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Articolo 2082 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Imprenditore

Dispositivo dell'art. 2082 Codice Civile

È imprenditore [1330, 1368, 1655, 1722, 1824, 2139, 2710] chi esercita professionalmente [2070] un'attività economica [2062, 2069] organizzata [1655, 2195, 2238, 2247] al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi [230 bis, 320, 371, 397, 425, 1339, 1368, 1722, n. 4, 1824, 2085, 2135, 2195, 2202, 2214, 2221, 2555, 2597](1).

Note

Ratio Legis

La norma si propone di identificare i caratteri che devono connotare un'attività produttiva affinché possa definirsi "impresa". Nonostante il riferimento soggettivo all' "imprenditore", è il concetto oggettivo di "impresa" ad essere rilevante ai fini dell'applicazione delle norme che compongono lo statuto normativo dell'impresa.

Spiegazione dell'art. 2082 Codice Civile

La norma fornisce una definizione di "imprenditore", ma da essa è possibile ricavare gli elementi essenziali della fattispecie "impresa".
Sussiste impresa ogniqualvolta un soggetto (persona fisica o ente collettivo) eserciti un’attività produttiva contraddistinta dai requisiti dell’organizzazione, dell’economicità e della professionalità.

Per attività produttiva si intende una serie coordinata di atti finalizzati alla produzione o allo scambio di beni e/o servizi.

Costituisce attività d’impresa solamente l’attività produttiva che sia svolta sulla base di una precisa ed apprezzabile organizzazione dei fattori della produzione, quali il capitale e il lavoro, propri e altrui.

L’esercizio dell’attività deve essere improntato al criterio di economicità, inteso quale attitudine dell’attività alla remunerazione dei fattori produttivi, al pareggio tra costi e ricavi. Lo scopo di lucro è giuridicamente irrilevante al fine di accertare l’esistenza dell’impresa, riguardando piuttosto i motivi soggettivi dell’imprenditore.

Infine, l’attività deve essere svolta in maniera professionale, ciò implicando un esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva. Il concetto di abitualità non coincide né con quello di continuità, poiché è impresa anche l’attività produttiva c.d. “stagionale”, né con quello di esclusività, dato che un medesimo soggetto può essere titolare di molteplici iniziative imprenditoriali. E’ da considerarsi come attività d’impresa anche quella che sia diretta allo svolgimento di un unico affare, purché presenti un'apprezzabile articolazione organizzativa e sia gestita con metodo economico.

Deve qualificarsi come imprenditore il soggetto cui l’attività è imputabile, nonostante non vi sia piena chiarezza in dottrina e giurisprudenza se il criterio d’imputazione debba basarsi sulla spendita del nome oppure su un più ampio concetto di titolarità effettiva dell’iniziativa economica. Secondo la tesi che ritiene superato il criterio della spendita del nome, dovrebbe assoggettarsi a liquidazione giudiziale anche il soggetto che eserciti un'attività imprenditoriale per il tramite di un soggetto terzo, il quale agisca formalmente in nome proprio (teoria dell’imprenditore occulto).

In base al soggetto che esercita l’attività è possibile distinguere tra:
- Impresa individuale, se svolta da una persona fisica;
- Impresa collettiva, se riferibile ad un ente collettivo di tipo societario o agli enti del terzo settore, quali associazioni, riconosciute e non riconosciute, e fondazioni.
- Impresa pubblica, se esercitata da enti pubblici (v. art. 2093)

In base al tipo di attività è possibile inoltre distinguere tra:
- Impresa commerciale (v. art 2195)
- Impresa agricola (v. art. 2135)

E’ possibile che un imprenditore sia minore di età. Per l’impresa del minore emancipato si veda l’art. 397; per l’impresa del minore inabilitato si veda l’art. 425.
La sopravvenuta incapacità del soggetto non comporta la cessazione dell’impresa individuale allorché questa continui ad opera di altri soggetti che agiscono in rappresentanza dell’imprenditore.

L’impresa ha sede ove l’imprenditore svolge l’attività direttiva ed amministrativa, restando irrilevante la diversa ubicazione di stabilimenti o cantieri. Si presume che la sede legale coincida con quella amministrativa.

La legge 14 febbraio 2006, n. 55, ha legittimato l’imprenditore a stipulare il patto di famiglia (v. artt. 768 bis e seguenti)

Figura a sé stante è quella dell’impresa sociale, disciplinata con il d. lgs. n. 155 del 2006. La finalità dell’impresa sociale è la produzione o lo scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale.
Si ritiene che l’impresa sociale sia una species del più ampio genus dell’impresa.
Caratteristica fondamentale dell’impresa sociale è l’assenza dello scopo di lucro.
La costituzione dell’impresa sociale deve avvenire per atto pubblico e nella denominazione è obbligatorio l’uso della locuzione “impresa sociale”.

Non vi è coincidenza tra nozione civilistica e nozione tributaristica d’impresa, non essendo richiesto dall’art. 51 il requisito dell’organizzazione per ritenere sussistente l’impresa ai fini tributari.

Massime relative all'art. 2082 Codice Civile

Cass. civ. n. 1466/2019

In tema di fallibilità dell'impresa individuale di mediatore professionale, gli elementi identificativi dell'impresa commerciale di cui all'art. 2082 c.c. sono costituiti dalla professionalità e dall'organizzazione, intesa come svolgimento abituale e continuo dell'attività nonchè sistematica aggregazione di mezzi materiali e immateriali, al di là della scarsezza dei beni predisposti, tanto più quando l'attività non necessiti di mezzi materiali e personali rilevanti.

Cass. civ. n. 19735/2014

L'impresa individuale non ha soggettività distinta da quella della persona fisica dell'imprenditore, sicché quest'ultimo è legittimato ad agire e resistere in giudizio per conto dell'impresa anche nell'ipotesi in cui non ne specifichi la qualità.

Cass. civ. n. 16612/2008

La nozione di imprenditore, ai sensi dell'art. 2082 c.c., va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all'attività economica organizzata che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività e dovendo essere, invece, escluso il suddetto carattere imprenditoriale dell'attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere considerata imprenditoriale l'erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti. Peraltro, ai fini dell'industrialità dell'attività svolta (art. 2195, primo comma, c.c.), per integrare il fine di lucro è sufficiente l'idoneità, almeno tendenziale, dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio; né ad escludere tale finalità è sufficiente la qualità di congregazione religiosa dell'ente.

Cass. civ. n. 12757/2007

All'impressa individuale non può essere riconosciuta alcuna soggettività, o autonoma imputabilità, diversa da quella del suo imprenditore, in quanto essa si identifica con il suo titolare tanto sotto l'aspetto sostanziale che processuale. Ne consegue che, non essendo giuridicamente concepibile alcun rapporto obbligatorio fra l'imprenditore e la sua impresa, non è neppure possibile ipotizzare «debiti» di quest'ultima verso il titolare, né crediti «per utili» di questo verso quella.

Cass. civ. n. 3052/2006

La domanda proposta nei confronti di una ditta individuale deve ritenersi intentata, ai fini della legittimazione passiva, contro la persona fisica del suo titolare, in quanto la ditta non ha soggettività giuridica distinta ma si identifica con il titolare sotto l'aspetto sia sostanziale che processuale. In particolare, nell'ambito di un rapporto di lavoro intercorso con un'impresa individuale, nei confronti del lavoratore il soggetto datoriale è, ai sensi dell'art. 2094 c.c., colui alle cui dipendenze e sotto la cui direzione la prestazione è svolta.

Cass. civ. n. 15769/2004

Ai fini della determinazione del momento in cui inizia l'effettivo esercizio dell'attività di impresa - e dunque, in base all'art. 2082 c.c., l'autore acquista la qualità di imprenditore commerciale - fondamentale è il ruolo svolto dal dato dell'organizzazione, poiché in presenza di ún'esteriore apparato aziendale la qualità di imprenditore commerciale si acquista anche con il compimento di un singolo atto riconducibile a quella organizzazione ("atto dell'organizzazione"); quando, invece, manca un siffatto apparato esteriore, perchè l'attività viene svolta con mezzi anche rudimentali, sufficienti comunque ad integrare il requisito dell'organizzazione, soltanto la reiterazione di atti, oggettivamente suscettibili di essere qualificati come atti d'impresa - i quali possono aversi anche prima che si siano instaurati rapporti con i terzi destinatari del prodotto dell'impresa stessa, allorché siano stati posti in essere atti economici preparatori che permettano di individuare l'oggetto dell'attività ed il suo carattere commerciale - rende manifesto che non si tratta di operazioni isolate, ma di attività professionalmente esercitata. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello, la quale aveva riconosciuto la qualità di imprenditore commerciale ad un mercante d'arte in presenza di una rudimentale organizzazione aziendale e dell'acquisito, per la rivendita, di numerose opere d'arte, nonché dello svolgimento di attività promozionali).

Cass. civ. n. 9102/2003

Gli elementi identificativi dell'impresa commerciale, ai sensi dell'art. 2082 c.c., sono la professionalità e l'organizzazione, intese come svolgimento abituale e continuo dell'attività e sistematica aggregazione di mezzi materiali e immateriali, al di là della scarsezza dei beni predisposti, tanto più quando l'attività, come quella dell'agente di commercio, non necessiti di mezzi materiali e personali rilevanti.

Cass. civ. n. 2321/1997

Al fine di attribuire la qualifica di imprenditore commerciale all'esercente di un'impresa individuale edile, è necessario che concorrano i tre requisiti, consistenti: nell'organizzazione, intesa come coordinamento e predisposizione di tutti i fattori necessari per la costruzione e la commercializzazione delle opere realizzate (richiesta di concessione edilizia, reperimento dei capitali attraverso finanziamenti vari, affidamento della progettazione e dell'appalto dei lavori, ecc.); nella professionalità, intesa come sistematicità ed abitualità nello svolgimento dell'impresa economica, ma non come esclusività e preminenza dell'impresa stessa rispetto ad altre; nel fine di lucro, inteso come finalità di commercializzazione e vendita dei beni prodotti.

Cass. civ. n. 5766/1994

In presenza degli altri requisiti fissati dall'art. 2082 c.c., ha carattere imprenditoriale l'attività economica, organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi ed esercitata in via esclusiva o prevalente, che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività; deve essere, invece, escluso il suddetto carattere imprenditoriale dell'attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere considerata imprenditoriale l'erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti. (Nella specie la sentenza impugnala, confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto il carattere imprenditoriale dell'attività svolta dall'Ospedale del Bambino Gesù e la conseguente applicabilità degli artt. 35 e 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, nel testo precedente l'entrata in vigore della L. 11 maggio 1990, n. 108, avendo attribuito rilievo non tanto all'eventuale destinazione a fini benefici dell'utile conseguito, ovvero all'assenza di un utile dopo la copertura dei costi, quanto all'obiettiva economicità dell'attività stessa, desumibile in particolare dal fatto che l'ospedale percepisce, come corrispettivo del servizio reso, gli introiti della diaria versata dalla regione — che copre, fra l'altro, tutti i costi derivanti dall'assistenza ospedaliera, ivi comprese le spese di ammortamento degli impianti e di ammodernamento delle attrezzature, nonché le spese necessarie per la retribuzione del personale dipendente e per l'addestramento e l'aggiornamento del personale infermieristico — nonché le somme versate dai privati che non hanno diritto all'assistenza mutualistica ovvero che optino per il servizio a pagamento).

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Mauro S. chiede
lunedì 01/08/2016 - Lazio
“Ho intenzione di svolgere in regola delle ripetizioni scolastiche a singole persone (quindi non ad un gruppo o ad una classe) presso il mio domicilio privato.
I miei clienti sono sia ragazzi delle scuole secondarie superiori (qualcuno minorenne) che universitari.
Ho già contattato un commercialista per seguire la parte fiscale (regime forfetario).

Vorrei cortesemente sapere da Voi se vi sono (e se sì quali) adempimenti legali non fiscali che dovrei compiere.
Mi spiego meglio: per esempio negli studi medici ho notato che sono sempre presenti dispositivi antincendio e la planimetria con le uscite di emergenza.
Svolgendo lezioni private individuali presso la mia abitazione privata, devo anch'io disporre di dispositivi d'emergenza e planimetria o di cartelli ecc?
Ci sono altre cose che devo compiere o avere per non incorrere in sanzioni?
Per esempio norme igieniche particolari o qualche norma tipo 81/08 a cui deve sottostare o dispositivi tipo estintori ecc?

In caso di normali controlli da parte della Guardia di Finanza, o da altri organi ispettivi, gli ispettori dove possono accedere e cosa possono controllare?
Possono accedere solo nel mio studio dove svolgo le lezioni o in ogni stanza della casa (camera da letto compresa)?
Nei luoghi in cui possono accedere, possono aprire borse, scatole e altre cose non chiuse a chiave in cui contengo cose personali? Lo chiedo perché, essendo casa mia piccola, il mio studio coincide con la sala e sulle librerie ho anche scatole e porta oggetti con cose personali.
Sotto allego una bozza della pianta di casa mia: bagno e camera da letto sono separati da normali porte, mentre la cucina e la sala (dove svolgo le lezioni) sono separati da tre librerie che uso come separé (oltre che per la loro funzione originale).

Ulteriormente, posseggo nello studio un computer fisso che uso sia come strumento di lavoro (faccio anche lezioni via internet) che per uso personale. Può essere controllato? Uso solo programmi con licenza per cui non temo nulla, mi preoccupo solo per questioni legate alla privacy.
Nel caso il pc possa essere controllato, posso obbligare l’agente a limitarsi al controllo delle sole licenze informatiche?
Inoltre so (o almeno così ho letto in vari forum) che per le abitazioni con uso promiscuo casa/lavoro, i pubblici ufficiali possono accedere solo se hanno un mandato di un pubblico ministero. È vero? Nel caso volessi concedere lo stesso il permesso agli agenti di entrare anche senza mandato (alla fine, volendo fare tutto in regola, dovrei stare tranquillo) come mi dovrei comportare? Quali diritti e doveri avrei?

Le ispezioni possono avvenire in qualsiasi orario o comunque sono tenuto ad essere reperibile in determinati orari? Lo chiedo perché vi sono giorni in cui ho lezione tutto il giorno ed altri in cui ho pochi appuntamenti.
Quando ho dei momenti liberi, tendo ad uscire di casa e questo può avvenire in qualsiasi orario e giorno.

Ci sono poi delle assicurazioni che devo fare per legge (tipo assicurazione su incidenti in casa ecc) o dei corsi che sono tenuto a seguire per svolgere questa attività?
Intendo corsi come quelli legati alla sicurezza ex 81/08 o altre cose simili.

Tutto ciò che ho chiesto si riferisce al caso dei semplici controlli di routine che vengono fatti agli studi professionali e non al caso di perquisizioni con mandato di un magistrato per sospetti reati o simili.

Altro dubbio: qualche volta, dopo la lezione, permetto a qualcuno di rimanere da me a studiare o fare esercizi senza dovermi pagare nulla. Lo faccio per essere sicuro che non abbia dubbi su quanto fatto.
Nel frattempo faccio lezione ad un altro ragazzo.
Oppure capita che ho tutta la giornata occupata e permetto a chi non posso far lezione di venire a studiare da me mentre faccio lezione ad un altro. In questo modo chi viene a studiare da me, se ha qualche dubbio, può chiedermi (ovviamente senza disturbare eccessivamente il cliente pagante) una spiegazione veloce.
Posso continuarlo a fare oppure le cose cambierebbero in caso gli ispettori trovassero qualcun altro in casa mia mentre faccio lezione? Posso dire che è un amico visto che comunque sono in un’abitazione privata oltre che studio? È ovvio che se le cose dovessero cambiare in base a quante persone ci sono a casa mia, preferisco non fornire questo servizio e al termine della lezione non permetterei più a nessuno di rimanere…

Infine ultima domanda: vivo in una casa in affitto in un condominio. I miei condomini possono contestarmi qualcosa a causa del via vai di persone? Ovviamente io avverto sempre i miei clienti di non disturbare assolutamente nessuno nel momento in cui accedono od escono al palazzo.
Nel regolamento condominiale non vi è alcun divieto ed alcun riferimento ad attività lavorative.
Ringrazio e porgo distinti saluti”
Consulenza legale i 05/08/2016
L’apertura di un’attività professionale privata presso la propria residenza e il proprio domicilio comporta la necessità di alcuni adempimenti preliminari a livello fiscale e legale.

Per quanto concerne gli adempimenti di natura legale, è da segnalare che il decreto legge n. 250/2005, convertito in legge n. 27/2006, ha previsto l’abrogazione dell’art. 352 del d.lgs. n. 297/94 che regolamentava le scuole private e i corsi, subordinando l’esercizio delle connesse attività al relativo riconoscimento da parte del Ministero della Pubblica Istruzione e sottoponendole alla vigilanza ministeriale.
In seguito all’entrata in vigore della nuova normativa, le scuole private e i corsi non sono più sottoposti a tali limitazioni.

Gli adempimenti di natura fiscale prevedono una sostanziale differenza tra una mera attività occasionale (per la quale non sono richiesti adempimenti specifici ed è prevista la possibilità di pagamento tramite i c.d. voucher INPS – sempre che non si superi il reddito-soglia di € 5.000,00 annui) e una vera e propria attività professionale.
Per svolgere l’attività professionale, infatti, si rende necessario:
- aprire la partita iva;
- iscriversi alla Camera di Commercio;
- presentare la S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Attività);
- ottenere l’autorizzazione sanitaria dei locali presso cui verrà svolta l’attività professionale da parte dell’ASL territorialmente competente.

Di norma e regola, tali adempimenti vengono comunque segnalati dal CAF, Patronato o dal commercialista a cui ci si rivolge per ottenere il numero di Partita IVA (cosa che chi chiede delucidazioni ha già effettuato, posto che è stato iscritto nel regime forfetario). Tale regime prevede l’assenza del versamento IVA, degli studi di settore, della ritenuta d’acconto e che porta in deduzione una quota forfettaria di costi (pari al 78% per il caso di specie) sol che non si superino i 30.000,00 € di fatturato annui e i 20.000,00 € di beni strumentali. La quota residua da versare sarà assoggettata a una aliquota Irpef più agevolata rispetto alla partita Iva normale.

Per quanto riguarda i requisiti soggettivi, non è prevista alcuna specializzazione particolare per intraprendere tale attività.

È appena il caso di ricordare (ma non pare questo il caso) il regime di incompatibilità degli insegnanti pubblici, previsto ai sensi dell’art. 508 del d.lgs. n. 297/1994, che si concreta nel divieto d’impartire lezioni private ad alunni dell’istituto presso cui si svolge l’attività nonché nell’obbligo d’informare il dirigente scolastico dell’assunzione di lezioni private (naturalmente a livello professionale).

Per ciò che concerne i locali, occorre naturalmente ottenere l’agibilità degli stessi (ma trattandosi di appartamento in condominio non ci sono problemi), oltre che il rispetto di norme igienico-sanitarie per cui è richiesta l’autorizzazione da parte dell’ASL (come specificato supra).
Occorre informarsi presso il comune e la ASL di competenza se è necessario munirsi di dispositivi antincendio e di un eventuale piano di evacuazione (posto che si tratta pur sempre di un’abitazione privata). Non pare invece necessaria l’effettuazione di corsi sulla sicurezza.

Per ciò che concerne eventuali visite della Guardia di Finanza, non è insolito un controllo per la verifica dell’effettiva esistenza dell’attività. Posto però che il luogo di lavoro coincide con la residenza privata, è necessario che gli incaricati abbiano un mandato firmato dal Pubblico Ministero della Procura nel cui circondario si trova la sede dell’attività. Naturalmente, qualora, invece, si decida di propria spontanea volontà di consentire l’accesso in casa, gli incaricati potranno svolgere gli opportuni controlli senza la necessità di alcun mandato. Lo stesso vale per l’attrezzatura: la Guardia di Finanza è chiamata solo a verificare l’esistenza dell’attività, pertanto non può accedere a dati privati e/o sensibili a meno che – sempre – li si autorizzi. Nel caso in cui gli agenti si presentino senza mandato, infatti, i controlli opportuni verranno svolti (di solito) presso la Caserma competente, con un invito a presentarsi e a portare con sé eventuali documenti (ad esempio, il certificato di apertura della partita Iva o le fatture – si badi che nel regime forfettario non è obbligatorio tenere i c.d. libri contabili). Si tratta comunque di attività e di controlli poco frequenti.

Non parrebbero esserci problemi di sorta per il caso in cui vi fossero due studenti presso il suo domicilio: l’attività professionale può infatti essere svolta in favore anche di un gruppo di persone, non ci sono limiti di persone per lo svolgimento di attività di istruzione (anche su questo però si rimanda ad un Centro di Assistenza Fiscale specializzato in materia).

Infine, per ciò che concerne il regolamento condominiale, prima di intraprendere l’attività sarebbe opportuno innanzitutto informare il proprietario-locatore dell’appartamento (in alcuni contratti di locazione è infatti espressamente previsto il divieto di effettuare qualsivoglia attività professionale presso i locali locati) ed in secondo luogo l’amministratore di condominio. Così facendo, infatti, si potrebbero prevenire lamentele di eventuali condomini (eventualmente chiedendo la fissazione di un’assemblea condominiale, ma ciò parrebbe superfluo se – come sembra – nel regolamento condominiale non sono presenti limitazioni di sorta).

Ciò che, infine, sembra opportuno è informare comunque il proprietario, ed eventualmente firmare una scrittura privata in duplice copia in cui si dà atto che negli stessi locali di residenza viene svolta un’attività professionale pur sempre senza mutare la destinazione d’uso dei locali.