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Articolo 2907 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Attività giurisdizionale

Dispositivo dell'art. 2907 Codice Civile

Alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l'autorità giudiziaria su domanda di parte [99 c.p.c.] e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero [67, 85 comma 2, 102 comma 5, 117, 119, 125, 336, 417, 418, 848, 2098, 2409, 2487; 69 c.p.c.] o d'ufficio [6 l. fall.](1).

La tutela giurisdizionale dei diritti, nell'interesse delle categorie professionali, è attuata su domanda delle associazioni legalmente riconosciute, nei casi determinati dalla legge e con le forme da questa stabilite [409 c.p.c. ss.](2).

Note

(1) Lo Stato ha avocato a sè il potere/dovere di rendere giustizia, consentendo soltanto limitate e specificamente sancite ipotesi di autotutela (ad esempio, inerenti al diritto di ritenzione, all'eccezione di inadempimento, alla diffida ad adempiere, alla legittima difesa). Il cittadino non può perciò farsi giustizia da sè, avendo il diritto di rivolgersi agli organi all'uopo istituiti per ottenere giustizia, mediante il cosiddetto potere di azione, previsto anche dall'art. 24 della Costituzione. Egli instaura così un giudizio ad hoc per risolvere tale conflitto d'interessi, diventandone attore, mentre colui nei cui confronti l'azione è rivolta prende il nome di convenuto, il quale si potrà difendere tramite le eccezioni. Si specifica che, per poter proporre una domanda è assolutamente fondamentale avervi interesse (v. art. 100 c.p.c.) ed occorre altresì che vi sia una relazione tra il suddetto interesse e il diritto portato in giudizio.
(2) Nell'ordinamento attuale del diritto del lavoro, i sindacati hanno un potere di rappresentanza collettiva non ancora pieno, in quanto sostanzialmente limitato alla fase della negoziazione, mancando invece nell'importante fase della definizione giudiziale in cui i singoli devono tutelarsi da sè. In tema, sono rilevanti i riferimenti della situazione di sindacati e rappresentanza in Italia, in particolar modo ai sensi dell'art. 28, L. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori). La disposizione codicistica, comunque, è espressione di uno spirito solidaristico tipico dell'ordinamento corporativo del regime fascista e nel corso degli anni, ha subìto varie proposte di abrogazione, ad oggi inutilmente.

Ratio Legis

La norma stabilisce che il soggetto il quale voglia far valere un proprio diritto, contestatogli da altri, debba rivolgersi al giudice, non potendo procedere per proprio conto. Lo scopo è evidentemente quello di evitare il ricorso all'autotutela, sanzionata anche da apposite disposizioni penali, ai sensi degli artt. 392 e 393 c.p.

Brocardi

Nemo iudex sine actore
Ubi non est actio, ibi non est iurisdictio

Spiegazione dell'art. 2907 Codice Civile

Tutela giurisdizionale e autotutela privata

Il titolo IV consta di un capo I, dedicato alle «disposizioni generali» e di un capo II dedicato all'esecuzione forzata. Il capo I si inizia appunto con l'art. 2907, il quale costituisce in certo senso il ponte di passaggio tra il diritto sostanziale e il processo. La disposizione ha in primo luogo una rilevanza di carattere costituzionale, in quanto stabilisce il principio del « monopolio » della giurisdizione dello Stato. Ne consegue che le forme di autotutela, sia pure controllata, come l'arbitrato, costituiscono delle eccezioni nel nostro ordinamento giuridico, ove la ragion fattasi è considerata quale illecito penale.

L'ar­ticolo in questione pone inoltre in evidenza un altro principio fonda­mentale, questo proprio a cavaliere tra il diritto sostanziale e il pro­cesso: voglio dire il principio della domanda giudiziale, già desumibile dagli art. 99 e 112 cod. proc. civ. (corrispondenza tra il chiesto e il pro­nunciato).

Tale principio ha, come ho detto , uno speciale rilievo in quanto sta­bilisce che di regola il nostro ordinamento conosce solo giurisdizione con azione, sia questa attribuita al privato, titolare dell'interesse pro­tetto dal diritto materiale, sia invece ad un organo, portatore di un in­teresse pubblico, quale è il pubblico ministero.


Diritto soggettivo e azione

Sotto questo profilo, quindi, l'articolo annotato offre l'occasione a interessanti osservazioni di ordine dommatico : quanto concerne la messa in movimento del processo riguarda soprattutto il diritto sostanziale. L'ambito del diritto subbiettivo riconosciuto al singolo si riverbera infatti sul potere del singolo di richiedere la tutela giurisdi­zionale. Per dir meglio, quest'ultimo potere non rappresenta che un aspetto del diritto subbiettiva ; una volta messo in moto il processo, le parti avranno sul processo stesso determinati poteri processuali, che variano a seconda dei singoli ordinamenti processuali. D'altra parte, anche l'obbligo del giudice di decidere entro i petita partium costituisce un ulteriore riflesso di una qualità intrinseca del diritto soggettivo.

Giustamente, pertanto, si. suole osservare che il processo civile odierno è caratterizzato dall'azione, precisamente da ciò che il giudice non può di regola provvedere alla tutela dei diritti subbiettivi se non dietro domanda della parte interessata (v. pure art. 100 cod. proc. civ.) ; anzi, tutta la struttura del processo — quale «Klageverfalvren» é carat­tizzata appunto dal principio della « azione ». Si può osservare, a tale proposito, come tale nozione di processo sia quella tramandaci dalla tradizione romana, ed essa si impernia sul riconoscimento al soggetto di una sfera di autonomia, estrinsecantesi altresì nel potere di chiedere la tutela giurisdizionale.


Interesse pubblico e interesse privato nella tutela giurisdizionale


L'articolo annotato offre, inoltre, il destro a considerazioni circa la posizione degli 100 c.p.c. fornisce infatti la che il processo civile è di regola posto in moto in quanto un soggetto accusi interesse a conseguire una pronuncia giurisdizionale.

Altra questione è, poi, il determinare in che senso l’interesse pubblico alla giusta composizione delle liti o all’attuazione del diritto oggettivo sia armonizzabile con l'interesse del privato. Senza entrare in questa sede in più approfondite disquisizioni, preme rilevare che intanto l'interesse pubblico viene soddisfatto, in quanto il giudice dà ra­gione a chi l'ha, in quanto, cioè, il giudice riafferma quell'interesse che il legislatore ha dichiarato meritevole di tutela, ponendo la norma giuridica che trova attuazione nel caso concreto.


Azione privata e azione pubblica nel processo civile

Il processo civile, dunque, si muove in quanto le parti propongono una domanda giudiziale. Il problema della messa in moto del pro­cesso suole essere indicato, come problema dell'azione. Qui non è pos­sibile esporre, sia pure in via sintetica, il lavorio svolto dalla dottrina per addivenire ad una nozione di «azione». Preme rilevare che il nuovo codice, e in particolare l'articolo annotato, non ha preso posizione netta per nessuna delle numerose teorie in materia, ponendo in rilievo la con­nessione necessaria tra titolarità del diritto (v. anche art. 81 cod. proc. civ.) e la facoltà di far valere questo diritto in giudizio, al fine di ot­tenere la tutela dagli organi giurisdizionali.

A siffatto principio non costituiscono deroga le disposizioni, le quali investono il pubblico ministero del potere di richiedere in giudizio la tutela giurisdizionale di un dato diritto. In tali casi il pubblico mini­stero si fa portatore di un interesse pubblico, considerato dall'ordina-mento giuridico prevalente anche rispetto all'interesse privato, ond'egli può perseguire la tutela non solo quando il privato rimanga inattivo e sia incapace di provvedervi, ma altresì —almeno in talune ipotesi — in contrasto con l'iniziativa eventuale di parte. Un'elencazione completa di tutti i casi in cui pubblico ministero interviene nel processo in via d'azione è assai difficile ; mi limito a rammentare qui taluni casi tra i più noti: articoli 38, 48, 117, 119, 264, 303, 321, 431, 2076, 2098 cod. civ.), oltre a numerose altre disposizioni contenute in leggi speciali.

È evidente come l'intervento del P. M. è giustificato qualora l'ordine giuridico ritenga opportuno fare intervenire un soggetto, più sen­sibile all'interesse pubblico. Interesse, di cui potrebbe anche essere considerato portatore altro organo pubblico, ma che comunque non può trovare una sufficiente spiegazione nella figura della sostituzione processuale. Indubbiamente se in un ordinamento l'«azione» pubblica sostituisse integralmente l'azione privata ciò importerebbe il disconoscimento al privato di ogni ambito di autonomia negoziale ; autonomia che è già in vario modo allorquando il potere di promuovere la tutela giurisdizionale di un interesse spetta anche al pubblico ministero. Nell'ordinamento attuale le maggiori attenuazioni si verificano, come s'è visto, nel campo del diritto familiare e in quello del lavoro, ove più evidenti sono gli in­teressi pubblici immediati.


Giurisdizione senza azione

Mentre la giurisdizione è, nel nostro ordinamento, di regola «con azione », soni dei casi in cui il giudice può provvedere senz'altro d'ufficio, in base ad una propria valutazione dell'interesse che deve essere protetto. Si è in tali casi ravvisata la figura della «giurisdizione senza azione », un esempio della quale si avrebbe, nel nostro ordinamento, nel processo di esecuzione concorsuale, o fallimento, in quanto l'ufficio può essere dichiarato d'ufficio. Il giudice può provvedere l'ufficio anche in altre ipotesi, aventi carattere del tutto eccezionale ; articoli 303, 340, 3° comma, cod. civ.


Tutela giurisdizionale degli interessi corporativi

Il secondo comma dell’articolo prevede una particolare forma di tutela giurisdizionale dei diritti, precisamente quella richiesta dalle associazioni legalmente riconosciute nei casi e nelle forme stabilite dalle varie forme, sparse nel codice civile (es. art. 2076 del c.c.), nel codice di procedura civile e nelle leggi sindacali, nell’interesse delle categorie professionali. Dato l’orientamento generale dei nuovi codici non poteva mancare una disposizione, sia pure di carattere generale e programmatico, che inquadrasse accanto agli interessi individuali anche quelli delle categorie professionali, indicando la titolarità della relativa legittimazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 2907 Codice Civile

Cass. civ. n. 13051/2008

In tema di azione collettiva, proposta, nella vigenza dell'art. 1469 sexies cod. civ., da una o più associazioni rappresentative dei consumatori, l'inibitoria dell'uso delle clausole vessatorie produce effetti anche sui contratti già stipulati al momento della pronuncia giudiziale, sia perché l'eliminazione delle clausole vessatorie da tutti i contratti che le contengono è coerente con le finalità attribuite dal legislatore comunitario all'azione collettiva sia perché l'applicazione del divieto ai contratti ad esecuzione differita o con durata reiterabile (come quelli bancari) vigenti al momento dell'adozione dell'inibitoria, realizza la funzione preventiva propria di questo specifico strumento di tutela, escludendo la necessità di ricorrere all'azione individuale per espungere, in concreto, dai singoli regolamenti negoziali, le condizioni colpite dal provvedimento giudiziale. (Rigetta, App. Roma, 24 Settembre 2002).

Cass. civ. n. 17026/2006

L'interesse ad agire con un'azione di mero accertamento non implica necessariamente l'attuale verificarsi della lesione d'un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico o sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non superabile se con con l'intervento del giudice. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva dichiarato improponibile, per difetto di interesse, in considerazione della mancata contestazione della controparte, l'azione promossa dagli acquirenti di un bene immobile per accertare che il loro titolo di acquisto si estendeva anche ad un vano i cui estremi catastali non erano stati indicati nel contratto).

Cass. civ. n. 3880/2006

Con la istituzione del ruolo unico dei dirigenti - previsto dall'art. 15 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, che ha sostituito l'art. 23 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e le cui modalità di costituzione e tenuta sono disciplinate dal d.P.R. 26 febbraio 1999, n. 150 - il legislatore ha riconosciuto al datore di lavoro pubblico ampia potestà discrezionale sia nel ritenere di non avvalersi di un determinato dipendente mettendolo così a disposizione del ruolo unico, sia nella scelta dei soggetti ai quali conferire incarichi dirigenziali; rispetto a tale potestà discrezionale la posizione soggettiva del dirigente aspirante all'incarico non può atteggiarsi come diritto soggettivo pieno, bensì come interesse legittimo di diritto privato, da riportare, quanto alla tutela giudiziaria, nella più ampia categoria dei "diritti" di cui all'art. 2907 cod. civ.. La tutela di tale posizione giuridica soggettiva, affidata al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, non è dissimile da quella già riconosciuta al partecipante ad una procedura di selezione concorsuale adottata dal datore di lavoro privato ed è estesa a tutte le garanzie procedimentali di selezione previste dalla legge e dai contratti collettivi.

Cass. civ. n. 12092/2004

Poiché nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità d'ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell'istanza di parte solo dall'esistenza di un'eventuale specifica previsione normativa, l'esistenza di un giudicato esterno, è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Del resto, il giudicato interno e quello esterno, non solo hanno la medesima autorità che è quella prevista dall'art. 2909 cod. civ., ma corrispondono entrambi all'unica finalità rappresentata dall'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche e dalla stabilità delle decisioni, le quali non interessano soltanto le parti in causa, risultando l'autorità del giudicato, riconosciuta non nell'interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell'interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi - nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile - per l'intera comunità. Più in particolare, il rilievo dell'esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito. Da ciò consegue che, in mancanza di pronuncia o nell'ipotesi in cui il giudice di merito abbia affermato la tardività dell'allegazione - e la relativa pronuncia sia stata impugnata - il giudice di legittimità accerta l'esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice del merito.

Corte cost. n. 123/1987

La legge n. 425 del 1984, escludendo che gli aumenti periodici e l'indennità di rischio siano estensibili, in base al diritto previgente, ai magistrati di tutte le carriere, introduce - in via di interpretazione autentica, opposta a quella accolta dai giudici amministrativi - uno "ius superveniens" non satisfattivo delle pretese degli interessati. In tale contesto, la norma processuale che dispone l'estinzione "ex officio" dei processi pendenti e l'inefficacia dei provvedimenti non ancora passati in giudicato, viola il diritto del cittadino ad ottenere una pronuncia di merito senza onerose reiterazioni, in quanto preclude al giudice di interpretare lo "ius superveniens" per decidere nel merito la controversia pendente. Pertanto, è costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 24 Cost. - l'art. 10, comma primo, della legge 6 agosto 1984, n. 425.

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