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Articolo 6 Legge fallimentare

(R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Iniziativa per la dichiarazione di fallimento

Dispositivo dell'art. 6 Legge fallimentare

(1) Il fallimento è dichiarato su ricorso (2) del debitore (3), di uno o più creditori (4) o su richiesta del pubblico ministero (5).

Nel ricorso di cui al primo comma l'istante può indicare il recapito telefax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi previsti dalla presente legge [93].

Note

(1) Articolo così sostituito dal d.lgs. 5/2006.
(2) La novella del 2006 ha precisato che la procedura si inizia con il deposito di un ricorso.
(3) L'art. 14 della l. fall. stabilisce quali sono gli specifici obblighi posti a carico del debitore che chiede il proprio fallimento e l'art. 217, comma primo, n. 4, l. fall. disciplina il reato di bancarotta semplice a carico dell'imprenditore che ha aggravato il proprio dissesto non chiedendo la dichiarazione di fallimento.
(4) La domanda di fallimento è proposta nella maggior parte dei casi da uno o più creditori dell'imprenditore.
(5) E' stata soppressa la dichiarazione di fallimento d'ufficio, controbilanciando tale scelta con l'attribuzione al pubblico ministero dell'iniziativa a chiedere il fallimento (art. 7 della l. fall.).

Ratio Legis

L'articolo in commento elenca i soggetti che hanno la legittimazione attiva a proporre il ricorso per la dichiarazione di fallimento.

Massime relative all'art. 6 Legge fallimentare

Cass. civ. n. 1521/2013

In tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l'art. 6 legge fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l'altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l'esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all'esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell'istante.

Cass. civ. n. 4209/2012

Il P.M. è legittimato a formulare la richiesta di fallimento a seguito della comunicazione del decreto con il quale il tribunale abbia revocato l'ammissione al concordato preventivo, essendo egli, nel sistema della legge, informato sia della domanda di concordato ai fini dell'intervento nella procedura e dell'eventuale richiesta di fallimento (art. 161 legge fall.), sia della procedura d'ufficio per la revoca dell'ammissione al concordato (art. 173 legge fall.), onde è anche il naturale e legittimo destinatario della comunicazione dell'esito di tale procedimento.

Cass. civ. n. 3472/2011

In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, la nuova formulazione dell'art. 6 legge fall. esclude l'iniziativa d'ufficio del tribunale ed implica, pertanto, che il giudice possa pronunciarsi nel merito solo in presenza di iniziativa proposta da soggetto legittimato ed a condizione che la domanda sia mantenuta ferma, cioè non rinunciata; ne deriva che, in caso di accertamento dell'insussistenza del credito in capo al ricorrente, la conseguente carenza di legittimazione di tale parte impone una pronuncia in rito di inammissibilità, senza alcuna possibilità di ulteriore esercizio della giurisdizione.

Cass. civ. n. 19983/2009

Il ricorso per la dichiarazione di fallimento del debitore, nel caso in cui si tratti di una società, deve essere presentato dall'amministratore, dotato del potere di rappresentanza legale, senza necessità della preventiva autorizzazione dell'assemblea o dei soci, non trattandosi di un atto negoziale né di un atto di straordinaria amministrazione, ma di una dichiarazione di scienza, peraltro doverosa, in quanto l'omissione risulta penalmente sanzionata; tale principio trova applicazione anche nel caso in cui l'amministratore sia stato nominato dal custode giudiziario della quota pari all'intero capitale sociale di cui il giudice per le indagini preliminari abbia disposto il sequestro.

Cass. civ. n. 4632/2009

In tema di fallimento, l'esigenza di assicurare la terzietà e l'imparzialità del tribunale fallimentare, emergente da un'interpretazione sistematica della legge fallimentare (così come modificata dal d.lgs. 9 gennaio 2009, n. 5) ed in particolare degli artt. 6 e 7, letti alla luce del novellato art. 111 Cost., porta ad escludere che l'iniziativa del P.M. ai fini della dichiarazione di fallimento possa essere assunta in base ad una segnalazione proveniente dallo stesso tribunale fallimentare, in tal senso deponendo, oltre alla soppressione del potere di aprire d'ufficio il fallimento ed alla riduzione dei margini d'intervento del giudice nel corso della procedura, anche il n. 2 dell'art. 7 cit., che limita il potere di segnalazione del giudice civile all'ipotesi in cui l'insolvenza risulti, nei riguardi di soggetti diversi da quelli destinatari dell'iniziativa, in un procedimento diverso da quello rivolto alla dichiarazione di fallimento, nonché dagli interventi correttivi del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che hanno reso totalmente estranea al sistema l'ingerenza dell'organo giudicante sulla nascita o l'ultrattività della procedura. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, con cui era stata dichiarata nulla la dichiarazione di fallimento intervenuta ad iniziativa del P.M., al quale il tribunale fallimentare aveva trasmesso gli atti a seguito della desistenza del creditore dalla propria istanza).

Cass. civ. n. 19411/2004

La partecipazione del creditore al procedimento prefallimentare può esaurirsi nella sola istanza di fallimento, stante il permanente effetto propulsivo di questa, non essendo pertanto necessario che, come invece per il debitore, ne venga disposta la convocazione.

Cass. civ. n. 15407/2001

Il potere del P.M. di assumere, ai sensi dell'art. 6 della legge fallimentare, l'iniziativa della richiesta al tribunale della dichiarazione di fallimento non è limitata alle ipotesi di cui all'art. 7 della citata legge — il quale dispone il relativo obbligo a carico del Procuratore della Repubblica che procede contro l'imprenditore, quando l'insolvenza risulta dalla fuga o dalla latitanza dello stesso, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore —, ma ha, invece, carattere generale.

Cass. civ. n. 11507/1993

L'art. 6 legge fallimentare non prescrive l'obbligatoria produzione della certificazione della cancelleria commerciale a corredo dell'istanza di fallimento di società presentata dal creditore, ancorché trattasi di società di capitale soggetta all'iscrizione nel registro delle imprese (art. 100 att. c.c.), né un simile obbligo è desumibile da altre disposizioni del codice civile o della legge fallimentare.

Cass. civ. n. 26/1989

Il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione che sia proposto, in pendenza di istanza di fallimento del ricorrente presentata al tribunale da un istituto di credito (nella specie, cassa di risparmio), per sostenere l'illegittimità della deliberazione con cui l'istituto medesimo abbia assunto detta iniziativa e la sua sindacabilità solo davanti al giudice amministrativo, separatamente adito, deve essere dichiarato inammissibile, posto che la relativa questione non attiene alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario sulla dichiarazione di fallimento, ma al merito.

Cass. civ. n. 924/1985

Il procedimento prefallimentare, che si apre con la richiesta di fallimento del debitore proposta a norma dell'art. 6 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, pur se soggetto al rito camerale, e presentante peculiari caratteristiche rispetto al processo contenzioso ordinario, ha intrinseca natura giurisdizionale, in quanto tende ad una pronuncia suscettibile di incidere, con autorità di giudicato, sullo “status” e sui diritti del fallito e delle persone che hanno con esso avuto rapporti. Pertanto, in pendenza di detto procedimento, e prima cioè che il tribunale decida su detta istanza, deve ritenersi esperibile da parte del debitore, soggetto passivo del procedimento stesso, il regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi dell'art. 41 c.p.c., sempreché la relativa istanza sia rivolta a sollevare una questione di giurisdizione, e non anche, quindi, a porre in contestazione i requisiti necessari per l'apertura della procedura concorsuale (ivi compresa la sussistenza di una situazione debitoria), che attengono al fondamento nel merito della domanda.

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