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Articolo 878 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Muro di cinta

Dispositivo dell'art. 878 Codice Civile

Il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall'articolo 873(1).

Esso, quando è posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo d'appoggio, purché non preesista al di là un edificio a distanza inferiore ai tre metri [874].

Note

(1) Il muro di cinta e il muro isolato non sono presi in considerazione quali "costruzioni" ai fini dell'applicazione della disciplina sulle distanze legali.

Spiegazione dell'art. 878 Codice Civile

La questione dell' applicabilità o meno dell'art. 571 ai mini di cinta prima del nuovo codice. Evoluzione della giurisprudenza della Cassazione

Le costruzioni di muri di cinta o fatte in prossimità di muri di cinta sono cose di tutti i giorni e quindi interessa particolarmente sapere con precisione come doversi comportare nella costruzione quanto alle distanze legali, per non andare incontro a una lite.

Sotto l'impero del vecchio codice (art. 571) mancava una esplicita disposizione in materia, pertanto la questione fu molto dibattuta tanto nella dottrina quanto nella giurisprudenza. È necessario dare uno sguardo al passato per rendersi conto della ragione della disposizione dell'art. 878 del nuovo codice, intesa appunto a risolvere testualmente l'annosa questione.

Fu un tempo dominante nella dottrina e nella giurisprudenza l'opinione che l'art. 571 si applicasse anche ai muri di cinta, e quindi le norme circa le distanze legali nelle costruzioni, in particolare l'obbligo di osservare l'intercapedine minima di tre metri, si ritenevano applicabili tanto se si trattava di costruire un muro di cinta di fronte a un edificio preesistente, quanto se si trattava di costruire un edificio di fronte a un preesistente muro di cinta.

In questo senso si era affermata la Cassazione di Torino in una numerosa serie di decisioni, e nello stesso senso decisero la Cassazione di Roma sia come Corte territoriale, a Sezione semplice, sia a Sezioni unite, e mantenne questa tesi anche divenuta Cassazione del Regno fino al 1928.

Sennonché una deroga al principio generale dell' applicabilità dell'art. 571 ai muri di cinta venne a manifestarsi nella giurisprudenza della Cassazione del Regno a cominciare dal 1925 rispetto ai muri divisori nelle città e sobborghi (art. 559 cod. 1865, corrispondente all'art. 886 del nuovo codice): l'applicabilità dell'art. 571 fu mantenuta per i muri di cinta in genere, mentre fu esclusa per i muri di chiusura obbligatoria di cui all'art. 559. Ma non mancarono le divergenze nell'applicazione di questa tesi: mentre qualche decisione ritenne applicabile l'art. 571 quando il muro divisorio nelle cinta e sobborghi si elevava oltre i tre metri prescritti dall'art. 559, qualche altra statuì che il muro di cinta di cui all'art. 559 si sottraesse alle norme di distanza dell'art. 571 anche quando sorpassasse l'altezza stabilita dalla legge (nella specie si trattava di muro divisorio alto ben 6 metri) « perché non dall'altezza stabilita dalla legge, ma dalla ubicazione del muro e dalla sua destinazione deve dedursene la natura ». Altre decisioni si allontanarono ancora più dai limiti dell'art. 559, statuendo che l'art. 571 fosse inapplicabile non solo quando si trattasse di muri divisori costruiti a norma dell'art. 559 a cavaliere, metà per parte, sulla linea di confine, ma anche quando fossero costruiti esclusivamente sul suolo di confine di una delle due proprietà contigue a spese esclusive del proprietario.

Ma giunti a questo punto, con tali successivi allargamenti della deroga all'art. 571, era lecito domandarsi quale differenza restasse ormai tra i muri di cinta ordinari soggetti all'applicazione dell'art. 571 e quelli speciali divisori nelle città e nei sobborghi, a cui l'articolo non era applicabile. Solo il fatto che questi si trovassero in centri abitati e gli altri no? Questo non giustificava però la differenza di trattamento. E allora, tanto valeva ripudiare la teoria fino allora seguita e statuire che l'art. 571 non fosse applicabile ai muri di cinta, a tutti, senza distinzione.

E precisamente in questo senso si è da ultimo affermata la Cassazione in una serie ininterrotta di sentenze, a cominciare dal 1931 in poi, statuendo l' inapplicabilità dell'art. 571 a tutti i muri di cinta, indistintamente.

Il nuovo codice nell'art. 878 ha testualmente adottato la soluzione accolta dalla giurisprudenza del Supremo Collegio nell'ultima fase della laboriosa evoluzione. E si può dire così chiusa una vexata quaestio, che sorta fin sotto il codice sardo, si è dibattuta con alterna vicenda, sotto l'impero del codice del 1865, formando per un periodo di tanti anni un vero incubo per i costruttori.


Essa viene decisa testualmente dall'art. 878 nel senso della inapplicabilità ai muri di cinta delle norme sulle distanze legali nelle costruzioni

L'art. 878 dispone che il muro di cinta non venga considerato per il computo della distanza indicata dall'art. 873: quindi l'intercapedine minima di tre metri si applica solo fra edificio e edificio, non anche tra edificio e muro di cinta, nè tra muro di cinta ed edificio. Agli effetti della distanza legale nelle costruzioni, il muro di cinta si considera come inesistente, tamquam non esset.

Di conseguenza, chi volesse costruire un muro di cinta potrebbe fabbricarlo sul confine, anche nel caso in cui sul fondo vicino esista un edificio a distanza minore di tre metri dal confine. E viceversa, l'esistenza di un muro di cinta sul confine non impedisce al vicino di costruire un edificio sul suo fondo anche a distanza minore di tre metri dal preesistente muro di cinta limitrofo.

La disposizione dell'art. 878 si applica indistintamente a tutti i muri di cinta, sia a quelli di chiusura obbligatoria negli abitati (art. 886) sia agli altri fuori degli abitati, tanto se costruiti a cavallo, metà per parte sul confine, e quindi comuni, quanto se costruiti su area esclusiva di uno dei confinanti e quindi di sua esclusiva proprietà.

La disposizione si applica ai muri di cinta, indipendentemente dall'altezza che essi possono raggiungere in determinati casi. Di solito l'altezza dei muri di cinta non si spinge oltre i tre metri, ma non è escluso che tale altezza possa essere sorpassata, anche se si tratti di chiusura obbligatoria (si veda l'art. 886, n. 5). Infatti, nonostante il sorpasso della normale altezza dei tre metri, il muro non perderà il suo carattere di muro di cinta. Del resto, un'altezza eccessiva e irragionevole ai fini della recinzione potrebbe essere contrastata dal vicino qualora ricorressero gli estremi dell'atto emulatorio (art. 833 del c.c.).


La disposizione si applica anche agli altri muri isolati di altezza non superiore ai tre metri

Il Progetto della Commissione reale estendeva la disposizione dettata per i muri di cinta a « ogni altro muro isolato, che non faccia parte di un edificio ». Tale locuzione così generica avrebbe potuto dar luogo a difficoltà di interpretazione, perché, qualora tali muri isolati raggiungessero una notevole altezza, considerarli come non esistenti agli effetti delle distanze legali nelle costruzioni avrebbe prodotto gli inconvenienti che la legge ha voluto evitare col divieto dell'intercapedine minore di tre metri.

Bene quindi ha fatto il legislatore a limitare la disposizione dell'art. 878 al « muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri». Se esso ha una altezza superiore è considerato come fabbrica per il computo delle distanze legali nelle costruzioni.


Appoggio di nuova costruzione al muro posto sul confine. Limiti

Il considerare come inesistente agli effetti della distanza legale nelle costruzioni il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri avrebbe potuto far nascere un dubbio se nei confronti di tale muro il vicino potesse esercitare il diritto di cessione coattiva della comunione anche a scopo di appoggio.

L'art. 878 ha tolto ogni dubbio disponendo nel capoverso che « quando (il muro) è posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo di appoggio, purché non preesista al di là un edificio a distanza inferiore ai tre metri ». La ragione limitatrice della disposizione è di per sè intuitiva: se al di la del muro preesistesse un edificio a distanza minore di tre metri, l'appoggio della costruzione al muro verrebbe a costituire un'intercapedine minore della legale. Per la stessa ragione sarebbe vietata anche una semplice costruzione in aderenza, senza appoggio, al muro di cinta, ove preesistesse al di là un edificio a distanza minore di tre metri.

Quando invece non preesista al di là del confine un edificio a distanza minore di tre metri, la nuova costruzione può eseguirsi in semplice aderenza al muro di cinta, anche senza bisogno del previo acquisto della comunione (art. 877,, n. 2). Solo per i muri che non sono sul confine la comunione forzosa presuppone la condizione di fabbricare contro i medesimi (art. 875 del c.c.). Pertanto se tale fabbricazione non è possibile per qualunque ragione (vedi sopra art. 875, n. 4) — come nel caso della preesistenza di una fabbrica a meno di tre metri dal muro — non solo sarebbe vietato l'appoggio della nuova costruzione, ma la stessa comunione forzosa riuscirebbe inattuabile.


Quid iuris del muro non posto sul confine

La disposizione dell' art. 878 capov. regola la possibilità della cessione coattiva della comunione e dell'appoggio del muro « quando è posto sul confine ». Non si comprende la ragione di questo inciso: quid iuris se il muro non è posto sul confine?

L'ipotesi non è normale per i muri di cinta che, come tali, solitamente sono ubicati sul confine, allo scopo di delimitare tutto il fondo e non lasciarne nessuna zona al di fuori. Ma l'ipotesi può presentarsi anche per gli altri muri isolati previsti dall'art. 878 primo comma. Si ritiene che anche per tale ipotesi l'acquisto della comunione del muro sia possibile quando essa serva allo scopo di fabbricare contro il muro stesso secondo la precisa disposizione dell'art. 875: solo la preesistenza di un edificio al di là del muro, a distanza minore di tre metri, potrebbe ostacolare tale acquisto della comunione, venendo meno la condizione della fabbricazione contro il muro, alla quale è subordinata la comunione forzosa del muro che non è sul confine (art. 875 del c.c.). La fabbricazione contro il muro, infatti, verrebbe a formare un'intercapedine minore della legale. In definitiva, l'inciso di cui all'art. 878 capov. non appare giustificato.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

420 Un primo gruppo di norme in queste materie concerne la distanza nelle costruzioni e la comunione forzosa dei muri (articoli 873-879). La relativa disciplina resta dominata, come già nel codice del 1865, da due regole fondamentali: da un lato, l'obbligo di osservare nelle costruzioni su fondi finitimi la distanza di tre metri o la maggiore distanza stabilita dai regolamenti locali; dall'altro, il diritto di chiedere la comunione del muro altrui, contiguo al proprio fondo o a distanza minore della metà di quella che deve intercedere tra le costruzioni. Occorre tuttavia accennare, in tema di comunione forzosa dei muri, a talune modifiche di carattere particolare apportate alla regolamentazione che essa riceveva nel codice del 1865, dirette soprattutto a introdurre nel testo legislativo opportune precisazioni e a eliminare controversie. Secondo l'indirizzo prevalente della giurisprudenza, si è anzitutto chiarito (art. 874 del c.c.) che l'acquisto parziale della comunione del muro è consentito soltanto rispetto all'altezza: la comunione può essere chiesta per tutta o per parte dell'altezza del muro altrui, purché l'acquisto sia domandato per tutta la lunghezza del muro che si estende sul confine comune. Inoltre si è data una più completa disciplina dell'acquisto della comunione del muro che non si trova sul confine, ma a distanza minore di un metro e mezzo o della metà di quella prescritta dai regolamenti locali, in quanto si è stabilito che la comunione possa essere chiesta soltanto allo scopo di fabbricare contro il muro medesimo (art. 875 del c.c., primo comma). Al fine poi di eliminare la controversia circa la facoltà del proprietario del muro, quando questo si trova a una distanza dal confine minore della metà di quella che deve intercedere tra le costruzioni, d'impedire l'acquisto della comunione e l'occupazione del suolo, procedendo alla demolizione del muro, si è disposto (art. 875, secondo comma) che il vicino, il quale intende domandare la comunione, deve interpellare preventivamente il proprietario se preferisca di estendere il muro al confine o di procedere alla demolizione di esso. Questi deve manifestare la propria volontà nel termine di quindici giorni e deve procedere alla costruzione o alla demolizione entro sei mesi dalla 'comunicazione della risposta. Nuova è la disposizione (art. 876 del c.c.) che autorizza il vicino a servirsi del muro contiguo per innestarvi un capo del proprio muro mediante pagamento di un'indennità per l'innesto, senza l'obbligo di acquistare la comunione. In vero, dato l'uso limitato che il vicino intende fare del muro, sarebbe eccessivo costringerlo all'acquisto. Ancora più notevole è l'innovazione contenuta nell'art. 877 del c.c.. Con essa si consente che il vicino, pur non acquistando la comunione del muro altrui, costruisca in aderenza, senza cioè appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente. La facoltà di costruire in aderenza può essere fatta valere così rispetto al muro esistente sul confine, come rispetto al muro a distanza dal confine minore della metà di quella che deve intercedere tra le costruzioni; in questo secondo caso, però; il vicino deve pagare il valore del suolo che intende occupare. Sono esenti dalla comunione forzosa e dalla costruzione in aderenza non soltanto, come già per il codice del 1865 (art. 556), gli edifici appartenenti al pubblico demanio e quelli soggetti allo stesso regime del demanio pubblico, ma altresì quelli che siano riconosciuti d'interesse storico, archeologico o artistico a norma delle leggi in materia (art. 879 del c.c.). Nel computo della distanza minima dei tre metri da osservarsi tra le costruzioni finitime non si tiene conto del muro di cinta e di ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri (art. 878 del c.c.). Il principio, già elaborato dalla giurisprudenza per i muri di cinta in relazione alla particolare finalità di questi muri, è stato esteso a tutti i muri isolati che per le loro dimensioni presentino caratteristiche analoghe.

Massime relative all'art. 878 Codice Civile

Cass. civ. n. 26713/2020

L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art. 878 c.c., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni di tali requisiti, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo. (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 20/07/2015).

Cass. civ. n. 10512/2018

In tema di muri di cinta, qualora l'andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo; conseguentemente, esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse.

Cass. civ. n. 3037/2015

L'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art. 878 cod. civ., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo.

Cass. civ. n. 4742/2014

Il muro di cinta, da non considerare per il computo delle distanze nelle costruzioni, ai sensi dell'art. 878 cod. civ., è solo quello con facce emergenti dal suolo che, essendo destinato alla demarcazione della linea di confine e alla separazione dei fondi, si presenti separato da ogni altra costruzione. Pertanto, non è da ritenere muro di cinta quello che risulti eretto in sopraelevazione di un fabbricato, a chiusura di un lato di una terrazza di copertura di questo, posto che un simile manufatto non si configura separato dall'edificio cui inerisce e resta nel medesimo incorporato.

Cass. civ. n. 10461/2011

In tema di distanze legali, il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell'art. 878 c.c. non è considerato costruzione di cui tenere conto ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici e delle facoltà concesse al vicino di realizzare il proprio fabbricato in aderenza o in appoggio. Ne consegue che le distanze legali devono essere computate come se il muro non esistesse.

Cass. civ. n. 13628/2010

In tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l'andamento altimetrico del piano di campagna - originariamente livellato sul confine tra due fondi - sia stato artificialmente modificato, deve ritenersi che il muro di cinta abbia la funzione di contenere un terrapieno creato "ex novo" dall'opera dell'uomo, e vada, per l'effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni.

Cass. civ. n. 12819/2004

Un muro che separa fondi finitimi non può esser qualificato muro di cinta - la cui funzione è di non essere facilmente scavalcabile - se è di altezza inferiore a tre metri perché viene meno la funzione di non facile scavalcabilità, ovvero se tale altezza è raggiunta con una rete metallica sullo stesso installata perché, secondo l'espressione letterale della norma, di natura eccezionale, fino a tale altezza deve esser costruito in muratura. Pertanto il vicino non è obbligato al pagamento della metà delle spese di un muro di altezza inferiore a detto limite o raggiunta con una rete metallica sullo stesso installata.

Cass. civ. n. 12459/2004

In tema di limitazioni legali della proprietà, i requisiti del muro di cinta che, ai sensi dell'art. 878 cod. civ. non va considerato ai fini del computo delle distanze ed è accomunato ad ogni altro muro isolato che non abbia altezza superiore a tre metri, sono: a) di essere isolato, nel senso che le facce di esso emergano dal suolo e siano distaccate da ogni altra costruzione; b) di essere destinato alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura delle proprietà limitrofe; c) di avere un'altezza non superiore ai tre metri. Ne consegue che il muro realizzato a confine per la recinzione della proprietà, qualora sia unito - con una platea in cemento realizzata sotto il piano di campagna - ad altro muro edificato a ridosso ed in corrispondenza di esso, perde la natura di muro di cinta per acquistare quella di vera e propria costruzione da edificarsi nel rispetto delle distanze legali.

Cass. civ. n. 8671/2001

Un muro può essere qualificato come muro di cinta quando ha determinate caratteristiche: destinazione a recingere una determinata proprietà, altezza non superiore a tre metri, emergere dal suolo ed avere entrambe le facce isolate dalle altre costruzioni; in presenza di tali caratteristiche è applicabile la disciplina prevista dall'art. 878 c.p.c. e dalle norme di esso integrative, in ordine all'esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni; tuttavia tale normativa si applica anche nel caso in cui si abbia un manufatto in tutto o in parte carente di alcune di esse, purché sia idoneo a delimitare un fondo e gli possa ugualmente essere riconosciuta la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo.

Cass. civ. n. 8144/2001

I requisiti essenziali del muro di cinta, che a norma dell'art. 878 c.c. non va considerato nel computo delle distanze legali, sono costituiti dall'isolamento delle facce, l'altezza non superiore a metri tre, la sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà. Nel caso, peraltro, di fondo a dislivello, nei quali adempiendo il muro anche una funzione di sostegno e contenimento del terrapieno o della scarpata, una faccia non si presenta di norma come isolata e l'altezza può anche superare i tre metri, se tale è l'altezza del terrapieno o della scarpata; pertanto, non può essere considerato come costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze legali il muro che, nel caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo, assolve anche alla funzione di sostegno e contenimento del declivio naturale, mentre nel caso di dislivello di origine artificiale deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo.

Il muro di sostegno di un terrapieno, in quanto costituente vera e propria costruzione ai fini delle distanze legali, deve considerarsi come muro di fabbrica e non come muro di cinta che, a norma dell'art. 878 c.c., è quello destinato alla protezione e delimitazione del fondo con altezza non superiore a tre metri e con le due facce isolate.

Cass. civ. n. 342/1997

Il muro di cinta, che ha le caratteristiche previste dall'art. 878 c.c., non è considerato costruzione ai fini delle distanze legali tra edifici; perciò esse vanno calcolate come se tale muro non esistesse.

Cass. civ. n. 1083/1996

Muro di cinta, non considerabile ai fini del computo delle distanze fra le costruzioni, ai sensi dell'art. 878 c.c., è solo quello con facce emergenti dal suolo che, essendo destinato alla demarcazione della linea di confine e alla separazione dei fondi, si presenti separato da ogni altra costruzione. Pertanto, non è da ritenere di cinta un muro che risulti eretto in sopraelevazione di un fabbricato, in corrispondenza di un solaio-terrazza di copertura di questo, con funzione di chiusura di un lato di tale terrazza, posto che un simile manufatto non si configura separato dall'edificio cui inerisce e resta nel medesimo incorporato.

Cass. civ. n. 5472/1991

Non può essere considerato muro di cinta, ai sensi e agli effetti dell'art. 878 c.c. (inapplicabilità delle distanze legali fra le costruzioni), quello che, ancorché posto sul confine e isolato da entrambe le facce, presenti un'altezza superiore a 3 metri. In tal caso deve osservarsi la distanza di cui all'art. 873 c.c. che concerne le costruzioni in senso lato e non quella di cui all'art. 17 lett. c della «legge-ponte» (L. n. 765 del 1967) che riguarda le distanze tra edifici.

Cass. civ. n. 672/1982

Il muro di cinta, non considerabile ai fini delle distanze legali secondo la regola dettata dall'art. 878 c.c., si caratterizza rispetto al muro di fabbrica per la sua prevalente destinazione alla protezione da possibili invadenze di estranei e quindi alla delimitazione delle proprietà e solo in via secondaria può assolvere alla funzione di contenimento e di sostegno quando i fondi confinanti si trovino a dislivello.

Cass. civ. n. 2297/1977

Il muro di cinta, quando è parzialmente incorporato in una costruzione, è soggetto alle distanze legali soltanto per la parte trasformata in muro di costruzione.

Cass. civ. n. 649/1975

Il muro di cinta che, a norma dell'art. 878, non va considerato ai fini del computo delle distanze legali, deve rispondere al triplice requisito di essere essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà, allo scopo di separarla dalle altre, custodirla e difenderla da intrusione, di non superare l'altezza di tre metri e di costituire un muro isolato, le cui facce, cioè, emergano dal suolo e siano isolate da ogni altra costruzione. Peraltro, l'esclusione dal computo delle distanze legali sussiste anche nei confronti del muro frapposto tra due fondi a dislivello, che oltre alla funzione tipica del muro di cinta, adempia, altresì, quella di contenimento e sostegno del fondo superiore e sempre che esso non superi l'altezza massima di tre metri. Ricorrendo tali condizioni, in presenza delle quali non ha alcun rilievo il fatto che il dislivello fra i due fondi abbia origine naturale o artificiale, il proprietario del fondo inferiore può costruire a meno di tre metri dal muro suddetto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 878 Codice Civile

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Massimo A. chiede
mercoledì 10/08/2022 - Marche
“Zona urbanizzata a confine con area agricola. Realizzato muro di cinta su entrambi i fondi posti alla stessa quota. Il muro (h max 1.40 ml con rete) è posto all'interno del fondo urbanizzato e costituisce confine di fatto. In seguito a verifica dei confini si scopre che il confine va oltre il muro verso il fondo agricolo in media di 60-70 cm.
Per una sanatoria del fabbricato posto oltre 5 ml dal muro di cinta (legittimamaente rilasciata nel 2012) che ha previsto di addossare del terrapieno alla parete del piano terra, trasformandolo in piano seminterrato, il terrapieno ha una linea di pendenza verso la base del muro di recinzione, quindi il cuneo di terra non è spingente sul muro di recinzione. Per fare un camminamento è stato rinterrato il muro di una altezza di circa 50-60 cm così da evitare di camminare sulla base della scarpata.
Domande:
Tale modesto interramento il cui peso unitario è di gran lunga inferiore al peso del muro, quindi non vi è alcuna spinta attiva, può aver trasformato (civilisticamente) il muro di cinta in muro di sostegno?
Nel caso quindi se esso ritenuto costruzione, deve stare a distanza di 5.00 ml (reg. locale) dal confine?”
Consulenza legale i 01/09/2022
La pretesa avanzata dal vicino è del tutto infondata in quanto trascura di prendere in considerazione un elemento della fattispecie che si ritiene determinante per la soluzione del caso, ossia l’altezza del muro.
Costituisce principio pacifico, proprio del nostro ordinamento giuridico, quello secondo cui, ai fini delle distanze, non sono considerati costruzione i manufatti interrati, che non fuoriescono dal livello naturale del terreno, così come non può essere considerato rilevante ai fini delle distanze il muro di cinta, secondo la definizione che ne dà l’art. 878 c.c.
Ciò significa che se il muro di contenimento viene realizzato per rimediare al declivio naturale del terreno, lo stesso non può qualificarsi in nessun caso come costruzione per la parte che non fuoriesce dal livello del terreno (anche se dovesse essere superiore a tre metri), mentre per la parte in sopraelevazione rappresenta muro di cinta fino ad una altezza di metri tre.
Superato il livello naturale del terreno ed i tre metri in sopraelevazione, va configurato come costruzione, ed in quanto tale sarà soggetto al rispetto delle distanze fissate dall’art. 873 c.c. ovvero, alle maggiori distanze stabilite dai regolamenti locali.

In tal senso si è espressa in diverse occasioni la giurisprudenza di legittimità, specificando che “il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e quindi dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone ,o smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo pere creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente” (cfr. Cass. n. 243/1992, Cass. n. 145/2006, Cass. 13.09.2012 n. 15391).

Ebbene, come si evince abbastanza chiaramente da quanto fin qui detto, un muro isolato, posto sulla linea di confine o anche all’interno di uno dei lotti confinanti (come in questo caso), non va considerato come costruzione, ma come muro di contenimento, soltanto se realizzato a ridosso di un declivio naturale o, comunque, di un terrapieno che non sia opera dell’uomo.
In caso contrario, si considera come costruzione e come tale dovrà rispettare le distanze stabilite dalla legge.
Ciò, tuttavia, vale soltanto nel caso di muro che superi i tre metri di altezza, come tale fissata dall’art. 878 c.c. per poter comunque qualificare il muro come di cinta.
Nel caso di specie si precisa che il muro presenta un’altezza massima di mt. 1,40 con rete, il che comporta che, a prescindere dal fatto che a ridosso di uno dei lati del muro vi sia un terrapieno realizzato ad opera dell’uomo, quel muro non supera i tre metri di altezza fissati dal citato art. 878 c.c. per perdere la sua qualifica di muro di cinta e, dunque, per essere considerato come costruzione.

La tesi del vicino, invece, sarebbe risultata fondata allorchè, per regolarizzare urbanisticamente il piano terra della costruzione, fosse stato realizzato un terrapieno ad opera dell’uomo, anche se non avente declino verso il fondo confinante, ed il muro posto a sostegno di quel terrapieno avesse avuto, compresa la sopraelevazione (cioè la parte che fuoriusciva dal terrapieno) un’altezza superiore a metri tre.
La situazione che qui viene descritta e rappresentata anche graficamente è ben diversa, il che comporta che il muro presente sui luoghi non può in alcun modo assumere la natura di costruzione, ma rimane pur sempre muro di cinta (poiché non supera i tre metri di altezza dal piano di calpestio del fondo del vicino).
In quanto tale, peraltro, costituisce esplicazione del diritto che l’art. 841 del c.c. riconosce al proprietario di un terreno di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo, senza che il confinante possa in alcun modo opporsi all’esercizio di tale diritto.

GIOVANNI R. chiede
domenica 20/12/2020 - Sicilia
“Posseggo una villa di famiglia costruita nel 1930 circa ed è circondata da un muro di recinzione alto circa 2,10 metri e di spessore 60.70 cm.(struttura muro a secco con estremità ogivale). In un lato della recinzione hanno costruito un edificio alto 14,5 metri (il comune aveva dato il permesso fini a 12, 5 metri). Il problema è dovuto al fatto che la costruzione si è distanziata dal muro di confine circa 30-40 cm. Il muro di confine è in comune, quindi l'edificio non è stato costruito a limite ma calcolando i 15-20 cm dello spessore del muro si è distanziato circa 40-50 cm. La ditta per far vedere che la costruzione è a confine ha costruito un cordolo al di sopra del muro a secco lasciando uno spazio libero in altezza di circa un metro dalla parte terminale del muro a secco. Per essere più chiari il cordolo copre la metà del muro a secco in perpendicolare ma non si appoggia lasciando una luce della misura su indicata.
So che un confinante dovrebbe costruire a confine di una proprietà o distanziarsi almeno 3 - 5 metri per lasciare un spazio
ispezionabile. Per costruire a limite bisognava abbattere il muro a secco (con accordo del confinante) e non superare l'ostacolo come è stato fatto. Cosa dice la legge a riguardo ? Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 28/12/2020
Per fornire risposta al quesito dobbiamo fare riferimento, innanzitutto, all’art. 877 c.c., il cui primo comma stabilisce che il vicino, senza chiedere la comunione del muro posto sul confine, può costruire sul confine stesso in aderenza, ma senza appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente.
La giurisprudenza ha precisato i requisiti della costruzione in aderenza: si veda ad esempio Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 1407/2007, secondo cui, “affinché si verifichi l'ipotesi di costruzione in aderenza è necessario che la nuova opera e quella preesistente combacino perfettamente da uno dei lati, in modo che non rimanga tra i due muri, nemmeno per un breve tratto o ad intervalli, uno spazio vuoto, ancorché totalmente chiuso, che lasci scoperte, sia pure in parte, le relative facciate”.
Ed ancora, sempre la Cassazione (Sez. II Civile, sent. n. 3601/2012) ha chiarito entro quali limiti possano essere tollerate eventuali intercapedini (che proprio la normativa sulle distanze mira ad evitare): “la costruzione in aderenza al muro posto sul confine, ai sensi dell'art. 877 c.c., deve essere ravvisata anche in presenza di modeste intercapedini, ove queste derivino da mere anomalie edificatorie e siano, altresì, agevolmente colmabili senza appoggi o spinte sul manufatto preesistente”.
Peraltro, va considerato che la costruzione in aderenza potrebbe non essere consentita dai regolamenti edilizi comunali: come spiegato da Cass. Civ., Sez. II, n. 14261/2005, “qualora i regolamenti edilizi [...] stabiliscano espressamente la necessità di rispettare determinate distanze dal confine, non può ritenersi consentita (salvo concreta, diversa previsione della norma regolamentare) la costruzione in aderenza o in appoggio, poiché l'imposizione di un distacco assoluto dal confine mira a tutelare interessi generali, quali l'assetto urbanistico di una certa zona, e non soltanto ad evitare la formazione di intercapedini nocive all'igiene, alla salute ed alla sicurezza”. Si tratterebbe naturalmente di un aspetto da verificare in concreto, meglio se con l'ausilio di un tecnico.
Dunque, nel nostro caso sembrerebbe esservi una violazione dell'art. 877 c.c.
Tuttavia, nel quesito viene riferito che il muro di recinzione avrebbe un’altezza di circa 2,10 m.
Ebbene, l’art. 878 c.c. prevede che il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall'articolo 873.
Quanto alle caratteristiche del muro, Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 3037/2015 ha chiarito che “l’esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni, prevista dall'art. 878 cod. civ., si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall'altezza non superiore a tre metri, dall'emersione dal suolo nonché dall'isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni dei requisiti indicati, siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l'utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo”.
In concreto, cosa comporta un'altezza del muro di recinzione inferiore a tre metri? Per Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 10461/2011, “il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell'art. 878 cod. civ. non è considerato costruzione di cui tenere conto ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici e delle facoltà concesse al vicino di realizzare il proprio fabbricato in aderenza o in appoggio. Ne consegue che le distanze legali devono essere computate come se il muro non esistesse”.
Dunque, al fine di verificare il rispetto delle distanze, occorrerà applicare le regole ordinarie, senza calcolare la presenza del muro, e sempre tenendo conto delle eventuali diverse previsioni contenute nei regolamenti edilizi locali.

Giuliano B. chiede
martedì 29/09/2020 - Lombardia
“Con riferimento all'art. 878 C.C. vorrei sapere se un muro di cinta che divide due proprietà A e B, ed è costituito da uno zoccolo di muratura alto cm. 40 e sovrastante rete metallica alta m. 130 (altezza totale quindi pari a m. 1,70), muro che è destinato recingere la proprietà A allo scopo di separala dalle altre, custodirla e difenderla, possa essere considerato muro isolato anche se le due estremità dello zoccolo di muratura "muoiono" su due edifici della medesima proprietà. Sarebbe utile inviarvi una foto per chiarimento, ma cerco di riassumere: lo zoccolo ha le due facce che prospettano sui due fondi A e B, e le sue restanti facce laterali (alte quindi cm. 40 e larghe quanto il muro cioè cm. 20) che aderiscono a due costruzioni della medesima proprietà A. Il dubbio nasce dalla sentenza della S.C. 26/2/1992 n. 2376 definisce muro isolato quello che ha le facce emergenti dal suolo e separate da ogni altra costruzione: quindi va inteso come TUTTE TUTTE LE FACCE O SI DEVE INTENDERE SOLO LE DUE CHE PROSPETTANO SUI FONDI FINITIMI?”
Consulenza legale i 06/10/2020
La giurisprudenza si è occupata in numerose occasioni di definire in modo puntuale la portata della norma in esame e proprio da tali decisioni è possibile ricavare la risposta al dubbio espresso nel quesito.

In particolare, è stato chiarito che il muro di cinta rilevante ai fini dell'esenzione dal rispetto delle distanze ex art. 878 c.c. è quello essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà onde separarla dalle altre, di altezza inferiore a tre metri e con entrambe le facce isolate da altre costruzioni (Cassazione civile, sez. II, 16 febbraio 2015; n. 3037; Cassazione civile, sez. II, 20 novembre 2012, n. 20351; Cassazione civile, sez. II, 25 giugno 2001, n. 8671).

Quando, invece, il muro sia strutturalmente incorporato ad un altro manufatto, anche realizzato successivamente, esso perde la natura di muro di cinta e deve essere considerato come una vera e propria costruzione soggetta al rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 873 c.c. (Cassazione civile, sez. II, 06 aprile 2017, n. 8922; Cassazione civile, sez. II, 07 luglio 2004, n. 12459).

Da quanto sopra, quindi, si può concludere che le facce alle quali fare riferimento per stabilire se si tratti o meno di un muro di cinta siano quelle frontali, che corrono lungo il confine della proprietà e che, da quanto si vede nelle fotografie inviate a corredo del quesito, non paiono essere in qualche modo collegate ad altre costruzioni e sembrano svolgere la sola funzione di proteggere e delimitare gli immobili confinanti.
Va precisato, comunque, che tali considerazioni valgono solo per lo zoccolo di muratura con soprastante rete metallica, mentre non possono essere applicate agli altri edifici presenti sul confine, che invece possiedono le caratteristiche proprie delle costruzioni e che sono, quindi, soggetti alla relativa disciplina civilistica e locale.


Fausto P. chiede
lunedì 25/05/2020 - Lombardia
“Buongiorno,
sono proprietario di un terreno confinante a nord con un muro di contenimento artificiale alto metri 2,20 con pendenza 8% posto totalmente sul terreno del mio vicino.
L'attuale proprietario ha costruito una villetta rispettando le distanze locali dal confine di metri 5.
nel 2017 a sud del mio terreno ho costruito un muro di contenimento posto totalmente sulla mia proprietà ed edificato una casa rispettando le distanze dai confini.
dovendo effettuare il riempimento con materiale di riporto il terreno attuale verrebbe rialzato di circa 1,20 metri lasciando il muro a nord del mio vicino a vista per circa 1 metro.
la mia domanda è:
sono in regola se la mia terra di riporto si appoggia per circa metri 1,20 contro il muro di sostegno del mio vicino? oppure devo fare un ulteriore mio muro a confine onde evitare che la mia terra vada a contatto con il muro confinante?”
Consulenza legale i 28/05/2020
Alcuni brevi cenni normativi in materia di distanze.
L’art. 873 c.c. è norma di carattere generale che stabilisce che le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri (salve disposizioni locali più restrittive).
Il successivo art. 877 c.c. stabilisce inoltre che il vicino, senza chiedere la comunione del muro posto sul confine, può costruire sul confine stesso in aderenza, ma senza appoggiare la sua fabbrica a quella preesistente.
Vi è poi l’art. 878 c.c. secondo cui il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall'articolo 873.
Esso, quando è posto sul confine, può essere reso comune anche a scopo d'appoggio, purché non preesista al di là un edificio a distanza inferiore ai tre metri.

Soffermiamo l’attenzione su quest’ultimo articolo.
In base a tale norma il muro di cinta ha quindi tre requisiti:
1) essere fondamentalmente destinato a recingere una determinata proprietà;
2) non superare l'altezza dei tre metri;
3) costituire un muro isolato.
In merito a tale tipologia, si segnala la sentenza della Corte di Cassazione n.5163/2015 nella quale è stato chiarito che: "in tema di distanze legali, che mentre il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, devono ritenersi soggetti a tale norma, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr. Cass. nn. 1217/10, 145/06, 8144/01,4511/97, 7594/95 e 1467/94). A tale indirizzo, cui va assicurata continuità, deve solo aggiungersi, per evitare fraintendimenti, una precisazione di carattere terminologico sulle espressioni di “terrapieno naturale” e di “terrapieno artificiale” o antropico. La prima, infatti, consiste in un ossimoro, poiché ogni terrapieno, consistendo in un riporto di terra (contro un muro o) sostenuto da un muro è per definizione opera dell’uomo, e dunque artificiale, mentre naturale può essere soltanto il dislivello del terreno, originario ovvero prodotto o accentuato da movimenti franosi o da altre cause non immediatamente riferibili all’attività dell’uomo. Dunque, a termini dell’art. 873 c.c. i muri di sostegno di terrapieni sono costruzioni.”

Ebbene, nella presente vicenda, per come sono stati descritti i luoghi (visionate anche le foto allegate) parrebbe in effetti trattarsi di muro di cinta/contenimento.
Infatti, il muro in questione è alto 2,20 m; è distante dalla costruzione 5 m ed è destinato a delimitare la proprietà. Tuttavia, il riempimento che si vorrebbe fare aumentando il livello del terreno, potrebbe comportare la costituzione di una [[servitù]] di veduta in danno del confinante dal momento che come conseguenza “abbasserebbe” il muro di quest’ultimo. Detta in altri termini: innalzare il terreno potrebbe consentire di vedere all’interno della proprietà del vicino, cosa che allo stato attuale -vista l’altezza del muro di contenimento – non è possibile.
Come ha infatti osservato la Suprema Corte nella sentenza n.12497 del 2012 “va messo in rilievo che lo spianamento e l’innalzamento del dislivello consentono al vicino l’avvicinamento al muro di cinta prima non consentito, dando luogo ad una situazione compatibile in astratto con l’esercizio di una servitù di veduta per opera dell’uomo.”
La soluzione da Lei prospettata di creare un ulteriore muro di confine potrebbe in effetti risolvere tale problematica.

Fermo quanto precede, oltre l’aspetto civilistico, occorrerebbe poi anche verificare i regolamenti locali, in particolare il piano regolatore del comune dove è collocato il terreno per accertare se siano consentiti o meno ed in che termini tali tipi di interventi.
Alla luce di ciò, prima quindi di intraprendere i lavori, suggeriamo di consultarsi anche con un tecnico onde verificare prima di tutto la regolamentazione edilizia locale.

Giuseppe Z. chiede
martedì 09/10/2018 - Lazio
“chiedo chiarimenti sull'art.878cc mura di cinta. Recentemente nel comune di (omissis) l'ufficio urbanistico non vuole approvare la costruzione di una tettoia in quanto sostiene che nelle norme tecniche bisogna rispettare i 5 metri dal confine. Premetto che il mio edificio ha una distanza legale di 3 metri dal confine ed e presente un muro di cinta proprio sul confine. In un confronto con l'architetto del comune ho portato in visione una vostra pubblicazione proprio sul mura di cinta, dove si sostiene che la distanza indicata dall'art. 878 c.c. dispone che il muro di cinta non venga considerato per il computo della distanza indicata dall'articolo 873 c.c. : quindi l'intercapedine minima di tre metri si applica solo fra edificio ad edificio,non anche tra edificio e mura di cinta, né tra mura di cinta ad edificio. Agli effetti della distanza legale nella costituzioni, il muro di cinta si considera inesistente. Dinanzi alla vostra pubblicazione l'architetto del comune sostiene che l'interpretazione è errata. Secondo il comune il metodo di calcolo corretto è da edificio al confine no da edificio a edificio come recita la pubblicazione. Sul fondo vicino persiste un edificio a distanza legale di 5 metri dal confine. Si chiede quale metodo sia corretto nell'applicare le distanze legali e quali riferimenti normativi sono stati applicati all'art. 878 c.c. per sostenere che il metodo di calcolo è da edificio a edificio.

Grazie”
Consulenza legale i 15/10/2018
Il criterio per calcolare la distanza minima obbligatoria tra edifici in caso di presenza di muro di cinta si ritrova proprio nell’art. 878 del c.c.
La norma stabilisce, infatti, al primo comma che “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un'altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall'articolo 873”.

In altre parole, il muro di cinta (ma anche il muro isolato) che abbia le caratteristiche indicate dall’art. 878 c.c. si considera tamquam non esset, come se non ci fosse: ciò significa che la distanza legale di cui all’art. 873 del c.c. andrà calcolata tra gli edifici senza tenere conto del muro di cinta stesso.
Quanto sopra è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza.
In particolare, secondo Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 10461/2011, “in tema di distanze legali, il muro di cinta che abbia le caratteristiche previste nell'art. 878 c.c. non è considerato costruzione di cui tenere conto ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici e delle facoltà concesse al vicino di realizzare il proprio fabbricato in aderenza o in appoggio. Ne consegue che le distanze legali devono essere computate come se il muro non esistesse”.

Rispetto alle caratteristiche che il muro di cinta deve possedere per evitare di essere computato ai fini del rispetto delle distanze legali, la giurisprudenza ha precisato che esso:
a) deve essere isolato, nel senso che le facce di esso emergano dal suolo e siano distaccate da ogni altra costruzione;
b) deve essere destinato alla demarcazione della linea di confine ed alla separazione e chiusura delle proprietà limitrofe;
c) deve avere un'altezza non superiore ai tre metri
(così, tra le tante, Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 12459/2004).


Se il muro in esame presenta le caratteristiche sopra indicate, l’interpretazione corretta, conforme al dettato normativo, è quella qui sostenuta e non quella che, come riferito nel quesito, sarebbe seguita dall’Ufficio tecnico del Comune.
Per completezza va ricordato che la distanza legale tra edifici è fissata in tre metri dall’art. 873 c.c., il quale però fa salva la distanza maggiore eventualmente stabilita dai regolamenti locali. Occorre quindi verificare il rispetto, in concreto, della distanza minima stabilita dal vigente regolamento edilizio comunale.

Amedeo F. chiede
giovedì 21/06/2018 - Veneto
“Buongiorno, ho acquistato un'abitazione che ha la facciata d'ingresso nella via principale, lateralmente (confine laterale di destra) c'è un ulteriore lotto con abitazione di altra proprietà, che a suo tempo ha costruito la mura di recinzione (alta 1,50 cm. circa). La mura si prolunga per circa 10 metri e si attacca a dei garage in muratura (anch'essi lungo il mio confine che fanno da recinzione) alti 2,80 cm. e lunghi fino al confine posteriore (6 metri circa). Probabilmente per aver eretto una costruzione a confine, avranno regolarizzato il tutto con un condono...
Viste le condizioni del muro di cinta (mattoni grezzi), e che questo era parte del mio cortile esterno, ho chiesto a mie spese di sistemare e colorare il tutto. Il vicinante ha acconsentito. Ora ho rinfrescato la mura di cinta, il vicinante chiede di rifare tutto a mie spese con il colore scelto da lui (il muro di cinta come già detto, si affaccia all'interno della mia proprietà, non posso allestire uno spazio di accoglienza esterno con in vista un obbrobrio così...) Il vicinante mi dice che se non mi sta bene devo farmi un muro anch'io a confine dentro la mia proprietà, il tutto è lecito? Se dovessi erigere un ulteriore muro di cinta, posso alzarmi fino a 3 metri o al limite fino all'altezza dei loro garage?
Grazie per la risposta. Cordiali saluti”
Consulenza legale i 16/07/2018
Ciò che sostiene e pretende il confinante deve ritenersi corretto, ma esistono indubbiamente dei rimedi legali per ovviare a tale situazione e potere legittimamente abbellire il muro per come si desidera.

Prescindendo dal rispetto o meno della normativa urbanistica (tema sul quale non è in alcun modo possibile prendere posizione per assenza di un minimo di elementi di riferimento), la correttezza della pretesa del vicino sta nel fatto che il nostro codice civile, nel dettare la disciplina delle distanze tra costruzioni, prevede il cd. “principio della prevenzione”.
Secondo tale regola, chi costruisce per primo ha facoltà di costruire sul confine anziché rispettare la distanza di metri 1,5 da esso, salve le maggiori distanze stabilite dai regolamenti locali (così art. 873 del c.c.) .
Ciò vale per i due garage in muratura e che si trovano a seguire al muro di cinta di 10 metri di lunghezza.

Per quanto concerne quest’ultimo, invece, la norma di riferimento la rinveniamo nell’art. 878 del c.c. norma che, dopo aver previsto al primo comma che il muro di cinta, se non supera un’altezza di metri 3, non viene considerato per il calcolo della distanza dal confine, dispone al secondo comma che se tale muro è stato realizzato sul confine, lo stesso potrà essere reso comune.

Quindi, chiamando “A” il confinante e “B” colui che pone il quesito, può dirsi che, avendo ”A” realizzato i garage ed il muro di cinta sul confine, “B” potrà a sua scelta:
  1. realizzare il proprio muro di cinta in aderenza alla costruzione ed al muro di cinta di “A” (art. 877 del c.c.);
  2. rendere comune il muro ex art. 874 del c.c.: per ottenere tale effetto “B” dovrà pagare ad “A” la metà del valore del muro o della parte di muro resa comune, nonché la metà del valore del suolo su cui il muro è stato costruito.

Occorre osservare che, nel momento in cui il muro viene reso comune, esso sarà di entrambi i confinanti, non potendosi ciascuno di essi considerare proprietario della metà verticale di esso; ciò significa che nessuno dei due potrà usare la metà di muro come se fosse di sua esclusiva proprietà.
Qualora poi “B”, dopo aver ottenuto la comunione del muro, voglia innalzare quel muro di confine fino a portarlo all’altezza di 3 metri ex art. 886 del c.c., dovrà sopportare per intero le spese di sopraelevazione, senza potere pretendere che vi concorra “A”, considerato che quest’ultimo avrà soltanto la facoltà, ex art. 874 e art. 885 del c.c., e non l’obbligo, di entrare in comunione della parte sopraedificata (così Cass. n. 2485 del 21.02.2012).

Ciascuna delle due soluzioni ha indubbiamente i suoi pregi ed i suoi difetti.
Infatti, nel caso in cui si scelga di costruire in aderenza si avrà indubbiamente il vantaggio di avere un muro in proprietà esclusiva, da realizzare e rifinire per come meglio si crede e si vuole, mentre lo svantaggio consisterà nel doverne sostenere per intero il costo (che può non essere indifferente).
Qualora, invece, si opti per la soluzione di rendere comune il muro del vicino già esistente sul confine, si avrà il vantaggio di poter fruire di un consistente risparmio di spesa, ma lo svantaggio che quel muro, per come prima accennato, non sarà mai di proprietà esclusiva e, pertanto, non lo si potrà abbellire o rifinire per come si desidera.

A questo punto, considerato che quel muro sarà destinato a chiudere uno spazio definito di “accoglienza”, ciò che può consigliarsi è di realizzare un muro proprio in aderenza dell’altezza non superiore a metri 3, conformemente a quanto previsto dagli artt. 877 e 878 c.c.

Marisa L. chiede
giovedì 18/08/2022 - Basilicata
“Buongiorno,
ho costruito un muro di sostegno per un terrapieno in aderenza al muro di confine che separa due giardini di proprietà, per portare un piano in forte pendenza rispetto al livello di strada, essendo la mia proprietà in testata e confinante con la strada
Si tratta di vari lotti a u, che hanno tra di loro una distanza di 5 mt tra di loro e dalla strada, all' interno dei quali ci sono costruzioni a schiera, in aderenza tra loro, con rispettivi giardini antistanti, divisi da un muro di confine.
Dalla parte del vicino esiste anche una scala in cemento armato in aderenza al suddetto muro.
I vicini sostengono che debba allontanare la mia costruzione nella fattispecie del muro di contenimento, di 5 metri dal confine come stabilito dal piano di lottizzazione della zona in questione che prevede "distacchi minimi dai confini e dalle strade non inferiori a 5 mt" non specificando però di quali confini di tratti se di proprietà o dei lotti
In pratica il vicino sostiene che le suddette disposizioni trovano applicazione anche ai confini di proprieta degli immobili di un unico comparto e non limitatamente ai confini di lotti differenti. Ora se così fosse le costruzioni in un unico comparto dovrebbero essere alla distanza di 5 metri, così non è, trattandosi di alloggi a schiera costruite in aderenza, mentre queste distanze si vedono rispettare tra i vari lotti differenti.
Anche l'esistenza della scala costruita sul confine non potrebbe trovarsi in aderenza al muro di confine se fosse corretta l' interpretazione del vicino
Qual è l' interpretazione giusta del piano di lottizzazione in questione, quella mia, cioè che le distanze di 5 metri debbano intendersi dai confini dei lotti e non dai confini di proprieta delle costruzioni all' interno del lotto, visto le che le costruzioni sono in aderenza e quindi l'evidenza mostra che le distanze di 5 metri debbano intendersi dai confini dei lotti o l' interpretazione del vicino che dice che debba allontanare la mia costruzione di 5 metri dal suo confine?
Grazie”
Consulenza legale i 04/09/2022
La questione che con il caso di specie si pone si ritiene che non debba trovare soltanto soluzione nelle disposizioni dettate dal piano di lottizzazione della zona, ma anche nella disciplina che il codice civile detta in materia di distanze.
Stando a quanto viene riferito, la proprietà di colui che pone il quesito sembra presentare un dislivello di origine naturale, alla quale il costruttore ha inteso rimediare mediante la creazione di un terrapieno, cioè un riempimento creato dall’opera dell’uomo al di sopra del declivio naturale del terreno.

Ora, costituisce principio pacifico quello secondo cui, ai fini delle distanze, non sono considerati costruzione i manufatti interrati, che non fuoriescono dal livello naturale del terreno, così come non può essere considerato rilevante ai fini delle distanze il muro di cinta, secondo la definizione che ne dà l’art. 878 c.c.
Ciò significa che se il muro di contenimento viene realizzato per rimediare al declivio naturale del terreno, lo stesso non può qualificarsi come costruzione per la parte che non fuoriesce dal livello del terreno, mentre per la parte in sopraelevazione rappresenta muro di cinta fino ad una altezza di metri tre.
Superato il livello naturale del terreno ed i tre metri in sopraelevazione, va configurato come costruzione, ed in quanto tale sarà soggetto al rispetto delle distanze fissate dall’art. 873 c.c. ovvero, alle maggiori distanze stabilite dai regolamenti locali (nel caso di specie dal piano di lottizzazione della zona, ove la distanza di rispetto viene determinata in metri cinque dal confine altrui, a prescindere dalla circostanza che si tratti di proprietà ricadente nel medesimo lotto costruttivo).

In tal senso si è espressa in diverse occasioni la giurisprudenza di legittimità, specificando che “il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e quindi dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone ,o smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell’uomo pere creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente” (cfr. Cass. n. 243/1992, Cass. n. 145/2006, Cass. 13.09.2012 n. 15391).

Ebbene, stando a quanto sopra detto, può dirsi che il muro di contenimento realizzato, anche se non completamente interrato, fintanto che adempie alla sola funzione di arginare il terreno vicino non può essere considerato costruzione ai fini del computo delle distanze.
Tuttavia, condizione essenziale per poter far valere tale principio è che si tratti di “declivio naturale” e che il “terrapieno” presente non sia opera dell’uomo.
In caso contrario, infatti, saranno destinate a trovare applicazione le norme sulle distanze, assumendo il muro realizzato, seppure a solo scopo di contenimento, la qualificazione giuridica di costruzione.
Peraltro, non può assumere alcuna valenza giustificativa, al fine di intendersi esonerati dall’obbligo della distanza di metri cinque, la circostanza che dalla parte del vicino sia stata realizzata una scala in cemento armato, in aderenza al muro di confine.
Anche se nulla viene specificato al riguardo, si presume, infatti, che si tratti di scala realizzata dal costruttore originario, in conformità al progetto originario di costruzione, avendo ciò dato luogo alla costituzione di una vera e propria servitù per destinazione del padre di famiglia (servitù consistente appunto nel mantenere quella scala a distanza inferiore a quella stabilita sia dalla legge che dal piano di lottizzazione).

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