Tre sono i principi desumibili dalla norma in esame, ossia:
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il giudice, al fine di decidere la controversia relativa ad una determinata situazione soggettiva, ha il potere di esaminare e risolvere ogni questione dalla quale dipenda la decisione della causa, con effetti limitati al giudizio in corso, ossia senza efficacia di cosa giudicata;
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le questioni pregiudiziali di merito (cioè le questioni relative ad un effetto giuridico in grado di formare oggetto di autonoma domanda giudiziale), sono conosciute incidenter tantum dal giudice, ossia con effetti limitati al processo in corso, salvo che per volontà di legge o a seguito di domanda di parte venga imposto al giudice di accertare con efficacia di giudicato la situazione sostanziale pregiudiziale;
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se la questione pregiudiziale di merito si trasforma in causa, sia per volontà di legge che per domanda di parte, l'ordinamento consente, entro determinati limiti, l'accertamento contestuale di entrambe le controversie (quella pregiudiziale e quella pregiudicata), di fronte al medesimo giudice, anche derogando agli ordinari criteri di competenza previsti per ciascuna di esse.
Si definisce questione pregiudiziale di merito quella relativa all'esistenza e al modo di essere di una situazione soggettiva sostanziale legata da un rapporto di pregiudizialità con la situazione che costituisce l'oggetto originario del processo in corso.
Essa si pone da un lato all'esterno dell'ambito oggettivo del giudizio e del futuro accertamento destinato al passaggio in giudicato, mentre dall'altro lato rientra nell'ambito dei poteri cognitivi del giudice, in quanto per accertare l'esistenza e il modo di essere della situazione dipendente, è necessario esaminare la questione dell'esistenza della situazione ad essa pregiudiziale.
Oggetto della presente norma, dunque, è la sussistenza di una questione pregiudiziale, la quale deve necessariamente consistere in una situazione sostanziale diversa ed autonoma rispetto alla principale.
Il diritto pregiudiziale può essere sempre oggetto della semplice cognizione
incidenter tantum del giudice, senza che debba formare oggetto di decisione con efficacia di giudicato (per tale ipotesi si ritiene che non sia necessario integrare il
contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti interessati alla stessa questione).
Al contrario, la questione pregiudiziale diviene centro di attività giurisdizionale, e quindi viene decisa con efficacia di giudicato, solo quando è oggetto della domanda posta da una delle parti (ossia per volontà di una delle parti), oppure in forza di una previsione di legge.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, perché si configuri la volontà di una delle parti non è sufficiente che vi sia un'esplicita richiesta, ma occorre anche che la questione sia suscettibile di produrre conseguenze giuridiche oltre il rapporto controverso e che possa riconoscersi nel richiedente l'interesse al relativo accertamento.
La norma in esame, dunque, è volta proprio a dettare delle regole in tema di
competenza, stabilendo che se la questione pregiudiziale appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, questi si occuperà anche della causa principale (solo le situazioni sostanziali autonome possono appartenere alla competenza di un giudice diverso da quello adito).
La questione pregiudiziale, per essere idonea ad incidere sulla competenza del giudice adito, deve avere ad oggetto una situazione che costituisca un antecedente logico necessario, di fatto o di diritto, rispetto alla decisione della controversia principale.
Tale situazione, che rappresenta un elemento della fattispecie oggetto del giudizio, deve essere in grado di assumere rilievo autonomo, potendo così incidere non solo sul rapporto controverso, ma anche su altri rapporti, che si trovano al di fuori della causa.
Il giudicato che si forma sulla questione pregiudiziale tutela e riguarda anche interessi che vanno al di là di quelli inerenti la soluzione della controversia nel cui ambito la questione è sollevata.
I problemi di competenza sorgono nei casi in cui la semplice cognizione del giudice sul diritto pregiudiziale diviene oggetto di una vera e propria attività giurisdizionale (ossia nei casi in cui il giudice deve decidere con efficacia di giudicato); infatti, il diritto pregiudiziale può non appartenere alla competenza del giudice che è stato adito per il diritto dipendente.
In tale ipotesi interviene la regola speciale dell'articolo in commento, prevedendo che, al fine di far rimanere unite le cause, queste debbano essere trattate dallo stesso giudice (il giudice, quindi, potrebbe trovarsi a decidere nel merito di una causa che, secondo le regole ordinarie, non sarebbe di sua competenza).
Se la causa pregiudiziale appartiene al giudice superiore, il giudice adito deve rimettergli entrambe le cause e fissare i termini per la
riassunzione (trattasi di un atto di impulso processuale, a cui può provvedere una qualsiasi delle parti in causa).
Se, invece, la causa pregiudiziale appartiene ad un giudice inferiore, il giudice adito avrà il potere di decidere entrambe le cause con efficacia di giudicato.
Sotto il profilo della competenza territoriale, si avrà che la causa pregiudiziale deve essere proposta davanti al giudice territorialmente competente per la causa dipendente, proprio perché questa è stata proposta per prima.
Tuttavia, se la competenza del giudice originariamente adito ha natura di competenza per materia o territorio inderogabile, e la competenza della questione pregiudiziale è devoluta ad un giudice superiore, ovvero ad un giudice amministrativo, penale o straniero, il primo giudice dovrà sospendere il processo ed attendere che la causa pregiudiziale sia finita, per definire anche la principale.