, la domanda relativa al rendimento del conto, riservando l’istruzione e la decisione sulle ulteriori domande (pagamento somme, risarcimento), nonché la decisione sulle spese di giudizio, al prosieguo della causa.
Proprio perché la sentenza in esame si è limitata a esaminare la questione della sussistenza o meno dell’obbligo di rendere il conto, e a ordinare al convenuto di rendere il conto stesso, senza entrare nel merito della gestione svolta, non si vede come possa essere “dimostrata errata dalla relazione del CTU e dalle indagini da questi svolte”. Non esiste, dunque, il conflitto paventato nel quesito, e il Giudice deciderà sulle restanti domande sulla base dell’istruttoria svolta nella seconda parte del giudizio.