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Articolo 1 Legge sulle locazioni abitative

(D.lgs. 9 dicembre 1998, n. 431)

[Aggiornato al 01/01/2020]

Ambito di applicazione

Dispositivo dell'art. 1 Legge sulle locazioni abitative

1. I contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, di seguito denominati "contratti di locazione", sono stipulati o rinnovati, successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dei commi 1 e 3 dell'articolo 2.

2. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, 4 bis, 7, 8 e 13 della presente legge non si applicano:

  1. a) ai contratti di locazione relativi agli immobili vincolati ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089, o inclusi nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, che sono sottoposti esclusivamente alla disciplina di cui agli articoli 1571 e seguenti del codice civile qualora non siano stipulati secondo le modalità di cui al comma 3 dell'articolo 2 della presente legge;
  2. b) agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ai quali si applica la relativa normativa vigente, statale e regionale;
  3. c) agli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche.

3. Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, 4 bis, 7 e 13 della presente legge non si applicano ai contratti di locazione stipulati dagli enti locali in qualità di conduttori per soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio, ai quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 1571 e seguenti del codice civile. A tali contratti non si applica l'articolo 56 della legge 27 luglio 1978, n. 392.

4. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta.

Spiegazione dell'art. 1 Legge sulle locazioni abitative

In tale disposizione viene definito l'ambito di applicazione della legge de quo rimandando, quanto alla qualificazione delle diverse tipologie di locazione, al successivo art. 2 della Legge sulle locazioni abitative, rispettivamente ai commi 1 e 3. Si tratta dei cosiddetti contratti "liberi" e "agevolati".

Le lettere a), b) e c), poi, scandiscono una serie di contratti di locazione che restano esclusi dall'applicazione della disciplina di cui alla L. 431/1998. È opportuno notare come, tra le disposizioni non applicabili contemplate dal comma 2 del presente articolo, non figuri l'art. 5 (e nemmeno l'art. 11). Da ciò si deduce la possibilità teorica di stipulare contratti di locazione di natura transitoria per gli immobili generalmente "esclusi" dall'ambito di applicazione della presente legge.
Il comma 2, inoltre, prevede la possibilità, per gli immobili storico-artistici, di stipulare contratti di locazione non solo in virtù dell'art. 1571 e seguenti c.c., ma anche secondo la prevista "modalità agevolata" di cui al comma 3 dell'art. 2 della L. 431/1998.

Passando in rassegna le categorie catastali contemplate dalla disposizione, la A/l si riferisce alle "abitazioni di tipo signorile", la A/8 alle "abitazioni in villa" e la A/9 ai "castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici".

Non facile risulta l'interpretazione della lettera c) del comma 2 del presente articolo. Infatti, innanzitutto, la legge non chiarisce espressamente cosa debba intendersi per "finalità turistiche"; in secondo luogo, non viene precisata la disciplina applicabile agli alloggi locati per tali scopi, dovendosene quindi dedurre una generica applicabilità degli articoli 1571 e seguenti c.c.

Attualmente, la parola "turismo" comprende, oltre alle manifestazioni del viaggio intese in senso lato, anche tutti quei servizi e attività relative al trasferimento di soggetti dalla località di residenza abituale presso altri luoghi, non solo a fini di svago, ma anche di istruzione, religione, cultura, sport, ecc.

Una certa parte della dottrina, non comunque pacifica, suggerisce una interpretazione restrittiva della nozione di "finalità turistica", alla luce della quale non rientrerebbe in tale concetto la c.d. "villeggiatura", poiché il turista sarebbe solamente colui che viaggia per motivi di istruzione o anche di svago, ma non per semplice riposo.
Altri studiosi, in contrapposizione alla tesi appena esposta, hanno invece sostenuto un'opinione maggiormente estensiva, volta a ricomprendere nella espressione de quo anche la semplice villeggiatura, la quale rientrerebbe, assieme ai motivi di svago, ma anche di riposo o semplice divertimento e tempo libero, all'interno della finalità turistica.
Oltre al turismo c.d. "stagionale", si ritiene che rientri nella finalità turistica anche quello "religioso", e quindi i pellegrinaggi, oltre che il turismo ricorrente per le festività o quello effettuato in occasione di manifestazioni sportive.

Nel caso in cui dovesse essere stipulata, da parte del conduttore, una locazione turistica simulata, al fine di eludere l'applicazione della L. 431/1998, il conduttore potrebbe chiedere al giudice la conversione del contratto in locazione ordinaria c.d. "libera"
La natura turistica della locazione andrà provata avendo riguardo alla volontà espressa dai contraenti nel momento della conclusione dell'accordo, e spetterà al conduttore l'onere di dimostrare la sussistenza di un accordo simulatorio, oppure la consapevolezza, da parte del locatore, delle reali esigenze per le quali il contratto era stato stipulato.

Cosa accade nel caso di uso "promiscuo" dell'immobile, ovvero un utilizzo non esclusivamente turistico? Visto che il legislatore ha precisato che, ai fini dell'esclusione dell'applicabilità della L. 431/1998, gli immobili devono essere locati "esclusivamente" per finalità turistiche, allora l'uso promiscuo dell'immobile da parte del conduttore dovrebbe comportare la completa applicabilità della L. 431/1998.

Se le esigenze del conduttore dovessero mutare nel tempo, passando per esempio da finalità turistiche a vere e proprie esigenze abitative, la dottrina ritiene applicabile l'art. 80 della l. equo canone, il quale espressamente prevede la possibilità per il locatore di chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ha avuto conoscenza dell'intenzione del locatore di destinare l'immobile ad un uso diverso rispetto a quello pattuito.

Ai sensi dell'art. 13 comma 3, il contratto turistico che sia simulato al fine di aggirare le norme sulla durata del contratto, è da considerarsi radicalmente nullo.
Un'opinione di matrice giurisprudenziale, inoltre, ha definito la locazione turistica come un contratto volto a soddisfare una "esigenza di vita primaria" da stipularsi normalmente nelle forme ordinarie, ad esclusione delle locazioni turistiche "di breve durata"; queste ultime, e solo queste, saranno assoggettate viceversa alla disciplina di cui all'art. 1521 e seguenti c.c.

Il comma 3, infine, è stato previsto dal legislatore per superare gli stringenti limiti di durata previsti dall'art. 42 della Legge equo canone.
Ed è necessario notare che, a differenza di quanto occorso nel comma 2, l'art. 8 non viene contemplato tra le disposizioni escluse.
Per comprendere tale difformità di disciplina, basti osservare quanto previsto dal comma 3 dell'art. 8 citato, il quale prevede espressamente la possibilità per tale tipologia di contratti di fruire dei benefici fiscali previsti dalla L. 431/1998, se concernenti comuni a c.d. "alta tensione abitativa".

Di estrema rilevanza appare la disposizione contenuta nel quarto comma dell'articolo de quo. Con tale previsione, infatti, viene espressamente superato il dato normativo di cui all'art. 1350 comma 8 c.c., che sanciva l'obbligo della forma scritta solamente per i contratti di locazione di durata ultranovennale.
Tale necessità della forma scritta ad substantiam per qualunque contratto di locazione, a prescindere dalla durata, va considerato come un vero e proprio requisito di validità.
Dal combinato - disposto di tale norma con quella di cui all'art. 13 comma 6, terzo periodo, si ricava che il conduttore potrà chiedere all'autorità giudiziaria la conversione delle eventuali locazioni "di fatto", concluse omettendo quindi la formalità della scrittura, ad una locazione conforme a quanto previsto dal comma 1 dell'art. 2 ovvero dal comma 3 dell'art. 2.

La dottrina ha discusso a lungo sulla natura della nullità derivante dalla mancata osservanza della forma scritta per la stipulazione del contratto. Alcuni hanno argomentato per la natura relativa della stessa, sostenendo che essa è posta per l'esclusiva tutela del conduttore, il quale unicamente sarebbe quindi legittimato ad esperire l'azione di nullità.
Viceversa, altra opinione rileva come tale nullità debba intendersi come assoluta, e per questo rilevabile anche d'ufficio dal giudice.

Inoltre, la violazione dell'obbligo di registrazione va coordinato con tale previsione della nullità del contratto di locazione in mancanza di forma scritta. Più in particolare, esiste un meccanismo di "recupero" del contratto nullo per omessa registrazione, che si può applicare anche qualora non sia stato rispettato il vincolo della forma scritta, ed è disciplinato dal comma 6 dell'art. 13. Quest'ultima disposizione prevede, a tal riguardo, che il conduttore può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate o, in alternativa, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 2 ovvero dal comma 3 dell'articolo 2.
La disposizione si riferisce ai "contratti di locazione abitativi", dovendosi quindi concludere che, per box auto e garages, anche pertinenziali, saranno esclusivamente applicabili le norme del Codice Civile.

Rel. Camera dei Deputati L. 431/1998

(Relazione alla Camera dei Deputati sulla L. 431/1998 recante la "Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo")

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Per quanto attiene più specificamente ai contenuti dei singoli articoli ed alle principali modifiche ad essi apportate dal Senato, si fa presente che il comma 1 dell’articolo 1 definisce l’ambito applicativo delle disposizioni relative alle due nuove modalità di stipula dei contratti di locazione ad uso abitativo, indicate, rispettivamente, ai commi 1 e 2 dell’articolo 2.
Vengono poi indicate le categorie di immobili che sono escluse dall’ambito applicativo di gran parte delle disposizioni contenute nel provvedimento, e, in particolare, da quelle di cui agli articoli 2 (stipula e rinnovo del contratto di locazione), 3 (disdetta del contratto), 4 (convenzione nazionale), 7 (condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio), 8 (agevolazioni fiscali) e 13 (patti contrari alla legge). Si tratta, in particolare, degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, degli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche nonché degli immobili di interesse storico ed artistico, vincolati ai sensi della legge n. 1089 del 1939, ovvero di quelli accatastati nelle categorie A/l (abitazioni di lusso), A/8 (abitazioni in villa) e A/9 (castelli e palazzi di eminente pregio artistico o storico); per tali immobili viene fatto esplicito rinvio alla disciplina recata dagli articoli 1571 e seguenti del codice civile. Sempre con riferimento a quest’ultima categoria di immobili, il Senato ha peraltro introdotto una disposizione che consente la stipula dei contratti di locazione ai sensi del comma 3 dell’articolo 2, ossia secondo modalità conformi a quelle stabilite dai contratti-tipo definiti in sede locale; ciò evidentemente anche al fine di consentire ai proprietari dei predetti immobili di accedere alle agevolazioni fiscali collegate a tale modalità di contrattazione.
Le medesime esclusioni valgono per i contratti stipulati dagli enti locali in qualità di conduttori al fine di soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio, ai quali può tuttavia applicarsi l’articolo 8, relativo alle agevolazioni fiscali.

Massime relative all'art. 1 Legge sulle locazioni abitative

Cass. civ. n. 18214/2015

Il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta ex art. 1, comma 4, della 1. n. 431 del 1998 è affetto da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d’ufficio, attesa la "ratio" pubblicistica del contrasto all’evasione fiscale; fa eccezione l’ipotesi prevista dal successivo art. 13, comma 5, in cui la forma verbale sia stata abusivamente imposta dal locatore, nel qual caso il contratto è affetto da nullità relativa di protezione, denunciabile dal solo conduttore.

Trib. civ. Roma n. 4852/2006

Nel vigore dell’art. 1 L. n. 431/98 (il quale per il contratto di locazione richiede la forma scritta ad substantiam), deve ritenersi che in caso di assenza di un contratto scritto ove - tuttavia - esista un documento scritto con la firma di una sola parte, la sua produzione in giudizio da parte del contraente che non lo ha firmato ma che ne ha il possesso, vale ad assolvere il requisito della forma scritta del contratto, poiché tale comportamento va inteso come volontà di aderirvi, equivalente alla contestuale sottoscrizione. In tale prospettiva, quindi, la raccomandata prodotta dall’inquilino, a lui indirizzata dal proprietario, contenente il diniego di rinnovo del contratto di locazione e l’esplicita indicazione dei motivi e della data della scadenza, assolve pienamente al requisito della forma scritta richiesta dall’art. 1 cit.

Trib. civ. Reggio Calabria n. 239/2001

Poiché l’art. 1, comma quarto, L. n. 431/1998 richiede la forma scritta sotto comminatoria di invalidità del contratto, tale forma diviene elemento costitutivo del contratto, la cui mancanza, a norma dell’art. 1418 c.c. che rinvia alla doverosa sussistenza dei requisiti di cui all’art. 1325 c.c., determina la nullità del contratto di locazione. Conseguentemente il procedimento speciale di convalida di sfratto non è esperibile.

Cons. Stato n. 3655/2000

Deve escludersi la tassabilità dei canoni di locazione degli immobili soggetti a vincolo storico-artistico (ex art. 3 L. n. 1089/1939) e conseguentemente l’obbligo di indicarli nelle dichiarazioni, senza che, in contrario, possa assumere decisivo rilievo il richiamo alla L. n. 431/1998 relativa alle nuove locazioni abitative.

Cons. Stato n. 1913/2000

Con riferimento agli immobili storici vincolati, deve escludersi la tassabilità dei canoni di locazione e, conseguentemente, l’obbligo di indicarli nella dichiarazione dei redditi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1 Legge sulle locazioni abitative

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Dino O. chiede
domenica 22/11/2020 - Abruzzo
“Sono proprietario di un immobile locato purtroppo in nero. Ho necessità di riacquistare la proprietà dell'immobile anche a costo di autodenunciarmi, se necessario. Volevo conoscere la procedura più conveniente per rimpossessarmi del mio appartamento”
Consulenza legale i 25/11/2020
L’art.1 c.4 Legge 431/98 prevede che il contratto di locazione ad uso abitativo debba avere la forma scritta a pena di nullità.
Anche l’omessa registrazione del contratto ne comporta la nullità (art. 1 comma 346 L.311/2004).
Pertanto, un contratto locativo non scritto né registrato è nullo e, in caso di inadempimento del conduttore, il locatore non può azionare la procedura di sfratto per morosità prevista dall’art. 658 c.p.c. (che presuppone un contratto) in quanto si tratta di occupazione sine titulo.
La medesima normativa del '98 prevede altresì all’art.7 che la condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile locato è la dimostrazione che il contratto di locazione è stato registrato.

Ciò premesso, nella presente vicenda, le soluzioni possibili sono due.
  • La prima, più onerosa, prevede la registrazione tardiva del contratto (preventivamente redatto in forma scritta) sotto forma di ravvedimento operoso.
Tale opzione è stata introdotta dalla Legge di stabilità 2015 (Legge n. 190/2014, art. 1, commi da 634 a 640).
Ciò comporta un versamento sia di sanzioni (piuttosto elevate) che di interessi legali.
A seguito della avvenuta registrazione sarà quindi possibile, persistendo la morosità, azionare la procedura di sfratto prevista dall’art. 658 c.p.c. sopra richiamato.
Tale procedimento consente di tornare di nuovo nel possesso dell’immobile con termini relativamente rapidi, in quanto anche in presenza di opposizione del conduttore laddove questa non sia fondata su prova scritta è possibile ottenere dal giudice una ordinanza provvisoria di rilascio immediatamente esecutiva (art. 665 c.p.c.).

  • L’altra soluzione è quella di esperire una causa ordinaria per occupazione sine titulo dell’immobile.
Laddove non esista alcun contratto scritto, non sarà esperibile la procedura dell’art. 447 bis bis c.p.c. (rito locatizio) che presuppone comunque l’esistenza di un contratto, seppur scaduto.
Si dovrà quindi ricorrere ad un atto di citazione oppure al ricorso ai sensi dell’art. 702 bis bis c.p.c. (più celere rispetto a quello introdotto con atto di citazione trattandosi di rito sommario a cognizione piena con istruttoria semplificata).
In quella sede, oltre il rilascio, si potrà richiedere al giudice anche una indennità di occupazione laddove si provi il danno effettivamente subito.
Quest’ultima, infatti, come ha evidenziato la Suprema Corte con la sentenza n.13071/2018 non fa “venir meno l'onere per l'attore quantomeno di allegare e anche di provare, con l'ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell'immobile l'avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione".


Lorenzo M. chiede
mercoledì 01/08/2018 - Lombardia
“Gentili Consulenti,
nel mese di novembre 2014 veniva stipulato un contratto di locazione biennale relativo a un box in località di villeggiatura, senza forma scritta né registrazione, per la cifra di euro 500 annui. La cifra veniva pagata per metá subito, con la consegna delle chiavi, e per la restante metá sarebbe stata corrisposta nel mese di febbraio. Questo secondo pagamento non avveniva e in agosto il locatore, determinato a chiudere ogni rapporto piuttosto che a incassare somme passate o future, proponeva la remissione del debito pendente e la permanenza gratuita, fino al successivo novembre, del conduttore nell' immobile: entro tale termine quest' ultimo sarebbe dovuto essere liberato. La proposta era accettata, ma in novembre il box non veniva lasciato né lo é stato tuttora. Premesso che tutti i rapporti descritti sono intercorsi solo oralmente, domando un inquadramento giuridico della questione, quali sono le prospettive (effettive) e iter legali per il locatore intenzionato a riprendere possesso del bene, quali i costi (stimati) a cui andrebbe incontro.
Cordialità
Consulenza legale i 03/08/2018
La legge n. 431/1998 che disciplina le locazioni degli immobili ad uso abitativo, impone, ai fini della validità, che i contratti di locazione debbano essere redatti in forma scritta. In mancanza, il contratto è nullo.
In presenza di un contratto di locazione redatto solo oralmente, si è rilevato che il rapporto contrattuale rimane tale solo ed esclusivamente sul piano fattuale e che, pertanto, lo stesso debba essere valutato come una situazione di fatto iniziata e protrattasi nel tempo al di fuori dello schema tipico della locazione ad uso abitativo.

Tuttavia, se anche il contratto di locazione redatto in forma orale è nullo per il motivo sopra descritto, è anche vero che, anche nell’ipotesi di semplice accordo verbale, sorgono comunque diritti ed obblighi per le parti.

Pertanto, in mancanza di un contratto scritto di locazione, il rapporto tra il proprietario dell’immobile e l’occupante dello stesso, va inquadrato alla luce degli istituti giuridici del possesso (art. 1150 c.c.) e dell’indebito oggettivo (art. 2033 c.c.).

Così, alla luce della ricostruzione dei fatti così come esposti nel quesito, l’immissione nel possesso consentita dal “locatore” e la detenzione qualificata dell’immobile da parte del presunto conduttore sono avvenute in modo spontaneo, consapevole e pacifico per entrambe le parti.

Il presunto conduttore può, pertanto, essere assimilato al possessore in buona fede fino al momento della richiesta di restituzione dell’immobile formulata dal proprietario che, non esistendo alcun contratto di locazione, non è assoggettata ad alcun vincolo normativo.

Solo dal momento in cui il proprietario ha formulato richiesta di restituzione, il presunto conduttore deve essere considerato possessore in mala fede sul quale grava l’obbligo di restituire l’immobile a colui che glielo ha concesso anche se in virtù di un contratto nullo (Cass. Sez. Un. n. 14828/2012).

Dal momento in cui il conduttore diviene possessore in mala fede, al locatore deve essere riconosciuto un equo ristoro per il godimento del bene da parte del primo.

In merito alle somme ricevute dal locatore durante il periodo di possesso in buona fede, la Cassazione ritiene che tali pagamenti debbano essere ritenuti espressione di un "obbligazione naturale" e, come tale, non vanno restituiti.

Ciò posto, il locatore, per ottenere quanto innanzi descritto, dovrà agire, nei confronti dell’occupante, con l’azione di restituzione dell’immobile occupato sine titulo, oltre alla richiesta di risarcimento dei danni per tutto il periodo dell’occupazione contro la volontà del proprietario.

L’azione di restituzione è un’azione fondata sull’inesistenza oppure sul sopravvenuto venir meno di un titolo alla detenzione del bene da parte di chi attualmente ne dispone, avendolo ricevuto da colui che glielo richiede e per questo ha natura personale ed è volto, previo accertamento della mancanza del titolo, alla consegna del bene.

L’attore non dovrà dar prova del proprio diritto di proprietà, ma può limitarsi a dimostrare l’insussistenza del titolo giuridico legittimante la detenzione da parte del convenuto.

Quanto ai costi di tale azione giudiziale, non siamo, allo stato, in grado di preventivarli. Le suggeriamo di affidare la questione ad un avvocato di Sua fiducia la cui parcella dipenderà dall’applicazione dei minimi o massimi tariffari previsti per tale tipo di controversia. E' nei suoi diritti di cliente farsi fare un preventivo. Le suggeriamo di richiederne più d'uno.