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Articolo 50 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Consenso dell'avente diritto

Dispositivo dell'art. 50 Codice Penale

Non è punibile(1) chi lede o pone in pericolo un diritto(2), col consenso(3) della persona che può validamente disporne (579; c.c. 5)(4).

Note

(1) Tradizionalmente si riconosce un collegamento tra il consenso scriminante e l'art. 5 del c.c.,il quale ritiene parzialmente disponibile, entro certi limiti, il bene dell'integrità fisica, in quanto il consenso si considera privo di efficacia rispetto a lesioni produttive di una diminuzione permanente dell'integrità fisica o contrarie alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume. Una parte della dottrina però non è d'accordo, in quanto l'art. 5 del c.c., contenendo un divieto di natura civilistica, non potrebbe avere nessuna efficacia limitatrice del consenso nel campo penale.

(2) Ovviamente, per essere valido, il consenso deve essere incontrare una serie di requisiti. In primo luogo, deve espresso con volontà libera, ovvero non viziata cioè da errore, violenza o dolo. Quindi chi presta il consenso deve essere perfettamente e compiutamente informato e, quindi, consapevole di ciò cui acconsente (si pensi al consenso ad un'operazione medico-chirurgica). Inoltre il consenso deve essere manifestato all'esterno, non rilevando però la modalità (può essere anche desunto dal comportamento oggettivamente univoco dell'avente diritto), in quanto è sufficiente che la volontà sia comunque riconoscibile. Il consenso, infine, deve essere attuale, cioè deve esistere al momento del fatto.
Stabilito ciò, si ricordi che sussistono forme particolari di consenso. Si pensi al consenso putativo (l'agente suppone erroneamente esistente il consenso della persona titolare del diritto e quindi non è punibile in base all'art. 59, comma 3); al consenso presunto (il soggetto sa che non vi è il consenso, ma compie ugualmente l'azione perché essa appare vantaggiosa per l'avente diritto), che però la giurisprudenza non considera rilevante perché difetta del requisito dell'effettività.
(3) Si considera legittimato a prestare il consenso il titolare dell'interesse protetto dalla norma (ovviamente se più sono i titolari del diritto, il consenso deve essere prestato da tutti), in possesso della capacità di intendere e di volere, da accertarsi caso per caso, salvo ovviamente che il legislatore stesso non abbia fissato un'età minima.
Del diritto tale soggetto deve però disporre, in merito si ricordi la distinzione tra diritti indisponibili e disponibili. Tra i primi rientrano gli interessi che fanno capo allo Stato, alla collettività non personificata (ordine pubblico, incolumità pubblica, economia pubblica, fede pubblica, agli enti pubblici, alla famiglia, il diritto alla vita della singola persona ed il diritto alla libertà personale). Appartengono, invece, al secondo gruppo i diritti patrimoniali (salvi i casi in cui la legge ne limita la disponibilità), alcuni diritti inerenti alla personalità morale come l'onore (il bene dell'integrità fisica rimane parzialmente disponibile, nei limiti posti dall'art. 5 del c.c.).

(4) Specifiche ipotesi sono poi trattate nella disciplina speciale in materia di trapianto di rene (art. 1, l. 26 giugno 1967, n. 458), di trapianti terapeutici (artt. 4-5, l. 1 aprile 1999, n. 91) e di rettificazione di attribuzioni di sesso (l. 14 aprile 1982, n. 164).

Ratio Legis

La norma segnala la carenza dell'interesse a punire da parte dello Stato, quando il titolare del diritto vi ha acconsentito, ove possa di quel diritto disporne.

Brocardi

Iniuria non fit valenti

Spiegazione dell'art. 50 Codice Penale

Le norme sulle cause di giustificazione descrivono situazioni eccezionali in cui un fatto che normalmente costituirebbe reato non viene punito, in quanto l'ordinamento permette o esige quel comportamento.

Tale meccanismo di esclusione della risposta punitiva statale deriva dalla considerazione per cui esiste un interesse prevalente alla base della non punibilità del soggetto, come avviene nelle scriminanti dell'esercizio del diritto, della legittima difesa, dell'uso legittimo delle armi e dello stato di necessità, in cui si opera un bilanciamento degli interessi contrapposti, oppure un interesse mancante, come nella scriminante del consenso dell'avente diritto, dove viene meno l'interesse punitivo dello Stato per effetto della rinuncia del titolare alla conservazione del proprio bene.

In quest'ultimo caso dunque la liceità della condotta deriva dall'indifferenza mostrata dall'ordinamento alla tutela del bene in seguito all'approvazione da parte dell'avente diritto.

Per quanto riguarda il consenso, esso è considerato come un mero atto giuridico e si ritiene che non necessiti di una forma particolare, bastando ad esempio anche una manifestazione espressa di volontà, una comunicazione puramente verbale od un cenno, come anche un comportamento concludente o tacito. L'unico requisito è la preventiva accettazione del fatto eventualmente lesivo, non potendo essa intervenire solo dopo la commissione del fatto di reato per eliderne la valenza.

L'avente diritto deve inoltre accettare non solo la condotta, ma anche l'evento quale conseguenza di essa.
Il consenso, per scriminare, deve essere:
  • attuale, nel senso che devo sussistere prima dell'avveramento della condotta;
  • libero, ovvero che esso sia manifestato in assenza di qualsivoglia costringimento fisico o psichico;
  • informato, l'avente diritto deve avere a disposizione la conoscenza dell'intera situazione di fatto a cui presta il proprio consenso, onde valutarne l'opportunità;
  • specifico, nel senso che la condotta e l'evento devono essere circoscritti entro determinati parametri evolutivi onde poter essere giustificati.

Vi sono comunque dei limiti a tale cause di giustificazione. Alcuni beni sono assolutamente indisponibili, come i beni appartenenti allo Stato ed alla collettività indistinta, i beni della famiglia ed il diritto alla vita.

Alcuni beni sono invece relativamente indisponibili, come l'integrità fisica (l'art. 5 del codice civile sancisce infatti il divieto di poter disporre del proprio corpo quando si cagioni una diminuzione permanente dell'integrità fisica o quando si violi la legge, l'ordine pubblico o il buon costume).

///SPIEGAZIONE ESTESA

Per quanto attiene all’ambito applicativo della scriminante in oggetto, è importante osservare che la stessa presuppone un fatto di reato tipico, completo in tutti i suoi elementi costitutivi.
Il consenso, quindi, rende lecito un comportamento che, in assenza dello stesso, sarebbe illecito e contrario all’ordinamento giuridico.
Tale situazione deve essere tenuta distinta rispetto alla diversa ipotesi in cui il consenso non esclude l’antigiuridicità di un fatto altrimenti illecito, ma ne elide in radice la tipicità: si pensi al tradizionale caso della violazione di domicilio, disciplinata dall’art. 614, in cui la presenza del consenso del proprietario all’ingresso di altri nel proprio domicilio, impedisce in toto la configurazione della fattispecie di reato. In tali casi, il consenso viene definito “improprio”.
Per quanto riguarda poi gli elementi della scriminante, importanza fondamentale riveste la distinzione tra diritti disponibili e indisponibili: solo i primi, infatti, possono formare oggetto del consenso.
Per esemplificare, tra i diritti indisponibili rientrano, oltre al diritto alla vita e all’integrità fisica (seppur con le dovute precisazioni: v. art. 5, in virtù del quale si ritiene che il diritto all’integrità fisica sia “parzialmente disponibile”), i diritti in materia familiare e i diritti appartenenti alla collettività (ordine pubblico, incolumità pubblica, pubblica fede, ecc.).
Sono viceversa disponibili i diritti patrimoniali in genere, e alcuni diritti che riguardano l’onore e la libertà sessuale.
Il consenso è prestato validamente solo dal titolare dell’interesse protetto, che è l’unico legittimato a compiere questo atto volontario, che deve essere in quanto tale anche lecito, attuale e libero.
Inoltre, il titolare del diritto, deve avere la capacità, sia legale che naturale, di agire.
In realtà, si è discusso in dottrina in ordine al requisito della capacità legale, disciplinata dall’art. 2 del c.c..
Infatti, tale requisito sembrerebbe valido presupposto per prestare il consenso solo se si voglia attribuire allo stesso la configurazione di atto negoziale il quale presuppone, per essere validamente compiuto, la capacità di agire.
Tuttavia, non tutti gli autori concordano sulla configurazione di tale consenso come atto negoziale, ricavandone, come conseguenza, la superfluità della capacità di agire, bastando semplicemente che il titolare del diritto comprenda in modo serio e completo il significato dell’atto posto in essere, facendo combaciare la capacità di agire con una capacità di intendere e volere in relazione al consenso da prestare.
Di grandissima rilevanza pratica, oltre che dogmatica, è la distinzione tra consenso putativo e presunto.
Il consenso putativo si realizza allorquando colui che agisce ritiene che il titolare abbia prestato il consenso.
Ovviamente, tale consenso putativo non è idoneo a scriminare il fatto, che rimane quindi illecito.
Tuttavia, l’autore del fatto, avendo agito in difetto di dolo, non sarà comunque punibile, in applicazione del terzo comma dell’art. [[n59cp], il quale prevede appunto che “se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui” (a meno che, naturalmente, l’errore non sia stato determinato da colpa, nel qual caso la punibilità non sarà esclusa se il fatto di reato è preveduto dalla legge come delitto colposo).
Situazione molto diversa è quella in cui il soggetto compie un’azione che, secondo un suo metro valutativo, presenta dei vantaggi per il titolare del diritto, senza tuttavia averne ottenuto preventivamente un valido consenso e, quindi, nella consapevolezza dell’assenza dello stesso.
Tale consenso presunto opera quando un reale consenso non c’è, ma dalle circostanze obiettive del fatto, sarebbe ragionevole presumere che, se avesse potuto, il titolare del diritto avrebbe prestato tale consenso.
Tipico è il caso della “negotiorum gestio”, che si verifica allorquando l’agente compie un fatto nell’interesse (presunto) del titolare che non può prestare il consenso (si pensi al caso del vicino di casa che si introduca nell’abitazione altrui per controllare lo stato dell’immobile, avendo percepito una fuoriuscita di gas).
Tuttavia, tale nozione di consenso presunto presta il fianco a notevoli critiche e perplessità, e infatti è particolarmente difficile poter ricostruire in modo certo le intenzioni e i pensieri del titolare del diritto, il quale potrebbe determinarsi ad una scelta anche “poco ragionevole” sul piano oggettivo, ma del tutto insindacabile. Se si accetta che il consenso presunto renda sempre e comunque lecito il fatto, se l’azione è compiuta nell’oggettivo interesse del titolare, è possibile che si generino delle indebite ingerenze nella sfera giuridica altrui.
Proprio per questo motivo, la dottrina ha elaborato alcuni criteri, in presenza dei quali è possibile ritenere che il consenso “presunto” sarebbe stato fornito con un grado di certezza particolarmente elevato.
Si tratta innanzitutto di valutare se ci si trovi al cospetto di un diritto disponibile e se il titolare del diritto avrebbe avuto la capacità di prestare il consenso; occorre poi stabilire se sussista un dissenso o comunque delle indicazioni contrarie fornite in precedenza dal titolare; infine, deve essere fatto un oggettivo bilanciamento tra i beni del titolare: quello “prevalente”, per il quale si agisce pur in assenza di consenso, e quello “minore” che viene leso, che consiste in genere nella libertà di autodeterminazione del singolo.
La causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto riveste un ruolo pratico particolarmente importante nello svolgimento di tutta una serie di attività diffusissime nella quotidianità, che necessitano, per essere svolte, di un consenso dell’avente diritto.
Si pensi a tal riguardo all’attività sportiva, durante la quale, in certi casi, gli atleti subiscono o possono subire delle lesioni alla loro integrità psico-fisica.
Ci si è chiesti se il consenso prestato al fine di svolgere tali attività possa essere configurato come “scriminante atipica”.
La sussistenza di tale scriminante si basa sulla considerazione per cui lo sportivo, nello svolgimento della sua attività, si espone volontariamente al rischio di subire delle lesioni, essendosi correttamente rappresentato i rischi e i pericoli derivanti dallo svolgimento di una determinata attività sportiva.
Ammessa la sussistenza di tale forma di scriminante, per taluni riconducibile a quella di cui all’art. 50, per altri costituente una autonoma scriminante “atipica”, è poi necessario perimetrare quella che rappresenta l’area del cosiddetto “rischio consentito”.
La partecipazione ad una competizione sportiva, anche di carattere violento, non elimina infatti il dovere di tutti i partecipanti di osservare rigorosamente le regole del gioco e la disciplina della gara, nell’ottica di uno svolgimento sicuro, anche se “rischioso”, dell’attività.
Non sarà quindi applicabile la scriminante de quo allorché si accerti, durante il processo, che la lesione fisica provocata da un calciatore all’avversario si sia svolta non durante il gioco e a causa di una “involontaria evoluzione dell’azione fisica, ma in un momento di stasi dell’azione di gioco e del tutto al di fuori della dinamica di gara.
È opportuno rilevare come alcuni autori escludano la possibilità di invocare, nell’ambito della attività sportiva violenta, la scriminante di cui alla norma in oggetto, poiché la stessa postula la valida disponibilità del diritto, requisito che non sussiste in relazione alla possibilità di una permanente lesione o diminuzione dell’integrità fisica connessa allo svolgimento della pratica sportiva. A tal fine, certa parte della giurisprudenza, propone l’applicazione in via analogica della diversa scriminante di cui al successivo art. 51, grazie al quale l’atleta potrebbe lecitamente esercitare un suo diritto durante lo svolgimento dell’attività sportiva.
Altro settore il cui trova vastissima applicazione la causa di giustificazione di cui all’art. 50 è quella del settore medico, con riferimento in particolare al cosiddetto “consenso informato”.
Tale consenso viene generalmente richiesto al paziente prima di qualunque operazione medica, e ha lo scopo di autorizzare il medico ad operare o comunque ad alterare l’integrità fisica del paziente a scopo terapeutico.
Tuttavia, si sono presentati nella pratica numerosi casi in cui l’operatore sanitario abbia intrapreso l’operazione medica, in ossequio a quelle che sono state definite “necessità terapeutiche”, in assenza di un valido consenso informato da parte del paziente.
Premesso che si ritiene che al medico non competa un generale “diritto di curare”, è molto discussa l’ipotesi in cui il paziente venga sottoposto, per necessità terapeutica, ad un intervento più gravoso rispetto a quello per il quale aveva prestato il suo consenso, pur in assenza di indicazioni contrarie.
Ebbene, la giurisprudenza afferma che, in tali casi, è necessario distinguere, ai fini della configurazione di una responsabilità penale in capo al medico, a seconda che l’esisto dell’operazione sia “fausto”, ovvero vada comunque a buon fine, ovvero “infausto”.
Nel primo caso, la giurisprudenza di legittimità, con diverse pronunce, ha escluso qualsivoglia rilevanza penale della condotta del medico, alla luce del fatto che, in concreto, non è configurabile il delitto di lesioni per mancanza di tipicità del fatto, poiché la salute del paziente ha tratto solamente un beneficio dalla condotta posta in essere dal medico.
Viceversa, nel caso di esito “infausto”, il medico potrà essere imputato per omicidio preterintenzionale, allorquando abbia causato delle lesioni dalle quali derivi la morte come conseguenza ulteriore e non voluta.
Allorquando però non si riesca ad accertare l’elemento soggettivo del dolo, necessario ai fini della configurabilità del reato di lesioni, il reato astrattamente configurabile, in presenza di un dissenso esplicito del paziente, sarà quello di violenza privata, previsto e punito dall’art. 610.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 50 Codice Penale

Cass. pen. n. 8609/2021

In tema di responsabilità per fatti dannosi cagionati dall'atleta durante l'attività sportiva, ai fini dell'accertamento della responsabilità penale, non può farsi riferimento al criterio del rischio consentito e dell'agente modello, ma devono essere applicati i principi ordinari della colpevolezza nei reati caratterizzati dall'evento, che prevedono la verifica oggettiva del fatto dannoso, e dunque dell'azione e del nesso causale, nonchè la configurabilità del dolo o della colpa dell'agente.

Cass. pen. n. 18609/2021

In tema di indebita utilizzazione di carta di credito, deve essere esclusa l'operatività della scriminante del consenso dell'avente diritto, ai sensi dell'art. 50 cod. pen., atteso che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie disciplinata dall'art. 493-bis cod. pen. non è solo il patrimonio del titolare della carta, ma anche la sicurezza delle transazioni commerciali, che costituisce interesse collettivo indisponibile dal privato.

Cass. pen. n. 46895/2019

Non ha efficacia scriminante il consenso eventualmente prestato dalla vittima alle lesioni che le siano state inferte al fine di commettere una frode assicurativa, attesa la contrarietà all'ordine pubblico e al buon costume, ai sensi dell'art. 5 cod. civ., di atti di disposizione del proprio corpo volti a farne l'oggetto di un mercimonio, attraverso la promessa o la corresponsione di denaro in cambio di una menomazione dell'integrità fisica, ovvero di abusi funzionali al perseguimento di un vantaggio ingiusto, attraverso l'asservimento della menomazione al compimento di un atto illecito o fraudolento.

Cass. pen. n. 590/2019

Non ha efficacia scriminante il consenso eventualmente prestato dalla vittima alle lesioni che le siano state inferte al fine di commettere una frode assicurativa, attesa la contrarietà all'ordine pubblico e al buon costume, ai sensi dell'art. 5 cod. civ., di atti di disposizione del proprio corpo volti a farne l'oggetto di un mercimonio, attraverso la promessa o la corresponsione di denaro in cambio di una menomazione dell'integrità fisica, ovvero di abusi funzionali al perseguimento di un vantaggio ingiusto, attraverso l'asservimento della menomazione al compimento di un atto illecito o fraudolento.

Cass. pen. n. 37118/2019

La scriminante putativa del consenso dell'avente diritto non è applicabile quando debba escludersi, in base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l'approvazione della persona che può validamente disporre del relativo diritto. (Fattispecie di furto di materiale informatico prelevato dall'imputato presso discariche pubbliche, in cui è stata esclusa l'esimente invocata sulla base delle autorizzazioni verbali al prelievo provenienti dai soli custodi delle stesse anche in considerazione delle caratteristiche delle strutture e della natura del materiale ivi allocato).

Cass. pen. n. 21120/2018

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della scriminante sportiva: a) quando si constati assenza di collegamento funzionale tra l'evento lesivo e la competizione sportiva; b) quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso; c) quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all'azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell'attività. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sussistente il reato di lesioni colpose in relazione alle lesioni che, durante una partita di calcio, erano state cagionate da una "scivolata", compiuta in violazione delle norme regolamentari, su un soggetto che usciva dalla propria area di rigore con il pallone in azione di contropiede, in un momento in cui la palla non poteva più essere raggiunta dall'agente il quale colpiva l'avversario privo ormai di essa).

Cass. pen. n. 33275/2017

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell'avente diritto con riferimento al cosiddetto rischio consentito (art. 50 cod. pen.), né ricorrono quelli di una causa di giustificazione non codificata ma immanente nell'ordinamento, in considerazione dell'interesse primario che l'ordinamento statuale riconnette alla pratica dello sport, nell'ipotesi in cui, durante una partita di calcio ma a gioco fermo, un calciatore colpisca l'avversario. (In motivazione la Suprema Corte ha precisato che la condotta lesiva è esente da sanzione penale allorché sia finalisticamente inserita nel contesto dell'attività sportiva, mentre ricorre l'ipotesi di lesioni volontarie punibili nel caso in cui la gara sia soltanto l'occasione dell'azione violenta mirata alla persona dell'antagonista).

Cass. pen. n. 34977/2016

La causa di giustificazione non codificata del rischio consentito nell'attività sportiva non opera nell'ipotesi di lesioni personali cagionate nello svolgimento di una mera esibizione sportiva, trovandoci, in questo caso, di fronte ad una attività modellata sulla falsariga di una gara sportiva, ma, a differenza di quest'ultima, non disciplinata dalle regole stabilite dagli organismi di categoria, alla cui osservanza è ricondotta l'assenza di antigiuridicità del fatto. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso l'operatività della scriminante in relazione alle lesioni provocate a seguito di uno scontro tra due natanti, nel corso di una esibizione non competitiva).

Cass. pen. n. 42114/2011

In tema di competizioni sportive, non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito, qualora nel corso di un incontro di calcio, l'imputato colpisca l'avversario con un pugno al di fuori di un'azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l'azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc.) e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell'incontro.

Cass. pen. n. 20944/2011

La scriminante putativa del consenso dell'avente diritto non è applicabile quando debba escludersi, in base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l'approvazione della persona che può validamente disporre del diritto.

Cass. pen. n. 17210/2011

L'esimente putativa del consenso dell'avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia pertanto in un in errore inescusabile sulla legge penale.

Cass. pen. n. 20595/2010

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, deve ritenersi non rientrare nell'ambito del cosiddetto rischio consentito nella specifica attività calcistica l'intervento di un giocatore sulla palla - a gioco fermo per il fischio dell'arbitro - malgrado la vicinanza della mano di un giocatore caduto a terra.

Cass. pen. n. 2437/2009

Non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l'intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle "leges artis", si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso.

Cass. pen. n. 11335/2008

Il consenso espresso da parte del paziente a seguito di una informazione completa sugli effetti e le possibili controindicazioni di un intervento chirurgico, è vero e proprio presupposto di liceità dell'attività del medico che somministra il trattamento, al quale non è attribuibile un generale diritto di curare a prescindere dalla volontà dell'ammalato.

Cass. pen. n. 11640/2006

In tema di lesioni colpose, il consenso del paziente ad un trattamento medico — che non si identifica con quello di cui all'art. 50 c.p., ma che costituisce un presupposto per la validità e liceità dell'attività medica — perde di efficacia, ancorché consapevolmente prestato in ordine alle conseguenze lesive all'integrità personale, se queste si risolvano in una menomazione permanente che incide negativamente sul valore sociale della persona umana. (Nella specie, è stato ravvisato il reato di lesioni personali colpose in relazione ad un intervento odontoiatrico che aveva determinato nel paziente l'indebolimento permanente della funzione masticatoria).

Cass. pen. n. 45210/2005

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, non sussistono i presupposti di applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell'avente diritto con riferimento al cosiddetto rischio consentito (art. 50 c.p.), né ricorrono quelli di una causa di giustificazione non codificata ma immanente nell'ordinamento, in considerazione dell'interesse primario che l'ordinamento statuale riconnette alla pratica dello sport, nell'ipotesi in cui, durante una partita di calcio ma a gioco fermo, un calciatore colpisca l'avversario — che aveva realizzato una rete — con una gomitata al naso, in quanto imprescindibile presupposto della non punibilità della condotta riferibile ad attività agonistiche è che essa non travalichi il dovere di lealtà sportiva, il quale richiede il rispetto delle norme che regolamentano le singole discipline, di guisa che gli atleti non siano esposti ad un rischio superiore a quello consentito da quella determinata pratica ed accettato dal partecipante medio; ne deriva che la condotta lesiva esente da sanzione penale deve essere, anzitutto, finalisticamente inserita nel contesto dell'attività sportiva, mentre ricorre, come nella fattispecie, l'ipotesi di lesioni volontarie punibili nel caso in cui la gara sia soltanto l'occasione dell'azione violenta mirata alla persona dell'antagonista.

Cass. pen. n. 19473/2005

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva che implichi l'uso della forza fisica e il contrasto anche duro tra avversari, l'area del rischio consentito è delimitata dal rispetto delle regole tecniche del gioco, la violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all'elemento psicologico dell'agente il cui comportamento può essere - pur nel travalicamento di quelle regole - la colposa, involontaria evoluzione dell'azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa intenzione di ledere l'avversario approfittando della circostanza del gioco.

Cass. pen. n. 23214/2004

In tema di arbitraria occupazione del demanio marittimo, sono irrilevanti sia l'acquiescenza degli organi preposti alla sua tutela, sia il preteso consenso dell'avente diritto.

Cass. pen. n. 39204/2003

In tema di lesioni cagionate nel contesto di un'attività sportiva non opera la scriminante di cui agli artt. 50 e 51 c.p. e si verte, invece in una ipotesi di superamento del c.d. «rischio consentito» ogniqualvolta l'agente realizzi l'evento lesivo mediante una violazione volontaria delle regole di gioco, tali da superare appunto i limiti della lealtà sportiva. (Fattispecie in cui, in una partita di calcio, l'imputato poneva in essere un intervento a gambatesa colpendo un ragazzo coetaneo e cagionandogli lesioni guaribili in 40 giorni).

Cass. pen. n. 26446/2002

In tema di attività medico-chirurgica, allo stato attuale della legislazione (non avendo ancora trovato attuazione la delega di cui all'art. 3 della legge 28 marzo 2001 n. 145, con la quale è stata ratificata la Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 sui diritti dell'uomo e sulla biomedica), deve ritenersi che il medico sia sempre legittimato ad effettuare il trattamento terapeutico giudicato necessario per la salvaguardia della salute del paziente affidato alle sue cure, anche in mancanza di esplicito consenso, dovendosi invece ritenere insuperabile l'espresso, libero e consapevole rifiuto eventualmente manifestato dal medesimo paziente. In tale ultima ipotesi, qualora il medico effettui ugualmente il trattamento rifiutato, potrà profilarsi a suo carico il reato di violenza privata ma non mai - ove il trattamento comporti lesioni chirurgiche ed il paziente venga successivamente a morte - il diverso e più grave reato di omicidio preterintenzionale, non potendosi ritenere che le lesioni chirurgiche, strumentali all'intervento terapeutico, possano rientrare nelle previsioni di cui all'art. 582 c.p.

Cass. pen. n. 23599/2002

Nell'ambito degli episodi di «nonnismo», non ricorre la scriminante del consenso dell'avente diritto neanche quando il soggetto passivo abbia accettato di sottoporsi a prove di iniziazione (nella specie, quella denominata dello «sbrago»), in quanto la manifestazione di volontà non può in nessun caso ritenersi libera da condizionamenti, in considerazione della forzata convivenza e del clima di intimidazione creato dai militari più anziani nei confronti dei più giovani.

Cass. pen. n. 24942/2001

In tema di lesioni cagionate nel contesto di una attività sportiva, ricompresa nella categoria degli sports a violenza solo eventuale, non opera la scriminante di cui agli artt. 50 e 51 c.p. e si verte, invece in una ipotesi di superamento del c.d. rischio consentito, ogniqualvolta venga posta coscientemente a repentaglio l'incolumità del giocatore avversario il quale è legittimato ad attendersi comportamenti agonistici anche rudi, ma non violazioni del dovere di lealtà che si risolvano nel disprezzo per l'altrui integrità fisica. (Fattispecie in cui, in una gara di calcetto a cinque, l'imputato, durante una azione di gioco, a seguito della «umiliazione» scaturita da un tunnel, per ostacolare la corsa del giocatore avversario, allargava i gomiti e andava a colpire quest'ultimo al volto cagionando allo stesso lesioni guaribili in sette giorni).

Cass. pen. n. 3901/2001

Il fatto che comportamenti oggettivamente truffaldini (quali, nella specie, la sottoscrizione di fogli di presenza da parte di dipendenti di un'azienda municipalizzata, i quali poi si assentavano arbitrariamente dal servizio), siano posti in essere con l'acquiescenza dei funzionari o dei rappresentanti dell'ente (fornito di personalità giuridica) al quale detti comportamenti arrecano danno, non rende configurabile, in favore dei loro autori, l'esimente del consenso dell'avente diritto, potendosi semmai ipotizzare il concorso morale degli stessi funzionari o rappresentanti nel reato.

Cass. pen. n. 1951/2000

In tema di c.d. «illecito sportivo» l'autore dell'evento lesivo che sia stato rispettoso delle regole del gioco, del dovere di lealtà nei confronti dell'avversario e dell'integrità fisica di costui non sarà perseguibile penalmente in quanto non potrà dirsi superata la soglia di «rischio consentito». Diversamente, allorché il fatto lesivo si verifichi perché il giocatore violi volontariamente le regole del gioco disattendendo i doveri di lealtà verso l'avversario, il fatto non potrà rientrare nella causa di giustificazione ma sarà penalmente perseguibile. (Nella specie la Corte ha ritenuto che non potesse ritenersi scriminato il comportamento del giocatore di pallacanestro che aveva sferrato un pugno al giocatore avversario attingendone la mandibola destra).

Cass. pen. n. 3398/1999

Il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) non può essere scriminato dal consenso dell'avente diritto, sia pure affermato sulla base di opzioni sub-culturali relative ad ordinamenti diversi da quello italiano. Dette sub-culture, infatti, ove vigenti, si porrebbero in assoluto contrasto con i principi che stanno alla base dell'ordinamento giuridico italiano, in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo sanciti dall'art. 2 Cost., i quali trovano specifica considerazione in materia di diritto di famiglia negli articoli 29-31 Cost. (Fattispecie in cui la scriminante del consenso dell'avente diritto era stata fondata sull'origine albanese dell'imputato o delle persone offese per le quali varrebbe un concetto dei rapporti familiari diverso da quello vigente nel nostro ordinamento).

Cass. pen. n. 3747/1996

Ai fini dell'esclusione del requisito dell'arbitrarietà nell'occupazione di area demaniale marittima sono irrilevanti, rispetto all'istituto della concessione, le figure giuridiche dell'acquiescenza (la costruzione del porto sarebbe «avvenuta sotto gli occhi di tutti e nel silenzio acquiescente di tutti») degli organi preposti e del conseguente consenso dell'avente diritto. (Nella specie la S.C. ha osservato che la concessione è un atto amministrativo che acquista giuridica esistenza ed efficacia solo se emessa nella forma che documentalmente lo individua, non ammette equipollenti e non può essere surrogato da manifestazione di consenso od omissioni di dissenso, se, non nei casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge; che il consenso scriminante è solo quello concernente diritti soggettivi privati [il che non può dirsi in ordine a consenso eventualmente prestato all'uso o all'occupazione di beni demaniali] e, inoltre, e soprattutto è necessario che il consenso del titolare del diritto preceda la condotta dell'agente).

Cass. pen. n. 5640/1994

Il consenso della vittima per rapporti sessuali particolari non può escludere l'eventuale sussistenza di reati di ratto, violenza carnale, minacce e lesioni, ove questi comportamenti siano di fatto realizzati oltre una sfera di ragionevole previsione iniziale, in quanto incidono su beni personali tutelati dall'ordinamento in sè e, come tali, non disponibili a discrezione del titolare. In particolare, non può invocare la buona fede o la scusante dell'orgasmo sessuale chi si abbandoni ad atti oggettivamente gravi e pericolosi in un rapporto sessuale particolare, pur accettato all'inizio dalle parti. (Nella specie l'imputato realizzò una serie di atti sadomasochistici come legamento della vittima, bruciature, percosse e coito orale e vaginale, mettendo la vittima, non più consenziente, in una situazione di oggettiva impotenza, accompagnando tali atti con gravi minacce a mezzo di un coltello).

Cass. pen. n. 7186/1990

L'esimente putativa (nella specie consenso dell'avente diritto) può trovare applicazione solo quando sussista un'obiettiva situazione — non creata dallo stesso soggetto attivo del reato — che possa ragionevolmente indurre in errore tale soggetto sull'esistenza delle condizioni fattuali corrispondenti alla configurazione della scriminante. (Nella specie la corte ha ritenuto che un paramedico, il quale abusi di una paziente che si trovi in stato di incoscienza, non possa invocare il consenso presunto dell'avente diritto in base al rilievo che la donna non abbia fatto opposizione: egli infatti non può confondere — in virtù delle sue conoscenze tecniche — lo stato di prostrazione fisica con il suddetto consenso tacito).

Cass. pen. n. 8986/1989

Le cause di giustificazione del reato possono trovare applicazione solo quando le situazioni di fatto cui si riferiscono risultino pienamente provate. Pertanto il dubbio sulla loro esistenza le rende inoperanti e non incide minimamente sugli elementi costitutivi del reato.

Cass. pen. n. 594/1989

In tema di lesioni personali, il consenso dell'avente diritto ha efficacia, come causa giustificatrice, se viene prestato volontariamente nella piena consapevolezza delle conseguenze lesive all'integrità personale, sempre che queste non si risolvano in una menomazione permanente la quale, incidendo negativamente sul valore sociale della persona umana, fa perdere di rilevanza al consenso prestato. (Fattispecie in tema di lesioni conseguenti a terapie odontoiatriche).

Cass. pen. n. 7197/1988

Le cause di non punibilità possono essere riconosciute solo quando siano rigorosamente provate, quando i loro presupposti, pur non esistendo obiettivamente siano erroneamente ritenuti come reali dall'agente a causa di un erroneo ed incolpevole apprezzamento sorretto da circostanze di fatto tali da giustificare la ragionevole persuasione di una determinata situazione che, ove fosse stata realmente sussistente, avrebbe determinato gli estremi per il riconoscimento della causa di giustificazione.

Cass. pen. n. 745/1988

Ai fini dell'applicazione di un esimente, non basta l'indicazione, da parte dell'imputato, di una situazione di fatto astrattamente riconducibile a tale applicazione, ma occorre che quella situazione risulti rigorosamente provata, dal momento che le cause di giustificazione, configurandosi come elementi negativi di un reato perfetto in tutti i suoi aspetti, possono operare soltanto se siano effettivamente sussistenti in tutti gli estremi richiesti dalla legge. Ne consegue che all'imputato, se pure non fa carico un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, incombe certamente un compiuto onere di allegazione.

Cass. pen. n. 11476/1987

L'imputato, nel caso in cui intenda far valere nel giudizio una causa di giustificazione in suo favore, non ha già l'onere di fornire la prova rigorosa di quanto da lui affermato al riguardo, bensì di indicare tutti quegli elementi su cui il giudice potrà indirizzare le indagini e gli accertamenti circa la sussistenza della scriminante. Tuttavia in caso di inadempimento dell'onere di allegazione da parte dell'imputato di elementi di indagine il giudice, qualora le risultanze processuali glielo impongano, e proprio sotto l'aspetto probatorio, ha l'obbligo di rilevare la sussistenza dell'esimente, da accertarsi con o senza l'ausilio dell'imputato, il quale resta sempre libero di privilegiare una linea difensiva al posto di un'altra.

Cass. pen. n. 7425/1987

Il generico divieto di atti dispositivi del proprio corpo che importino una diminuzione permanente dell'integrità fisica non esclude l'efficacia scriminante del consenso in ordine a specifici atti dispositivi di volta in volta ritenuti leciti dal legislatore. (Fattispecie in tema di vasectomia).

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