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Articolo 276 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Deliberazione

Dispositivo dell'art. 276 Codice di procedura civile

La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio. Ad essa possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione [114 disp. att.] (1).

Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa (2).

La decisione è presa a maggioranza di voti, il primo a votare è il relatore, quindi l'altro giudice e infine il presidente.

Se intorno a una questione si prospettano più soluzioni e non si forma la maggioranza alla prima votazione, il presidente mette ai voti due delle soluzioni per escluderne una, quindi mette ai voti la non esclusa e quella eventualmente restante, e così successivamente finché le soluzioni siano ridotte a due, sulle quali avviene la votazione definitiva.

Chiusa la votazione, il presidente scrive e sottoscrive il dispositivo (3). La motivazione è quindi stesa dal relatore, a meno che il presidente non creda di stenderla egli stesso o affidarla all'altro giudice [118, 119, 131, 141 disp. att.] (4).

Note

(1) La deliberazione in camera di consiglio, vale a dire senza la presenza di altri soggetti, è tesa ad assicurare la libertà della decisione da parte dei giudici.
Quanto alla composizione del collegio giudicante, all'inizio di ogni trimestre il Presidente del tribunale la determina per ogni udienza di discussione. La violazione dei criteri stabiliti dall'art. 114 delle disp. att. c.p.c. comporta nullità della sentenza, insanabile e rilevabile d'ufficio.
Il principio della immutabilità del giudice comporta che la decisione possa essere presa solo sai giudici davanti ai quali si è svolta la discussione: la conseguenza della violazione di tale principio implica la nullità della sentenza riconducibile al vizio di costituzione del giudice (art. 158 del c.p.c.).
(2) Qualora, come può accadere, le questioni pregiudiziali siano plurime, si ritiene che debbano essere affrontate per prime quelle che abbiano una precedenza logica o giuridica rispetto alle altre: ad esempio, dovrebbero essere deliberate inizialmente le questioni relative alla competenza e alla regolarità del processo. In ogni caso, è il collegio a stabilire l'ordine col quale le questioni di fatto e di diritto vanno decise. Solo secondo una parte della giurisprudenza il giudice dovrebbe esaminare le questioni nell'ordine prospettato dalle parti, salvo quelle rilevabili d'ufficio.
(3) Il dispositivo sottoscritto dal presidente non è atto definitivo, tanto che può, e deve, essere modificato se, prima della pubblicazione della sentenza, entri in vigore una nuova normativa che disciplini i rapporti oggetto del giudizio (ius superveniens).
Nei casi in cui il collegio abbia deciso secondo equità, nel dispositivo dovrà essere indicato l'utilizzo di tale criterio: ad esempio, il giudice decide in via equitativa l'ammontare del danno, se il quantum non può essere provato precisamente (art. 1226 del c.c.).
(4) La motivazione della sentenza, che non è altro se non la descrizione dell'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione, è un elemento essenziale del provvedimento. Essa è di regola scritta dal giudice relatore, a meno che egli sia dissenziente rispetto alla decisione adottata a maggioranza: in questo caso, è il presidente stesso a stenderla oppure la affida all'altro giudice.
L'estensore predispone una minuta che viene letta dal presidente al collegio, se ciò sia opportuno. Il presidente può invitare l'estensore a correggere o integrare la motivazione, senza poter però toccare la minuta.
Una volta che il contenuto di questa sia confermato, il presidente la sottoscrive e la consegna al cancelliere. Il presidente ed il relatore, verificata la corrispondenza fra l'originale redatto dal cancelliere e la minuta, sottoscrivono la sentenza, che viene resa pubblica con il deposito dell'originale sottoscritto in cancelleria.

Brocardi

Quod maior pars curiae effecit, pro eo habetur, ac si omnes egerint

Spiegazione dell'art. 276 Codice di procedura civile

Il primo comma della norma in esame sancisce il principio di immodificabilità del collegio giudicante, disponendo che alla deliberazione della decisione possono partecipare soltanto «i giudici che hanno assistito alla discussione».

L'udienza pubblica di discussione rappresenta una mera eventualità lasciata alla libera iniziativa delle parti, alle quali viene riconosciuto il potere di chiedere, in sede di precisazione delle conclusioni, che la causa sia discussa oralmente, salva la necessità di reiterare la richiesta al Presidente del Tribunale alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica (in tal senso si veda art. 275 del c.p.c.).

Della natura eventuale dell'udienza pubblica di discussione se ne ha anche avuto conferma con il successivo D.Lgs. 19.2.1998, n. 51, istitutivo del giudice unico di primo grado.
Poiché a seguito delle due riforme del '90 e del '98, normalmente l'ultima udienza prima della deliberazione della sentenza è quella di precisazioni delle conclusioni, e considerato che la lettera dell'art. 276 si riferisce esplicitamente alla "discussione", tale disposizione sembra doversi applicare alle sole cause che, ai sensi dell'[[50 biscpc]], introdotto con il D.Lgs. 19.2.1998, n. 51, devono decidersi collegialmente, e solo ove sia stata disposta la discussione orale.

Il principio di immutabilità, sancito dalla seconda parte del primo comma (e inteso nel senso che, ai fini della validità della sentenza è necessaria l'identità tra il giudice dinnanzi al quale si è svolta la discussione e quello che ha provveduto alla sua deliberazione), ha carattere generale, con la conseguenza che sarà applicabile anche alle cause da decidersi dal giudice unico e anche in assenza di discussione orale.
L’attribuzione all'immutabilità del collegio giudicante della natura di principio generale, ne ha comportato l'applicazione anche a giudizi diversi da quello ordinario di cognizione.
Così tale principio è stato ritenuto applicabile anche:
a) nel giudizio fallimentare nella fase del c.d. giudizio prefallimentare, disciplinato dall'art. 15 della l. fall..,
b) nel giudizio di dichiarazione di paternità o maternità e in generale nei giudizi camerali;
c) nel processo tributario: nell’ambito di tale procedimento il principio non si ritiene violato ove ad una prima udienza di discussione innanzi ad un determinato collegio, segua altra udienza di discussione innanzi ad un collegio diverso e qualora la decisione sia deliberata dal secondo collegio che ha trattenuto la causa in decisione.
d) nei giudizi decisi con il rito del lavoro: in tali giudizi il principio della immodificabilità del collegio giudicante trova applicazione solo dal momento in cui inizia la discussione vera e propria.
e) nel processo amministrativo: anche qui, ai sensi degli artt. 276 c.p.c. e 114-117 disp. att., il collegio davanti al quale è stata discussa la causa dovrà, a pena di nullità, deciderla.

L'immodificabilità del collegio giudicante opera solo dal momento in cui inizia la discussione, rimanendo escluse le precedenti fasi di assunzione delle prove o di trattazione della causa.
La nullità della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione può essere dichiarata solo quando vi sia la prova della mancata partecipazione al collegio deliberante di un giudice che aveva partecipato a quella fase processuale (tale prova è fornita dal processo verbale redatto all'udienza di discussione).

La violazione dell'art. 276, 1° co. determina l'invalidità della decisione emessa da un collegio diverso da quello innanzi al quale si è svolta la discussione.
Diversi sono i dubbi sorti in ordine alla qualificazione di tale vizio e in particolare si è discusso se lo stesso debba essere qualificato come vizio soggetto alla regola di cui all'art. 161 del c.p.c. comma 1 (e quindi alla conversione in motivi di gravame) o se si tratti di un vizio che conduce ad una nullità insanabile e rilevabile d'ufficio ovvero, infine, se si tratti di vizio equiparabile alla mancata sottoscrizione della sentenza ex art. 161 c.p.c. comma 2, con conseguente inesistenza della pronuncia.

Parte della dottrina è dell’opinione che il vizio conseguente alla violazione dell'art. 276, 1° co., sarebbe soggetto alla conversione delle nullità in motivi di gravame ex art. 161, 1° co.; secondo altra parte della dottrina, invece, si tratterebbe di un vizio insanabile e rilevabile d'ufficio, ma in caso di sentenza appellabile o ricorribile per cassazione, il vizio dovrebbe essere fatto valere nei limiti e nei termini di questi mezzi di impugnazione.

Il secondo comma della norma indica l'ordine secondo cui le varie questioni in cui si articola la causa devono essere decise.
Prima dovranno essere decise le questioni pregiudiziali (siano esse rilevabili d'ufficio o proposte dalle parti) e successivamente, il merito della controversia.
Le ragioni di tale ordine sono di tipo logico più che giuridico, in quanto la positiva decisione di una questione pregiudiziale può assorbire le questioni di merito successive.

Si è poi ritenuto che, nell'ambito delle questioni pregiudiziali, dovranno essere decise prima le questioni preliminari di rito e poi le questioni di merito, incominciando con quelle pregiudiziali.
Nel caso in cui sussistano più questioni pregiudiziali, si esaminano per prima le questioni relative alla competenza ed, in particolare, quella territoriale (secondo altra tesi in via preliminare dovrebbero comunque essere decise le questioni relative alla regolarità degli atti introduttivi, quindi quelle sui presupposti processuali e infine quelle sulle condizioni dell'azione).

Il mancato rispetto dell'ordine logico delle questioni può farsi valere come motivo di impugnazione solo nel caso in cui si traduca in contraddittorietà della motivazione per difetto di consequenzialità logica fra questioni tra loro dipendenti.
Una volta individuate le questioni pregiudiziali da decidere preliminarmente e quelle di merito da decidere in seguito, la decisione in ordine a ciascuna delle questioni va presa a maggioranza di voti ai sensi dell'art. 276, 3° co.

Quando, poi, in relazione ad una questione sono prospettate più soluzioni, vengono messe ai voti due delle soluzioni per escluderne una (è il Presidente che formula le questioni, e vota poi per ultimo); dopodichè viene messa ai voti quella non esclusa con l'eventuale ulteriore soluzione proposta e ciò sino a quando rimangano solo due soluzioni sulle quali avviene poi la votazione definitiva ai sensi del quarto comma della norma in esame.
Le suddette attività, ovviamente, rimangono coperte dal segreto della decisione in camera di consiglio.

Una volta chiusa la votazione, l’ultimo comma della norma in esame prevede che il presidente provveda a redigere e a sottoscrivere il dispositivo.
Quest'ultimo nell'ambito del processo ordinario di cognizione deve essere considerato come atto interno non vincolante, tanto da potere essere modificato se tra il momento della sua redazione e quello del deposito della sentenza si verifichino modifiche legislative in grado di incidere sull'esito della controversia (ciò non vale nell'ambito del rito del lavoro, ove il dispositivo della sentenza fissa irretrattabilmente il decisum e non può essere modificato in sede di redazione della sentenza).

La motivazione della sentenza (che consiste nell'esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione), è stesa ex art. 119 disp. att. dal giudice relatore (che diviene così anche giudice estensore), salvo che il Presidente non decida di redigerla egli stesso o di affidarla ad altro giudice componente il collegio che ha espresso voto favorevole alla decisione.

Per quanto concerne le modalità di redazione della sentenza, va detto che l'[[118dispatt]]. prevede che debbano essere esposte in ordine le questioni discusse e decise, nonché indicate le norme di legge e i principi di diritto applicati al caso concreto; ove poi la decisione sia pronunciata ai sensi dell'art. 114 dovranno essere indicate le ragioni di equità sulle quali si fonda la decisione.

Dopo che l’estensore ha provveduto a redigere la minuta ex [[119dispatt]]., la stessa viene presentata al presidente che la sottoscrive insieme con l'estensore, per poi consegnarla al cancelliere; quest'ultimo provvede a scrivere l'originale o ne affida la scritturazione al dattilografo ex art. 132 del c.p.c..

La dottrina ritiene che la deliberazione non sia ancora sentenza e che dunque i mutamenti legislativi che intervengono successivamente a tale fase possono portare a un mutamento della decisione finale oltre che a un mutamento del dispositivo redatto ex art. 276, salvo il caso del rito del lavoro, ove il dispositivo fissa irretrattabilmente il decisum.
Il dies ad quem, oltre il quale non si può procedere a una nuova deliberazione è rappresentato dal momento in cui la sentenza è resa pubblica, cioè dal suo deposito ex art. 133 del c.p.c.: da tale momento la sentenza acquista la sua esistenza giuridica e diventa immodificabile.

La possibilità di applicare lo ius superveniens dopo la deliberazione è fondata sul fatto che solo con il deposito la sentenza diventa di dominio pubblico e vincolante e quindi solo in tale momento il giudice esaurisce la potestà di decidere.
E’ stato anche sottolineato che, ove il collegio che ha deliberato in precedenza non sia più convocabile (ad esempio per morte di uno dei componenti) si potrà procedere a una nuova deliberazione, procedendo alla formazione di un nuovo collegio, alla rimessione della causa sul ruolo e quindi a una nuova deliberazione che tenga conto dello ius superveniens.

Massime relative all'art. 276 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 6086/2021

Il principio di immutabilità del giudice trova applicazione con riferimento all'inizio della discussione, sicché, anche nel rito del lavoro, la diversità di composizione tra il collegio che ha assistito alla stessa e quello che ha deciso determina la nullità assoluta e insanabile della pronuncia. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 11/04/2019).

Cass. civ. n. 7941/2020

Una pronuncia di primo grado che, senza affermare espressamente l'ammissibilità di una domanda riconvenzionale, rigetti la stessa per ragioni di merito, non implica alcuna statuizione implicita sull'ammissibilità di tale domanda, destinata a passare in giudicato se non specificamente impugnata. Ne consegue che, in tale ipotesi, il giudice di secondo grado, investito dell'appello principale della parte rimasta soccombente sul merito, conserva - pur in assenza di appello incidentale, sul punto, della parte rimasta vittoriosa sul merito - il potere, e quindi il dovere, di rilevare d'ufficio l'inammissibilità di detta domanda e l'omissione di tale rilievo è censurabile in cassazione come "error in procedendo". (Cassa senza rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 08/05/2013).

Cass. civ. n. 4255/2020

Tra il collegio giudicante dinanzi al quale le parti hanno rassegnato le definitive conclusioni, ed ha assunto la causa in decisione, e quello che delibera la decisione, vi deve essere perfetta corrispondenza, non potendo essere sostituito un componente nella fase compresa tra l'udienza di precisazione delle conclusioni ed il deposito della sentenza, se non previa rinnovazione di detta udienza, a pena di nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice; tale principio, estensibile anche al giudice monocratico, vale per tutte le attività preliminari rispetto alla decisione e quindi non soffre deroga in caso di "incidente decisorio", allorché il giudice emetta ordinanza ex art. 101, comma 2, c.p.c. ritenendo di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, stante il dovere costituzionale del rispetto del contraddittorio e il divieto di decisioni cd. della "terza via". (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la nullità della sentenza impugnata perché, assunta la causa in decisione, un collegio diversamente composto aveva concesso termine alle parti per memorie su una questione rilevata d'ufficio, sebbene la sentenza fosse stata poi pronunciata dal medesimo collegio che aveva riservato la decisione). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CAMPOBASSO, 20/08/2014).

Cass. civ. n. 2779/2020

La sentenza emessa da un magistrato diverso da quello che, a seguito della precisazione delle conclusioni, ha trattenuto la causa in decisione, deve ritenersi nulla, perché deliberata da un soggetto che è rimasto estraneo alla trattazione della causa. Qualora si renda necessario procedere alla sostituzione del magistrato che ha già trattenuto la causa in decisione, non è sufficiente un decreto del capo dell'Ufficio che dispone la sostituzione, ma il nuovo giudice nominato deve convocare le parti dinanzi a sé perché precisino nuovamente le conclusioni. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 09/04/2018).

Cass. civ. n. 30745/2019

Chi interviene volontariamente in un processo ha sempre la facoltà di formulare domande nei confronti delle altre parti, quand'anche sia spirato il termine di cui all'art. 183 c.p.c. per la fissazione del "thema decidendum"; né tale interpretazione dell'art. 268 c.p.c. viola il principio di ragionevole durata del processo od il diritto di difesa delle parti originarie del giudizio, poiché l'interveniente, dovendo accettare il processo nello stato in cui si trova, non può dedurre, ove sia già intervenuta la relativa preclusione, nuove prove e, di conseguenza non vi è né il rischio di riapertura dell'istruzione, né quello che la causa possa essere decisa sulla base di fonti di prova che le parti originarie non abbiano potuto debitamente contrastare.

Cass. civ. n. 363/2019

In applicazione del principio processuale della "ragione più liquida", desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell'evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare ai sensi dell'art. 276 c.p.c.(Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso dell'Amministrazione finanziaria volto a far dichiarare non dovuta l'agevolazione di cui all'art. 33 della l. n. 338 del 2000 affermando, in accoglimento del ricorso incidentale, la decadenza della stessa dall'esercizio della pretesa impositiva, stante il carattere pregiudiziale della relativa censura).

Cass. civ. n. 22238/2017

Il principio di immutabilità del giudice, di cui all'art. 276 c.p.c., prevede che la decisione sia deliberata dai giudici che hanno assistito alla discussione, i quali non devono essere necessariamente gli stessi davanti ai quali la causa sia stata trattata nel corso di tutto il giudizio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non affetta da nullità la sentenza dichiarativa dell'estinzione del giudizio emessa da un collegio differente da quello che aveva preventivamente dichiarato l'interruzione).

Cass. civ. n. 21806/2017

La data di deliberazione della sentenza, a differenza della data di pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), non è un elemento essenziale dell'atto processuale, sicché tanto la sua mancanza, quanto la sua erronea indicazione, non integrano alcuna ipotesi di nullità, ma costituiscono fattispecie di mero errore materiale,come tale emendabile ex artt. 287 e 288 c.p.c.

Cass. civ. n. 2201/2016

La questione relativa alla nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio riguarda la valida costituzione del rapporto processuale, sicché deve essere esaminata prima della questione di giurisdizione, la quale presuppone pur sempre l'instaurazione di un valido contraddittorio tra le parti.

Cass. civ. n. 23423/2014

L'accertamento della sussistenza in capo al magistrato della "potestas iudicandi", che lo legittima all'adozione di un provvedimento giurisdizionale, va compiuto al momento della deliberazione della decisione, e non a quello del deposito della minuta, in quanto la decisione è "presa" quando si delibera in camera di consiglio, mentre le successive fasi dell'"iter" formativo dell'atto (e cioè la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la pubblicazione) non incidono sulla sostanza della pronuncia. Pertanto, ai fini dell'esistenza, validità ed efficacia della sentenza, è irrilevante che, dopo la decisione, uno dei componenti di un organo collegiale venga collocato fuori ruolo o a riposo.

La composizione dei collegi giudicanti è disposta dal Presidente dell'ufficio giudiziario, secondo le esigenze dell'ufficio stesso, e la circostanza che il collegio cui venga rimessa la causa per la decisione sia composto in modo diverso da quello che, in precedente occasione, aveva preso in decisione la causa rimettendola sul ruolo per adempimenti istruttori, non importa alcuna nullità della sentenza emessa, perché non vi è alcun vizio di costituzione del giudice.

In tema di deliberazione delle sentenze, salvo le ipotesi espressamente disciplinate dalla legge, in cui anche nel processo civile vige il principio della decisione immediata, nessun termine è previsto in via generale per l'apertura della camera di consiglio, sicché, nel giudizio ordinario di cognizione, la circostanza che la sentenza sia deliberata in data diversa da quella in cui si è celebrata l'udienza di discussione non determina di per sé la nullità del processo, né della sentenza.

Cass. civ. n. 12002/2014

Il principio della "ragione più liquida", imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare, di cui all'art. 276 cod. proc. civ., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall'art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione - anche se logicamente subordinata - senza che sia necessario esaminare previamente le altre.

Cass. civ. n. 8593/2014

Il principio di immutabilità del giudice, di cui all'art. 276 cod. proc. civ., è applicabile solo dal momento in cui inizia la discussione e non si riferisce alle eventuali precedenti fasi interlocutorie. Ne consegue che, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, il quale (nella disciplina anteriore al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) è strutturalmente articolato in due fasi - la prima destinata alla raccolta di informazioni, nonché all'ascolto dei creditori e del debitore, e la seconda alla decisione -, tale principio opera con esclusivo riferimento alla seconda fase, per cui non sussiste violazione ove il giudice delegato all'audizione delle parti abbia poi riferito a collegio diverso da quello che lo aveva delegato.

Cass. civ. n. 39/2014

La predisposizione della bozza del dispositivo di una decisione prima che essa sia stata assunta (nella specie, dal giudice collegiale) non determina alcuna nullità, né costituisce comportamento lesivo del diritto di difesa delle parti, ma integra, per contro, una condotta apprezzabile, anche sul piano deontologico, in quanto espressione tangibile della professionalità del giudice relatore, tenuto, in quanto tale, a formarsi un serio ed attrezzato convincimento sulla controversia oggetto di cognizione ed a fornire una meditata ipotesi di decisione da sottoporre alla discussione in camera di consiglio, ben potendo in questa sede - e sino alla sottoscrizione del dispositivo della sentenza - pervenirsi a qualsivoglia soluzione sulla controversia.

Cass. civ. n. 15863/2013

Nel procedimento diretto alla dichiarazione del fallimento non può dirsi violato il principio della immutabilità del giudice, sancito dall'art. 276 c.p.c., ancorché il giudice delegato che ha proceduto all'audizione del debitore sia rimasto estraneo al collegio che ha deliberato la dichiarazione di fallimento, atteso che il predetto principio è applicabile solo dal momento in cui inizia la discussione - la quale non può essere identificata con l'audizione del debitore - e non si riferisce a precedenti fasi interlocutorie, come quelle destinate, nel procedimento prefallimentare, alla raccolta di informazioni e all'ascolto dei creditori e del debitore.

Cass. civ. n. 9881/2012

La deliberazione della decisione in una data ricadente nel periodo di sospensione feriale dei termini processuali (ovvero tra il 1° agosto ed il 15 settembre), allorché l'udienza di discussione della causa si sia comunque tenuta al di fuori di detto periodo, non determina violazione delle norme, di cui agli artt. 90 e 92 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, che precludono la trattazione degli affari civili non urgenti durante le ferie annuali dei magistrati, svolgendosi la fase della deliberazione della decisione in segreto nella camera di consiglio, senza la partecipazione delle parti, con conseguente insussistenza delle ragioni che, al fine di consentire alle parti stesse di agire e di difendersi in giudizio, sono a base della disciplina delle attività consentite; né alcuna norma discendente dai principi regolatori del giusto processo vieta ai magistrati, ancorché non in turno di servizio, di provvedere durante il periodo feriale, oltre che a scrivere e depositare sentenze, a riunirsi in camera di consiglio per deliberare la decisione di controversie già discusse dalle parti, essendo, anzi, la sollecita definizione della fase decisoria espressione del rispetto del canone del buon andamento del servizio giustizia, funzionale alla realizzazione dell'obiettivo della ragionevole durata del processo stesso.

Cass. civ. n. 9369/2012

La decisione di primo grado deliberata in camera di consiglio da un collegio diverso, in uno o più membri, da quello che ha assistito alla discussione della causa, in violazione dell'art. 276, primo comma, c.p.c., è causa di nullità della sentenza, riconducibile al vizio di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 c.p.c. ed è soggetta al relativo regime, con la conseguenza che il giudice d'appello che rilevi anche d'ufficio detta nullità è tenuto a trattenere la causa e a deciderla nel merito, provvedendo alla rinnovazione della decisione come naturale rimedio contro la rilevazione della nullità e non deve, invece, rimettere la causa al primo giudice che ha pronunciato la sentenza affetta da nullità, in quanto non ricorre nella specie alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dall'art. 354 c.p.c., dovendosi escludere che il vizio in questione sia assimilabile al difetto assoluto di sottoscrizione della sentenza, contemplato dall'art. 161, secondo comma, del codice di rito, per il quale, invece, detta rimessione è imposta dallo stesso art. 354. (Nella specie, la causa era stata decisa in primo grado da un giudice onorario aggregato designato dal presidente del tribunale in sostituzione del magistrato dinanzi al quale erano state precisate le conclusioni e che aveva trattenuto la causa in decisione; la Corte non ha cassato la sentenza impugnata, avendo il giudice d'appello sostanzialmente rinnovato il giudizio di merito e la decisione di primo grado).

Cass. civ. n. 8529/2012

La diversità fra la data di deliberazione della sentenza indicata in calce alla medesima e la data dell'udienza collegiale fissata per tale deliberazione non è di per sè sola sufficiente a far ritenere, nel caso che quest'ultima sia successiva, che la sentenza sia stata deliberata prima di tale udienza, cioè a far ritenere superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del collegio, e si configura, invece, come frutto di mero errore materiale non invalidante.

Cass. civ. n. 16738/2011

Il principio secondo cui l'immutabilità del collegio, anche nel caso in cui la trattazione della causa si svolga in più udienze, trova applicazione soltanto una volta che abbia avuto inizio la fase di discussione, in quanto solo da questo momento è vietata la deliberazione della sentenza da parte di un collegio composto diversamente da quello che ha assistito alla discussione, riguarda anche i procedimenti in camera di consiglio (tra i quali va annoverato quello di cui all'art. 131 legge fall. in tema di reclamo avverso il decreto di omologazione del concordato fallimentare), nei quali, mancando una fase istruttoria, non viene nominato un giudice istruttore ma solo un relatore, con la conseguenza che non è vietata la sostituzione di uno o più componenti del collegio prima che abbia inizio la discussione, anche quando quest'ultima si svolga in un'udienza diversa da quelle destinate alla raccolta degli elementi da valutare ai fini della decisione.

Cass. civ. n. 14781/2010

Il principio di immutabilità del giudice di cui all'art. 276 c.p.c., secondo il quale alla decisione della causa possono partecipare solo i giudici che hanno assistito alla discussione, non si estende alle udienze svolte in precedenza, di mero rinvio o, nel giudizio di appello, di decisione sull'istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza impugnata.

Cass. civ. n. 18268/2009

In tema di deliberazione collegiale della decisione nel regime successivo alla riforma recata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, l'art. 276, primo comma, c.p.c. - rimasto invariato nella sua formulazione, la quale prevede che alla deliberazione della decisione "possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione" - va interpretato nel senso che i giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni. Pertanto, in grado di appello, in base alla disciplina di cui al novellato art. 352 c.p.c., il collegio che delibera la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l'ultima attività processuale (cioè la discussione o la precisazione delle conclusioni), conseguendone la nullità della sentenza nel caso di mutamento della composizione del collegio medesimo.

Cass. civ. n. 11655/2008

Il momento della pronuncia della sentenza nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto all'ufficio per potere adottare un provvedimento giuridicamente valido va identificato con quello della deliberazione della decisione collegiale, mentre le successive fasi dell'iter formativo dell'atto, e cioè la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la conseguente pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia. Ne consegue che anche un giudice che ha cessato di essere titolare dell'organo deliberante può redigere la motivazione della sentenza e sottoscriverla. (Fattispecie relativa a sentenza resa dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura depositata dopo che i componenti del Consiglio erano cessati dalle funzioni per scadenza del mandato consiliare ).

Cass. civ. n. 26327/2007

L'identità della persona fisica del magistrato è prescritta, a pena di nullità, solo fra il magistrato che recepisce le conclusioni all'udienza all'uopo fissata e quello che decide la causa; ne consegue che non sussiste nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice – nella specie tribunale in composizione monocratica – nel caso di cambiamento tra il magistrato che istruisce la causa e quello che, avendo partecipato all'udienza di precisazione delle conclusioni, la decide, tenuto conto d'altronde che la sostituzione di giudici di pari funzioni, appartenenti al medesimo ufficio giudiziario, disposta al di fuori del procedimento di variazione tabellare, costituisce una mera irregolarità, e non incide sulla validità dei provvedimenti giudiziari adottati.

Cass. civ. n. 23191/2006

Il momento della pronuncia della sentenza – momento nel quale il magistrato deve essere legittimamente preposto all'ufficio per potere adottare un provvedimento giuridicamente valido – va identificato con quello della deliberazione della decisione, mentre le successive fasi dell'iter formativo dell'atto, e cioè la stesura della motivazione, la sua sottoscrizione e la conseguente pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia, sicché, ai fini dell'esistenza, validità ed efficacia di quest'ultima, è irrilevante che, dopo la decisione, il giudice singolo, o uno dei componenti di un organo collegiale, per circostanze sopravvenute, come il trasferimento, il collocamento fuori ruolo o a riposo, la mancata riconferma nell'incarico di giudice onorario o la cessazione del suo periodo di reggenza dell'ufficio, sia cessato dalle funzioni presso l'ufficio investito della controversia. Nel caso in cui manchi la data della deliberazione, si deve ritenere che la causa sia stata decisa nel momento in cui il giudice poteva e doveva decidere (nella specie, trattandosi di controversia decisa da un giudice di pace, immediatamente dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni e discussione della causa, ex art. 321 c.p.c.).

Cass. civ. n. 28248/2005

Una volta che la decisione (nella specie, della corte d'appello) sia stata deliberata dallo stesso collegio giudicante che aveva raccolto le conclusioni formulate dalle parti e ritenuto la causa a sentenza, non è configurabile un difetto di costituzione del giudice per il solo fatto che non sia stata data notizia alle parti di una variazione intervenuta nella composizione del collegio.

Cass. civ. n. 20166/2004

Il principio di immutabilità del giudice, di cui all'art. 276 c.p.c., è applicabile solo dal momento in cui inizia la discussione e non si riferisce alle eventuali precedenti fasi interlocutorie; nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, il quale è ontologicamente distinto in due fasi — la prima destinata alla raccolta di informazioni, nonché all'ascolto dei creditori e del debitore, e la seconda alla decisione — tale principio opera con esclusivo riferimento alla seconda fase e ancor meno opera, in caso di dichiarazione di fallimento consecutiva all'ammissione alla procedura di concordato preventivo, con riferimento al collegio che ha dichiarato il fallimento rispetto a quello davanti al quale le parti sono comparse nella procedura di concordato, trattandosi di procedura distinta.

Cass. civ. n. 13998/2004

La sentenza di merito deliberata in camera di consiglio da un collegio diverso, in uno o più componenti, da quello che ha assistito alla discussione della causa o, se discussione non vi è stata, diverso da quello innanzi al quale sono state precisate le conclusioni in violazione dell'art. 276, primo comma, c.p.c., è affetta da nullità riconducibile al vizio di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 c.p.c.

Cass. civ. n. 12948/2004

Anche nel nuovo contesto di cui alla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, con cui è stato novellato l'art. 111 Cost., la composizione del collegio giudicante è immodificabile solo dal momento dell'inizio della discussione, mentre, prima di tale momento, è rimessa al giudizio insindacabile del presidente del tribunale o della corte la sostituzione dei giudici che compongono il collegio, ancorché gli stessi abbiano già concorso ad emettere sentenza non definitiva.

Cass. civ. n. 8720/2004

Il mancato rispetto, da parte del giudice, dell'ordine logico in cui si pongono le questioni insorte nel processo può rilevare come motivo di impugnazione della sentenza solo nella eventualità che abbia determinato una contraddittorietà della motivazione. (Nella specie avverso una domanda risarcitoria erano stati eccepiti il giudicato e la prescrizione dei diritti vantati e il giudice di secondo grado aveva esaminato per prima quest'ultima eccezione, decidendo nel senso della sua fondatezza, sul presupposto dell'esclusione della formazione di un giudicato; la S.C nel confermare la sentenza di merito ha osservato che l'accoglimento della eccezione rendeva superfluo l'esame della questione attinente il giudicato, in quanto assorbita).

Cass. civ. n. 5854/2004

La sentenza emessa da un magistrato diverso da quello che, a seguito della precisazione delle conclusioni, ha trattenuto la causa in decisione, deve ritenersi nulla, perché deliberata da un soggetto che è rimasto estraneo alla trattazione della causa. Qualora si renda necessario procedere alla sostituzione del magistrato che ha già trattenuto la causa in decisione, non sarà sufficiente un decreto del capo dell'Ufficio che dispone la sostituzione, ma il nuovo giudice nominato dovrà convocare le parti dinanzi a sé perché precisino nuovamente le conclusioni. (Fattispecie relativa al giudizio d'appello relativo a sentenza del giudice di pace deciso dal tribunale in composizione monocratica).

Cass. civ. n. 15895/2003

In tema di deliberazione e deposito delle sentenze, ed escluse le ipotesi in cui anche nel processo civile viga il principio della decisione immediata, ove la causa sia stata decisa dopo l'udienza di discussione, non incide sulla validità della decisione stessa la circostanza che questa sia stata deliberata dal collegio, nella medesima composizione, in un giorno diverso da quello della spedizione a sentenza, posto che nessun termine è fissato per l'apertura della camera di consiglio in rapporto alla chiusura della precedente fase di discussione della causa, e l'inizio e il tempo delle operazioni di deliberazione sono rimesse al potere discrezionale del presidente.

Cass. civ. n. 3390/2003

La composizione del collegio, immodificabile solo dall'inizio della discussione, riguarda lo svolgersi di ciascun giudizio e non lo svolgersi di diversi giudizi, quali sono quello che dà luogo alla sentenza definitiva rispetto a quello conclusosi con sentenza non definitiva.

Cass. civ. n. 3258/2003

Qualora le vicende del giudizio ne comportino la decisione in fasi diverse (ad esempio, come nella specie, con l'emissione di sentenza non definitiva seguita da sentenza definitiva) non è causa di nullità la circostanza che la composizione del collegio risulti diversa nelle due decisioni, atteso che il principio dell'immodificabilità del collegio giudicante trova attuazione solo dal momento dell'inizio della discussione e va valutato esclusivamente in rapporto alla decisione che segue tale discussioni.

Cass. civ. n. 11541/2002

Quando vi sia coincidenza tra la composizione del collegio giudicante, risultante dall'intestazione della sentenza e quella indicata nel verbale dell'udienza di discussione della causa, che, quale atto pubblico, fa piena prova fino a querela di falso, giusta il disposto dell'art. 2700 c.c., le risultanze di detti atti, quanto alla composizione del collegio giudicante, possono essere superate solo dopo il positivo esperimento, su richiesta della parte interessata, della querela di falso.

Cass. civ. n. 6456/1996

L'art. 276, comma quinto, c.p.c., il quale prevede che la motivazione della sentenza è stesa dal relatore, a meno che il presidente non creda di stenderla egli stesso o affidarla all'altro giudice, pone una presunzione – ribadita dall'art. 119, secondo comma, att. c.p.c., che indica come sottoscrittori il presidente ed il relatore – di coincidenza delle figure del relatore e dell'estensore della sentenza. Tale presunzione può essere vinta solo dalla dimostrazione, in base alla documentale formulazione della stessa sentenza, dell'avvenuta sostituzione nella posizione di estensore del giudice autore della relazione con il presidente o con l'altro giudice. (Nella specie, sulla sentenza, oltre alla sottoscrizione del presidente, figurava un'altra sottoscrizione, illeggibile, non accompagnata dalla qualifica di estensore. Tale sottoscrizione, secondo il giudice di merito doveva ritenersi del relatore, essendo essa conforme a quella del giudice istruttore risultante dai verbali di causa e non essendo contestata la coincidenza di quest'ultimo con il relatore).

Cass. civ. n. 2019/1995

È pienamente legittima la sentenza in calce alla quale si dia atto che il provvedimento stesso è stato adottato e redatto in collaborazione con un uditore giudiziario, atteso che, da un lato, né le partecipazione dell'uditore all'udienza, né la sua presenza in camera di consiglio alterano in alcun modo la composizione del giudice, che rimane monocratico o collegiale indipendentemente dalla presenza di una persona che, essendo sfornita di funzioni giudiziarie, non è in grado di influire col suo voto sulla decisione da adottare, e, dall'altro, che la sentenza stessa, anche se redatta dall'uditore, viene sottoscritta dal giudice relatore solo dopo la verifica che la motivazione stessa corrisponde esattamente all'opinione del giudicante.

Cass. civ. n. 8418/1994

La disposizione (art. 276 c.p.c.) che impone la partecipazione, alla deliberazione della decisione, degli stessi giudici che componevano il collegio all'udienza di discussione — da osservarsi anche con riguardo al procedimento (disciplinato dalla L. 8 luglio 1980, n. 319, col richiamo alla L. 13 giugno 1942, n. 794, sulla liquidazione degli onorari agli avvocati e procuratori) di liquidazione dei compensi ai periti e consulenti tecnici, cui deve riconoscersi natura di giurisdizione contenziosa e non volontaria, nonostante le forme camerali del suo svolgimento — implica, in caso di violazione, la nullità della decisione stessa, per la cui dichiarazione, peraltro, è necessaria la prova della diversità di composizione, non desumibile dalla sola indicazione, nell'intestazione dell'atto, del magistrato, non tenuto alla sottoscrizione, con un nominativo diverso da quello riportato sul verbale dell'udienza di discussione, poiché tale circostanza, in assenza della prova suddetta è sintomatica soltanto di un errore materiale, essendo la detta intestazione priva di un'autonoma efficacia probatoria e limitandosi alla riproduzione dei dati risultanti dal verbale di udienza.

Cass. civ. n. 7634/1994

La presunzione di coincidenza delle figure del relatore e dell'estensore della sentenza – posta dall'art. 276 c.p.c. e ribadita dall'art. 119, comma 2, att. c.p.c. – può essere vinta solo dalla dimostrazione, in base alla documentale formulazione della stessa sentenza, dell'intervenuta sostituzione, nella posizione di estensore, del giudice autore della relazione con il presidente (o con altro giudice), senza che tale dimostrazione possa ricavarsi dalla semplice mancanza di altra firma, oltre quella del presidente. (Nella specie, nell'epigrafe della sentenza era indicato il relatore in persona diversa dal presidente del collegio, mentre la sentenza portava la sola firma del presidente. La Suprema Corte, in applicazione del suddetto principio, ha ritenuto che la sentenza fosse insanabilmente nulla, ex art. 132 c.p.c., nel testo modificato dall'art. 6 della L. 8 agosto 1977, n. 532, per l'omessa sottoscrizione dell'estensore).

Cass. civ. n. 3328/1994

La questione di competenza – intesa questa come frazione o misura della giurisdizione – ha posizione logicamente successiva e conseguente a quella di giurisdizione e presuppone, quindi, che sia stata preventivamente risolta in senso affermativo tale ultima questione, cioè che sia divenuta certa e definitiva l'attribuzione al giudice ordinario della potestas judicandi in ordine alla controversia in atto.

Cass. civ. n. 3371/1993

La decisione deliberata in camera di consiglio da un collegio diverso da quello che ha assistito alla discussione, in violazione dell'art. 278, primo comma, c.p.c., è causa di nullità insanabile della sentenza, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo ai sensi dell'art. 158 c.p.c. In siffatta ipotesi il giudice dell'impugnazione, mentre può rilevare d'ufficio la nullità, indipendentemente dal fatto che il vizio di costituzione del giudice sia stato eccepito come motivo di gravame della parte interessata (salvo che sul punto vi sia stata una espressa pronuncia del giudice a quo), non può rimettere la causa al giudice che ha pronunciato la sentenza affetta da nullità, poiché nella specie non ricorre alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dall'art. 354 c.p.c., ma deve trattenere la causa e deciderla nel merito.

Cass. civ. n. 5015/1986

La questione dell'ammissibilità dell'appello precede, sul piano logico e procedurale, quella relativa alla competenza del giudice adito con l'atto d'impugnazione, giacché il giudice prima di ogni altra indagine deve compiere quella diretta ad accertare la valida introduzione del giudizio, in difetto della quale non ha il potere-dovere di decidere la causa ed atteso, in particolare, che la mancata proposizione dell'impugnazione nei termini prescritti determina la formazione del giudicato formale, che, se fosse consentita la preventiva decisione sulla competenza, sarebbe implicitamente rimesso in discussione.

Cass. civ. n. 739/1984

In relazione al principio dispositivo per cui le parti hanno il potere di disporre dell'ordine logico delle questioni proposte in giudizio, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio, il giudice è tenuto ad esaminare le questioni nell'ordine voluto dagli interessati, fatta salva l'eccezione indicata e quindi legittimamente non provvede su una richiesta formulata in via subordinata qualora accolga quella formulata dalla stessa parte in via principale.

Cass. civ. n. 5755/1982

Non sussiste nullità, per violazione del primo comma dell'art. 25 della Costituzione, della sentenza resa in causa decisa da sezione diversa da quella destinata alla cognizione della controversia del lavoro o da un collegio nel quale siano intervenuti magistrati supplenti, ma facenti parte dello stesso ufficio, giacché detta norma, nel disporre che nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, considera la competenza dell'organo giudiziario nel suo complesso, ma non esclude che nell'ambito di questo possano verificarsi variazioni nella concreta composizione dell'organo giudicante, che possono essere determinate sia dall'avvicendarsi dei magistrati assegnati all'ufficio giudiziario competente in virtù di legge preesistente, sia dalle sostituzioni che, consentite dalle norme procedurali, possono essere determinate da necessità organizzative del medesimo ufficio.

Cass. civ. n. 1037/1981

Quando la composizione del collegio giudicante è indicata in modo identico sia nel verbale di udienza, sia nell'intestazione del provvedimento denunciato, deve ritenersi, fino a prova contraria, per la presunzione di legittimità che assiste gli atti processuali, che la sentenza sia stata deliberata dagli stessi magistrati che parteciparono alla discussione, e che la sottoscrizione di essa da parte di un diverso giudice costituisca il frutto di un mero errore materiale, il quale non invalida la sentenza stessa ed è emendabile con la procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., a meno che l'errore non sia stato denunziato nel giudizio di appello, in quanto in tale diversa ipotesi la correzione va eseguita in questo procedimento, rientrando nei compiti di revisione conferiti al giudice del gravame.

Cass. civ. n. 2271/1979

Le questioni di competenza per materia contenute in una impugnazione incidentale condizionata, essendo comunque rilevabili d'ufficio, debbono essere esaminate prescindendo dal condizionamento, e cioè con precedenza rispetto alle questioni sollevate con la impugnazione principale.

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