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Articolo 10 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 01/01/2024]

Oneri deducibili

Dispositivo dell'art. 10 TUIR

1. Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente:

  1. a) i canoni, livelli, censi ed altri oneri gravanti sui redditi degli immobili che concorrono a formare il reddito complessivo, compresi i contributi ai consorzi obbligatori per legge o in dipendenza di provvedimenti della pubblica amministrazione; sono in ogni caso esclusi i contributi agricoli unificati;
  2. b) le spese mediche e quelle di assistenza specifica necessarie nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione, sostenute dai soggetti indicati nell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Ai fini della deduzione la spesa sanitaria relativa all'acquisto di medicinali deve essere certificata da fattura o da scontrino fiscale contenente la specificazione della natura, qualità e quantità dei beni e l'indicazione del codice fiscale del destinatario. Si considerano rimaste a carico del contribuente anche le spese rimborsate per effetto di contributi o di premi di assicurazione da lui versati e per i quali non spetta la detrazione d'imposta o che non sono deducibili dal suo reddito complessivo né dai redditi che concorrono a formarlo; si considerano, altresì, rimaste a carico del contribuente le spese rimborsate per effetto di contributi o premi che, pur essendo versati da altri, concorrono a formare il suo reddito;
  3. c) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria;
  4. d) gli assegni periodici corrisposti in forza di testamento o di donazione modale e, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria, gli assegni alimentari corrisposti a persone indicate nell'articolo 433 del codice civile;
  5. d-bis) le somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti. L'ammontare, in tutto o in parte, non dedotto nel periodo d'imposta di restituzione può essere portato in deduzione dal reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi; in alternativa, il contribuente può chiedere il rimborso dell'imposta corrispondente all'importo non dedotto secondo modalità definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze;
  6. e) i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, nonché quelli versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, ivi compresi quelli per la ricongiunzione di periodi assicurativi. Sono altresì deducibili i contributi versati al fondo di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 565. I contributi di cui all'articolo 30, comma 2, della legge 8 marzo 1989, n. 101, sono deducibili alle condizioni e nei limiti ivi stabiliti;
  7. e-bis) i contributi versati alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, alle condizioni e nei limiti previsti dall'articolo 8 del medesimo decreto, nonche' ai sottoconti italiani di prodotti pensionistici individuali paneuropei (PEPP) di cui al regolamento (UE) 2019/1238, alle condizioni e nei limiti previsti dalle disposizioni nazionali di attuazione del medesimo regolamento. Alle medesime condizioni ed entro gli stessi limiti di cui al primo periodo sono deducibili i contributi versati alle forme pensionistiche complementari istituite negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni e ai sottoconti esteri di prodotti pensionistici individuali paneuropei (PEPP) di cui al regolamento (UE) 2019/1238(1);
  8. e-ter) i contributi versati, fino ad un massimo di euro 3.615,20, ai fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale istituiti o adeguati ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, che erogano prestazioni negli ambiti di intervento stabiliti con decreto del Ministro della salute da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Ai fini del calcolo del predetto limite si tiene conto anche dei contributi di assistenza sanitaria versati ai sensi dell'articolo 51, comma 2, lettera a). Per i contributi versati nell'interesse delle persone indicate nell'articolo 12, che si trovino nelle condizioni ivi previste, la deduzione spetta per l'ammontare non dedotto dalle persone stesse, fermo restando l'importo complessivamente stabilito;
  9. f) le somme corrisposte ai dipendenti, chiamati ad adempiere funzioni presso gli uffici elettorali, in ottemperanza alle disposizioni dell'articolo 119 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e dell'articolo 1 della legge 30 aprile 1981, n. 178;
  10. g) i contributi, le donazioni e le oblazioni erogati in favore delle organizzazioni non governative idonee ai sensi dell'articolo 28 della legge 26 febbraio 1987, n. 49, per un importo non superiore al 2 per cento del reddito complessivo dichiarato;
  11. h) le indennità per perdita dell'avviamento corrisposte per disposizioni di legge al conduttore in caso di cessazione della locazione di immobili urbani adibiti ad usi diversi da quello di abitazione;
  12. i) le erogazioni liberali in denaro, fino all'importo di 2 milioni di lire, a favore dell'Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana;
  13. l) le erogazioni liberali in denaro di cui all'articolo 29, comma 2, della legge 22 novembre 1988, n. 516, all'articolo 21, comma 1, della legge 22 novembre 1988, n. 517, e all'articolo 3, comma 2, della legge 5 ottobre 1993, n. 409, nei limiti e alle condizioni ivi previsti;
  14. l-bis) il cinquanta per cento delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione disciplinata dalle disposizioni contenute nel Capo I del Titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184;
  15. l-ter) le erogazioni liberali in denaro per il pagamento degli oneri difensivi dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, anche quando siano eseguite da persone fisiche;
  16. l-quater) le erogazioni liberali in denaro effettuate a favore di università, fondazioni universitarie di cui all'articolo 59, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, del Fondo per il merito degli studenti universitari e di istituzioni universitarie pubbliche, degli enti di ricerca pubblici, ovvero degli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ivi compresi l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, nonché degli enti parco regionali e nazionali.

2. Le spese di cui alla lettera b) del comma 1 sono deducibili anche se sono state sostenute per le persone indicate nell'articolo 433 del codice civile. Tale disposizione si applica altresì per gli oneri di cui alla lettera e) del comma 1 relativamente alle persone indicate nel medesimo articolo 433 del codice civile se fiscalmente a carico. Sono altresì deducibili, fino all'importo di lire 3.000.000, i medesimi oneri versati per gli addetti ai servizi domestici e all'assistenza personale o familiare.

2-bis. Le somme di cui alla lettera d-bis) del comma 1, se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non costituiscono oneri deducibili(2).

3. Gli oneri di cui alle lettere f ), g ) e h) del comma 1 sostenuti dalle società semplici di cui all'articolo 5 si deducono dal reddito complessivo dei singoli soci nella stessa proporzione prevista nel medesimo articolo 5 ai fini della imputazione del reddito. Nella stessa proporzione è deducibile, per quote costanti nel periodo d'imposta in cui avviene il pagamento e nei quattro successivi, l'imposta di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 643, corrisposta dalle società stesse.

3-bis. Se alla formazione del reddito complessivo concorrono il reddito dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale e quello delle relative pertinenze, si deduce un importo fino all'ammontare della rendita catastale dell'unità immobiliare stessa e delle relative pertinenze, rapportato al periodo dell'anno durante il quale sussiste tale destinazione ed in proporzione alla quota di possesso di detta unità immobiliare. Sono pertinenze le cose immobili di cui all'articolo 817 del codice civile, classificate o classificabili in categorie diverse da quelle ad uso abitativo, destinate ed effettivamente utilizzate in modo durevole a servizio delle unità immobiliari adibite ad abitazione principale delle persone fisiche. Per abitazione principale si intende quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari dimorano abitualmente. Non si tiene conto della variazione della dimora abituale se dipendente da ricovero permanente in istituti di ricovero o sanitari, a condizione che l'unità immobiliare non risulti locata.

Note

(1) Lettera modificata dal D. Lgs. 3 agosto 2022, n. 114.
(2) Comma introdotto dall'art. 150, comma 1 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, il quale ha inoltre disposto che la presente modifica si applica "alle somme restituite dal 1° gennaio 2020. Sono fatti salvi i rapporti già definiti alla data di entrata in vigore del presente decreto".

Massime relative all'art. 10 TUIR

Comm. Trib. Prov. Torino n. 438/2018

La spesa relativa alle prestazioni di “ginnastica personalizzata atte al recupero mobilità arti inferiori” sostenute da un genitore per un figlio affetto da una documentata forma di nanismo acondroplastico, accertato come handicap grave dalla Commissione di prima istanza per l’accertamento degli stati di invalidità civile dell’ASL, che ha subito interventi chirurgici per l’allungamento degli arti e che in relazione a tale quadro gli è stato prescritto un programma rieducativo, rientra nella previsione recata dall’art. 10, comma 1, lett. b) primo periodo, del TUIR. Per la deducibilità delle spese di assistenza specifica per i soggetti considerati dalla l. n. 104/1992 la norma non prevede che esse siano relative a prestazioni necessariamente rese da soggetti o strutture aventi specifica qualificazione sanitaria.

Comm. Reg. Val D'Aosta n. 4/2018

Il termine per l’esercizio del potere di controllo dell’Amministrazione Finanziaria in ordine agli oneri deducibili inseriti in dichiarazione dei redditi e suddivisi in più annualità va riferito alle dichiarazioni relative alle singole annualità, e non alla dichiarazione in cui l’onere viene inserito per la prima volta.

Cass. civ. n. 321/2018

I contributi previdenziali obbligatori versati dai notai alla cassa nazionale del notariato sono deducibili dal reddito complessivo, in quanto sono da considerare spese inerenti all'attività professionale svolta, essendo il relativo esborso una conseguenza del reddito prodotto. (Rigetta, COMM.TRIB.REG. VENEZIA, 14/06/2016).

Cass. civ. n. 3589/2017

In tema di imposte sui redditi, le trattenute obbligatorie operate sull'indennità di carica dei consiglieri regionali, in base agli artt. 1, 2 e 3 della L.R. Molise n. 10 del 1988, a titolo di contributo per la corresponsione dell'indennità di fine mandato, devono essere assoggettate a tassazione, non potendo ad esse riconoscersi natura previdenziale e conseguentemente applicarsi la causa di esclusione di cui all'art. 48, comma 2, lett. a), del D.P.R. n. 917 del 1986, perché finalizzate all'erogazione di un vitalizio che si differenzia dalle prestazioni di natura pensionistica, come risulta sia dal tenore letterale della disposizione, sia dai principi espressi dalla sentenza della Corte cost. n. 289 del 1994 relativa all'assegno vitalizio in favore dei parlamentari, sia, infine, alla qualificazione tributaria dell'indennità suddetta in quanto normativamente rientrante tra le indennità per cariche elettive.

Cass. civ. n. 22191/2016

In tema d'IRPEF, ai fini della detrazione prevista dall'art. 13 bis (attuale 15), comma 1, lett. b, del D.P.R. n. 917 del 1986, non è necessario acquistare il diritto di proprietà dell'unità immobiliare da destinare ad abitazione principale, essendo sufficiente anche l'acquisto di un diritto reale, come l'uso, l'abitazione o l'usufrutto idoneo a soddisfare l'esigenza abitativa. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Veneto, 17/02/2009).

Cass. civ. n. 20784/2016

In tema d'IRPEF, il contributo integrativo di cui all'art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 103 del 1996 a favore delle casse o enti di previdenza competenti (nella specie, a favore dell'ente gestore della previdenza obbligatoria degli attuari, chimici, dottori agronomi e forestali, geologi) non costituisce costo deducibile dal reddito complessivo, trattandosi di onere che non grava sul contribuente professionista ma è posto dalla legge a carico del cliente dello stesso. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Liguria, 19/03/2009).

Corte cost. n. 373/2008

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera c ), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sollevata in relazione all'art. 3 Cost., nella parte in cui esclude la deducibilità dal reddito complessivo, ai fini delle imposte dirette, degli assegni periodici corrisposti al coniuge a séguito di separazione o divorzio, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria, per il mantenimento dei figli, in quanto determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento fiscale rispetto all'«analoga» ipotesi di somme corrisposte in adempimento dell'obbligo di prestare gli alimenti ai soggetti indicati dall'art. 433 del codice civile (e, quindi, anche ai figli), le quali, invece - nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria -, sono deducibili dal reddito complessivo, ai fini delle imposte dirette (art. 10, comma 1, lettera d , del D.P.R. n. 917 del 1986). Nella specie, la scelta del legislatore di differenziare - nell'àmbito degli assegni determinati iussu iudicis a favore dei figli - il regime fiscale dell'assegno di mantenimento da quello dell'assegno di alimenti legali non è arbitraria per due distinte e concorrenti ragioni. In primo luogo, va rilevato che dall'esatta premessa che l'assegno alimentare costituisce, quantitativamente, un minus rispetto all'assegno di mantenimento, non può trarsi l'erronea conseguenza che tali assegni debbono avere il medesimo trattamento fiscale, derivando, da tale premessa, soltanto che, nel caso di assegno di mantenimento per i figli, la funzione propriamente alimentare del medesimo assegno è assolta dal minore importo, in esso ricompreso, corrispondente all'ammontare di un ipotetico assegno di alimenti legali. In secondo luogo, la norma denunciata appare non irragionevole in considerazione delle evidenti differenze di presupposti e di funzioni tra l'obbligo di mantenimento dei figli e l'obbligo degli alimenti legali in favore dei medesimi. Infatti, mentre l'obbligo di mantenimento è espressione del dovere di solidarietà familiare sancito dall'art. 30 Cost. ed assolve la funzione di consentire il pieno sviluppo della personalità dei figli, l'obbligo alimentare sussiste, invece, solo ove non vi sia obbligo di mantenimento ed assolve la diversa funzione di assistenza familiare, in quanto è diretto esclusivamente ad ovviare allo stato di bisogno ed all'incapacità dell'alimentando di farvi fronte. Deve, pertanto, concludersi che la scelta del legislatore di consentire la deduzione fiscale esclusivamente dell'assegno periodico alimentare e non di quello di mantenimento appare ispirata alla non irragionevole ratio non solo di differenziare il trattamento fiscale di prestazioni eterogenee, ma anche di favorire l'adempimento dell'obbligo alimentare, cioè di un obbligo che sorge solo ove manchi quello di mantenimento e, quindi, ove sia divenuto meno intenso il vincolo di solidarietà familiare. Sulla deducibilità e detraibilità ai fini fiscali che resta affidata alla discrezionalità del legislatore, la quale «rimane insindacabile nel giudizio di costituzionalità, a meno che non trasmodi in arbitrio», v. le citate sentenza n. 134/1982 e ordinanze n. 258/2008, n. 370/1999 e n. 950/1988.

Cass. civ. n. 23659/2006

La presente massima esprime lo stesso principio di Cassazione civile - Sentenza n. 16462 del 2002, rv. 558649. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Trieste, 15 Maggio 2000)

Cass. civ. n. 16462/2002

In tema di oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche, l'art. 10, primo comma, lettera g), del D.P.R. n. 597 del 1973 (al pari dell'art. 10, primo comma, lett. c, D.P.R. n. 917 del 1986) limita la deducibilità, ai fini dell'applicazione dell'IRPEF, solo all'assegno periodico - e non anche a quello corrisposto in unica soluzione - al coniuge, in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risulta da provvedimento dell'autorità giudiziaria. Tale differente trattamento - come affermato dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 383 del 2001 - è riconducibile alla discrezionalità legislativa la quale, riguardando due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l'altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore, non risulta né irragionevole né in contrasto con il principio di capacità contributiva. (cassa e dec. nel mer., comma Trib. Reg. Lombardia, 27 ottobre 1997)

Corte cost. n. 383/2001

Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597 (come modificato dall?art. 5, comma 1, della l. 13 aprile 1977, n. 114) denunziato, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, in quanto a differenza di quanto stabilito per l'ex coniuge, beneficiario in forma periodica, non prevede che, in caso di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'importo dell'assegno corrisposto in una soluzione all'ex coniuge sia deducibile dal reddito imponibile ai fini dell'IRPEF. Infatti, il legislatore non irragionevolmente ha previsto una diversa regolamentazione tributaria per le due forme di adempimento, periodica e 'una tantum' che appaiono sotto vari profili diversi, poiché l'importo della prima viene fissato in base alla situazione esistente al momento della pronuncia e può essere successivamente modificato, mentre per la seconda viene concordato liberamente dai coniugi, ai fini della definitiva determinazione dei loro rapporti patrimoniali e non è più rivedibile. Inoltre, la lesione del principio della capacità contributiva, non ravvisabile, nella specie, potrebbe invece configurarsi qualora si ammettesse la deducibilità della somma corrisposta 'una tantum', che appare come conseguenza di un assetto complessivo degli interessi personali, familiari e patrimoniali dei coniugi, non direttamente correlata al reddito percepito dal contribuente nel periodo di imposta. - Cfr. 'ex plurimis' le sentenze nn. 134/1982 e 143/1982 e da ultimo l'ordinanza n. 370/1999. A.M.M.

Corte cost. n. 178/1996

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera c), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, censurato, in riferimento agli artt. [[n3ost]] e [53 Cost., nella parte in cui non prevede, ai fini dell'IRPEF, la deducibilità dal reddito imponibile dell'assegno corrisposto al coniuge in unica soluzione, in conseguenza di scioglimento o annullamento del matrimonio o cessazione degli effetti civili: trattasi, infatti, di questione identica ad altra già dichiarata manifestamente infondata con ord. n. 383 del 2001 ed il rimettente non ha prospettato profili di censura ulteriori e nuovi rispetto a quelli già esaminati. Infatti, il giudice a quo ripropone l'erronea tesi della "perfetta equivalenza" tra il pagamento tramite assegno periodico e quello tramite assegno una tantum, laddove, viceversa, le due forme di adempimento hanno connotazioni giuridiche e di fatto diverse, tali da legittimare il legislatore a prevedere, nella sua discrezionalità, regimi fiscali diversi. - V. il precedente di cui alla ordinanza n. 383/2001.

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 1, lettera i) , del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, censurato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui non comprende tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e, quindi, nel reddito imponibile, l'importo dell'assegno percepito dal coniuge in unica soluzione, in conseguenza di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili: trattasi, infatti, di questione sollevata sulla premessa della illegittimità dell'art. 10, comma 1, lettera c) , del medesimo D.P.R., ma tale premessa è erronea.

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 8, 19 e 53 Cost., dell'art. 10 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 ('recte': art. 10, primo comma, lett. e), i) ed l), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) - nella parte in cui dispone la deducibilità dal reddito, ai fini dell'IRPEF, di erogazioni liberali dei fedeli di quelle sole confessioni religiose che abbiano stipulato un'intesa con lo Stato italiano - in quanto la possibilità di prendere in esame la necessita' di estendere alle confessioni senza intesa la attribuzione di un beneficio che in ipotesi "si assumesse essere allo stato illegittimamente limitato" alle sole confessioni con intesa, è 'in limine' preclusa e resa inutile dalla mancanza di una "disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l'esercizio" del diritto di libertà religiosa. - Riguardo alla disparità di trattamento fra confessioni religiose, in tema di "contributi per l'edilizia religiosa".

Corte cost. n. 74/1995

Solo in seguito alla L. 18 febbraio 1989, n. 56 (sulla definizione e disciplina della professione di psicologo e la istituzione del correlativo albo) le prestazioni di psicoanalisi e psicoterapia possono essere considerate specialistiche. Si giustifica perciò, in base alla distinzione - operata a monte dal legislatore, ai fini dell'I.R.P.E.F., e non messa in discussione dal giudice 'a quo' - tra spese per cure generiche, non deducibili (se non in misura limitata e a determinate condizioni), e spese per cure specialistiche, integralmente ed incondizionatamente invece deducibili, che le spese di psicoanalisi e psicoterapia sostenute negli anni d'imposta anteriori al 1989 - a differenza di quelle sostenute successivamente - non possano rientrare nel beneficio. (Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 32, Cost., degli artt. 10, lett. d, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e 10, lett. e, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917).

Cass. civ. n. 3904/1995

L'amministrazione delle finanze che rettifichi il reddito del contribuente, recuperando a tassazione somme indicate dallo stesso tra gli oneri deducibili, non è tenuta a fornire la prova delle circostanze di fatto, sulle quali si basa il nuovo accertamento; spetta, infatti, al contribuente (nella specie una impresa "minore") fornire la prova della esistenza di oneri deducibili, atteso che la legge - regola operante anche rispetto alle imprese "minori" - ne subordina espressamente la deducibilità alla circostanza che essi siano documentati in maniera idonea (art. 10 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 e art. 10 D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917). (rigetta, App. Brescia, 15 novembre 1989).

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Consulenze legali
relative all'articolo 10 TUIR

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

F. M. chiede
martedì 01/02/2022 - Marche
“A seguito di sentenza di divorzio il signor B. versava periodicamente l’assegno di mantenimento al coniuge e detraeva detta importo dalla propria dichiarazione dei redditi.

Nel corso del 2021 tra i coniugi subentrava un accordo modificativo che prevedeva il versamento una tantum di euro 763.000 in luogo dell’assegno di mantenimento.

Si chiede se detto importo che sostanzialmente attualizza una rendita futura del coniuge possa essere detratto dai redditi di B..

Qualora fosse attuabile la detrazione dovrebbe avvenire una tantum od in quote annue ipotizzando l’attualizzazione di una rendita sulla base dell’età del coniuge (es,. utilizzando le tabelle per l’usufrutto vitalizio secondo i coefficienti allegati al Testo Unico dell’Imposta di Registro)?

A seguire si riportano sia l’accordo modificativo che la clausola originale della sentenza di divorzio.



Accordo modificativo condizioni di divorzio

1.a modifica parziale della sentenza n. (omissis), pronunciata dal Tribunale di Milano in data ... 2017, pubblicata in data ... 2017, disporre, su accordo delle parti, che il signor B. corrisponda, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.5, comma 8°, legge 1° dicembre 1970, n.898, alla signora V., un importo complessivo, pari a €763.000,00, ove l’importo medesimo sia ritenuto conforme a equità dal Tribunale Illustrissimo, in sostituzione dell’assegno previsto dalla clausola n.10 della sentenza citata (si precisa che l’obbligo relativo al pagamento di tale assegno deve intendersi venuto meno a decorrere dalla data di instaurazione del presente procedimento.

Clausola o sentenza di divorzio richiamata

Art. 10 della sentenza: Dare atto che il signor B. corrisponderà alla signora V. a titolo di assegno divorzile l’importo mensile, a decorrere dalla data del 5/10/2016 pari ad euro 2.500,00 mentre a decorrere dal dalla data del 5/10/2017 l’importo mensile di euro 7.500,00. Fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età del figlio L. le somme sopra indicate saranno al netto delle imposte”
Consulenza legale i 08/02/2022
A norma dell’art. 50, comma 1, lett. i) del TUIR, sono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente “gli altri assegni periodici, comunque denominati, alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro, compresi quelli indicati alle lettere c) e d) del comma 1 dell’articolo 10 tra gli oneri deducibili …”. In base all’art. 10, infatti, sono deducibili dal reddito complessivo di colui che li corrisponde, “gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.

Per la parte destinata al mantenimento dei figli, i predetti assegni non rientrano nella categoria degli oneri deducibili ma, per converso, non costituiscono redditi in capo ai figli, così come disposto dall’art. 3, comma 3, lett. b) per effetto del quale, sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile “gli assegni periodici destinati al mantenimento dei figli spettanti al coniuge in conseguenza di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.
Se il provvedimento dell’autorità giudiziaria non ha specificamente individuato la quota parte dell’assegno destinata al mantenimento dei figli, questa si assume pari al 50% dell’importo complessivo dell’assegno per effetto delle disposizioni di cui all’art. 3 del DPR n. 42/88.
I soggetti passivi Irpef che deducono dal reddito complessivo somme per assegni periodici corrisposti al coniuge, devono indicare nella dichiarazione annuale dei redditi il codice fiscale del soggetto beneficiario delle somme, al fine di consentire all’amministrazione finanziaria di effettuare i necessari riscontri tra la posizione di chi deduce l’assegno e quella di chi, invece, lo percepisce.

Con riguardo al tema posto nella richiesta di consulenza, si fa presente che l’amministrazione finanziaria si è pronunciata su questo argomento con la Risoluzione 11 giugno 2009, n. 153/E, laddove si sofferma appunto sul diverso trattamento tra assegni periodici e versamento in unica soluzione. In detto documento di prassi è precisato che, per gli assegni corrisposti in unica soluzione, “non è prevista alcuna tassazione in capo al beneficiario, né alcuna deduzione per il soggetto che li corrisponde”.
Come evidenziato in detta risoluzione, la conclusione a cui l’amministrazione perviene è determinata dal fatto che il TUIR disciplina solo gli assegni corrisposti al
coniuge con carattere periodico. Il legislatore, nell’assimilare gli assegni in questione ai redditi di
lavoro dipendente ha tenuto conto del fatto che gli stessi sono corrisposti con cadenza periodica e, come tali, pur in assenza di un collegamento con una prestazione lavorativa, assimilabili al pagamento di una retribuzione stabilita a tempo e potenzialmente vitalizia. Non hanno natura reddituale, invece, gli assegni corrisposti in unica soluzione, i quali rappresentano sostanzialmente una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi.

La diversità del regime applicato ha fatto sollevare dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 10 del TUIR e detti dubbi sono stati portati all’attenzione della Corte Costituzionale che sulla questione è intevenuta con le ordinanze 6 dicembre 2001, n. 383 e 29 marzo 2007, n. 113, con le quali ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 10 nella parte in cui non prevede la deducibilità dal reddito complessivo, ai fini dell’Irpef, dell’assegno corrisposto al coniuge in unica soluzione. In particolare, la Corte Costituzionale, nell’ordinanza del 2001, ha affermato che le “due forme di adempimento, cioè quella periodica e quella una tantum, pur avendo entrambe la funzione di regolare i rapporti patrimoniali derivanti dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale, appaiono sotto vari profili diverse, e tali sono state considerate dal legislatore nella disciplina dettata in materia”.
La Corte Costituzionale ha, infatti, evidenziato che “l’importo da corrispondere in forma periodica viene stabilito in base alla situazione esistente al momento della pronuncia, con la conseguente possibilità di una ... revisione, in aumento o in diminuzione; mentre al contrario quanto versato una tantum, che non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell’assegno periodico, viene concordato liberamente dai coniugi nel suo ammontare e definisce una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, producendo l'effetto di rendere non più rivedibili le condizioni pattuite, le quali restano così
fissate definitivamente
”. In ragione di quanto esposto sopra, la Corte ha rilevato come la scelta
del legislatore di prevedere una diversa regolamentazione tributaria per l’assegno periodico rispetto a quella riservata all’erogazione una tantum non debba considerarsi irragionevole. Ciò in quanto la diversa disciplina prevista per l’erogazione in unica soluzione è diretta ad escludere la possibilità che anche trasferimenti squisitamente patrimoniali siano dedotti dal reddito complessivo.
Anche la Corte di Cassazione si è espressa in maniera conforme, con sentenza 6 novembre 2006, n. 23659.

Si ritiene che la particolare connotazione giuridica che caratterizza la liquidazione una tantum dell’ammontare stabilito per il mantenimento del coniuge, rilevata dalla Corte Costituzionale per dichiarare immune dal vizio di irragionevolezza la scelta del legislatore tributario, sussista anche nel caso in cui, come quello di specie, la somma una tantum sia stata stabilita come valore attuale della rendita futura, posto che ciò che connota il diverso trattamento tra le due ipotesi è l’impossibilità di operare una revisione al variare delle condizioni prese in considerazione dal giudice in sede di determinazione dell’assegno periodico.

Si evidenzia, infine che, secondo l’amministrazione, la scelta operata dal legislatore permane anche nel caso in cui sia prevista la corresponsione di un importo complessivo, il cui versamento sia frazionato in un numero definito di rate qualora la corresponsione del predetto importo escluda la possibilità di presentare una “successiva domanda di contenuto economico”.
In tal caso, invero, la possibilità di rateizzare il pagamento costituisce, infatti, solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di dare risoluzione definitiva ad ogni rapporto tra i coniugi e non va quindi confuso con la corresponsione periodica dell’assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo.

Domenico B. chiede
venerdì 04/09/2020 - Campania
“Ho bisogno della vostra consulenza/consiglio, in merito a:
Dall’anno 2015, sono legalmente separato da mia moglie, e deduco dal reddito mod. 730 l’assegno di mantenimento. Ciò, mi comporta un rimborso irpef, di circa € 2.200 annue, a cui non vorrei rinunciare.
Mia moglie, che da un anno vive nuovamente con me a ........., ha attualmente ancora, residenza alla casa dei deceduti genitori a Napoli, ma l’appartamento, di cui era proprietaria di 1/9 con i fratelli, è stato venduto per cui dovrà cambiare residenza.
Domanda:
- se trasferisce la residenza, nuovamente da me, poiché con l’assegno di mantenimento che le corrispondo, a mezzo bonifico di € 500 mensili, non potrebbe pagarsi un fitto altrove, non avendo altri redditi, potrò continuare a recuperare l’irpef, con il 730, restando, di fatto, la separazione legale? Non vi è riconciliazione ma solo esigenza economica.
- Eventualmente rientrerebbe nel mio stato di famiglia?? Oppure si potrebbe evitare se residente “presso”???? Può essere utile il domicilio??
Che soluzione posso adottare, per non rinunciare al rimborso Irpef, e non compiere illegalità???
In attesa porgo cordiali saluti.

Consulenza legale i 10/09/2020
A norma dell’art. 10, comma 1, lett. c) del TUIR, dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente:
(…)
c) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria;
(…)
La stessa norma indica gli elementi necessari ai fini della deducibilità dell’onere di cui si discute, ossia:
- che i coniugi siano legalmente separati e, quindi, non può trattarsi di una semplice separazione di fatto;
- in alternativa, che il matrimonio sia stato sciolto o annullato o, in ogni caso, che ne siano cessati gli effetti civili;
- che l’assegno risulti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Ai fini della deduzione, inoltre, è espressamente richiesta l’indicazione in dichiarazione annuale dei redditi del codice fiscale del soggetto beneficiario delle somme.
Tale indicazione è connessa al fatto che, a fronte del diritto alla deduzione della somma corrisposta a titolo di assegno al coniuge, la lettera i) comma 1 dell'art. 50 del T.U.I.R. ne prevede l’imponibilità in capo allo stesso coniuge percettore come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, fermo restando che l’assimilazione non è totale dal momento che, per effetto delle disposizioni di cui al comma 3 del medesimo art. 50, non sono riconosciute le detrazioni previste dall’art. 14 del T.U.I.R..
Ne deriva che, sotto il profilo fiscale, non è richiesta la separata residenza dei due ex coniugi ma soltanto la separazione legale degli stessi e l’effettivo scioglimento o annullamento del vincolo coniugale.

Va, comunque, precisato che il legislatore fiscale probabilmente non è entrato nel merito di detta questione esclusivamente per il fatto che l’effettiva interruzione della comunione materiale e spirituale, caratteristica del matrimonio, è insita nel concetto stesso di separazione legale.
Lo stesso termine “separazione” presuppone che i coniugi prendano strade diverse, ossia residenze diverse, in ragione della sospensione degli obblighi coniugali.
Sotto questo profilo, va però considerato che anche la Cassazione - I Sez. Civile, con la sentenza n. 3323 del 2000 ha stabilito che i coniugi “separati in casa” possano ottenere la sentenza di scioglimento degli effetti civili del matrimonio (divorzio), pur avendo continuato a vivere sotto lo stesso tetto, durante la separazione legale, in quanto ciò che è rilevante è che non ci sia stata la riconciliazione intesa come “comunione spirituale”, ossia la volontà di “riservare al coniuge la posizione di esclusivo compagno di vita”.
Si trattava di una “separazione in casa”, in quanto i coniugi, pur continuando a vivere nella stessa casa, provvedevano autonomamente alle rispettive necessità, dividendo la casa coniugale in due ambienti distinti, consumando i pasti separatamente, dormendo in camere separate, disinteressandosi della vita dell’altro coniuge.
È dunque evidente che deve trattarsi di una semplice coabitazione e non anche di una convivenza che, al contrario della prima, presuppone un legame affettivo stabile e duraturo tra due persone, anche dello stesso sesso, che abbiano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. 13 aprile 2018).

Il sopracitato orientamento giurisprudenziale è certamente determinato dal fatto che, anche nelle aule dei tribunali, vi è ormai consapevolezza del mutato assetto della società e in particolare del fatto che, talvolta, la scelta del luogo di abitazione può non essere conforme alle preferenze delle persone, o alle loro scelte affettive, perché di fatto è imposta dalle circostanze economiche, come sembra accadere nel caso di specie.
Ovviamente, per coerenza con quanto sopra detto e con l’effettiva situazione di fatto, che non potrà essere diversa da quella sopra indicata, sarà necessario che, nelle dichiarazioni anagrafiche rese in applicazione del Regolamento Anagrafico della Popolazione Residente (Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223), sia chiarito che la coabitazione presso il medesimo indirizzo non è determinata da rapporti di coniugio, parentela, affinità, adozione, tutela o vincoli affettivi e, posto che per effetto di quanto disposto dall’art. 13 del citato Regolamento, il nucleo familiare può essere costituito anche da una sola persona, occorrerà precisare che si tratta della coabitazione, al medesimo indirizzo, di due distinte famiglie anagrafiche, intese come due distinti nuclei familiari.


Raffaele F. chiede
giovedì 27/02/2020 - Lazio
“Sono in procinto di adire ad una conciliazione (art. 91 cpc) onde evitare il prosieguo della causa di divorzio. Gradirei sapere se, qualora la predetta conciliazione andasse a buon fine, erogando una somma una tantum alla mia ex, potrò beneficiare delle detrazioni fiscali alla stregua di un assegno di mantenimento. Grazie”
Consulenza legale i 04/03/2020
A norma dell’art. 10, comma 1, lett. c) del TUIR, “dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente:

c) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorita' giudiziaria;
”.
Sono, quindi, deducibili dal reddito complessivo gli assegni corrisposti al coniuge separato, mentre la deduzione non è ammessa per gli assegni corrisposti ai figli per il loro mantenimento.
Se dal provvedimento dell’Autorità giudiziaria non risulta la divisione tra quanto spetta al coniuge e quanto ai figli, ai sensi dell’articolo 3 del D.P.R. n. 42/1988 si considera destinato al mantenimento di questi ultimi la metà dell’ammontare degli assegni periodici.
Per converso, per effetto delle disposizioni di cui al comma 3 lett. b) dell' art. 3 del T.U.I.R., sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile e, quindi, non costituiscono reddito per i figli, gli assegni periodici destinati al mantenimento dei figli spettanti al coniuge in conseguenza di separazione legale ed effettiva o di scioglimento, annullamento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria.
Di contro, quelli corrisposti al coniuge costituiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, per effetto delle disposizioni di cui al comma 1 lett. i) dell’art. 50 del T.U.I.R..

Proprio in considerazione di ciò, ai fini della loro deduzione, è necessario indicare in dichiarazione il codice fiscale del coniuge beneficiario delle somme.
La disciplina sino ad ora indicata riguarda, come sopra evidenziato, gli assegni periodici che, dal legislatore sono stati quindi assimilati al pagamento di una retribuzione stabilita a tempo e potenzialmente vitalizia. Ciò pur in assenza di un collegamento con una prestazione lavorativa.
L’amministrazione finanziaria, con la Risoluzione n. 153/E del 11.06.2009 ha precisato che “non hanno natura reddituale, invece, gli assegni corrisposti in unica soluzione, i quali rappresentano sostanzialmente una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi. Per detti assegni, non é prevista alcuna tassazione in capo al beneficiario, né alcuna deduzione per il soggetto che li corrisponde”.
L’orientamento di prassi espresso dall’amministrazione è, per altro, coerente con i pronunciamenti della Corte Costituzionale che si sono susseguiti nel tempo.
Più in particolare, la Corte Costituzionale, con ordinanza 6 dicembre 2001, n. 383 e, successivamente, con ordinanza 29 marzo 2007, n. 113, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 del TUIR nella parte in cui non prevede la deducibilità dal reddito complessivo, ai fini dell’Irpef, dell’assegno corrisposto al coniuge in unica soluzione, questione alla quale risulta connessa la tassazione dell’assegno in capo al percipiente.
In particolare, la Corte Costituzionale, nell’ordinanza del 2001, ha affermato che le “due forme di adempimento, cioè quella periodica e quella una tantum, le quali pur avendo entrambe la funzione di regolare i rapporti patrimoniali derivanti dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale, appaiono sotto vari profili diverse, e tali sono state considerate dal legislatore nella disciplina dettata in materia”.
Più precisamente, la Corte Costituzionale ha posto in evidenza come, l’importo da corrispondere in forma periodica viene stabilito in base alla situazione esistente al momento della pronuncia, con la conseguente possibilità di una … revisione, in aumento o in diminuzione; mentre al contrario quanto versato una tantum, che non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell’assegno periodico, viene concordato liberamente dai coniugi nel suo ammontare e definisce una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, producendo l’effetto di rendere non più rivedibili le condizioni pattuite, le quali restano così fissate definitivamente”.
In ragione di quanto esposto sopra, la Corte ha rilevato come la scelta del legislatore di prevedere una diversa regolamentazione tributaria per l’assegno periodico rispetto a quella riservata all’erogazione una tantum non debba considerarsi irragionevole, dal momento che la diversa disciplina prevista per l’erogazione in unica soluzione è diretta ad escludere la possibilità che anche trasferimenti squisitamente patrimoniali siano dedotti dal reddito complessivo.

Questo vale anche nell’ipotesi in cui sia prevista la corresponsione di un importo complessivo, il cui versamento sia frazionato in un numero definito di rate qualora la corresponsione del predetto importo escluda la possibilità di presentare una successiva domanda di contenuto economico.
La possibilità di rateizzare il pagamento costituisce, infatti, solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di dare risoluzione definitiva ad ogni rapporto tra i coniugi e non va quindi confuso con la corresponsione periodica dell’assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo.
Dal che si deduce che la somma una tantum corrisposta alla ex moglie potrà beneficiare delle detrazioni fiscali alla stregua di un assegno di mantenimento solo nel caso in cui sia corrisposta ratealmente e con possibilità di revisione nel tempo.
In caso contrario non sarà deducibile per l’ex coniuge che la corrisponde e non sarà tassabile per l’ex coniuge che la riceve stante la natura di attribuzione patrimoniale della stessa più che di attribuzione reddituale.