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Articolo 1 Codice dell'ambiente

(D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Ambito di applicazione

Dispositivo dell'art. 1 Codice dell'ambiente

1. Il presente decreto legislativo disciplina, in attuazione della legge 15 dicembre 2004, n. 308, le materie seguenti:

  1. a) nella parte seconda, le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d'impatto ambientale (VIA) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC);
  2. b) nella parte terza, la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall'inquinamento e la gestione delle risorse idriche;
  3. c) nella parte quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati;
  4. d) nella parte quinta, la tutela dell'aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera;
  5. e) nella parte sesta, la tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente.

Massime relative all'art. 1 Codice dell'ambiente

Corte cost. n. 7/2019

Sono inammissibili, in quanto non contenute nell'ordinanza di rinvio o per difetto di adeguata motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 39, 1° comma, L. reg. Piemonte 22 dicembre 2015 n. 26 e 1, 1° comma, L. reg. Piemonte 27 dicembre 2016 n. 27, nella parte in cui vietano la caccia ad alcune specie di animali che sono, invece, considerate cacciabili dall'art. 18, 1° comma, L. 11 febbraio 1992 n. 157 (pernice bianca, allodola, lepre variabile, fischione, canapiglia, mestolone, codone, marzaiola, folaga, porciglione, frullino, pavoncella, moretta, moriglione, combattente, merlo), in riferimento agli artt. 3, 102, 1° comma, e, in relazione al 'considerando' n. 32 della decisione 1600/2002/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002, che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, e agli artt. 114 e 193 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla L. 2 agosto 2008 n. 130, 117, 1° comma, Cost.

Cass. civ. n. 17045/2018

La responsabilità ex art. 2051 c.c. non ammette la responsabilità oggettiva e presuppone l'imputabilità soggettiva del fatto. La disciplina temporale applicabile alla fattispecie (interventi diretti alla tutela dell'integrità dell'ambiente lagunare attraverso azioni di disinquinamento, bonifica e/o messa in sicurezza dei siti) non è quella di cui al D.Lgs 2 aprile 2006, n. 152, priva di carattere retroattivo, bensì quella vigente al momento in cui si sono verificati i fatti - e quindi l'art. 17 del D.Lgs. 22 del 1997 (Cass, civ. Sez. III, 04-04-2017, n. 8662; Cass. civ. Sez. I, 07/03/2013, n. 5705). Sicché, il previgente sistema si ispirava al principio secondo cui l'obbligo di adottare le misure idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento è a carico di colui che di tale situazione sia responsabile per avervi dato causa (principio sintetizzato con la formula "chi inquina paga"). Era quindi necessario l'accertamento del nesso di causalità con l'avvenuta contaminazione dei luoghi. Prevedendo poi, solo in seconda battuta, qualora "i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili" che gli interventi necessari venissero comunque realizzati d'ufficio dal Comune o, in subordine, dalla Regione, rivalendosi per il recupero delle spese sulle aree bonificate, gravate da onere reale e privilegio speciale immobiliare. Pertanto, in capo al proprietario che non era autore della violazione, non sussisteva l'obbligo di provvedere direttamente alla bonifica, ma solo l'onere di farlo per evitare le eventuali conseguenze derivanti dai vincoli gravanti sull'area (Cass. civ. Sez. II, 28-12-2017, n. 31005).

Corte cost. n. 232/2017

Le Regioni ad autonomia speciale sono tenute a rispettare, anche nell'esercizio delle loro competenze legislative statutarie esclusive, la disciplina statale in materia di VIA la quale delinea un livello di protezione uniforme a tutela dell'ambiente che si impone sull'intero territorio nazionale. Con la conseguenza che le disposizioni legislative regionali che, in deroga alla disciplina statale (D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i.) e comunitaria (direttiva n. 2014/52/UE) sottraggano dalla verifica di assoggettabilità a VIA determinati impianti produttivi, sono costituzionalmente illegittime in riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., ledendo la sfera di competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente».

C. giust. UE n. 129/2017

Le disposizioni della direttiva 2004/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, lette alla luce degli articoli 191 e 193 TFUE devono essere interpretate nel senso che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, esse non ostano a una normativa nazionale che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l'inquinamento illecito, un'altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell'Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell'Unione.

L'articolo 16 della direttiva 2004/35 e l'articolo 193 TFUE devono essere interpretati nel senso che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, essi non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, ai sensi della quale non solo i proprietari di fondi sui quali è stato generato un inquinamento illecito rispondono in solido, con gli utilizzatori di tali fondi, di tale danno ambientale, ma nei loro confronti può anche essere inflitta un'ammenda dall'autorità nazionale competente, purché una normativa siffatta sia idonea a contribuire alla realizzazione dell'obiettivo di protezione rafforzata e le modalità di determinazione dell'ammenda non eccedano la misura necessaria per raggiungere tale obiettivo, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

Corte cost. n. 39/2017

Dalla vigente legislazione emerge il principio che, per il rilascio dei titoli di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nelle zone di mare, la competenza legislativa dello Stato è esclusiva; tale principio, d'altra parte, deve qualificarsi come fondamentale.

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 14 ottobre 2015, n. 29 (Provvedimenti urgenti per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema della costa abruzzese) la quale, composta di due articoli, dispone il divieto, ai fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nelle zone di mare poste entro le dodici miglia marine dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero della Regione Abruzzo, estendendo il medesimo divieto anche ai procedimenti autorizzatori e concessori in corso alla data di entrata in vigore della legge, nonché a tutti i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. L'unica clausola di salvaguardia prevista dalla legge regionale riguarda i titoli abilitati già rilasciati.

Corte cost. n. 36/2017

La disciplina delle aree protette rientra nella competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., ed è contenuta nella legge n. 394 del 1991 che detta i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale è chiamata ad adeguarsi, assumendo anche i connotati di normativa interposta. L'art. 2 della legge n. 394 del 1991 classifica, difatti, le aree naturali protette in parchi nazionali e regionali (art. 2, commi 1 e 2), a seconda del loro rilievo nazionale o locale, e in riserve naturali, statali o regionali in base alla rilevanza degli interessi in esse rappresentati (art. 2, comma 3). Mentre i parchi hanno finalità generali di protezione e valorizzazione della natura, le riserve (oltre ad avere di regola dimensioni molto più ridotte) hanno principalmente una finalità di natura conservativa connessa alla presenza di specifici valori floro-faunistici o di diversità biologica. La legge quadro (art. 2, comma 2) non prevede, dunque, la figura del parco regionale marino, ma solamente la possibilità che tratti di mare prospicienti la costa vengano a far parte di parchi regionali costituiti da aree terrestri, fluviali e lacuali.

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1; 2, commi 1, 2 e 4; 3, comma 1; 6, 7 e 9 della legge della Regione Abruzzo 6 novembre 2015, n. 38 recante «Istituzione del Parco Naturale Regionale Costa dei Trabocchi e modifiche alla legge regionale 21 giugno 1996, n. 38 (Legge-quadro sulle aree protette della Regione Abruzzo per l'Appennino Parco d'Europa)» e, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 2 e 3; 2, comma 3; 4, 5, 8, 11 e 12 della stessa legge.

Corte cost. n. 244/2016

La disciplina della gestione dei rifiuti rientra nella materia "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" riservata, in base all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla competenza esclusiva dello Stato; in questa materia, inoltre, lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste.

La disciplina secondo cui l'individuazione degli impianti di recupero di rifiuti e smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese sia operata "sentita la Conferenza unificata" non viola il principio di leale collaborazione, atteso che tale forma di coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali si rivela adeguata, incidendo la predetta attività su competenze regionali (governo del territorio, tutela della salute) concorrenti, in ordine alle quali spetta comunque allo Stato dettare i principi fondamentali.

Corte cost. n. 101/2016

La disciplina dei rifiuti rientra nella materia della «tutela dell'ambiente» per la quale sussiste la competenza legislativa esclusiva dello Stato di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, commi 3-bis e 3-ter, ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, aggiunti dall'art. 6, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 30 dicembre 2014, n. 35, nella parte in cui ampliano - sia pure ai soli fini dell'applicazione di quanto disposto dall'art. 35 del D.L. n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 - la nozione di «rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale», riconducendovi altresì tutti i rifiuti decadenti dal trattamento dei rifiuti urbani; tali disposizioni infatti si pongono in contrasto con la disciplina nazionale di riferimento, prevista dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), la quale stabilisce che «i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti» debbano venir ricompresi nella categoria dei «rifiuti speciali» (art. 184, comma 3, lettera g).

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - promossa in riferimento agli artt. 3, 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione - dell'art. 6, comma 1, lettera c), della legge della Regione Lombardia n. 35 del 2014 - nel testo modificato dall'art. 8, comma 13, lettera s), della legge regionale 5 agosto 2015, n. 22, il quale testualmente dispone che «La Giunta regionale, al fine di garantire la continuità della produzione elettrica e in considerazione dei tempi necessari [...] per espletare le procedure di gara, può consentire, per le sole concessioni in scadenza entro il 31 dicembre 2017, la prosecuzione temporanea, da parte del concessionario uscente, dell'esercizio degli impianti di grande derivazione a uso idroelettrico per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di assegnazione e comunque per un periodo non superiore a cinque anni, come previsto dall'articolo 12, comma 1, del D.Lgs. 79 del 1999 [Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica]».

Corte cost. n. 180/2015

La disciplina dei rifiuti è riconducibile alla materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. Pertanto, la disciplina statale costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino.

Cons. Stato n. 2495/2015

In materia ambientale, il principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione. L'applicazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali.

Corte cost. n. 209/2014

La disciplina degli scarichi in fognatura attiene alla materia dell'ambiente, di competenza esclusiva statale; di conseguenza, alle Regioni non è consentito intervenire in tale ambito, specie se l'effetto è la diminuzione dei livelli di tutela stabiliti dallo Stato.

Corte cost. n. 197/2014

La tutela dell'ambiente rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato; pertanto, le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina che le Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di incrementare i livelli della tutela ambientale, senza però compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato.

La valutazione ambientale strategica (VAS), disciplinata dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), attuativo dei principi comunitari contenuti nella direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente), attiene alla materia della «tutela dell'ambiente», di competenza esclusiva dello Stato. Interventi specifici del legislatore regionale sono ammessi nei soli casi in cui essi, pur intercettando gli interessi ambientali, risultino espressivi di una competenza propria della Regione. In particolare deve ritenersi che il significativo spazio aperto alla legge regionale dallo stesso D.Lgs. n. 152 del 2006 (v. art. 3-quinquies; art. 7, comma 2) non possa giungere fino a invertire le scelte che il legislatore statale ha adottato in merito alla sottoposizione a VAS di determinati piani e programmi; scelte che in ogni caso sono largamente condizionate dai vincoli derivanti dal diritto dell'Unione.

Corte cost. n. 189/2013

L'art. 3 comma 1 L. Reg. Liguria 6 agosto 2012 n. 27 - che ha inserito nell'art. 34 L. Reg. Liguria 1 luglio 1994 n. 29 il comma 4-bis, il quale stabilisce che, "in caso intervenga un provvedimento sospensivo dell'efficacia del calendario venatorio durante la stagione venatoria, la Giunta regionale, sentita la Commissione consiliare competente per materia, è autorizzata ad approvare, con provvedimento motivato, un nuovo calendario venatorio riferito all'anno in corso, entro dieci giorni dalla data del provvedimento sospensivo" - non viola l'art. 117 comma 2 lett. s) Cost. in quanto la deroga alla procedura ordinaria riguarda solo l'organo regionale competente ad adottare il calendario, senza legittimare alcuna elusione delle prescrizioni (quale ad esempio la previa acquisizione del parere Ispra nelle ipotesi previste) cui l'autonomia regionale nel procedimento di adozione del calendario venatorio resta pur sempre vincolata con riguardo all'area di competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente ed ecosistema.

Corte cost. n. 14/2012

È costituzionalmente illegittimo l'art. 1 della legge della Regione Abruzzo 22 dicembre 2010, n. 60 che stabilisce l'estensione territoriale di una riserva naturale provinciale già istituita senza tener conto dell'esigenza della partecipazione delle comunità locali interessate. Tale legge, infatti, viola l'art. 117, secondo comma, l. s) della Costituzione, prevedendo modalità procedimentali che si discostano in peius dai principi fondamentali tracciati dalla legislazione statale a garanzia dei diritti partecipativi che, in materia di aree protette, sono riconosciuti alle comunità locali e, per esse, agli enti correlativi.

Cons. Stato n. 5986/2011

La variante al P.R.G. finalizzata al mutamento dell'azzonamento di una parte del territorio comunale, con l'effetto di raddoppiare la dotazione delle aree destinate all'insediamento di impianti produttivi, è idonea a determinare la lesione dell'interesse ambientale e a radicare la correlata legittimazione attiva. Sussiste, infatti, una stretta relazione tra l'urbanistica e l'ambiente, tale che i contenuti della pianificazione urbanistica vengono inscindibilmente intrecciati con quelli della tutela ambientale, non foss'altro per il fatto che il territorio, inteso in tutte le sue accezioni, è un bene fondamentale avente carattere costitutivo dello stesso bene "ambiente".

Corte cost. n. 44/2011

È illegittimo l'art. 1, comma 25, primo periodo, della legge della Regione Campania n. 2 del 2010 che prevede, per la dislocazione di centrali di produzione di energia da fonti rinnovabili, il rispetto di una distanza minima non inferiore a cinquecento metri lineari dalle aree interessate da coltivazioni viticole con marchio DOC e DOCG, e non inferiore a mille metri lineari da aziende agrituristiche ricadenti in tali aree, per violazione dell'art. 117, co. 3 della Costituzione. Infatti, i limiti all'edificabilità degli impianti non possono essere posti autonomamente dalle Regioni in assenza di linee guida approvate in conferenza Unificata, poiché tale disciplina attiene alla materia di potestà legislativa concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione di energia», in cui le Regioni sono vincolate ai principi stabiliti dalla legislazione statale. È costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 16, della legge della Regione Campania n. 2 del 2010, la quale prevede l'istituzione da parte dei Comuni ricompresi nel territorio dei parchi e nelle zone montane, di aree cinofile, adibite esclusivamente all'addestramento ed allenamento dei cani da caccia, e l'individuazione di strutture ove consentire l'addestramento anche dei cani da pastore, da utilità e dei cani adibiti alla pet-therapy ed al soccorso. Infatti, le Regioni possono disciplinare la materia delle aree protette dei parchi soltanto nel rispetto dei livelli uniformi di tutela previsti a livello statale ed, in particolare, dalla la legge n. 394 del 1991 che rimette la disciplina delle attività al Regolamento adottato dall'Ente parco ed approvato dal Ministro dell'Ambiente. È costituzionalmente illegittimo l'art. 1, c. 12 della L.R. Campania n. 2/2010 che prevede che lo scarico in alto mare avvenga senza sottoporre i reflui a trattamento alcuno per contrasto sia con l'art. 117, primo comma, che con il secondo comma, lettera s), della Costituzione. Infatti, tale norma è in palese contrasto con la disciplina statale a tutela dell'ambiente, che mira a impedire ed eliminare l'inquinamento dell'ambiente marino, arrestando o eliminando gradualmente gli scarichi.

Cons. Stato n. 4246/2010

Alla stregua della disciplina comunitaria e nazionale (ed eventualmente regionale), la v.i.a. non può essere intesa come limitata alla verifica della astratta compatibilità ambientale dell'opera ma si sostanzia in una analisi comparata tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio economica, tenuto conto delle alternative praticabili e dei riflessi della stessa "opzione zero"; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l'intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell'interesse diverso sotteso all'iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste.

Corte cost. n. 249/2009

Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. da 196 a 200, del D.Lgs. 3 aprile 206, n. 152, in relazione all'art. 118 Cost., in quanto tali norme determinerebbero una compressione delle potestà regionali in ordine alla definizione degli indirizzi ed all'organizzazione del sistema governo delle attività di gestione dei rifiuti, nonché delle funzioni provinciali di programmazione e coordinamento delle politiche gestionali nel proprio ambito territoriale, violando il principio di sussidiarietà nonché il principio di differenziazione.

Corte cost. n. 232/2009

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 63 del D.Lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Toscana, Marche e Basilicata. Innanzitutto, non sussiste la violazione delle attribuzioni regionali garantite dagli artt. 117 e 118 cost. e del principio di leale collaborazione, poiché la disposizione censurata, che istituisce e definisce le funzioni delle Autorità di bacino distrettuale, attiene all'ambito materiale della tutela dell'ambiente, di competenza esclusiva statale, nonché prevede - in considerazione del fatto che le competenze di tale nuovo organismo possono avere indirettamente conseguenze su ambiti materiali di competenza concorrente (come il governo del territorio) - un adeguato coinvolgimento delle Regioni attraverso la partecipazione dei rappresentanti regionali alla Conferenza istituzionale permanente. Non sussiste, poi, il dedotto contrasto della disposizione impugnata con la finalità di riordino della delega e con il principio di salvaguardia delle competenze regionali definite dal D.Lgs. n. 112 del 1998, poiché la delega conferita dalla L. n. 308 del 2004 consentiva al Governo di introdurre anche innovazioni nell'ordinamento previgente e inoltre, nella fattispecie, la redistribuzione delle competenze amministrative risponde al criterio della piena attuazione delle direttive comunitarie.

Cons. Stato n. 3885/2009

Il principio "chi inquina paga" consiste, in definitiva, nell'imputazione dei costi ambientali (c.d. esternalità ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell'impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (poiché esiste una compromissione ecologica lecita data dall'attività di trasformazione industriale dell'ambiente che non supera gli standards legali).

Il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta, necessariamente, il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti e che la curatela fallimentare non subentri negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito a meno che non vi sia una prosecuzione nell'attività. Ne consegue che non può accettarsi che la legittimazione passiva sia del curatore (poiché ciò, inoltre, determinerebbe un sovvertimento del principio "chi inquina paga" scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l'inquinamento).

Cass. civ. n. 25010/2008

La compromissione dell'ambiente (nella specie prodotta dall'accertata alterazione e distruzione della vegetazione e del suolo sbancato, nonché dalla provocata deviazione del corso delle acque) trascende il mero pregiudizio patrimoniale derivato ai singoli beni che ne hanno fatto parte perché il bene pubblico (che comprende l'assetto del territorio, la ricchezza di risorse naturali, il paesaggio come valore estetico e culturale e come condizione di vita salubre in tutte le sue componenti) deve essere considerato unitariamente per il valore d'uso da parte della collettività quale elemento determinante della qualità della vita della persona, quale singolo e nella sua aggregazione sociale.

Corte cost. n. 378/2007

La potestà di disciplinare l'ambiente nella sua interezza è stato affidata, in riferimento al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, in via esclusiva allo Stato, dall'art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto, parla di "ambiente" in termini generali e onnicomprensivi. E non è da trascurare che la norma costituzionale pone accanto alla parola "ambiente" la parola "ecosistema". Si parla, in proposito, dell'ambiente come "materia trasversale", nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell'ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni. In questi casi, la disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, ed in riferimento ad altri interessi. Ciò comporta che la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato.

Cass. pen. n. 33887/2006

L'ambiente, inteso in senso unitario come bene pubblico complesso, caratterizzato dai valori estetico-culturale, igienico-sanitario ed ecologico-abitativo, assurge a bene pubblico immateriale, la cui natura non preclude la doppia tutela patrimoniale e non patrimoniale, relativa alla lesione di quell'insieme di beni materiali e immateriali determinati, in cui esso si sostanzia e delimita territorialmente.

Corte cost. n. 246/2006

La giurisprudenza costituzionale è costante nel senso di ritenere che la circostanza che una determinata disciplina sia ascrivibile alla materia "tutela dell'ambiente" di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, se certamente comporta il potere dello Stato di dettare standard di protezione uniformi validi su tutto il territorio nazionale e non derogabili in senso peggiorativo da parte delle Regioni, non esclude affatto che le leggi regionali emanate nell'esercizio della potestà concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella "residuale" di cui all'art. 117, quarto comma, possano assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale.

Cons. Stato n. 7472/2004

Il problema del punto di equilibrio tra realizzazione di infrastrutture e tutela dell'ambiente e del paesaggio e, dunque, del concreto atteggiarsi del principio dello sviluppo sostenibile (ora codificato dall'art. 3-quater, D.Leg. 152/06), meglio si chiarisce anche in relazione alla valutazione dell'utilizzazione economica delle aree protette; per cui non dovrebbe parlarsi di sviluppo sostenibile ossia di sfruttamento economico dell'ecosistema compatibile con esigenza di protezione, ma, con prospettiva rovesciata, di protezione sostenibile, intendendosi con tale terminologia evocare i vantaggi economici che la protezione in sé assicura senza compromissione di equilibri economici essenziali per la collettività, ed ammettere il coordinamento fra interesse alla protezione integrale ed altri interessi solo negli stretti limiti in cui l'utilizzazione del territorio non alteri in modo significativo il complesso dei beni compresi nell'area protetta; si deve ammettere l'alterazione dei valori ambientali solo in quanto non vi siano alternative possibili da individuarsi proprio grazie alla procedura di v.i.a.

Corte cost. n. 69/2004

Il nuovo art. 120 della Costituzione - il quale non può che essere letto in tale contesto - deriva invece dalla preoccupazione di assicurare comunque, in un sistema di più largo decentramento di funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilità di tutelare, anche al di là degli specifici ambiti delle materie coinvolte e del riparto costituzionale delle funzioni amministrative, taluni interessi essenziali che il sistema costituzionale attribuisce alla responsabilità dello Stato, quali sono il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela in tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nonché il mantenimento dell'unità giuridica ed economica del complessivo ordinamento repubblicano.

Corte cost. n. 43/2004

La Costituzione ha voluto dunque che, a prescindere dal riparto delle competenze amministrative, come attuato dalle leggi statali e regionali nelle diverse materie, fosse sempre possibile un intervento sostitutivo del Governo per garantire tali interessi essenziali. Non preclude dunque, in via di principio, la possibilità che la legge regionale, intervenendo in materie di propria competenza, e nel disciplinare, ai sensi dell'articolo 117, terzo e quarto comma, e dell'articolo 118, primo e secondo comma, della Costituzione, l'esercizio di funzioni amministrative di competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali, per il compimento di atti o di attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell'ente competente, al fine di salvaguardare interessi unitari che sarebbero compromessi dall'inerzia o dall'inadempimento medesimi. Poiché però, come si è detto, tali interventi sostitutivi costituiscono una eccezione rispetto al normale svolgimento di attribuzioni dei Comuni definite dalia legge, sulla base di criteri oggi assistiti da garanzia costituzionale, debbono valere nei confronti di essi condizioni e limiti non diversi (essendo fondati sulla medesima ragione costituzionale) da quelli elaborati nella ricordata giurisprudenza di questa Corte in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni e cioè devono trovare il loro fondamento nella legge; che deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali; la sostituzione può prevedersi esclusivamente per il compimento di atti o di attività "prive di discrezionalità nell'an", la cui obbligatorietà sia il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l'intervento sostitutivo; il potere sostitutivo deve essere poi esercitato da un organo di governo della Regione o sulla base di una decisione di questo: ciò che è necessario stante l'attitudine dell'intervento ad incidere sull'autonomia, costituzionalmente rilevante, dell'ente sostituito.

Corte cost. n. 303/2003

Limitare l'attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente, come postulano le ricorrenti, significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze. Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l'ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principi giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica. Un elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto nell'art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida, come si chiarirà subito appresso, la stessa distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. È del resto coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un'attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando l'istanza di esercizio unitario trascende anche l'ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato.

Corte cost. n. 407/2002

Non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie. In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale.

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