(massima n. 2)
            La presentazione di una domanda di concessione in sanatoria per abusi edilizi impone al Comune competente la  sua  disamina  e  l'adozione  dei  provvedimenti conseguenti,  di  talché gli  atti  repressivi  dell'abuso  in precedenza  adottati  perdono  efficacia,  salva  la necessitā di una loro rinnovata adozione nell'eventualitā  di  un  successivo  rigetto  dell'istanza di  sanatoria. Se  infatti  č  accolta  la  domanda  di concessione  in  sanatoria,  conseguentemente  gli  atti sanzionatoti  impugnati  sono  implicitamente  rimossi;  se viceversa il Comune disattende l'istanza, respingendola, č tenuto, in base all'art. 40, comma 1, L. n. 47 del 1985 (anche questo richiamato dall'art. 32, comma 25, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, che rinvia alle disposizioni di cui ai capi IV e V della L. n. 47 del 1985), a procedere al completo  riesame  della  fattispecie,  assumendo  se  del caso  nuovi,  e  questa  volta  conclusivi,  provvedimenti sanzionatori,  che  a  loro  volta  troveranno  esecuzione oppure  saranno  oggetto  di  autonoma  impugnativa,  con conseguente  cessazione  immediata,  anche  in  caso  di diniego di sanatoria, di ogni efficacia lesiva da parte della primitiva  ordinanza  impugnata.  Pertanto,  la  richiesta  di concessione  in  sanatoria  determina  la  sopravvenuta carenza d'interesse all'annullamento dell'atto sanzionatorio in relazione al quale tale domanda č stata presentata  (a  seconda  dei  casi,  l'ordine  di  demolizione dell'abuso accertato, la riduzione in pristino dello stato dei luoghi,  e/o  i  successivi  provvedimenti  di  accertamento dell'inottemperanza  all'ordine  di  demolizione  e  di acquisizione al patrimonio comunale), con la traslazione dell'interesse  a  ricorrere  sul  futuro  provvedimento  che, eventualmente,  abbia  a  respingere  la  domanda medesima  (ad  esempio,  per  la mancata corresponsione dell'oblazione definitivamente accertata come dovuta), e disponga nuovamente la demolizione dell'opera abusiva.