Cass. civ. n. 10248/2025
Il giudice è tenuto ad accertare, anche d'ufficio, il fondamento giuridico della domanda, sulla base dei fatti costitutivi o impeditivi della pretesa dedotta in giudizio, tranne che si tratti di eccezioni in senso stretto, che devono essere proposte in giudizio soltanto dalla parte interessata; sicché tutte le ragioni che possono condurre al rigetto della domanda, per difetto delle sue condizioni di fondatezza, possono essere rilevate anche d'ufficio, in base alle risultanze ritualmente acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali.
Cass. civ. n. 9218/2025
In tema di detenzione in condizioni non conformi all'art. 3 Cedu, il ricorso ex art. 35-ter, comma 3, O.P. rientra nella competenza non del magistrato di sorveglianza, bensì del tribunale civile del capoluogo del distretto in cui l'ex detenuto ha la residenza, che decide in composizione monocratica nelle forme previste dall'art. 737 c.p.c., attesa l'esigenza di assicurare uno strumento processuale agile ed effettivo, e la legittimazione ad avvalersene spetta a coloro che hanno subito una detenzione inumana a titolo definitivo o non definitivo, purché, nel primo caso, la pena sia cessata e, nel secondo, la custodia cautelare non sia convertibile in pena espiata. (Principio applicato in un caso in cui la persona, che aveva sofferto la custodia cautelare in condizioni inumane, non era poi stata condannata).
Cass. civ. n. 24375/2024
La questione concernente l'effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto dedotto in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla (salvo il caso del suo riconoscimento esplicito o implicito da parte del convenuto); con la conseguenza che la sua negazione si configura come una mera difesa che, contrariamente alle eccezioni in senso stretto, non è soggetta al termine di decadenza previsto, nell'opposizione allo stato passivo, dall'art. 99, commi 6 e 7, l.fall., ma può essere fatta valere anche oltre il termine dettato dalle predette disposizioni e rilevata d'ufficio dal giudice.
Cass. civ. n. 17787/2024
Il giudice di merito, nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto.
Cass. civ. n. 17113/2024
L'interpretazione della domanda giudiziale deve essere svolta dal giudice di merito tenendo conto non solo dell'espressione letterale delle conclusioni ma anche degli elementi desumibili dal complesso dell'atto e dalla considerazione complessiva degli atti contenenti le domande giudiziali. La violazione dei principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato può determinare la nullità della sentenza.
Cass. civ. n. 16662/2024
Il giudice del merito non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti e può ritenere implicitamente rigettate quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Cass. civ. n. 16595/2024
In caso di conto corrente bancario ancora aperto, la domanda di accertamento dell'illegittimità delle voci di debito applicate al rapporto e la richiesta restitutoria possono essere scrutinabili solo se sussiste un interesse ad agire attuale e concreto da parte del correntista.
Cass. civ. n. 13904/2024
La mancata riproposizione, nelle conclusioni formalmente rassegnate nell'atto di costituzione in appello, dell'eccezione di prescrizione sollevata in primo grado, non ne comporta la tacita rinuncia, ove, in base al tenore complessivo dell'atto, la pronuncia richiesta presupponga necessariamente l'esame dell'eccezione predetta, poiché essa ha natura di eccezione di merito con funzione estintiva della domanda. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, non ritenendo sussistente il vizio di extrapetizione in ordine all'eccezione di prescrizione, sollevata in primo grado e non reiterata nelle conclusioni della comparsa di costituzione in appello, poiché pienamente coerente con la richiesta di rigetto della domanda).
Cass. civ. n. 4419/2024
In tema di mantenimento da parte del genitore separato o divorziato del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l'altro genitore, il genitore obbligato non può pretendere di assolvere la propria prestazione direttamente nei confronti del figlio in mancanza della corrispondente domanda dello stesso; entrambi i soggetti (genitore istante e figlio) sono legittimati a percepire l'assegno ma è necessario rispettare il principio della domanda nel processo.
Cass. civ. n. 4414/2024
In tema di mantenimento da parte del genitore separato o divorziato del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l'altro genitore, sebbene quest'ultimo e il figlio siano entrambi legittimati a percepire l'assegno, tuttavia la decisione non può sottrarsi al principio della domanda.
Cass. civ. n. 4186/2024
In tema di obbligazioni pecuniarie, gli interessi - contrariamente a quanto avviene nell'ipotesi di somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento del danno, di cui integrano una componente necessaria - hanno fondamento autonomo rispetto al debito cui accedono e, pertanto, corrispettivi, compensativi o moratori che siano, possono essere attribuiti soltanto su espressa domanda della parte.
Cass. civ. n. 3992/2024
Il travisamento delle prove o delle deduzioni difensive non integra violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e non costituisce motivo valido per un ricorso per cassazione.
Cass. civ. n. 19123/2023
In materia di conto corrente bancario, l'assenza di rimesse solutorie eseguite dal correntista non esclude l'interesse di questi all'accertamento giudiziale, anche prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell'entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetizione delle somme illecitamente riscosse dalla banca, atteso che tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell'esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell'affidamento concessogli e nella riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto. In particolare, a prescindere dalla chiusura o meno del conto, è sempre sussistente l'interesse del correntista ad impugnare la statuizione che ha ritenuto prescritto il credito vantato in restituzione, facendo valere la natura ripristinatoria (e non quella solutoria, ritenuta dal giudice) delle rimesse effettuate.
Cass. civ. n. 18050/2023
La domanda con cui l'attore chieda di accertare la natura abusiva dell'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico originariamente idoneo a giustificare la consegna della cosa e la relazione di fatto tra questa ed il medesimo convenuto, dà luogo a un'azione di rivendicazione, non potendo qualificarsi alla stregua di azione personale di restituzione, neppure in quanto tendente al risarcimento in forma specifica della situazione possessoria esistente in capo all'attore prima del verificarsi dell'abusiva occupazione, non potendo il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 c.c. surrogare - al di fuori dei limiti in cui il possesso è tutelato dall'ordinamento - un'azione di spoglio ormai impraticabile.
Cass. civ. n. 14070/2023
Il mandato "ad litem" attribuisce al difensore la facoltà di proporre tutte le domande ricollegabili all'oggetto della causa, con esclusione degli atti (non espressamente menzionati) che comportano disposizione del diritto in contesa e delle domande con cui si introduce una nuova e distinta controversia, eccedente l'ambito della lite originaria. (Nella specie, relativa ad una controversia instaurata per il rilascio di un immobile concesso in comodato, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto che la procura alle liti, espressamente contemplante la possibilità di proporre domande riconvenzionali, non abilitasse il difensore del comodatario resistente a modificare l'originaria domanda volta all'accertamento della simulazione del contratto - con conseguente restituzione dei canoni versati in esecuzione della dissimulata locazione - in quella finalizzata, invece, all'accertamento della non gratuità del comodato predetto).
Cass. civ. n. 12353/2023
In caso di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, al fiduciario che non restituisca le azioni una volta richiesto dal fiduciante e non riversi al medesimo i dividendi azionari percepiti è inapplicabile il regime degli artt. 1147 e 1148 c.c. sul possesso di buona fede della cosa, risolvendosi per intero la vicenda nell'ambito della disciplina delle obbligazioni e dei contratti, onde il fiduciario è tenuto a pagare quanto ricevuto a titolo di dividendi sin dal momento in cui li abbia riscossi dalla società, e, sugli stessi, sono altresì dovuti gli interessi di pieno diritto dallo stesso momento, o, in presenza di una domanda in tal senso limitata ex art. 99 c.p.c., dal giorno della messa in mora.
Cass. civ. n. 26944/2018
Nel giudizio di divisione avente ad oggetto beni immobili, l'istanza di assegnazione in proprietà esclusiva e quella di vendita del bene sono da considerare fra loro antitetiche; ne consegue che, ove la parte che in precedenza abbia avanzato tale istanza, in sede di precisazione delle conclusioni, abbia formulato domanda di vendita, il giudice non può procedere all'assegnazione del bene in proprietà esclusiva, dovendosi presumere abbandonata la precedente istanza; né può assumere rilievo un'eventuale modifica di tali conclusioni formulata in sede di comparsa conclusionale, attesa la limitata funzione di quest'ultima, volta alla sola illustrazione delle conclusioni già assunte. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato, per ultrapetizione, l'impugnata sentenza che aveva attribuito ai ricorrenti un cespite oggetto di divisione alla cui assegnazione avevano poi rinunciato in sede di precisazione delle conclusioni, invocandone la vendita all'asta). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 03/07/2013).
Cass. civ. n. 18027/2018
La rinuncia ad una domanda si può configurare soltanto quando la parte, dopo aver formulato determinate conclusioni nel proprio scritto introduttivo, utilizzi la facoltà di precisazione e modificazione delle stesse prevista dall'art. 183, comma 6, c.p.c. ovvero precisi le conclusioni all'udienza ex art. 189 c.p.c., senza riproporre integralmente le conclusioni originarie, in tal modo evidenziando la propria volontà di abbandonare le domande non espressamente riproposte. Nell'ipotesi in cui, invece, il procuratore della parte non si presenti all'udienza di precisazione delle conclusioni o, presentandosi, non precisi le conclusioni o le precisi in maniera generica, vale la presunzione che la parte medesima abbia voluto tenere ferme le precedenti conclusioni. (Rigetta, TRIBUNALE ANCONA, 05/06/2015).
Cass. civ. n. 11789/2017
Nell’ambito di un giudizio risarcitorio, la domanda si intende estesa anche al risarcimento del danno che si produrrà nel corso del giudizio, a meno che non sia espressamente limitata al pregiudizio già verificatosi al momento della notifica della citazione, nel qual caso è ammissibile la richiesta in un nuovo giudizio del danno prodottosi successivamente, ciò non essendo precluso dalla statuizione precedente che, in coerenza con la relativa domanda, abbia limitato il risarcimento ad un determinato arco temporale, e neppure ponendosi in contrasto con il principio dell’infrazionabilità del credito, in quanto volto a sanzionare la diversa ipotesi della frammentazione in più giudizi di una domanda che può, dall’inizio, essere proposta per l’intero.
Cass. civ. n. 9044/2010
L'eccezione riconvenzionale consiste in una prospettazione difensiva che, pur ampliando il tema della controversia, è finalizzata, a differenza della domanda riconvenzionale, esclusivamente alla reiezione della domanda attrice, attraverso l'opposizione al diritto fatto valere dall'attore di un altro diritto idoneo a paralizzarlo. Ne consegue che l'inammissibilità della domanda riconvenzionale volta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un contratto di comodato ed il riconoscimento dell'esistenza di un contratto di affittanza agraria non travolge l'eccezione riconvenzionale relativa all'onerosità del rapporto, essendo quest'ultima necessariamente e logicamente insita nella linea difensiva del convenuto, ben potendo coesistere una domanda ed una eccezione, basate sulla stessa situazione che si pongono l'una come progressione difensiva dell'altra.
Cass. civ. n. 6629/2008
La parte istante può proporre, nello stesso giudizio, in forma alternativa o subordinata, due diverse richieste tra loro incompatibili, senza che le espressioni che manifestano l'intenzione di proporre domande subordinate, alternative o eventuali possano escludere di per sé la richiesta di accoglimento della domanda principale, specie se tale intenzione emerga da ulteriori sussidi interpretativi. Tale principio, a maggior ragione, deve trovare applicazione con riguardo alle eccezioni, formulate della parte convenuta, per resistere alle plurime pretese dell'attore.
Cass. civ. n. 17080/2007
La richiesta dell'istituto previdenziale di somme dovute a titolo di sanzione civile, dal soggetto inadempiente all'obbligo di versamento di contributi assicurativi, non si sottrae al principio della domanda, sicché è onere dell'istituto medesimo precisarne sia l'entità che la fonte normativa, non potendosi ritenere sufficiente la generica espressione « accessori di legge» (Nella specie la S.C. non ha ritenuto sussistente il vizio di omessa pronuncia della Corte territoriale, sulla domanda formulata così genericamente, impregiudicata la facoltà dell'istituto di proporre altro giudizio).
Cass. civ. n. 8105/2006
Nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità per il danno da fatto illecito imputabile a più persone (nel caso di specie, riconducibile a lesioni gravissime riportate da nascituro in occasione del parto), il giudice del merito adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l'azione di regresso nei confronti degli altri, o comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna. Da ciò deriva che, allorché il presunto autore di un fatto illecito - convenuto in giudizio unitamente ad altri, perché ritenuto responsabile, in solido con questi, dell'evento dannoso lamentato dall'attore - nega la propria responsabilità in ordine al verificarsi dell'evento denunziato, detto convenuto non propone, nei confronti degli altri convenuti, alcuna domanda, ma si limita a svolgere - ancorché assuma che, in realtà, gli altri convenuti sono responsabili esclusivi del fatto - delle mere difese, al fine di ottenere il rigetto, nei suoi confronti, della domanda attrice. Affinché, tali argomentazioni esulino dall'ambito delle mere difese ed integrino, ai sensi degli artt. 99 e ss. c.p.c., delle «domande» nei riguardi degli altri presunti responsabili, con il conseguente instaurarsi tra costoro di un autonomo rapporto processuale (diverso e distinto rispetto a quello tra il danneggiato e i singoli danneggiati) è, invece, indispensabile che il suddetto convenuto richieda espressamente, ancorché in via gradata e subordinatamente al rigetto delle difese svolte in via principale, l'accertamento della percentuale di responsabilità propria e altrui in relazione al verificarsi del fatto dannoso, domanda questa che, non potendosi ritenere implicita nella mera richiesta svolta nei confronti del solo attore di rigetto della sua domanda, non può essere introdotta, all'evidenza, per la prima volta in giudizio in grado di appello, né, a maggior ragione, in sede di giudizio di legittimità.
Cass. civ. n. 341/2002
La declaratoria di risoluzione del contratto, pur comportando, per il suo effetto retroattivo espressamente sancito dall'art. 1458 c.c., l'obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere i relativi provvedimenti restitutori, in assenza di domanda della parte interessata.
Cass. civ. n. 9569/1999
La circostanza che una questione idonea a costituire oggetto di una autonoma domanda rappresenti l'antecedente logico della domanda formulata dalla parte non esime la stessa dell'onere di farne oggetto di un'autonoma domanda al fine di conseguire una pronuncia non in via meramente incidentale sulla stessa. (Fattispecie relativa a domanda nei confronti di un confinante di eliminazione di alterazioni apportate al muro di confine e al rigetto della medesima sulla base dell'accertamento solo incidenter tantum della proprietà comune del muro e del mancato superamento dei limiti di utilizzazione posti dall'art. 884 c.c.).
Cass. civ. n. 7847/1998
Non è consentita la proposizione, oltre che di una domanda principale estesa sia all'an che al quantum, di una domanda subordinata limitata alla condanna generica (cioè con riserva di determinazione del quantum in un separato giudizio), in quanto il giudice, in base al principio di corrispondenza tra domanda e pronuncia giudiziale e a quello sulla ripartizione degli oneri probatori, ove sia carente la prova anche solo relativamente al quantum, deve rigettare la domanda principale, con la conseguenza che non può poi prendere in considerazione anche la domanda subordinata, che deve ritenersi improponibile, anche perché, per il principio del ne bis in idem, non può ammettersi che in un successivo giudizio possa essere ripetuto il già effettuato giudizio sul quantum.
Cass. civ. n. 6507/1984
Allorquando nell'atto introduttivo del giudizio la parte, dopo avere indicato quale petitum un certo importo, adopera la locuzione «minore o maggiore somma dovuta» o altra equipollente come «la somma che risulti in corso di causa», non può ritenersi che si tratti di una mera espressione di stile, ma deve attribuirsi alla locuzione stessa il significato suo proprio, e riconoscere che la parte non ha posto un limite preciso all'ammontare del quantum richiesto ma si è rimessa agli elementi probatori acquisiti o da acquisire e alla successiva valutazione di essi ad opera del giudice.
Cass. civ. n. 6400/1984
Per la proposizione di un'eccezione non si richiede l'impiego di formule sacramentali, ma è sufficiente qualsiasi deduzione, ed anche l'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio, che riveli l'intento del deducente di contrastare la domanda avversaria. Incorre, pertanto, in error in procedendo il giudice di merito che, di fronte ad una richiesta di prova, da parte del convenuto, rivolta a dimostrare il possesso ultraventennale del bene controverso e a paralizzare, così, la pretesa di controparte, ometta di esaminare l'eccezione riconvenzionale di usucapione implicita in tale richiesta, anche se non espressamente formulata, e di valutare, conseguentemente, l'ammissibilità e la rilevanza del mezzo invocato.
Cass. civ. n. 1692/1984
La rinunzia tacita alla domanda — che si configuri a seguito della sua mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni, ovvero di altro comportamento processuale o extraprocessuale della parte indicativo della volontà di porre fine al giudizio — non produce alcun effetto estintivo qualora la controparte chieda espressamente una pronuncia di merito che accerti l'infondatezza della domanda stessa, atteso il riconoscimento nell'ordinamento processuale vigente, alla stregua degli artt. 181, secondo comma, e 306 c.p.c., dell'interesse del convenuto ad una pronunzia di merito dichiarativa dell'inesistenza in concreto di una volontà di legge che attribuisca il bene della vita invocato dall'attore con la domanda.
Cass. civ. n. 577/1984
In applicazione dei principi di economia dei giudizi e di concentrazione processuale, la domanda proposta, con la comparsa di costituzione o nel verbale di prima udienza, da un convenuto contro altro convenuto, ove rientri nella competenza del giudice adito, è ammissibile anche in mancanza di una connessione oggettiva in senso proprio con la domanda principale, purché le due domande dipendano da uno o più fatti giuridici comuni alle parti (attore compreso), in modo che si presenti opportuna la loro trattazione simultanea.
Cass. civ. n. 2220/1980
Per il principio della domanda (artt. 2908 c.c. e 99 c.p.c.), che è all'origine dell'attribuzione del diritto di azione al soggetto interessato, l'invocazione della tutela giurisdizionale costituisce il contenuto di un diritto strettamente personale, nel senso che al titolare, in quanto tale, è rimesso chiedere, oppure no, la tutela in via autonoma di tale diritto, secondo la sua determinazione; ne consegue che è priva di autonomia la domanda con cui una parte, chiamata a formulare le sue conclusioni in relazione a una domanda proposta da un'altra parte del processo, si limiti a chiederne l'accoglimento, senza manifestare la sua volontà di far propria quella domanda. (Nella specie l'attrice, nel presupposto della inefficacia della legittimazione di una figlia naturale da parte del proprio genitore, ne aveva impugnato il testamento, affermando che alla convenuta era stata attribuita una quota superiore a quanto ad essa spettava per legge. A tale giudizio era stato riunito quello promosso dal procuratore della Repubblica per sentir dichiarare, in via di azione, la nullità della legittimazione per susseguente matrimonio. L'attrice si limitava a chiedere che fosse accolta la domanda proposta dal P.M. senza farla propria, ma la domanda del P.M. veniva rigettata per difetto di legittimazione e la sentenza, su tale punto, passava in giudicato per mancanza di impugnazione. In relazione a tali fattispecie, la Suprema Corte ha enunciato il principio di diritto contenuto nella massima che precede).