Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 31 Testo unico edilizia

(D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

[Aggiornato al 08/02/2024]

Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali

Dispositivo dell'art. 31 Testo unico edilizia

1. Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.

2. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3.

3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

4. L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente.

4-bis. L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.

4-ter. I proventi delle sanzioni di cui al comma 4-bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all'acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico.

4-quater. Ferme restando le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, le regioni a statuto ordinario possono aumentare l'importo delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal comma 4-bis e stabilire che siano periodicamente reiterabili qualora permanga l'inottemperanza all'ordine di demolizione.

5. L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico.

6. Per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in base a leggi statali o regionali, a vincolo di inedificabilità, l'acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull'osservanza del vincolo. Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell'abuso. Nella ipotesi di concorso dei vincoli, l'acquisizione si verifica a favore del patrimonio del comune.

7. Il segretario comunale redige e pubblica mensilmente, mediante affissione nell'albo comunale, i dati relativi agli immobili e alle opere realizzati abusivamente, oggetto dei rapporti degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria e delle relative ordinanze di sospensione e trasmette i dati anzidetti all'autorità giudiziaria competente, al presidente della giunta regionale e, tramite l'ufficio territoriale del governo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

8. In caso d'inerzia, protrattasi per quindici giorni dalla data di constatazione della inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 27, ovvero protrattasi oltre il termine stabilito dal comma 3 del medesimo articolo 27, il competente organo regionale, nei successivi trenta giorni, adotta i provvedimenti eventualmente necessari dandone contestuale comunicazione alla competente autorità giudiziaria ai fini dell'esercizio dell'azione penale.

9. Per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita.

9-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01.

Spiegazione dell'art. 31 Testo unico edilizia

La norma in commento riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 7. L. n. 47/1985, adeguando all’attuale quadro normativo la terminologia in utilizzata nella normativa precedente, ma mantenendo inalterati la ratio e gli elementi fondamentali della disciplina.
L’articolo 31 punisce le fattispecie più gravi di abuso e costituisce il cardine del sistema sanzionatorio disegnato dal Testo Unico, mentre gli articoli successivi si occupano delle ipotesi residuali e connotate da minore gravità.

L’ambito oggettivo di applicazione della norma riguarda gli interventi edilizi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali.

La prima ipotesi prende in considerazione la mancanza assoluta del titolo abilitativo e non determina particolari questioni interpretative.
Al riguardo va, comunque, ricordato che ad essa vanno equiparati tutti i casi in cui un titolo abilitativo, pur originariamente presente, perda in seguito validità ed efficacia, ad esempio per infruttuoso decorso dei termini di inizio o conclusione dei lavori o a causa dell’annullamento dell’atto da parte del Comune o della Regione ex art. 39 del Testo Unico.

La seconda ipotesi trova, invece, la propria puntuale definizione al comma 1 dell’articolo in commento, che qualifica come interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che danno luogo ad un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero alla realizzazione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.
Tale specificazione costituisce una rilevante ed apprezzabile novità rispetto alla normativa previgente, che lasciava invece alla giurisprudenza (che è stata comunque tenuta in debito conto nella stesura dell’articolo 31) l’onere di individuare un concreto cosa dovesse intendersi per totale difformità.
Al fine di accertare se le opere siano state o meno realizzate in totale difformità dal titolo, la norma in commento richiede di comparare il progetto approvato con il permesso di costruire con l’organismo in concreto realizzato, sulla base dei parametri tecnici indicati al comma 1.
In particolare, le caratteristiche tipologiche sono gli elementi architettonici che contraddistinguono la conformazione strutturale e fisica dell’immobile, mentre le caratteristiche planovolumetriche riguardano lo sviluppo dell’edificio nello spazio, ossia la localizzazione del fabbricato, la sagoma, l’altezza ed il volume.
Le caratteristiche di utilizzazione, invece, riguardano le modifiche alla destinazione d’uso dell’immobile che conducono al passaggio ad una classificazione urbanistica disomogenea rispetto a quella prevista nel permesso.

La terza ipotesi riguarda le variazioni essenziali, che vengono definite ai sensi dell’art. 32 del Testo Unico e dalla legislazione regionale e che sostanzialmente ricorrono in caso di:
a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968,
b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza;
d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito;
e) violazione delle norme sostanziali in materia di edilizia antisismica.

La procedura sanzionatoria prende avvio con la notificazione dell’ordinanza di demolizione delle opere al proprietario ed al responsabile dell’abuso, che sono chiamati non in via alternativa, ma congiunta e simultanea, a ripristinare il corretto assetto edilizio violato.
La ragione del coinvolgimento del proprietario, anche nel caso egli non sia responsabile dell’abuso, consiste nella materiale disponibilità del bene, che gli consente di intervenire direttamente al ripristino dello stato dei luoghi.
L’ordinanza può essere emessa anche dopo lungo tempo dalla commissione dell’abuso (tanto che la giurisprudenza parla di potere imprescrittibile) e deve contenere la precisa indicazione delle norme che si ritengono violate e delle opere abusive.

Generalmente non si ritiene necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, L. n. 241/1990, stante il carattere vincolato del provvedimento; si segnala, tuttavia, che un orientamento giurisprudenziale ritiene indispensabile tale adempimento nel caso di opere risalenti nel tempo e di incerta datazione, per le quali l’apporto partecipativo del privato –soprattutto se non responsabile dell’abuso- sia fondamentale al fine un corretto inquadramento della fattispecie.

Nel caso in cui i destinatari non provvedano spontaneamente all’esecuzione della demolizione entro 90 giorni dalla notificazione, vi provvede d’ufficio il Comune a spese degli interessati, previa acquisizione dell’area di sedime e dell’area di pertinenza al patrimonio comunale.
La demolizione d’ufficio, comunque, può essere evitata nel caso in cui il Consiglio comunale dichiari che sussiste un rilevante interesse pubblico al mantenimento dell'organismo edilizio e che l'opera non contrasta con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico.

L’accertamento dell’inottemperanza ad un’ingiunzione di demolizione, che costituisce il presupposto per l’acquisizione dell’area da parte dell’Ente pubblico, è un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione di demolizione.

Tuttavia, l’acquisizione non può essere disposta nei confronti del proprietario incolpevole che dimostri di essere completamente estraneo al compimento dell’opera abusiva o di essersi seriamente attivato nei confronti dell'autore che abbia la disponibilità del bene, mediante diffide o altre iniziative di carattere ultimativo, per costringerlo ad eseguire la demolizione.
Lo stesso principio, infine, vale anche per le sanzioni pecuniarie sancite dai commi 4 bis, 4 ter e 4 quater dell’articolo in commento, che hanno la funzione di tenere economicamente indenne il Comune delle spese di ripristino conseguenti alle ordinanze di demolizione non eseguite.
Secondo la giurisprudenza, infatti, è illegittima l’irrogazione di tali sanzioni nei confronti del proprietario che non abbia provveduto spontaneamente alla demolizione qualora tale soggetto non risulti responsabile dell'abuso o non sia nella disponibilità e nel possesso del bene.

Massime relative all'art. 31 Testo unico edilizia

Cons. Stato n. 2438/2019

La presentazione di una domanda di concessione in sanatoria per abusi edilizi impone al Comune competente la sua disamina e l'adozione dei provvedimenti conseguenti, di talché gli atti repressivi dell'abuso in precedenza adottati perdono efficacia, salva la necessità di una loro rinnovata adozione nell'eventualità di un successivo rigetto dell'istanza di sanatoria. Se infatti è accolta la domanda di concessione in sanatoria, conseguentemente gli atti sanzionatoti impugnati sono implicitamente rimossi; se viceversa il Comune disattende l'istanza, respingendola, è tenuto, in base all'art. 40, comma 1, L. n. 47 del 1985 (anche questo richiamato dall'art. 32, comma 25, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, che rinvia alle disposizioni di cui ai capi IV e V della L. n. 47 del 1985), a procedere al completo riesame della fattispecie, assumendo se del caso nuovi, e questa volta conclusivi, provvedimenti sanzionatori, che a loro volta troveranno esecuzione oppure saranno oggetto di autonoma impugnativa, con conseguente cessazione immediata, anche in caso di diniego di sanatoria, di ogni efficacia lesiva da parte della primitiva ordinanza impugnata. Pertanto, la richiesta di concessione in sanatoria determina la sopravvenuta carenza d'interesse all'annullamento dell'atto sanzionatorio in relazione al quale tale domanda è stata presentata (a seconda dei casi, l'ordine di demolizione dell'abuso accertato, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, e/o i successivi provvedimenti di accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale), con la traslazione dell'interesse a ricorrere sul futuro provvedimento che, eventualmente, abbia a respingere la domanda medesima (ad esempio, per la mancata corresponsione dell'oblazione definitivamente accertata come dovuta), e disponga nuovamente la demolizione dell'opera abusiva.

Cons. Stato n. 540/2019

L'ordine di demolizione di opere abusive è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere illegittime e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell'abuso; in sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l'Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore. Di conseguenza, in ragione della natura vincolata dell'ordine di demolizione, non è pertanto necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento né un'ampia motivazione.

Non è legittima l'ordinanza di demolizione di opere abusive emessa in pendenza del termine o in presenza della già avvenuta presentazione della istanza di condono edilizio, poiché l'art. 44, comma ultimo, L. 28 febbraio 1985, n. 47 prevede che, in pendenza del termine per la presentazione di tali domande, tutti i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi. In maniera analoga, l'art. 38 L. n. 47 del 1985 prevede che la presentazione della domanda di condono sospende il procedimento per l'applicazione di sanzioni amministrative. Ne consegue che, nella pendenza della definizione di tali domande, non può essere, tra l'altro, adottato alcun provvedimento di demolizione e tale disposizione si applica anche ai condoni presentati ai sensi dell'art. 39 L. n. 724 del 1994.

Cons. Stato n. 5983/2018

L'art. 22, comma 3, del D.P.R. 380/2001 prevede tre diverse tipologie di interventi edificatori - di cui la prima è costituita proprio da quelli di ristrutturazione, come individuati dall'art. 10, comma 1, lettera c), D.P.R. 380/2001, sottoposti al regime del permesso di costruire, per i quali, per ragioni di carattere acceleratorio, si consente all'interessato di optare per la presentazione della DIA (c.d. "super DIA"). Tale facoltà di opzione esaurisce i propri effetti sul piano prettamente procedimentale, atteso che su quello sostanziale (dei presupposti), penale e contributivo resta ferma l'applicazione della disciplina dettata per il permesso di costruire.

Cons. Stato n. 2337/2017

È illegittimo un provvedimento con il quale un Comune ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria (nella specie, di Euro 20.000,00), ai sensi e per gli effetti dell'art. 31, comma 4-bis, D.P.R. 380/2001, per non avere provveduto ad ottemperare al contenuto di una ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, nel caso in cui si tratti di immobile sottratto alla disponibilità delle parti, in quanto sottoposto a sequestro penale; infatti, l'ordine di demolizione di un immobile colpito da un sequestro penale deve essere ritenuto affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell'art. 21-septies L. n. 241 del 1990 (in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c.) e, quindi, radicalmente inefficace, per l'assenza di un elemento essenziale dell'atto, tale dovendo intendersi la possibilità giuridica dell'oggetto del comando.

Cons. Stato n. 1770/2017

L'art. 31, co. 5, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - T.U. edilizia (il quale prevede che "L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico"), offre una via di uscita, consentendo, di fatto, alla mano pubblica ciò che non è permesso alla parte privata rispetto alla soluzione finale della demolizione dell'edificazione abusiva, permettendo che - questa volta in mano pubblica - l'edificazione non legittima resti pur sempre in situ. Per l'effetto di essa, l'integrità del territorio leso non risulta comunque ricostituita; di contro, delle risultanze della lesione (l'edificazione non legittima) gode un'intera comunità.

È legittima una delibera con la quale un Comune, in sede di esecuzione del giudicato che aveva annullato una concessione edilizia, in applicazione dell'art. 31, co. 5, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha deciso di non procedere alla demolizione del fabbricato, rinvenendo un "prevalente interesse pubblico" nella soluzione di incapsulare in parte del piano terra dell'edificio non legittimo (per il resto costituito, per quanto consta, da un condominio a tutti gli effetti) uffici pubblici, destinati per loro natura alla fruizione collettiva. Con tale soluzione l'ente locale ha anche risolto un problema non secondario, di cui non s'è fatto carico il contenzioso pregresso: dove ricollocare i privati proprietari delle unità immobiliari sovrastanti detto piano terra.

Cons. Stato n. 3366/2015

L'annullamento giurisdizionale del titolo ad aedificandum (seppur a seguito di D.I.A.) implica sia l'illiceità delle opere edilizie realizzate in base ad esso, sia l'obbligo del Comune di dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti conseguenziali e, sebbene non si debba necessariamente procedere alla demolizione delle opere realizzate (come prescrive l'art. 31, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) e vi sia una gamma articolata di possibili soluzioni, l'extrema ratio dell'ordine di demolizione e di remissione in pristino non è sinonimo di illegittimità di procedervi ogni qual volta non sia possibile né sanare i vizi, né conservare il manufatto a cagione dell'insormontabile distonia, degli uni e dell'altro, con lo stato dei luoghi e con le prescrizioni di zona.

Cons. Stato n. 2211/2015

Il proprietario incolpevole di abuso edilizio commesso da altri, che voglia sfuggire all'effetto sanzionatorio di cui all'art. 31, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia», della demolizione o dell'acquisizione, come effetto della inottemperanza all'ordine di demolizione, deve provare la intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all'abuso, siano però anche idonee a costringere il responsabile dell'attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall'autorità amministrativa.

Cons. Stato n. 1650/2015

L'art. 31, commi 2, 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e nell'art. 15, commi 1 e 3 della legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia), che hanno carattere di lex specialis rispetto all'art. 6 della L. 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche al sistema penale) si riferiscono non all'«autore», ma al «responsabile» dell'abuso, quest'ultimo inteso come esecutore materiale, ma anche come proprietario o come soggetto che abbia la disponibilità del bene, al momento dell'emissione della misura repressiva. Sia la norma statale che quella regionale, infatti, indicano espressamente come destinatari della sanzione demolitoria, in forma non alternativa, sia il proprietario che il responsabile: la prima, imponendo testualmente detta sanzione «al proprietario e al responsabile dell'abuso»; la seconda, disponendo la notifica dell'ingiunzione «al responsabile dell'abuso nonché al proprietario, ove non coincidente con il primo»; le ulteriori misure (acquisizione gratuita e pagamento di una somma in caso di inottemperanza) non possono che riferirsi ai medesimi soggetti obbligati.

Cass. pen. n. 7046/2014

In tema di reati edilizi, il termine per adempiere all'obbligo di demolizione del manufatto abusivo cui sia stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il giudice abbia omesso di provvedere alla sua indicazione, è quello di giorni novanta dal passaggio in giudicato della sentenza, desumibile dai parametri della disciplina urbanistica prevista dall'art. 31 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380. (In motivazione, la Corte ha specificato che la condizione apposta al beneficio mira alla rapida eliminazione della situazione antigiuridica, di modo che non è accettabile che possa essere adempiuta fino alla scadenza del diverso termine normativo stabilito ai fini dell'estinzione del reato).

Cons. Stato n. 5607/2014

L'art. 31, comma 3, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 ("Testo unico in materia di edilizia"), dispone che "se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune". La stessa noma dispone che "l'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita". Dall'analisi della suddetta disposizione si desume che il bene da acquisire deve essere individuato con precisione e che, nell'applicazione della sanzione, l'autorità competente rispetti il principio di proporzionalità mediante l'irrogazione di una sanzione che, entro il limite massimo legale stabilito, sacrifichi la posizione soggettiva del privato in modo adeguato, necessario e strettamente proporzionale all'obiettivo di interesse pubblico perseguito.

Cons. Stato n. 1260/2012

In tema di edilizia e urbanistica, nello schema giuridico delineato dall'art. 31 del D.P.R. n. 380/ 2001 non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l'esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell'esecuzione di un'opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione; e, pertanto, accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia.

In tema di tutela penale del territorio, l'esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il cui decorso comporta, in caso di inottemperanza, l'acquisizione gratuita di diritto al patrimonio del comune.

Cass. pen. n. 32540/2010

L'ordine di demolizione delle opere abusive deve intendersi sempre emesso allo stato degli atti, sicché il giudice è comunque tenuto a valutarne la persistenza dei presupposti lungo tutta la durata del processo.

Cass. pen. n. 16392/2010

In presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell'individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l'art. 32, comma terzo, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali.

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Tesi di laurea correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 31 Testo unico edilizia

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

T. P. chiede
domenica 19/03/2023 - Puglia
“Buonasera, a seguito confisca per abuso edilizio la mia abitazione è stata confiscata e trasferita al comune con atto di trascrizione avvenuto nel 1998. Confermo che da parte del comune non ho mai avuta nessuna comunicazione a tal riguardo. Ad oggi continuo ad abitare nella stessa e ho sempre provveduto a pagare tasse e a dichiararla ai fini fiscali come prima abitazione. In virtù di tale situazione potrei usucapirla? Grazie.”
Consulenza legale i 28/03/2023
I beni appartenenti allo Stato si distinguono in beni demaniali e beni del patrimonio dello Stato.

I primi sono disciplinati dall’art. 822 del c.c., sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi (art. 823 del c.c.).

L’art. 826 del c.c. disciplina i beni che costituiscono il patrimonio dello Stato o delle province o dei comuni, identificandoli genericamente come quelli che non rientrano nella categoria di beni del demanio.
Tra i bene del patrimonio pubblico, la norma poi elenca quali sono i beni del patrimonio indisponibile, senza nulla dire rispetto ai beni del patrimonio disponibile che andranno quindi individuati per esclusione.

Per quanto riguarda la disciplina di questa categoria di beni, l’art. 828 del c.c. stabilisce che sono soggetti alla normativa particolare che li riguarda e alle norme del codice civile ove non è diversamente disposto. Le norme civilistiche assumono quindi una funzione meramente suppletiva.
L’articolo specifica come i beni del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi previsti dalla legge.
La giurisprudenza a tal proposito ha affermato che non possono quindi essere oggetto di usucapione da parte di terzi, poiché è inconcepibile l’usucapione di un diritto reale incompatibile con la destinazione del bene alla soddisfazione di un interesse pubblico (Cass. civ. n. 12608/2002).
Di contro, sono assoggettati alle comuni regole di diritto privato i beni facenti parte del patrimonio disponibile che sono quindi usucapibili (Cass. civ. n. 5158/2006).

La questione centrale del caso di specie concerne l’acquisizione del bene immobile al patrimonio disponibile o indisponibile del Comune.
Il proprietario originario afferma che il bene è stato soggetto a provvedimento di confisca per abusi edilizi.
Si suppone che la misura a cui sia stata sottoposta l’abitazione sia quello di acquisizione gratuita al patrimonio comunale a seguito della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione dell’opera abusiva ai sensi dell’ art. 31 del T.U. Edilizia.
La ratio legis della norma è proprio quella di acquisire il bene abusivo per facilitarne la demolizione.
Questo può anche non accadere nel caso in cui l’Ente pubblico ne dichiari l’interesse pubblico e decida di mantenere l’opera.
Non sembra che il bene immobile del quesito rientri in questa categoria e quindi è immaginabile che il bene sia da demolire sebbene il Comune non l’abbia materialmente mai fatto.

In base a quanto fin qui detto, sembra che il bene non rientri nella categoria di bene demaniale ai sensi dell’art. 822 c.c., né bene di patrimonio indisponibile ex art. 826 c.c.
È quindi da considera appartenente al patrimonio disponibile del Comune.
A sostegno di questa interpretazione si segnala una pronuncia del TAR di Napoli che afferma che decorsi novanta giorni dalla notifica dell’ingiunzione di demolizione del bene abusivo, si verifica ope legis l’acquisizione gratuita al patrimonio disponibile del Comune (Tar Napoli n. 917 del 06.02.2015).

Si può, quindi, affermare che il bene abusivo appartenente al patrimonio disponibile del Comune, è soggetto alle norme di diritto privato e di conseguenza può essere usucapito.

È però di fondamentale rilevanza segnalare che un eventuale acquisto per usucapione del bene non sana l’abuso edilizio e che l’ordinanza di demolizione, in quanto imprescrittibile (Cons. Stato n. 10897/2022, Cons. Stato n. 344/2023), rimane gravante sul bene immobile.

Questo renderà difficoltoso, se non impossibile, poter disporre liberamente del bene di cui non potrà mai essere certificata la conformità edilizia e urbanistica e quindi non potrà essere alienato a terzi.

F. D. chiede
giovedì 04/08/2022 - Puglia
“Spett.le Studio Legale Brocardi,
essendo un agente immobiliare ho una richiesta d'acquisto di una villetta con diverse difformità.
Il potenziale acquirente è al corrente di tutto, ma è disposto a pagarla ad un prezzo ben inferiore al prezzo di mercato.
La proprietaria sarebbe da accordo a patto di non aver in futuro problemi con la legge.
Le difformità sono le seguenti:
- altezza della villetta inferiore di cm. 5 rispetto a quanto stabilito dalla legge;
- è stato creato un tetto spiovente con tegole non dichiarato ( poco alto tanto che non è stata ricavata una mansarda);
- distanza inferiore al dovuto rispetto al terreno adiacente in cui insiste una vasca di accumulo dell'acquedotto pugliese;
- porticato antistante in legno abusivo;
- cucina abusiva.
Un legale mi ha consigliato di effettuare una scrittura privata: "La parte acquirente rinuncia sin d'ora ad agire ad ogni diritto ed azione che possa derivargli dalla presenza delle innanzi indicate difformità".
Secondo voi va bene questa frase liberatoria?
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 30/08/2022
Per rispondere al quesito, è opportuna una breve analisi per punti circa le caratteristiche e la gravità degli abusi presenti sull’immobile, sulla base delle informazioni a nostra disposizione:

1) “altezza della villetta inferiore di cm. 5 rispetto a quanto stabilito dalla legge”: dalla formulazione della richiesta di parere non è dato comprendere se la minor altezza si riferisca alle misure interne dei locali o all’altezza totale della villetta. Il primo caso è certamente più complicato, posto che la difformità potrebbe causare problemi -più che per quanto riguarda il profilo edilizio- dal punto di vista dell’agibilità dell’immobile, cioè della presenza delle condizioni igienico-sanitarie minime per la permanenza di persone, con riflessi anche sul contratto di compravendita. Nel secondo caso, invece, visto che lo scostamento presenta una misura abbastanza limitata, si potrebbe forse ricadere nella (recentemente ampliata) nozione di tolleranze edilizie e costruttive di cui all'art. 34 bis del T.U. edilizia, che escludono la presenza di un abuso edilizio.
2) “è stato creato un tetto spiovente con tegole non dichiarato (poco alto tanto che non è stata ricavata una mansarda)”: tale intervento, a seconda della sua entità e caratteristiche e della difformità con la struttura precedente, potrebbe in astratto o rientrare nella manutenzione straordinaria o nella ristrutturazione. La differenza rileva sotto l’aspetto autorizzatorio e, conseguentemente, anche sanzionatorio (il primo è un intervento meno invasivo rispetto al secondo e, allo stesso modo, le sanzioni presentano una diversa gravità).
3) “distanza inferiore al dovuto rispetto al terreno adiacente in cui insiste una vasca di accumulo dell'acquedotto pugliese”: in questo caso è necessario verificare non solo la violazione di norme pubblicistiche locali, ma anche delle norme civilistiche sulle distanze tra costruzioni art. 873 del c.c. e ss. e di eventuali pretese da parte dei confinanti. Inoltre, la presenza della vasca di accumulo potrebbe determinare anche l’applicazione delle previsioni sulle zone di salvaguardia di cui all’art. 94 del codice ambiente.
4) “porticato antistante in legno abusivo”: secondo costante giurisprudenza, la realizzazione di un porticato non può considerarsi attività attratta alla natura pertinenziale dell'opera, di talché necessita di un apposito permesso di costruire per la sua costruzione (Consiglio di Stato, sez. VI, 14 maggio 2019, n. 3133; Consiglio di Stato, sez. VI, 26 settembre 2018, n. 5541). La realizzazione di opere senza permesso di costruire non sanate (o non sanabili) determina l’applicazione della sanzione più grave tra quelle previste dal T.U. Edilizia (art. 31), nonché la fattispecie di reato di abuso edilizio di cui all’art. 44 del T.U. edilizia.
5) “cucina abusiva”: la descrizione è troppo generica e non consente la valutazione dell’abuso.

Visto quanto sopra, è necessario sottolineare che le conseguenze di un abuso edilizio, particolarmente di quelli più rilevanti come il n. 4, si riverberano non solo sui rapporti tra compratore e venditore, ma anche e soprattutto nei confronti della P.A. che li può perseguire e punire anche a distanza di molti anni, senza che assumano alcun valore sotto tale profilo le eventuali clausole contenute in un contratto tra privati: si tratta di un rischio che è necessario considerare prima di concludere qualsiasi accordo.

Nel caso di specie, comunque, l’ostacolo principale è costituito dal fatto che, ai sensi dell’art. 29, comma 1 bis, L. n. 52/1985, “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
Trattandosi di interventi abusivi, essi prevedibilmente non saranno stati riportati sulle planimetrie catastali, con la conseguenza che le parti -entrambe perfettamente consapevoli della circostanza- non sono in grado di rendere tale dichiarazione prevista dalla legge a pena di nullità.

La condotta più prudente, dunque, resta quella di far sanare al venditore a proprie spese gli abusi sanabili, nonché eliminare quelli non sanabili, in modo da procedere poi alla stipula della compravendita senza lo “spettro” di eventuali contestazioni da parte della P.A. o di terzi.


Gordon S. chiede
lunedì 20/09/2021 - Lazio
“Salve, avrei un quesito da porre.
Un condomino ha apportato delle modifiche ad una finestra.
Il condominio ha denunciato il condomino e, dopo un processo, il giudice ha dato ragione al condominio e ha stabilito (con una sentenza) che il condomino debba ripristinare la finestra nelle condizioni iniziali.
La domanda è: se un magistrato ordina l'esecuzione di un lavoro edilizio (in questo caso il ripristino della finestra) chi deve eseguire il lavoro è obbligato ad ottenere prima dal comune (o chi per lui) le necessarie licenze edilizie?
Il dubbio sorge dal fatto che i lavori sono stati "ordinati" da un giudice che richiede il ripristino di una condizione iniziale.
Per quanto ne so, le sentenze di un giudice (se non si fa ricorso) devono essere rispettate ed eseguite nel minor tempo possibile. Quindi si ha un obbligo di svolgere quei lavori. D'altra parte la sentenza di un giudice non credo sia una licenza edilizia. Per non parlare del fatto che non è possibile richiedere alla P.A. autorizzazioni su immobili “irregolari”. Come ci si comporta in questi casi? Bisogna necessariamente chiedere una CILA o una SCIA (in base ai casi) alla P.A.? Mi è stato consigliato che, nel dubbio, sarebbe meglio chiedere la CILA/SCIA. Però gradirei avere (se c'è ovviamente) un riferimento normativo. Spero di essere stato chiaro nel quesito. Grazie”
Consulenza legale i 27/09/2021
In premessa, va notato che la questione dell’esecuzione degli ordini di demolizione/rimessione in pristino emessi dall’Autorità giudiziaria è stata nel tempo ampiamente discussa in giurisprudenza e in dottrina, in un dibattito che non può -per ovvi motivi- venire riassunto in questa sede.
Dato che la domanda riguarda specificamente l’ipotesi di una sentenza penale per il reato di abuso edilizio, è su questa fattispecie che ci si concentrerà, tralasciando il diverso caso delle sentenze emesse dal giudice civile nelle controversie tra proprietari confinanti (esaminato ad esempio nella recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 20 aprile 2020, n. 2515).

La norma di riferimento è l’art. 31, comma 9, T.U. Edilizia, ai sensi del quale per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse, se ancora non sia stata altrimenti eseguita.
Secondo la giurisprudenza, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo in discorso ha sostanzialmente natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'autorità emanante, ossia il Giudice penale (Cassazione penale, sez. III, 16 dicembre 2020, n. 11638).

In ragione di questa particolarità, si ritiene che il potere attribuito al giudice penale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa, sia soggetto all'esecuzione nelle forme previste dal codice di procedura penale, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva. Organo promotore dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 655 c.p.p., è perciò il pubblico ministero, il quale, ove il condannato non ottemperi all'ingiunzione di demolizione o alla rimessione in pristino, è tenuto ad investire, per la fissazione delle modalità di esecuzione, il Giudice dell'esecuzione (T.A.R. Napoli, sez. VIII, 19 febbraio 2021, n. 1073; T.A.R. Napoli, sez. VIII, 03 ottobre 2019, n. 4716).
Ne consegue che le modalità esecutive e, comunque, tutti i provvedimenti emessi in tale fase rimangono al di fuori delle prerogative della P.A., rientrando invece nell’alveo delle competenze e dei poteri del giudice dell’esecuzione penale (si sottolinea che questo principio vale anche quando la P.A. venga delegata dal P.M. a dare concreta esecuzione dell’ordine di demolizione) (ex multis, T.A.R. Napoli, sez. III, 23 luglio 2020, n. 3263).

In sostanza, non ci troviamo di fronte ad ordinari lavori edilizi, ma ad una fattispecie dai caratteri singolari, all’interno della quale la P.A. non pare avere alcuno spazio di intervento o di manovra.
Quanto sopra porta a concludere che, nel caso il procedimento penale oggetto del quesito si concluda con una sentenza di condanna accompagnata dall’ordine di demolizione, per l’esecuzione di tale provvedimento giurisdizionale sia necessario rapportarsi solo con il P.M. ed eventualmente con il Giudice, senza la necessità di munirsi di un particolare titolo edilizio.


ELIGIO M. chiede
giovedì 11/06/2020 - Lombardia
“Il mio vicino ha ammassato 19 anni fa sulla sua proprietà confinante con la mia una enorme quantità di terreno di riporto tale da formare una collinetta su cui ha eretto la sua casa. Tale terreno arriva fino in aderenza al confine delimitato da un muretto di 80 cm sormontato da una rete a maglie larghe di mia proprietà. La quota del terreno di riporto al confine è di circa 150 cm sopra la sommità del muretto.
Dopo varie contestazioni processuali il giudice di appello ha sì confermato la nostra tesi che tale terreno è costruzione ma, di sua iniziativa e senza che tale diritto sia mai stato invocato da parte avversa, ha sentenziato che essendo esso in aderenza al nostro muretto, è tutto regolare e non va arretrato di 5 metri come da nostra richiesta.
Questo terreno di riporto non è però conforme alla concessione edilizia a suo tempo rilasciata dal Comune.
Sui disegni approvati dal comune il profilo del terreno appariva ben diverso, non arrivando al confine , fatto però mai contestato ufficialmente da noi.
Ora, che è ben chiaro e confermato che tale terreno à da considerarsi costruzione, è possibile ancora rivolgersi al Comune , richiedendogli che sia rispettata la situazione come riportato nella concessione edilizia?
E' obbligato il comune ad agire o può in qualche modo concedere una sanatoria? (va tenuto conto che è un comune di montagna con circa 1000 abitanti)
Ed infine, può un muretto di recinzione di 80 cm con sopra una rete essere considerato "muro di cinta" e quindi poterci costruire in aderenza?”
Consulenza legale i 17/06/2020
La possibilità per il Comune di sanzionare gli abusi edilizi non è soggetta ad alcun limite temporale, posto che in tale ambito pubblicistico non operano istituti privatistici quali l’usucapione o la prescrizione.
In particolare, è opinione ormai consolidata che l'attività sanzionatoria degli abusi edilizi sia imprescrittibile, in quanto la realizzazione e la permanenza dell'opera abusiva realizzano un vulnus permanente e il decorso del tempo non determina l'insorgere in capo al responsabile - proprietario di alcun legittimo affidamento, difettando il presupposto della buona fede (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11 marzo 2020, n.1737).
Pertanto, anche se sono ormai passati 19 anni dalla costruzione dell’opera, nulla impedisce di rivolgersi all’Ente per segnalare la presenza dell’abuso, che –ove venisse accertato- verrà sanzionato ex artt. 31 e ss., D.P.R. n. 380/2001.
Anzi, a fronte di una segnalazione circostanziata e documentata, l'Amministrazione è obbligata ad attivare e concludere, con atto espresso, il doveroso procedimento di controllo e verifica della natura abusiva dell'opera ai sensi dell'art. 27, D.P.R. n. 380/2001 (ex multis, T.A.R. Firenze, sez. III, 07 febbraio 2020, n.169).
L’eventuale inerzia dell’Ente, inoltre, legittima -per giurisprudenza costante- il proprietario confinante, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri repressivi degli abusi edilizi da parte dell'organo preposto, ad avvalersi del rimedio giurisdizionale previsto dall’art. 117, D. Lgs. n. 104/2010 (ricorso avverso il silenzio) (ex multis, T.A.R. Napoli, sez. VI, 04 ottobre 2019, n.4744).

Tanto chiarito, la possibilità di sanare gli abusi edilizi è prevista dall’art. 36, D.P.R. n. 380/2001, ma ai fini della legittimità della sanatoria è indispensabile che l’opera presenti la cosiddetta doppia conformità.
Essa, cioè, deve essere conforme sia alla normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della sua realizzazione, sia a quella vigente al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.
In mancanza anche di uno solo di tali presupposti, che non possono essere valutati in via discrezionale dalla P.A. ma devono essere accertati avendo riguardo alle norme fissate nella disciplina di riferimento, l’opera non è sanabile e deve essere di conseguenza sanzionata in quanto abusiva.
In ogni caso, l’iniziativa di concedere la sanatoria non può essere assunta d’ufficio dal Comune, ma presuppone un’apposita domanda dell’interessato corredata da tutti gli elementi necessari a verificare la sussistenza delle condizioni stabilite dall’art. 36, D.P.R. n. 380/2001.
Peraltro, è opportuno ricordare che sia l’eventuale provvedimento che non ravvisi la sussistenza di abusi e sia l’eventuale sanatoria, ove presentino profili di illegittimità, sono impugnabili dal vicino davanti al competente TAR nel termine di decadenza di sessanta giorni.

Quanto all’ultima domanda posta nel quesito, si rileva che, secondo la giurisprudenza, le caratteristiche fondamentali del muro di cinta, il quale non rientra nel computo delle distanze legali ex art. 878 c.c., sono costituite dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a 3 metri e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà (Cassazione civile, sez. II, 09 settembre 2019, n.22445; Cassazione civile sez. II, 18 maggio 2016, n.10265).
Ai muri di cinta sono poi equiparati tutti manufatti che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo (Cassazione civile, sez. II, 16 febbraio 2015, n.3037).
In ogni caso, l’art 877 c.c. ammette la costruzione in aderenza al muro del vicino, purché la nuova fabbrica non appoggi su quella preesistente.
Tuttavia, per comprendere se la costruzione in aderenza sia ammissibile o meno non è sufficiente considerare la norma codicistica da ultimo menzionata, ma è necessario anche verificare le specifiche previsioni dei regolamenti comunali, che costituiscono vere e proprie norme integrative del Codice civile per quanto riguarda la disciplina delle distanze.
Pertanto, una costruzione di questo genere può dirsi legittimamente eretta solo ove i regolamenti comunali non fissino una distanza minima dal confine, oppure consentano espressamente l’edificazione in aderenza (Cassazione civile, sez. II, 26 aprile 2017, n.10304).
Non è dato sapere se la sentenza di appello sia già passata in giudicato, ma -se così non fosse- sarebbe opportuno verificare con l’assistenza del legale che ha seguito la causa anche il contenuto di tali norme locali, al fine di valutare la possibilità di ricorrere per la cassazione della decisione.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.