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Articolo 2272 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 28/02/2023]

Cause di scioglimento

Dispositivo dell'art. 2272 Codice Civile

La società si scioglie:

  1. 1) per il decorso del termine [2273, 2295, n. 9, 2448, n. 1](1);
  2. 2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo [27, 2295, n. 5, 2448, n. 2](2);
  3. 3) per la volontà di tutti i soci [1372, 2252, 2448, n. 5];
  4. 4) quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita [27, 2284, 2323];
  5. 5) per le altre cause(3) previste dal contratto sociale [2284, 2484, n. 7];
  6. 5-bis) per l'apertura della procedura di liquidazione controllata(4)(5).

Note

(1) Nel caso in cui la società sia stata costituita per un determinato tempo; in caso contrario la società semplice si intende costituita a tempo indeterminato e continua la sua attività fin quando non si verifica un'altra causa di scioglimento (v. 2273).
(2) L'impossibilità di realizzare l'oggetto sociale può essere determinata sia da eventi esterni alla società (es.: revoca della concessione amministrativa necessaria per l'esercizio di quella data impresa) sia da eventi interni (es.: distruzione dei beni aziendali, contrasto insanabile tra i soci, che impedisce la formazione della volontà sociale etc.).
(3) Oltre a quelle previste dalla legge, i soci possono prevedere nell'atto costitutivo altre cause di scioglimento della società.
(4) Tale lettera è stata aggiunta dall'art. 39, comma 2, del D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147.
(5) Il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, come modificato dal D.L. 30 aprile 2022, n. 36, ha disposto (con l'art. 389, comma 1) la proroga dell'entrata in vigore dell'introduzione del numero 5-bis) al comma 1 del presente articolo dal 16 maggio 2022 al 15 luglio 2022.

Brocardi

Societas in tempus coita
Tamdiu societas durat, quamdiu consensus partium integer servatur

Spiegazione dell'art. 2272 Codice Civile

Quando una società entra nella fase di scioglimento, muta il suo scopo sociale.
Essa infatti non avrà più come obiettivo il conseguimento e la distribuzione di utili (art. 2262) mediante l'attività imprenditoriale, bensì la definizione dei rapporti ancora in essere e la liquidazione delle quote, al fine di distribuire gli eventuali utili tra i soci.
L'estinzione della società si articola in due fasi, ossia il verificarsi di una causa di scioglimento ed il successivo procedimento di liquidazione, attuato nelle modalità previste dal contratto sociale o tramite uno o più liquidatori all'uopo nominati.
Venendo alle cause che determinano lo scioglimento della società semplice, la prima che viene in rilievo è il mero decorso del termine.
Il termine di durata dell'attività sociale non è previsto come elemento essenziale del contratto sociale e pertanto, in mancanza di espressa indicazione, la società avrà durata illimitata.
Il conseguimento dell'oggetto sociale determina l'estinzione della società, solo se sufficientemente delimitato e indicato. Come facilmente intuibile, è un fenomeno che si presenta di rado, in quanto di solito l'oggetto sociale è di carattere permanente (es. attività di compravendita).
L'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale può invece manifestarsi più spesso, come ad esempio con l'entrata in vigore di una norma che impedisca lo svolgimento dell'attività sociale. Va posto in evidenza che l'impossibilità non deve preesistere alla stipula del contratto sociale, determinandosi altrimenti la nullità dello stesso.
Lo scioglimento per volontà dei soci è naturale conseguenza del principio generale dell'autonomia privata, cui si ricollega altresì lo scioglimento per altre cause previste liberamente dal contratto sociale.
La paralisi dell'attività sociale è vista ovviamente con sfavore dal legislatore, il quale infatti ha stabilito che il venire meno della maggioranza dei soci causa l'estinzione della società, a meno che essa (la maggioranza) non venga ricostituita entro sei mesi. Gli effetti dell'estinzione, in questo caso, decorrono dallo scadere dei sei mesi, e quindi con efficacia ex nunc.
La società può anche venir meno per effetto di un provvedimento dell'autorità governativa nei casi stabiliti dalla legge e, se l'oggetto sociale è l'esercizio di un'attività commerciale, in seguito alla dichiarazione di fallimento.
Al verificarsi di una causa di scioglimento la società entra automaticamente nella successiva fase di liquidazione.

Massime relative all'art. 2272 Codice Civile

Cass. civ. n. 7964/2017

In tema di società di fatto, in mancanza della procedura di liquidazione, che è soltanto facoltativa, l’estinzione della società si verifica per effetto della cessazione dell’attività sociale, in assenza di obblighi di iscrizione e cancellazione a carico della stessa.

Cass. civ. n. 501/2016

Il recesso del socio da una società di persone composta da due soli soci (nella specie, una società in nome collettivo) e la mancata ricostituzione della pluralità della compagine sociale da parte del socio superstite determinano lo scioglimento della società, ex art. 2272, n. 4, c.c., non già la sua estinzione, con conseguente possibilità della stessa di essere sottoposta a fallimento entro l'anno dall'intervenuta cancellazione dal registro delle imprese ai sensi dell'art. 10 l. fall..

Cass. civ. n. 496/2015

Nel caso di recesso di un socio da una società in nome collettivo composta da due soli soci, qualora quello superstite non abbia ricostituito la pluralità della compagine sociale decidendo al contempo di continuare l'attività aziendale come impresa individuale - così determinandosi lo scioglimento della società, a norma dell'art. 2272, n. 4, cod. civ. -, non si realizza una trasformazione societaria ai sensi dell'art. 2498 cod. civ., ma solo una successione tra soggetti distinti, ossia tra colui che conferisce l'azienda (la società di persone in liquidazione) e la persona fisica che ne è beneficiaria (il socio superstite).

Cass. civ. n. 27189/2014

In tema di società di persone (nella specie, società in nome collettivo), la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi non determina l'estinzione, ma solamente lo scioglimento della società e la liquidazione e, pertanto, la massa dei rapporti attivi e passivi che facevano capo alla compagine sociale prima dello scioglimento conserva il proprio originario centro di imputazione.

Cass. civ. n. 15622/2012

Le società di persone non si estinguono per effetto del mutamento della composizione societaria (nella specie, per intervenuta cessione di quote), potendo il venir meno del rapporto sociale in relazione ad un socio concorrere con il mantenimento dell'identità della società (nella specie, ai fini dell'usucapione), mentre lo scioglimento della società discende dal venir meno della pluralità dei soci e dalla sua mancata ricostituzione entro il termine di sei mesi.

Cass. civ. n. 16288/2009

Il verificarsi di una causa di scioglimento della società - non comportando l'estinzione dell'ente, ma unicamente l'instaurazione del procedimento di liquidazione, al cui esito potrà seguire l'estinzione - non produce l'automatico trasferimento dei beni sociali in capo ai soci, i quali non ne divengono comproprietari: pertanto, l'alienazione dei beni mobili ed immobili, compresi nel patrimonio della disciolta società, deve essere eseguita a cura dei liquidatori, nei compiti dei quali è incluso tipicamente tale incombente, senza necessità di alcuna autorizzazione assembleare (che, ove espressa, resta ininfluente al riguardo), al fine sia di soddisfare le ragioni di eventuali creditori sociali, sia di provvedere all'eventuale distribuzione tra i soci o alla devoluzione dell'attivo residuo, secondo le norme di legge o di statuto. (Fattispecie anteriore al D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6, in tema di impugnazione, da parte di alcuni soci, della deliberazione di una società cooperativa edilizia in liquidazione, avente ad oggetto l'autorizzazione al liquidatore ad alienare un immobile di proprietà della cooperativa).

Cass. civ. n. 12553/2004

Lo scioglimento non comporta anche l'estinzione della società, che è determinata, invece, soltanto dalla effettiva liquidazione dei rapporti giuridici pendenti, che alla società facevano capo, e dalla definizione di tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi per ragioni di dare e avere; ne consegue che, verificatosi lo scioglimento di una società di fatto per il venir meno, a causa della morte di uno dei due soci, della pluralità (non ricostituita) degli stessi, il socio superstite conserva tale qualità (senza che rilevi in contrario la circostanza che gli sia inibito il recesso) ed è, pertanto, assoggettabile a fallimento unitamente alla società,

Cass. civ. n. 11185/2001

Nelle società di persone, lo scioglimento per insanabile dissidio sorto tra i soci presuppone che la situazione di conflitto renda impossibile il raggiungimento dei fini sociali. (Alla stregua del principio di cui alla massima, la Suprema Corte ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto comprovata la impossibilità di conseguimento dell'oggetto sociale per il fatto che il dissidio tra i soci, iniziato con una ispezione che aveva posto in rilievo alcune irregolarità, era proseguito con la delibera di esclusione di uno di essi dalla compagine sociale, delibera che aveva dato luogo ad una complessa controversia, ed era stata dichiarata Illegittima dalla stessa Corte, ed aveva determinato la mancata approvazione del bilancio per diversi anni).

Cass. civ. n. 16175/2000

Il combinato disposto degli artt. 2252 e 2275 c.c., autorizza, in conformità con i principi generali in materia di società di persone, i soci di tali enti a determinare liberamente le modalità di liquidazione delle società, sia in via preventiva (nell'ambito delle pattuizioni costituenti l'oggetto del contratto sociale), sia in via successiva (mediante accordo tra i soci), atteso che le valutazioni in merito alle procedure di estinzione dei rapporti societari pendenti competono, innanzitutto, a coloro che si rendano interpreti degli interessi dell'ente, evitando, se del caso (ed ove possibile), di imporre l'osservanza di un procedimento formalizzato, eventualmente incongruo rispetto alle esigenze ed alle dimensioni della società a base personale (nelle quali le ragioni dei creditori sono già garantite dal regime di responsabilità illimitata dei soci).

Cass. civ. n. 3221/1999

Lo scioglimento di una società non ne produce l'estinzione, ma essa continua ad esistere con la stessa individualità, struttura e organizzazione, sia pure con un restringimento della capacità, derivante dalla modificazione dello scopo che non è più quello dell'esercizio dell'impresa, bensì quello della sua liquidazione, attraverso la definizione dei rapporti di credito e di debito con i terzi. (Fattispecie relativa ad una società in accomandita semplice).

Cass. civ. n. 10065/1996

Nel caso in cui venga meno la pluralità dei soci, la società può essere rappresentata in giudizio dal socio superstite, il quale ha facoltà di proseguire nell'attività concessagli dallo statuto di recupero dei crediti, che egli perde soltanto con la nomina del liquidatore.

Cass. civ. n. 6410/1996

Il dissidio tra i soci, benché non annoverato espressamente dall'art. 2272 c.c. tra le cause di scioglimento delle società personali, può risolversi in quella generale contemplata dal n. 2 del citato articolo, quando il conflitto tra i soci sia tale da rendere «impossibile» il conseguimento dell'oggetto sociale. Tuttavia non può considerarsi tale il conflitto causato da «gravi inadempienze» di uno dei soci, dal momento che in detta ipotesi i contrasti tra i soci possono essere eliminati estromettendo quello inadempiente a norma dell'art. 2286 c.c.

Cass. civ. n. 4683/1981

L'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale può costituire causa legittima di scioglimento della società (ex art. 2272, n. 2, c.c.) quando riveste caratteri di assolutezza e definitività tali da rendere inutile ed improduttiva la permanenza del vincolo sociale. L'accertamento in concreto di tali caratteri, cui consegue la dissoluzione del rapporto sociale, si risolve in un giudizio di fatto, che è istituzionalmente riservato al giudice di merito e si sottrae a censura in sede di legittimità, se fondato su motivazione corretta e congrua.

Cass. civ. n. 1916/1981

Lo scioglimento di una società per morte di uno dei due soci che la componevano non ne determina in via immediata l'estinzione, che si verifica soltanto con l'esaurimento delle operazioni di liquidazione, mentre sino a tale momento persiste l'autonomia patrimoniale della società, e ciò anche se, nelle more del provvedimento di liquidazione o prima di esso, sopraggiunga pure la morte del socio superstite. Ne consegue che in siffatta ipotesi non si verifica confusione del patrimonio sociale con quello di detto socio e che i creditori sociali hanno diritto ad essere soddisfatti sui beni compresi nell'asse ereditario del medesimo costituenti il patrimonio della società con preferenza rispetto agli altri creditori, salvo a concorrere con questi ultimi, per l'eventuale eccedenza, sui residui beni dell'eredità, secondo l'ordine dei rispettivi crediti.

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Salvatore C. chiede
mercoledì 07/11/2018 - Sicilia
“Salve, sono un socio di una società snc di persone la società e composta da tre soci 40% 30% 30%. Per mettere la società in liquidazione ci vuole il consenso di tutti i soci o si va per maggioranza? Visto che un socio non si presenta al lavoro perché pensionato, si può escludere il socio non presente al lavoro?
Preciso che la società è sempre in attivo.”
Consulenza legale i 14/11/2018
Va preliminarmente detto che la risposta può variare a seconda del contenuto del contratto sociale (atto costitutivo della società).
Se in esso è scritto, infatti, che per lo scioglimento è sufficiente la maggioranza dei soci (che può essere calcolata, attenzione, per capi o per quote), si potrà procedere del tutto legittimamente in questo modo.
Diversamente, se il contratto sociale nulla dice sul punto, vale la regola generale dettata dall’art. 2272 c.c. (applicabile per rinvio contenuto nell’art. 2308 c.c. dedicato alle s.n.c.), ovvero quella del consenso di tutti i soci (unanimità).

Quanto sopra in forza della norma generale valevole per le società di persone e di cui all’art. 2252 c.c., secondo il quale le modifiche al contratto sociale si possono apportare solo con il consenso di tutti i soci, “se non è convenuto diversamente”: attenzione, peraltro, che la deroga consensuale può avvenire solo a favore del principio maggioritario (non si potrebbe, infatti, derogare alla regola del consenso unanime prevedendo la sufficienza del consenso di una parte minoritaria dei soci o di un terzo degli stessi).
La giurisprudenza conferma tale ragionamento.

Gli studiosi del diritto societario si sono interrogati spesso, laddove la disciplina delle società non si esprimeva sulla prevalenza del principio dell’unanimità o di quello della maggioranza, su quale di questi dovesse trovare applicazione: ma si è ritenuto, alla fine, che l’unanimità debba sempre prevalere quando si tratti di decisioni che riguardino la struttura organizzativa della società, mentre se si tratti di decisioni in ordine al funzionamento della società stessa si potrà applicare il principio maggioritario.
Ebbene, nel caso di specie non c’è alcun dubbio che la messa in liquidazione rientri nella prima categoria di decisioni.

Potrebbe, forse, esistere una “scappatoia” nel caso in esame.
Se il socio mancante (che non si presenta mai in assemblea), infatti, venisse interpellato in merito allo scioglimento della società e si opponesse, si potrebbe invocare la fattispecie del dissidio insanabile tra i soci, che è una delle cause di scioglimento della società individuate dalla giurisprudenza e dagli studiosi, solo qualora però – si noti bene – il dissidio sia tale da ostacolare il conseguimento dell'oggetto sociale.
Ad esempio, si è ritenuto che costituisca “insanabile dissidio” con le predette caratteristiche il fatto che due soci coltivino, in ordine all’amministrazione della società, liti giudiziarie da diversi anni.
E’ anche vero, tuttavia, che nel caso in esame si parla di società "in attivo" e parrebbe quindi che (il quesito non lo specifica) la volontà di sciogliere la società sia del tutto arbitraria ovvero non legata in alcun modo al funzionamento e/o all’andamento dell’attività sociale. Ad avviso di chi scrive, dunque, la tesi del dissidio tra i soci rimane difficile da sostenere.

Da ultimo, un'altra soluzione potrebbe essere quella di deliberare l’esclusione del socio per gravi inadempienze (se, beninteso, ne sussistano i presupposti: pare a chi scrive, infatti, che le frequenti assenze non possano essere ritenute "gravi inadempienze" al contratto sociale) in modo da escluderlo dalla compagine sociale e rendere poi più agevole ai soci rimasti la decisione in merito alla chiusura della società.