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Articolo 158 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Nullità derivante dalla costituzione del giudice

Dispositivo dell'art. 158 Codice di procedura civile

La nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice (1) o all'intervento del pubblico ministero (2) è insanabile e deve essere rilevata d'ufficio, salva la disposizione dell'articolo 161 (3).

Note

(1) I vizi relativi alla costituzione del giudice si riferiscono ai limiti del potere di giudicare del giudice, ovvero se e come il giudice possa giudicare su una determinata questione. La dottrina rilevante ritiene che la nozione di costituzione del giudice possa essere ricavata dalla disciplina prevista dall'art. 178 c.p.p., che indica le ipotesi di nullità per vizi di costituzione del giudice penale. Tipici esempi sono rappresentati dalla violazione delle norme sulla nomina e sulle altre condizioni di capacità del giudice stabilite dall'ordinamento giudiziario (si pensi al caso della nullità degli atti compiuti dal giudice temporaneamente privo di funzioni giurisdizionali o trasferito presso altro ufficio). Anche il mancato rispetto delle disposizioni sul numero dei giudici necessario per costituire i collegi e delle regole del codice di rito sulla legittimazione del giudice sono esempi di vizi di costituzione dell'organo giudicante. Infine, un ulteriore esempio è rappresentato dall'ipotesi di nullità della sentenza pronunciata da un giudice diverso da quello di fronte al quale le parti hanno precisato le loro conclusioni.
(2) La norma si riferisce in tal caso alla violazione dell'obbligo di intervento del P.M. nelle cause in cui è espressamente previsto come obbligatorio (si cfr. art. 70 del c.p.c.).
(3) Per nullità insanabili a cui la norma si riferisce si deve intendere l'insieme delle nullità assolute che la legge qualifica espressamente insanabili. Tuttavia, l'insanabilità qui dedotta deve essere intesa nel senso che si tratta di una insanabilità solo entro il grado di giudizio nel quale le nullità si sono verificate. Infatti, in seguito alla pronuncia della sentenza le nullità devono essere fatte valere con i mezzi di impugnazione, altrimenti vengono sanate dal passaggio in giudicato della sentenza (art.161).

Ratio Legis

La norma in commento prevede un'ipotesi di nullità assoluta riguardante la posizione del giudice nell'ambito del processo civile o l'intervento, nel processo del pubblico ministero.

Spiegazione dell'art. 158 Codice di procedura civile

La nullità prevista da questa norma è riconducibile a tre differenti tipi di vizi, ossia:

  1. vizi connessi alla violazione delle disposizioni dell’ordinamento giudiziario riguardanti la nomina e le altre condizioni di capacità dei giudici;
  2. vizi connessi alla violazione delle disposizioni concernenti la legittimazione del giudice al compimento di atti processuali;
  3. vizi derivanti da violazioni delle leggi sull’ordinamento giudiziario concernenti il numero dei giudici necessari per comporre i collegi giudicanti.

Il legislatore ha invece espressamente stabilito, con l’introduzione dell’art. 50 quater del c.p.c. in forza del D.lgs. n. 51/1998, che le disposizioni sulla composizione monocratica o collegiale del Tribunale non si considerano attinenti alla costituzione del giudice, rendendo esplicitamente applicabile in tali ipotesi la disciplina della conversione in motivo di impugnazione della sentenza.

E’ questa l’unica disposizione del codice che prevede in maniera espressa una sanzione di insanabilità, anche se la nullità è destinata a convertirsi in motivo di impugnazione ex art. 161 del c.p.c. e ad essere assorbita dal formarsi del giudicato.

Una irregolare costituzione del giudice può ad esempio incidere sulla validità degli atti di istruzione, ipotesi in cui il vizio sembrerebbe irrimediabile (anche se si tendono ad ammettere forme di utilizzabilità delle prove acquisite senza il rispetto delle disposizioni di legge).
Ciò, tuttavia, non significa che la parte, le cui istanze istruttorie siano state accolte, debba vedere compromesso il proprio diritto alla prova a seguito di una sua invalida assunzione; trova, infatti, applicazione la regola generale della rinnovabilità degli atti prevista dal successivo art. 162 del c.p.c., ed il giudice sarà dunque tenuto a procedere ad una ulteriore acquisizione del mezzo di prova (ai fini della decisione sarà così utilizzabile la prova nuovamente acquisita).

Occorre evidenziare che il dovere del giudice di rimediare all’errore verificatosi nell’assunzione della prova non viene meno neppure se tale errore dovesse essere rilevato nelle successive fasi o nei successivi gradi di giudizio.
Ad esso infatti l’ufficio non può sottrarsi pena l’invalidità della decisione, da far valere con i mezzi di impugnazione di cui si dispone.

Quanto appena detto in ordine al difetto di costituzione del giudice vale anche nel caso di vizio dovuto al mancato intervento del pubblico ministero.
Si afferma al riguardo che la presenza del pubblico ministero rileva solo dal punto di vista della decisione, mentre non è necessaria durante tutto il corso del processo (la sua mancanza non configura un difetto di integrità del contraddittorio rilevante ex art. 102 del c.p.c.).
E’ sufficiente che sia dato avviso al pubblico ministero, al fine di porre lo stesso in condizione di presentare le proprie conclusioni entro l’udienza di discussione o in camera di consiglio.
Ciò induce a poter affermare che l’unico atto del giudizio di primo grado che può risentire del vizio è la sentenza, mentre ne sono immuni tutti gli atti precedenti.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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Massime relative all'art. 158 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 13963/2019

Il principio della immodificabilità della composizione del collegio giudicante a partire dal momento in cui ha inizio la discussione della causa (principio applicabile anche al rito del lavoro, ovviamente con riguardo alle decisioni in grado di appello) comporta che, ove dal verbale di udienza e dal dispositivo letto in udienza risultino due diverse composizioni dell'organo collegiale, determinandosi così una assoluta incertezza sul permanere della identità di composizione del collegio dall'inizio della discussione della causa alla lettura del dispositivo, la sentenza deve ritenersi affetta da nullità insanabile ai sensi dell'art. 158 c.p.c..

Cass. civ. n. 2047/2019

I giudici onorari possono decidere ogni processo e pronunciare qualsiasi sentenza per la quale non vi sia espresso divieto di legge, con piena assimilazione dei loro poteri a quelli dei magistrati togati, con la conseguenza che la nullità della sentenza, per vizio relativo alla costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., è ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all'ufficio, ossia non investita della funzione esercitata. Neppure è richiesto, ai sensi dell'art. 43 bis del r.d. n. 12 del 1941, che sia documentata la situazione legittimante l'assegnazione al giudice onorario del lavoro giudiziario, atteso che il presupposto dell'"impedimento o mancanza dei giudici ordinari", previsto dalla norma, risulta integrato anche dalla mera insufficienza degli organici, essendo attribuita alla magistratura onoraria una funzione suppletiva ed il suo impiego costituendo una misura apprezzabile nell'ottica di un'efficiente amministrazione della giustizia.

Cass. civ. n. 22845/2016

I giudici onorari - sia in qualità di giudici monocratici che di componenti di un collegio - possono decidere ogni processo e pronunciare qualsiasi sentenza per la quale non vi sia espresso divieto di legge, con piena assimilazione dei loro poteri a quelli dei magistrati togati, come si evince dall'art. 106 Cost., cosicché, in ipotesi siffatte, deve escludersi la nullità della sentenza per vizio relativo alla costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all'ufficio, ossia non investita della funzione esercitata. Né a diversa conclusione può indurre l'art. 43 bis del r.d. n. 12 del 1941, che vieta ai giudici onorari di tenere udienza se non in caso di «impedimento o mancanza dei giudici ordinari», espressione quest'ultima da intendersi come comprensiva di quelle situazioni di sproporzione fra organici degli uffici e domanda di giustizia, rispetto alle quali l'impiego della magistratura onoraria conserva una funzione suppletiva e costituisce una misura apprezzabile nell'ottica di un'efficiente amministrazione della giustizia (artt. 97 e 111 Cost.).

Cass. civ. n. 19741/2014

L'asserito difetto di "potestas iudicandi" dell'organo giurisdizionale, perché ritenuto istituito con norma tacciata di illegittimità costituzionale, non integra una questione di giurisdizione bensì, nel caso in cui trovi accoglimento la relativa eccezione di illegittimità costituzionale, un vizio di costituzione del giudice, rilevabile ai sensi degli artt. 158 cod. proc. civ. e 161 cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 3420/2014

Le dimissioni del giudice di pace sono efficaci, con conseguente cessazione dalle funzioni, solo dal momento in cui sia intervenuta l'accettazione delle stesse da parte della P.A., da adottarsi, previa deliberazione del Consiglio Superiore della magistratura, con decreto del Presidente della Repubblica. Ne consegue che è esistente ed efficace la sentenza pronunciata dal giudice di pace dopo la presentazione delle dimissioni ma prima dell'adozione dei suddetti provvedimenti.

Cass. civ. n. 26938/2013

La sentenza pronunciata da un giudice monocratico diverso da quello dinanzi al quale sono state precisate le conclusioni è affetta da nullità per vizio di costituzione del giudice, ai sensi dell'art. 158 cod. proc. civ., con la conseguenza che, da un lato, il vizio può essere fatto valere nei limiti e secondo le regole proprie dei mezzi di impugnazione ai sensi dell'art. 161, primo comma, cod. proc. civ. - sicché resta sanato in difetto di impugnazione - mentre, dall'altro, l'emersione del vizio in sede di appello non consente la rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell'art. 354 cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 17834/2013

La nullità derivante da vizio di costituzione del giudice (nella specie, per avere il giudice istruttore del procedimento di insinuazione tardiva al passivo assunto il provvedimento di sospensione del giudizio, in luogo del collegio), ancorché assoluta e rilevabile d'ufficio, non si sottrae, ai sensi dell'art. 158 c.p.c. (che fa espressamente salva la disposizione del successivo art. 161), al principio di conversione delle cause di nullità in motivi d'impugnazione, con la conseguenza che la mancata, tempestiva denuncia del vizio "de quo" comporta la necessità di farlo valere attraverso lo strumento (e secondo le regole, i limiti e le preclusioni) dell'impugnazione, così che la mancata denuncia di detta nullità in sede di gravame comporta l'impossibilità di rilevarla ed, in definitiva, la sua sanatoria.

Cass. civ. n. 4410/2011

Il giudice di pace, che eserciti le funzioni giurisdizionali dopo la scadenza del mandato e nelle more della riconferma, prima della immissione in possesso per l'espletamento del successivo incarico, pone in essere un'attività giurisdizionale in carenza di "potestas judicandi" che produce la nullità assoluta del procedimento e si estende alla sentenza conseguente, ai sensi dell'art. 159, primo comma, cod. proc. civ., anche se emessa dopo la nuova immissione in possesso, giacché la conferma nell'incarico costituisce l'atto finale di un nuovo procedimento paraconcorsuale, privo di collegamento con l'originario provvedimento di nomina.

Cass. civ. n. 19992/2004

Alla nullità derivante da vizio di costituzione del giudice, ancorché assoluta e rilevabile d'ufficio, si applica, in forza della disciplina di cui all'art. 274 bis c.p.c., inserito nel codice di rito dall'art. 31 legge n. 353/1990 e abrogato a partire dal 2 giugno 1999, il disposto degli artt. 158 e 161 primo comma c.p.c. e dunque il principio di conversione delle cause di nullità in motivi d'impugnazione, con la conseguenza che la mancata, tempestiva denuncia del vizio de quo comporta la necessità di farlo valere attraverso lo strumento dell'impugnazione, così che la mancata denuncia di detta nullità in sede di gravame comporta l'impossibilità di rilevarla e, in definitiva, la sua sanatoria, senza che tale disciplina possa ritenersi in contrasto con i principi di cui agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione o contraria ai principi di legalità (artt. 102 e 111 Cost.) (Fattispecie relativa a controversia societaria decisa in composizione monocratica anziché collegiale, nonostante le previsioni dell'art. 48, secondo comma, n. 7 ord. giud. nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal D.L.vo n. 51 del 1998).

Cass. civ. n. 5414/2004

La partecipazione alla decisione di un magistrato privo della potestas iudicandi, per ragioni inerenti alla sua qualità o nomina, determina vizio di costituzione del giudice, ai sensi dell'art. 158 c.p.c., e quindi nullità deducibile a norma dell'art. 161 del codice medesimo, non difetto di giurisdizione, ravvisabile nella distinta ipotesi di radicale diversità di struttura e conseguenziale non identificabilità del collegio giudicante con quello delineato dalla legge (nella fattispecie, la Suprema Corte, in applicazione dell'enunciato principio, ha ritenuto che configurasse denuncia di vizio di costituzione del giudice, e non di difetto di giurisdizione, il motivo di ricorso avverso la decisione della Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte di appello di Napoli, fondato sulla circostanza che la pronuncia era stata emessa nella composizione prevista dall'art. 17 del D.Lgs. n. 219 del 1919, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 393 del 2002).

Cass. civ. n. 14669/2003

La nullità derivante da vizio di costituzione del giudice, ancorché assoluta e rilevabile d'ufficio, non si sottrae, ai sensi dell'art. 158 c.p.c. (che fa espressamente salva la disposizione del successivo art. 161), al principio di conversione delle cause di nullità in motivi d'impugnazione, con la conseguenza che la mancata, tempestiva denuncia del vizio de qua comporta la necessità di farlo valere attraverso lo strumento (e secondo le regole, i limiti e le preclusioni) dell'impugnazione. così che la mancata denuncia di detta nullità in sede di gravame comporta l'impossibilità di rilevarla e, in definitiva, la sua sanatoria. (Ricorso per cassazione relativo a sentenza emessa dalla Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte d'Appello di Napoli pronunciata nella composizione prevista dall'art. 17 D.L.vo 27 febbraio 1919, n. 219, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 393 del 2002).

Cass. civ. n. 12207/2003

Se una sentenza viene emessa dal tribunale in composizione non corretta (nel caso di specie, giudice onorario aggregato anziché magistrato togato), non sussiste un vizio attinente alla costituzione del giudice, in quanto non può ritenersi che gli atti del processo siano stati posti in essere da persona estranea all'ufficio del giudice, non investita della funzione esercitata da dette ufficio.

Cass. civ. n. 10163/2003

La sentenza della Corte costituzionale, dichiarativa della incostituzionalità (in sé o in relazione a talune sue componenti) di un organo giurisdizionale, non comporta l'inefficacia della fase processuale svoltasi innanzi a tale organo (e del provvedimento che l'abbia conclusa), ove intervenga dopo l'esaurimento di essa, salvo che la relativa questione sia stata sollevata prima della conclusione di detta fase ovvero sia stata dedotta come motivo di impugnazione della sentenza, per il profilo del difetto di costituzione del giudice, ai sensi dell'art. 161, primo comma, c.p.c., in relazione all'art. 158 stesso codice. (Enunciando il principio di cui in massima — in relazione alla sentenza n. 393 del 2002 della Corte costituzionale, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 17 del D.L.vo 27 febbraio 1919, n. 219, convertito nella legge 24 agosto 1921, n. 1290, come modificato dall'art. 1 della legge 6 giugno 1935, n. 1131, nella parte in cui prevedeva che facesse parte della Giunta speciale per le espropriazioni presso la Corte d'appello di Napoli l'ingegnere capo dell'Ufficio tecnico erariale di Napoli o un suo delegato, le Sezioni Unite hanno escluso l'influenza di tale declaratoria di illegittimità costituzionale nel processo in corso dinanzi al S.C., non essendo stata la relativa questione prospettata né nella pregressa fase di merito, né in via impugnatoria).

Cass. civ. n. 3074/2003

La nullità derivante da vizio di costituzione del tribunale regionale delle acque pubbliche - conseguente alla declaratoria di illegittimità costituzionale (con la sentenza n. 353 del 2002) dell'art. 138 del R.D.11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e gli impianti elettrici) nella pate in cui prevedeva l'aggregazione al detto tribunale di tre funzionari dell'ex genio civile, uno dei quali interveniente nel collegio giudicante -, ancorché assoluta e rilevabile d'ufficio, non si sottrae, ai sensi dell'art. 158 c.p.c. (che fa espressamente salva la disposizione del successivo art. 161), al principio di conversione delle cause di nullità in motivi d'impugnazione, con la conseguenza che, in caso di mancata, tempestiva denuncia del vizio de quo attraverso lo strumento dell'impugnazione, il rilievo della detta nullità resta precluso per tutto l'ulteriore corso del processo.

Cass. civ. n. 10219/2002

La garanzia posta dall'art. 25 Cost., secondo cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, va riferita alla competenza dell'organo giudiziario nel suo complesso, impersonalmente considerato e non incide sulla concreta composizione dell'organo giudicante, la quale può dare luogo invece a nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice, ai sensi dell'art. 158 c.p.c.

Cass. civ. n. 14006/2001

Il difetto di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 del codice di rito è ravvisabile unicamente quando gli atti giudiziari siano posti in essere da persone estranee all'ufficio e non investite della funzione esercitata, mentre non è riscontrabile quando si verifichi una sostituzione tra giudici di pari funzione e pari competenza appartenenti al medesimo ufficio giudiziario anche se non siano state osservate al riguardo le disposizioni previste dal c.p.c. ovvero dalle norme sull'ordinamento giudiziario, costituendo l'inosservanza del disposto degli artt. 174 dello stesso codice e 79 delle relative disposizioni di attuazione, in difetto di una espressa sanzione di nullità, una mera irregolarità di carattere interno, che non incide sulla validità dell'atto e non è causa di nullità del giudizio o della sentenza.

Cass. civ. n. 6964/2001

Non costituisce motivo di nullità del procedimento e della sentenza la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle, determinata da esigenze di organizzazione interna al medesimo ufficio giudiziario, pur in mancanza di un formale provvedimento di sostituzione da parte del Presidente del Tribunale, perché, ai sensi del primo comma dell'art. 156 c.p.c. la nullità di un atto per inosservanza di forme non può esser pronunciata se non è comminata dalla legge e pertanto è configurabile una mera irregolarità, inidonea a produrre alcuna conseguenza negativa sugli atti processuali o sulla sentenza.

Cass. civ. n. 8737/2000

Il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. è ravvisabile quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all'ufficio del giudice, non investita della funzione da detto ufficio esercitata. Ne consegue che il vizio anzidetto non ricorre quando, non essendo stato all'inizio del trimestre predisposto ai sensi degli artt. 113 e 114 att. c.p.c. il decreto di composizione dei collegi giudicanti, questi siano volta a volta formati, secondo le concrete esigenze dell'ufficio.

Cass. civ. n. 4085/2000

In presenza di un atto di nomina a giudice di pace formalmente regolare la pronuncia resa da detto giudice non è impugnabile per vizi attinenti alla nomina medesima fino a quando quest'ultima non sia annullata o revocata.

Cass. civ. n. 1643/2000

Non danno luogo a nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice le violazioni delle disposizioni relative alla destinazione del giudice alle sezioni e quelle relative alla formazione dei collegi.

Cass. civ. n. 1508/1980

Qualora una causa sia stata erroneamente iscritta a ruolo due volte, in relazione alle distinte iniziative dell'attore e del convenuto, con la nomina di due diversi magistrati istruttori appartenenti al medesimo ufficio giudiziario, e davanti ad uno di questi risulti regolarmente trattata, nel rispetto del principio del contraddittorio, la sentenza resa a conclusione del relativo procedimento non può ritenersi affetta da nullità assoluta, né sotto il profilo del vizio di costituzione del giudice, tenuto conto che detti magistrati sono muniti di pari funzioni ed attribuzioni, né sotto il profilo della violazione dell'obbligo di riunione dei procedimenti previsto dall'art. 273 c.p.c., il quale non è sanzionato da alcun effetto invalidante, né in relazione alla sopravvenuta pronuncia di una seconda sentenza sulla stessa causa, per effetto dell'altra iscrizione a ruolo, trattandosi di circostanza che non incide sulla prima sentenza, ma può solo costituire eventuale motivo d'impugnazione della seconda.

Cass. civ. n. 1335/1978

La circostanza che uno o più componenti il collegio giudicante, ancorché costituenti la maggioranza, abbiano già in precedenza conosciuto della causa come magistrati, non può determinare nullità della sentenza per vizio attinente alla costituzione del giudice (art. 158 c.p.c.), ma può configurare solo ipotesi di astensione obbligatoria, ai sensi dell'art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c., la quale non incide sulla validità della sentenza medesima, ove non dedotta dalla parte interessata con tempestiva istanza di ricusazione, a norma dell'art. 52 c.p.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 158 Codice di procedura civile

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Antonino B. chiede
martedì 13/11/2018 - Sardegna
“QUESITO APPLICAZIONE ART. 158 C.P.C. e relativa pronuncia di nullita’ della sentenza, in sede di Cassazione.
1. Il quesito verte su un ricorso per Cassazione e l’ipotesi di avanzare preliminarmente l’eccezione procedurale, ex art. 158 cpc, che si affianchi ai motivi ammessi dall’art.360, c 1, cpc, nell’ambito di una vicenda processuale, decisa con sentenza della Corte territoriale, nel giugno 2018, con cui era stato rigettato l’appello, risalente al giugno 2011, avente ad oggetto, l’azione di reintegra nel possesso di un posto auto, in un contesto condominiale.
2. Dall’art. 158 c.p.c., fino alla novella, introdotta con l’art. 350, c.1, c.p.c., dalla legge 183/2011, art.27—in vigore dal 1 gennaio 2012-- si desumeva che, in caso di impugnazione di una decisione del tribunale, la Corte di merito dovesse trattare l’appello, in composizione collegiale, a pena di nullita’ insanabile della sentenza.
3. La suddetta legge 183/2011, ha aperto una deroga al principio di collegialita’ e su delega del Presidente del collegio, l’assunzione dei mezzi istruttori, puo’ legittimamente essere affidata ad uno dei componenti del collegio. Fatto questo che, con la precedente normativa—applicabile al caso di specie—era precluso e, qualora trasgredito, avrebbe potuto condurre alla pronuncia di nullita’ della sentenza.
4. Tuttavia, l’orientamento emerso dalla giurisprudenza di legittimita’, non individua, ipso facto, nella violazione della trattazione collegiale dell’appello, previgente al 1 gennaio 2012, un vizio di costituzione del giudice, ai sensi dell’art. 158 c.p.c. con relativa nullita’ assoluta della pronuncia, occorrendo, a quest’ultimo fine, la specifica deduzione ed il positivo riscontro che l’attivita’ stessa abbia, in concreto, comportato l’esplicazione di funzioni, se non decisorie, certamente valutative, riservate, dalla legge, al collegio (Cass.12957/2011).
5. In proposito, merita di rilevare il differente contesto a cui si riconduce la succitata pronuncia, che vede la S.C. giudicare di una situazione in cui il giudice delegato aveva ecceduto i limiti della delega, assumendo una decisione giudicata ultronea alle sue competenze, a differenza del caso qui all’esame, che vedrebbe la violazione nei comportamenti omissivi del giudice delegato, in relazione a fatti che avrebbero dovuto essere rilevati d’ufficio.
6. Nel merito, si da’ infatti che, la memoria di appello, attingendo alle precedenti produzioni, riferisse di due episodi, ignorati dal primo giudice, relativi alla condotta processuale dell’avversario, assumendo essi un autonomo rilievo, in termini di disvalore, penalmente rilevante, non senza escludere una segnalazione, all’ordine forense, della condotta tenuta dal difensore di controparte.
7. Trattasi, nel primo caso, della denuncia di “massima inattendibilita’” ed invito a darne notizia alla competente Procura della Repubblica, riferita ad un testimone, le cui dichiarazioni si pongono in insanabile contrasto con quelle di tutti gli altri attori intervenuti nel processo, sconfessando egli, le stesse ammissioni dell’avversario. Da cio’, dovendosi ritenere l’obbligo di eccepire, d’ufficio, la specifica condotta, con il devolvere al collegio, la decisione di merito.
8. Nel secondo caso, erano stati documentati due episodi, in cui, l’avversario, aveva posto in essere ulteriori molestie e minacce legali, in concorso con il suo difensore che se ne era fatto attivo portavoce , in violazione delle disposizioni dell’autorita’ che, all’esito dell’istruttoria sommaria, aveva visto con ordinanza del giudice, negare la reintegra, ma riconoscere, alle parti, nelle more della conclusione dell’istruttoria formale, l’uso promiscuo, con pari diritti, sulla cosa in lite.
9. E’ evidente che, in entrambi i casi, a mente del combinato disposto degli art. 350, c.1 cpc—nella versione antecedente alla legge 12 novembre 2011, n. 183-- e 158 cpc, il giudice delegato—senza che, dagli atti, evidenzi alcuno specifico atto formale che lo investa di tale suo ruolo- avrebbe dovuto, a tener fede alla pronuncia della S.C., sopra declinata, quantomeno, rilevare d’ufficio le condotte illecite e rimettere al collegio ogni decisione.
10. Cio’, indipendentemente dal fatto che, il suo operato omissivo, non avesse trovato, come, di fatto, e’ accaduto, successiva accoglienza presso il collegio, configurandosi, per quest’ultima fattispecie, differenti ipotesi di gravame, rispetto alla specifica eccezione costituita dall’art. 158 cpc., potendosi altresi’ ritenere che tali ulteriori ipotesi, in uno con gli eventuali altri motivi di appello, verrebbero ad essere assorbiti da essa o, a loro volta, potrebbero essere loro ad assorbirne l’efficacia in termini di incidenza sulla decisione finale, qualora fosse respinta dalla Suprema Corte.
Tanto premesso, in via di riepilogo, il quesito che si intende qui formulare puo cosi’ articolarsi:
a. L’eccezione ex art. 158 cpc, di cui si e’ discusso e’ credibile e puo’ essere ragionevolmente sostenuta?
b. A quale imputazione, nell’economia del principio della “critica vincolata” espresso dall’art. 360 cpc, essa va ricondotta? Vale a dire al c.1, 3, oppure costituisce una autonoma ipotesi di appello estranea ai tadizionali “motivi”, da rubricare in veste di mera eccezione preliminare?
c. Quali potrebbero essere le conseguenze, qualora essa fosse rigettata?
d. Quali, all’opposto gli effetti favorevoli sia in termini di riapertura del processo, ed in tal caso quali le ipotesi possibili e quali le ripercussioni sul capitolo “lite temeraria” che gia’ vede un avversario rivendicare una impossibile detenzione qualificata, senza aver mai esibito alcun valido contratto di locazione?
NOTA=Un ulteriore motivo di nullita’, sempre ex art. 158 cpc, sarebbe riconducibile alla mancata coincidenza tra il giudice nelle cui mani sono state rassegnate le conclusioni ed il giudice che ha emesso la sentenza di prime cure, ma l’eccezione non essendo stata sollevata in sede di appello, parrebbe essere stata cosi’ sanata, per quanto la sentenza non possa tutt’ora definirsi oggetto giudicato.

Consulenza legale i 17/12/2018
Si procederà, nel rispondere, seguendo l’ordine delle questioni poste nel quesito.

Relativamente al punto b), il problema che si pone è, nello specifico, se la nullità per vizi attinenti alla costituzione del giudice (158 c.p.c.) sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento oppure solo all’interno del grado di giudizio in cui è emerso il vizio, con la conseguenza che in quest’ultima seconda ipotesi il giudice dell’impugnazione potrà pronunciare su tale nullità solo ove la stessa sia stata dedotta come specifico motivo d’impugnazione (dunque, come si ipotizza nel quesito, con uno dei motivi di cui al 360 c.p.c.).
Ebbene, la giurisprudenza assolutamente maggioritaria - partendo dalla considerazione per cui l’art. 158 c.p.c. fa salvo quanto disposto dal 161 c.p.c., norma che sancisce il principio della conversione dei vizi di nullità in motivi d’impugnazione – ritiene che le nullità previste dal 158 c.p.c. si convertano in motivi di impugnazione, ossia possano essere fatti valere solo nei limiti e secondo le regole proprie dell’appello e del ricorso in Cassazione.
Riportiamo di seguito alcun pronunce riassuntive sulla questione:

- “La sentenza emessa da un giudice sospeso dalle funzioni in sede disciplinare, a seguito di deliberazione del CSM, è affetta non già da inesistenza, ma da mera nullità per carenza della "potestas iudicandi"; tale nullità, attenendo alla costituzione del giudice, ex art. 158 c.p.c., è insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, è sottoposta al principio generale di conversione delle nullità in mezzi di impugnazione, ex art. 161, comma 1,, c.p.c. e non dà luogo a rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 12/05/2011)” (Cass. civ. Sez. II Sent., 29/12/2016, n. 27362);
- “La nullità derivante da vizio di costituzione del giudice (nella specie, per avere il giudice istruttore del procedimento di insinuazione tardiva al passivo assunto il provvedimento di sospensione del giudizio, in luogo del collegio), ancorché assoluta e rilevabile d'ufficio, non si sottrae, ai sensi dell’art. 158 c.p.c. (che fa espressamente salva la disposizione del successivo art. 161), al principio di conversione delle cause di nullità in motivi d’impugnazione, con la conseguenza che la mancata, tempestiva denuncia del vizio "de quo" comporta la necessità di farlo valere attraverso lo strumento (e secondo le regole, i limiti e le preclusioni) dell'impugnazione, così che la mancata denuncia di detta nullità in sede di gravame comporta l'impossibilità di rilevarla ed, in definitiva, la sua sanatoria”. (Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 22/07/2013, n. 17834). SI veda anche Cass. civ. Sez. I, 11/05/2017, n. 11536

Non essendo la dottrina (ovvero gli studiosi del diritto), invece, d’accordo con il ragionamento di cui sopra, attorno alla questione è ancora vivo il dibattito.

Per quanto riguarda il punto c), non ha molto senso, ad avviso di chi scrive, esaminare le conseguenze del mancato accoglimento dell’eccezione in commento (o meglio è intuitivo ciò che accade: si tratterebbe di un motivo di impugnazione non accolto con tutte le ripercussioni del caso sul merito del processo; ma è impossibile ipotizzare in questa sede quali esse siano, occorrerebbe esaminare gli atti di causa), mentre molto più rilevante è capire cosa accada nell’eventualità dell’accoglimento del motivo di impugnazione in questione.
A tal proposito, se il vizio viene rilevato in appello, si ritiene che sia necessaria una nuova decisione di merito, sempre in appello, ma – attenzione - sulle conclusioni così come precisate in primo grado, senza necessità di rispettare il dettato di cui al 346 c.p.c. (onere di riproposizione delle domande ed eccezioni non accolte in primo grado, altrimenti si intendono rinunciate).

Nel merito del contenzioso, dall’esame sommario della documentazione inerente il processo di primo grado, si può osservare come il fatto che il Giudice non abbia tenuto in considerazione l’eccezione di parte relativa all’inattendibilità del teste costituisce senz’altro motivo di gravame, nel senso che la questione dev’essere riproposta in sede di impugnazione, evidenziando la contrarietà a logica nonché a quanto emerge dagli atti di causa del ragionamento del Giudice, e la ragione per cui quest'ultimo avrebbe dovuto valutare diversamente la testimonianza in oggetto per giungere ad una diversa decisione finale.

Sulle diffide inviate dall’avvocato di controparte, trattandosi di comportamento extraprocessuale, si dubita che possa essere addebitata una responsabilità aggravata per lite temeraria ex art. 96 c.p.c..
La lite temeraria è un'azione intrapresa con la consapevolezza di avere torto e/o con meri intenti dilatori. Essa, in sostanza, è una lite giudiziaria promossa (o resistita) con malafede o colpa grave di una delle parti.
Ai fini della quantificazione del risarcimento del danno da lite temeraria, gli elementi che vengono in rilievo sono diversi: ad esempio la gravita dell'abuso, l'incidenza che questo ha avuto sulla durata del processo, l'intensità dell'elemento soggettivo.
Chi avvia una lite temeraria pone in essere, dunque, un comportamento illecito dal quale può discendere l'obbligo di risarcire la controparte di tutti i danni subiti dall'essersi trovato costretto a partecipare e difendersi in un giudizio del tutto privo di giustificazione, danni che possono essere liquidati nella sentenza che chiude il giudizio ed ai quali il giudice può provvedere anche d'ufficio. A tal fine è necessario che la parte che chiede il risarcimento offra la prova sia dell'an (della fondatezza nel merito della richiesta) sia del quantum debeatur (ovvero dell'entità del risarcimento da chiedere), o almeno che tali elementi siano desumibili dagli atti di causa.
In ogni caso il giudice può provvedere anche ad una liquidazione equitativa del danno, facendo riferimento a "nozioni di comune esperienza, tra cui il pregiudizio che la controparte subisce per il solo fatto di essere stata costretta a contrastare un'ingiustificata iniziativa dell'avversario, non compensata, sul piano strettamente economico, dal rimborso delle spese e degli onorari del procedimento stesso, liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente" (Cass. n. 20995/2011; Cass. n. 3057/2009).
Ciò premesso, per tornare al quesito, si osserva come la norma, in primo luogo, è strettamente legata al processo, ovvero finalizzata a censurare quelle condotte di natura processuale (e non extraprocessuale) che implicano la distorsione del processo per finalità diverse da quelle sue proprie. Inoltre, quale presupposto, la norma richiede non solo la soccombenza totale di colui che ha posto in essere l'illecito processuale ma altresì che l'avversario deduca e provi la concreta ed effettiva esistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della controparte, oltre che la mala fede o colpa grave di quest'ultima. La prova, insomma, non è agevole.

Ancora, premesso che non si è visionato il testo della menzionata ordinanza emessa in corso di causa e relativa all’affermato uso promiscuo del posto auto, in ogni caso non si tratta, in buona sostanza, ad avviso di chi scrive, dell’inosservanza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria (che assume talvolta rilevanza addirittura penale), ma semplicemente dell’insistenza da parte dell’avversario - in ambito stragiudiziale - nell’affermazione di un diritto che ancora non è stato riconosciuto dal Giudice in via definitiva.

In merito all’osservazione di cui all’ultimo punto, in base a quanto già illustrato, anche la nullità in questione avrebbe dovuto essere fatta valere con i motivi di appello, con la conseguenza che si è già decaduti dal diritto di eccepirla in corso di causa.

Infine, sulla possibile revocazione della sentenza, non si ritiene che possa rientrare nelle ipotesi di cui all'art. 395 c.p.c. la circostanza dell’errata valutazione – da parte del Giudice – delle prove testimoniali o della mancata considerazione del comportamento extraprocessuale di controparte da parte del Giudice (sempre se è questo, beninteso, ciò che si vuol eccepire nel giudizio di revocazione).
L’art. 395 c.p.c. richiede infatti, tra le altre cose:
  • la prova del dolo di controparte: si deve trattare di un comportamento intenzionalmente fraudolento, consistente in artifici e raggiri diretti a paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire al Giudice l’accertamento della verità, facendo apparire la situazione diversa da quella reale: nel caso in esame, però, si ravvisa solo un'ipotesi di eventuale falsa testimonianza, non certo di dolo della parte. La giurisprudenza, poi, nega che rientrino nell’ipotesi in commento l’allegazione di fatti non veri, il silenzio e la falsità su fatti decisivi della controversia, la violazione – si noti bene – dell’obbligo di lealtà e probità in giudizio che incombe sui difensore ai sensi dell’88 c.p.c.. Ancora, i giudici hanno affermato che se il dolo è consistito nella fraudolenta utilizzazione (come nel caso in esame) di un documento o di una testimonianza falsi, allora il nesso causale tra artificio della parte ed inganno del giudice è condizionato al previo accertamento di una falsità che però non può essere condotto nel giudizio di revocazione ma deve necessariamente precederlo.
  • la prova che si è deciso sulla base di prove che sono state (successivamente alla sentenza) dichiarate o riconosciute false: dichiarazione o accertamento che devono essere, però, contenuti in una sentenza passata in giudicato;
  • che sia stato presupposto come vero dal Giudice un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa (o il contrario): tuttavia, si deve trattare di un errore di percezione, frutto di un’errata supposizione e non di una valutazione o giudizio basati su di un’esatta rappresentazione della realtà. Con riguardo, nello specifico, alle testimonianze, un errore di fatto rilevante può essere l’erronea lettura e/o percezione del contenuto letterale delle deposizioni così come risultano dal verbale di causa, non il risultato di una valutazione soggettiva del Giudice che, secondo la parte, risulta errata.
  • se sia accertato il dolo del Giudice e su di esso sia intervenuta una sentenza definitiva (presupposto che nel caso di specie manca).
Alla luce di quanto sopra, si ritiene poco fondata un'azione ai sensi dell'art. 395 c.p.c.