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Articolo 12 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 01/01/2024]

Detrazioni per carichi di famiglia

Dispositivo dell'art. 12 TUIR

1. Dall'imposta lorda si detraggono per carichi di famiglia i seguenti importi:

  1. a) per il coniuge non legalmente ed effettivamente separato:
  2. 1) 800 euro, diminuiti del prodotto tra 110 euro e l'importo corrispondente al rapporto fra reddito complessivo e 15.000 euro, se il reddito complessivo non supera 15.000 euro;
  3. 2) 690 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.000 euro ma non a 40.000 euro;
  4. 3) 690 euro, se il reddito complessivo è superiore a 40.000 euro ma non a 80.000 euro. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 80.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 40.000 euro;
  5. b) la detrazione spettante ai sensi della lettera a) è aumentata di un importo pari a:
  6. 1) 10 euro, se il reddito complessivo è superiore a 29.000 euro ma non a 29.200 euro;
  7. 2) 20 euro, se il reddito complessivo è superiore a 29.200 euro ma non a 34.700 euro;
  8. 3) 30 euro, se il reddito complessivo è superiore a 34.700 euro ma non a 35.000 euro;
  9. 4) 20 euro, se il reddito complessivo è superiore a 35.000 euro ma non a 35.100 euro;
  10. 5) 10 euro, se il reddito complessivo è superiore a 35.100 euro ma non a 35.200 euro;
  11. c)950 euro per ciascun figlio, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi o affidati, di età pari o superiore a 21 anni. [[PERIODO SOPPRESSO DAL D.LGS. 21 DICEMBRE 2021, N. 230]]. [[PERIODO SOPPRESSO DAL D.LGS. 21 DICEMBRE 2021, N. 230]]. [[PERIODO SOPPRESSO DAL D.LGS. 21 DICEMBRE 2021, N. 230]]. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 95.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 95.000 euro. In presenza di più figli che danno diritto alla detrazione, l'importo di 95.000 euro è aumentato per tutti di 15.000 euro per ogni figlio successivo al primo. La detrazione è ripartita nella misura del 50 per cento tra i genitori non legalmente ed effettivamente separati ovvero, previo accordo tra gli stessi, spetta al genitore che possiede un reddito complessivo di ammontare più elevato. In caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione spetta, in mancanza di accordo, al genitore affidatario. Nel caso di affidamento congiunto o condiviso la detrazione è ripartita, in mancanza di accordo, nella misura del 50 per cento tra i genitori. Ove il genitore affidatario ovvero, in caso di affidamento congiunto, uno dei genitori affidatari non possa usufruire in tutto o in parte della detrazione, per limiti di reddito, la detrazione è assegnata per intero al secondo genitore. Quest'ultimo, salvo diverso accordo tra le parti, è tenuto a riversare all'altro genitore affidatario un importo pari all'intera detrazione ovvero, in caso di affidamento congiunto, pari al 50 per cento della detrazione stessa. In caso di coniuge fiscalmente a carico dell'altro, la detrazione compete a quest'ultimo per l'intero importo. Se l'altro genitore manca o non ha riconosciuto i figli naturali e il contribuente non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, ovvero se vi sono figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente e questi non è coniugato o, se coniugato, si è successivamente legalmente ed effettivamente separato, per il primo figlio si applicano, se più convenienti, le detrazioni previste alla lettera a)(2);
  12. d) 750 euro, da ripartire pro quota tra coloro che hanno diritto alla detrazione, per ogni altra persona indicata nell'articolo 433 del codice civile che conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 80.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 80.000 euro.

1-bis. [[ABROGATO]](3)

2. Le detrazioni di cui al comma 1 spettano a condizione che le persone alle quali si riferiscono possiedano un reddito complessivo, computando anche le retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni, nonché quelle corrisposte dalla Santa Sede, dagli enti gestiti direttamente da essa e dagli enti centrali della Chiesa cattolica, non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili. Per i figli di età non superiore a ventiquattro anni il limite di reddito complessivo di cui al primo periodo è elevato a 4.000 euro(4).

3. Le detrazioni per carichi di famiglia sono rapportate a mese e competono dal mese in cui si sono verificate a quello in cui sono cessate le condizioni richieste. [[PERIODO SOPPRESSO DAL D.LGS. 21 DICEMBRE 2021, N. 230]]. [[PERIODO SOPPRESSO DAL D.LGS. 21 DICEMBRE 2021, N. 230]](5).

4. Se il rapporto di cui al comma 1, lettera a), numero 1), è uguale a uno, la detrazione compete nella misura di 690 euro. Se i rapporti di cui al comma 1, lettera a), numeri 1) e 3), sono uguali a zero, la detrazione non compete. Se i rapporti di cui al comma 1, lettere c) e d), sono pari a zero, minori di zero o uguali a uno, le detrazioni non competono. Negli altri casi, il risultato dei predetti rapporti si assume nelle prime quattro cifre decimali.

4-bis. Ai fini del comma 1 il reddito complessivo è assunto al netto del reddito dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale e di quello delle relative pertinenze di cui all'articolo 10, comma 3-bis.

4-ter. Ai fini delle disposizioni fiscali che fanno riferimento alle persone indicate nel presente articolo, anche richiamando le condizioni ivi previste, i figli per i quali non spetta la detrazione ai sensi della lettera c) del comma 1 sono considerati al pari dei figli per i quali spetta tale detrazione(6).

Note

(1) La presente modifica acquista efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2019 come disposto dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205.
(2) Lettera modificata dal D. Lgs. 29 dicembre 2021, n. 230, il quale ha altresì disposto che le presenti modifiche si applicano a decorrere dal 1° marzo 2022.
(3) Comma abrogato dal D. Lgs. 29 dicembre 2021, n. 230.
(4) Comma modificato dal D. Lgs. 29 dicembre 2021, n. 230, il quale ha altresì disposto che le presenti modifiche si applicano a decorrere dal 1° marzo 2022.
(5) Comma modificato dal D. Lgs. 29 dicembre 2021, n. 230.
(6) Comma aggiunto dal D. L. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2022, n. 25.

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Consulenze legali
relative all'articolo 12 TUIR

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

V. S. chiede
domenica 15/10/2023
“Buon giorno

Ho bisogno di una vostra consulenza
il mio caso richiama il quesito Q202334477 però è un poco più articolato.

Ho sposato il mio attuale marito nel 2008. Mio marito ha adottato (con sentenza del 5 luglio 2023, passata in giudicato) mio figlio avuto con il mio, fu, primo marito (deceduto in data 12/10/2014)
Al momento di far modificare il cognome all'adottato, l'ufficiale di stato civile si è rifiutato adducendo esattamente le obiezioni descritte nella risposta al quesito di cui sopra.
(La risposta dell'ufficiale di stato civile è allegata in calce)

Quello che rende questo caso più articolato sono le seguenti circostanze:

Mio Marito è cittadino Lussemburghese, nipote di Italiani, nato il 13 maggio 1956.
Io Sono Ucraina (nata il 25 giugno 1971)

Mio Marito ed io siamo residenti in Italia (Alatri FR)
Mio marito non ha altri figli.
Mio figlio (l'adottato) è nato in Russia il 5 marzo 1988, ma cittadino Ucraino. Lui non è residente in Italia e purtroppo è un soldato coinvolto nella guerra in Ucraina. (è stato chiamto alle armi qualche mese dopo dell'inzio del processo di adozione)

Il processo è stato tenuto da due avvocati, di cui uno ha avuto una procura generale notarile a rappresentare l'adottato.
L'adottato ha dicharando esplicitamente il consenso a modificare il cognome (anteponendo il cognome di mio marito al suo)

Dalla vostra risposta al quesito di cui sopra è fuori di alcun dubbio che l'adottato possa anteporre il cognome dell'adottante, indipendentemente dalla cittadinanza

il nostro obiettivo è di inserire mio figlio (l'adottato) nello stato di famiglia di mio marito e me.

La mia domanda è se per questo obiettivo, la residenza in Italia sia effettivamente un fatto ostativo.

(una riflessione che mi veniva di fare è che lo stato di famiglia è un documento che in questo caso "appartiene" a 3 persone: l'adottato mio marito e me.
Mio marito ed io siamo residenti quindi mi viene da pensare che dovremmo avere il diritto di chiede di aggiornare il nostro stato di famiglia, anche coinvelgendo qualcuno non residente. Non è un caso eccezionale che un figlio viva all'estero quindi non mi sembra assurdo pretendere che sia nello stato di famiglia)

Vi ringrazio della disponibilità accordata fino ad ora
Vi porgo i miei migliori saluti, pregandovi per una solerte risposta.


(Ho utilizzato la email di una terza persona per mantenere riservate le mie generalità e dell'adottato in considerazione dei problemi che potrebbero verificarsi a causa della guerra in Ucraina)
Consulenza legale i 19/10/2023
Come si legge nel quesito, l’obiettivo che ci si prefigge di raggiungere è quello di far inserire il figlio adottato nello stato di famiglia proprio e del proprio coniuge.
Viene anche precisato che l’adottato, oltre ad essere cittadino ucraino, non risulta iscritto nelle liste della popolazione residente in Italia (diversamente da ciò che era stato asserito nel precedente quesito n. 34477, ove si legge che l’adottato ha residenza nello stesso Comune ove risiede la famiglia adottiva).
Ebbene, sulla base dei dati forniti, purtroppo, va detto che non è possibile soddisfare l’intento desiderato.

Tale risposta negativa trova fondamento nella c.d. Legge anagrafica (Legge n. 1228/1954, recante “Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente”) e nel relativo Regolamento di attuazione (DPR n. 223/1988, recante il “Regolamento anagrafico della popolazione residente”).
In particolare, l’art. 4 del DPR n. 223/1989 dà la definizione di famiglia anagrafica, qualificando come tale l’insieme delle persone legate tra loro da:
- vincoli di matrimonio,
- unione civile,
- parentela,
- affinità,
- adozione,
- tutela o da vincoli affettivi,
- convivenza di fatto (così art. 1 comma 37 della Legge 76/2016).
precisando che tutti i predetti soggetti devono essere coabitanti e avere dimora abituale nello stesso Comune.

Lo stato di famiglia a cui ci si riferisce nel quesito, dunque, non fa altro che delineare la famiglia anagrafica residente nella stessa abitazione all’interno del medesimo Comune, e va tenuto distinto dal concetto di “nucleo familiare”, espressione con la quale si designa anche soggetti non residenti nella medesima abitazione ma legati tra loro per ragioni fiscali, in quanto a carico del contribuente.

In particolare, il nucleo familiare è composto da quell’insieme di persone, fiscalmente a carico del contribuente e che:
- risultano dallo stato di famiglia (quindi, coincidente con la famiglia anagrafica),
- solitamente vivono nella stessa abitazione (ma possono anche essere non conviventi)

Come può notarsi, dunque, mentre la famiglia anagrafica, quale risultante dallo stato di famiglia, presuppone la convivenza, il nucleo familiare, pur coincidendo nella maggior parte dei casi con la famiglia anagrafica, può distinguersene e risultare costituito anche da soggetti non conviventi, purchè fiscalmente a carico del contribuente (l’espressione “nucleo familiare”, infatti, è impiegata dalla normativa soprattutto ai fini fiscali, ad esempio, per gli assegni familiari, per la dichiarazione unica sostitutiva per l’ISEE e così via).

In forza di quanto fin qui detto, pertanto, è da escludere che il figlio maggiorenne adottato, di cittadinanza ucraina e non residente neppure in Italia, possa essere iscritto nello stato di famiglia dei genitori adottivi.
Semmai, il medesimo potrebbe essere dichiarato come facente parte del nucleo familiare dei genitori, valendo a tal fine quanto stabilito dall’art. 3 del D.P.C.M. n. 159 del 05.12.2003.
Tale norma, dopo aver disposto al comma 1 che “Il nucleo familiare del richiedente è costituito dai soggetti componenti la famiglia anagrafica alla data di presentazione della DSU…”, fa salvo quanto stabilito nei commi successivi.
In particolare, il quinto comma così dispone:
Il figlio maggiorenne non convivente con i genitori e a loro carico ai fini IRPEF, nel caso non sia coniugato e non abbia figli, fa parte del nucleo familiare dei genitori. Nel caso i genitori appartengano a nuclei familiari distinti, il figlio maggiorenne, se a carico di entrambi, fa parte del nucleo familiare di uno dei genitori, da lui identificato”.
Si tenga conto che, ex 12 T.U.I.R., i figli di età superiore a ventiquattro anni non possono più essere considerati a carico ai fini IRPEF e, conseguentemente, non possono più essere dichiarati come facenti parte del nucleo familiare del contribuente.

Infine, per quanto concerne il provvedimento di diniego dell’ufficiale di stato civile del 29.09.2023, in forza del quale viene respinta l’istanza volta a consentire al soggetto adottato di assumere il cognome dell’adottante anteponendolo al proprio, come giustamente si osserva vengono addotte le medesime motivazioni a cui si era fatto riferimento nella precedente consulenza.
Pertanto, non rimane altra soluzione che quella di ricorrere avverso tale provvedimento dinanzi all’Autorità giudiziaria, adducendo a sostegno delle proprie ragioni quanto già dedotto nei precedenti giurisprudenziali a cui si è fatto riferimento nella precedente consulenza.

P.L. chiede
martedì 23/11/2021 - Lazio
“Buongiorno staff di Brocardi,
la domanda è la seguente: io mantengo mia madre anche se risulto residente altrove (in realtà poco distante nella stessa città) ma di fatto convivo con lei. Mia madre dovrebbe percepire un mantenimento da mio padre a seguito di sentenza di separazione giudiziale che lui non ha mai onorato. Ci sono in corso ben 4 procedimenti tra mia madre e mio padre. Tre azionati da lei (richiesta crediti mai ricevuti su cui mio padre ha fatto opposizione, pignoramento presso terzi e giudizio penale per inadempienza agli obblighi di mantenimento) e uno da mio padre (divorzio).
In tutti e 4 procedimenti mia madre ha chiesto ed ottenuto il gratuito patrocinio perché risulta senza reddito e nulla tenente.
Mi chiedo: posso avere mia madre fiscalmente a carico in modo da ridurre l’importo delle tasse che devo pagare visto che sono io effettivamente a mantenerla? Non rischio però che lei perda il gratuito patrocinio dei giudizi in corso, in quanto risultando a mio carico non ne avrebbe più diritto, e quindi di trovarmi a sobbarcarmi io le spese legali e di una eventuale soccombenza?
Il mio commercialista ancora non mi ha saputo rispondere e al mio avvocato ovviamente ho preferito non dire nulla.
Pertanto nell’attesa di un vostro riscontro vi auguro una buona serata.”
Consulenza legale i 10/12/2021
Ai sensi dell’ art. 12 TUIR il contribuente ha diritto alla detrazione per familiari a carico per un importo pari ad euro 750 euro, da ripartire pro quota tra coloro che hanno diritto alla detrazione, per ogni altra persona indicata nell'articolo 433 del codice civile che conviva con il contribuente o percepisca assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 80.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 80.000 euro. Tra i soggetti indicati nell’art 433 c. c. sono compresi anche i genitori.
Il comma 2 del medesimo art. 12 del TUIR ammette poi le suddette detrazioni “a condizione che le persone alle quali si riferiscono possiedano un reddito complessivo, computando anche le retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni, nonché quelle corrisposte dalla Santa Sede, dagli enti gestiti direttamente da essa e dagli enti centrali della Chiesa cattolica, non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili.”
Occorrerà dunque verificare che la signora non superi il reddito sopra indicato per confermare che il nostro utente possa effettivamente godere delle detrazioni per familiare a carico.

Quanto al gratuito patrocinio, di cui attualmente la signora beneficia, va considerato che ai sensi dell’art. 76 DPR 115/2002 può essere “ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.746,68.
2. Salvo quanto previsto dall'articolo 92, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante. 3. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva
.”

Considerato quanto sopra, può sostenersi che nel caso in cui la madre nel nostro utente dovesse trasferire ufficialmente la sua residenza presso l’abitazione del figlio, quest’ultimo potrebbe averla fiscalmente a carico solo nel caso in cui la stessa non superasse il reddito di euro 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili, mentre ai fini del beneficio del gratuito patrocinio, indipendentemente dal fatto che la signora sia posta o meno fiscalmente a carico del figlio, il reddito complessivo dell’intero nucleo familiare (comprensivo di coniuge e figli conviventi) non dovrà essere, per il 2021, superiore ad euro 11.746,68 complessivi.



Giuseppe A. R. chiede
martedì 05/05/2020 - Lombardia
“Buongiorno,
vi scrivo per avere delucidazioni su questioni fiscali in merito mia famiglia: sono un dipendente di una azienda privata del settore chimico e mi sono sposato nel 2019 con una cittadina extracomunitaria (Uzbekistan) madre di una ragazza minorenne nata dal precedente matrimonio, conviviamo tutti e tre nella stessa residenza e mia moglie è sprovvista di reddito non lavorando e non percependo altre somme dall'ex marito neanche per il mantenimento della figlia. Ho diritto alle detrazioni fiscali per la figlia? Posso aggiungerla in fase di dichiarazione dei redditi come fiscalmente a mio carico? Eventualmente è necessaria documentazione aggiuntiva che attesta la mia situazione familiare? Inoltre, posso iscrivere la ragazza al fondo di assistenza sanitaria della mia categoria (nello specifico: Faschim).
Per completezza aggiungo che sia mia moglie, sia la figlia sono in possesso di regolare permesso di soggiorno, codice fiscale e (nel caso della figlia) del nulla osta da parte del padre ad avere la residenza fissa in Italia.
Grazie anticipatamente e cordiali saluti”
Consulenza legale i 15/05/2020
Ai sensi del comma 2 dell’art. 12 del TUIR sono considerati familiari fiscalmente a carico i membri della famiglia che possiedono un reddito complessivo uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili.
A decorrere dall’1.1.2019 e solo per i figli di età non superiore a 24 anni il limite di reddito complessivo per essere considerati fiscalmente a carico è elevato da 2.840,51 a 4.000 euro (comma 252 della legge n. 205 del 27/12/2017).
Resta, invece, fermo il limite di 2.840,51 euro per le altre tipologie di familiari a carico.
Nel limite di reddito di 2.840,51 euro ovvero di 4.000,00 euro che il familiare deve possedere per essere considerato fiscalmente a carico, devono essere computate anche alcune somme, che non sono comprese nel reddito complessivo e specificamente individuate dalla stessa norma.

Ai fini fiscali, possono essere considerati familiari a carico, anche se non conviventi con il contribuente o residenti all’estero:
  • il coniuge non legalmente ed effettivamente separato;
  • i figli (compresi i figli, adottivi, affidati o affiliati) indipendentemente dal superamento di determinati limiti di età e dal fatto che siano o meno dediti agli studi o al tirocinio gratuito; gli stessi pertanto ai fini dell’attribuzione della detrazione non rientrano mai nella categoria “altri familiari”.
Possono essere considerati a carico anche i seguenti altri familiari, a condizione che convivano con il contribuente o che ricevano dallo stesso assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’Autorità giudiziaria:
  • il coniuge legalmente ed effettivamente separato;
  • i discendenti dei figli;
  • i genitori (compresi quelli adottivi);
  • i generi e le nuore;
  • il suocero e la suocera;
  • i fratelli e le sorelle (anche unilaterali);
  • i nonni e le nonne.

In caso di separazione legale ed effettiva o di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la detrazione in esame spetta, in mancanza di accordo, al genitore affidatario (articolo 12 comma 1, lettera c, del Tuir).
Qualora questi non possa usufruire, per limiti di reddito, in tutto o in parte della detrazione, la stessa è assegnata per intero all’altro genitore.
Quest’ultimo, salvo diverso accordo tra le parti, sarà tenuto a versare al genitore affidatario un importo pari alla detrazione di cui ha beneficiato.
Per quanto sopra esposto, non sarà possibile per chi pone il quesito, inserire nel prospetto dei familiari a carico della propria dichiarazione la figlia della moglie in quanto non rientrante tra i soggetti indicati nel sopra citato art. 12.

Per quanto riguarda il secondo quesito, da quanto si evince dal sito della FASCHIM , il lavoratore può iscrivere oltre che se stesso, anche i componenti del nucleo familiare.
E’ bene precisare che la figlia della moglie fa parte della famiglia anagrafica di chi pone il quesito ma non del “nucleo familiare”.
Il concetto di “nucleo familiare” è cosa ben diversa da quello di “famiglia anagrafica”, così come risultante dallo stato di famiglia.
Muovendo da quest’ultimo, possiamo dire che, in Italia, l'anagrafe è regolata dalla legge n. 1228/54 nonché dal suo Regolamento di attuazione approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 223./89 e successive modificazioni.

L’art. 4 del Regolamento definisce la “famiglia anagrafica” come “insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”.
Dalla definizione si evince che, al fine di poter parlare di famiglia anagrafica (o di “convivenza anagrafica”), occorre la sussistenza di un vincolo di matrimonio, parentela, affinità, adozione, nonché la convivenza anagrafica nello stesso Comune.
Il successivo comma 2 dello stesso art. 4 precisa che una famiglia anagrafica può essere costituita anche da una sola persona.

Per ciò che concerne, invece, il concetto di “convivenza anagrafica”, il successivo art. 5 del citato Regolamento precisa che, agli effetti anagrafici, per convivenza s'intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune.
Le persone addette alla convivenza per ragioni di impiego o di lavoro, se vi convivono abitualmente, sono considerate membri della convivenza, purché non costituiscano famiglie a se stanti. Le persone ospitate anche abitualmente in alberghi, locande, pensioni e simili non costituiscono convivenza anagrafica.
Coerentemente con le citate disposizioni, chi pone il quesito ha la propria residenza con il coniuge e la figlia di quest’ultima, e pertanto costituiscono una famiglia anagrafica come risulterà anche nello stato di famiglia.
Diverso dal concetto di famiglia anagrafica è invece la nozione di “nucleo familiare” che è una nozione di tipo prevalentemente fiscale, posto che nel nucleo familiare rientrano anche i soggetti non conviventi ma “fiscalmente a carico”.
L’elemento fondamentale di differenziazione sta proprio nel requisito della convivenza che è espressamente richiesta ai fini della famiglia anagrafica e non anche ai fini del nucleo familiare.

Ciò detto, non sarà possibile iscrivere la ragazza al fondo di assistenza sanitaria.
Tuttavia, al fine di poter dare una risposta più puntuale sarebbe necessario esaminare le condizioni contrattuali della polizza sanitaria di cui si discute per appurare se la stessa contiene un riferimento al concetto di “nucleo familiare” ovvero a quello di “famiglia anagrafica”, stante la differenza appena esaminata tra le due nozioni.


Alessandro D. R. chiede
mercoledì 18/12/2019 - Lazio
“Ho necessità di sapere la definizione giuridica di "Nucleo familiare" (chi fa parte e quali sono gli articoli di riferimento) e chi è presente nel mio nucleo familiare in base alle informazioni che riporto più avanti.
La mia assicurazione sanitaria prevede il diritto di assistenza anche per il "nucleo familiare" dell'intestatario dell'assicurazione. Per attestare i componenti del nucleo familiare richiedono però lo "stato di famiglia" rilasciato dal comune (che a mio parere attesta la "famiglia anagrafica").
La mia situazione è la seguente:
Sono sposato e padre di due figli minori.
Io ho la residenza diversa da mia moglie.
I nostri figli hanno residenza con mia moglie.
Nel mio stato di famiglia risulto soltanto io.
Grazie”
Consulenza legale i 27/12/2019
Non può che convenirsi sul fatto che il concetto di “nucleo familiare” sia cosa ben diversa da quello di “famiglia anagrafica”, così come risultante dallo stato di famiglia.
Muovendo da quest’ultimo, possiamo dire che, in Italia, l'anagrafe è regolata dalla legge n. 1228/54 nonché dal suo Regolamento di attuazione approvato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 223/89 e successive modificazioni.
L’art. 4 del Regolamento definisce la “famiglia anagrafica” come “insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”.
Dalla definizione si evince che, al fine di poter parlare di famiglia anagrafica (o di “convivenza anagrafica”), occorre la sussistenza di un vincolo di matrimonio, parentela, affinità, adozione; nonché la convivenza anagrafica nello stesso Comune.
Il successivo comma 2 dello stesso art. 4 precisa che una famiglia anagrafica può essere costituita anche da una sola persona.

Per ciò che concerne, invece, il concetto di “convivenza anagrafica”, il successivo art. 5 del citato Regolamento precisa che, agli effetti anagrafici, per convivenza s'intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune.
Le persone addette alla convivenza per ragioni di impiego o di lavoro, se vi convivono abitualmente, sono considerate membri della convivenza, purché non costituiscano famiglie a se stanti.
Le persone ospitate anche abitualmente in alberghi, locande, pensioni e simili non costituiscono convivenza anagrafica.

Coerentemente con le citate disposizioni, poiché chi pone il quesito ha una propria residenza in un Comune diverso da quello del coniuge e dei propri figli, agli effetti anagrafici, è considerato una famiglia anagrafica a se stante e, quindi, non potrà che risultare individualmente nel proprio stato di famiglia.
Diverso dal concetto di famiglia anagrafica è la nozione di “nucleo familiare” che è una nozione di tipo prevalentemente fiscale, posto che nel nucleo familiare rientrano anche i soggetti non conviventi ma “fiscalmente a carico”.

L’elemento fondamentale di differenziazione sta proprio nel requisito della convivenza che è espressamente richiesta ai fini della famiglia anagrafica e non anche ai fini del nucleo familiare.
Il coniuge, ad esempio, rientra sempre nel nucleo familiare, anche se non risulta nello stesso stato di famiglia o abita in luogo diverso.
Marito e moglie appartengono a due nuclei familiari diversi solo nelle seguenti ipotesi:
  • separazione legale,
  • divorzio,
  • nullità del matrimonio,
  • decadenza della potestà genitoriale,
  • allontanamento dalla residenza familiare,
  • provvedimenti temporanei e urgenti del giudice che consentono la diversa residenza.
Più in dettaglio, rientrano nel nucleo familiare di un soggetto:
  • il coniuge, a prescindere dal fatto che questi risulti o meno nello stato di famiglia,
  • i figli minori conviventi, anche se sono a carico, ai fini Irpef, di altre persone,
  • i figli minori in affidamento preadottivo o temporaneo,
  • i figli maggiorenni a carico ai fini Irpef,
  • i soggetti che fanno parte dello stato di famiglia anagrafico,
  • i soggetti a carico Irpef, a prescindere dalla loro presenza nello stato di famiglia,
  • i soggetti che ricevono assegni alimentari dalla persona di cui sono a carico, che non risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria,
  • i figli minori conviventi con le persone a carico Irpef che non risultano dallo stato di famiglia, purché non affidati a terzi,
  • i figli minori del coniuge che non risiede con le persone che fanno parte dello stato di famiglia, i maggiorenni a carico Irpef e i minorenni affidatigli dal giudice.
Da quanto detto prima si evince che ciò che rileva ai fini fiscali è il concetto di “familiare a carico”.
Al riguardo, occorre precisare che sono considerati familiari fiscalmente a carico i membri della famiglia che possiedono un reddito complessivo uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili.
Nel limite di reddito di 2.840,51 euro che il familiare deve possedere per essere considerato fiscalmente a carico, devono essere computate anche le seguenti somme, che non sono comprese nel reddito complessivo:
  • le retribuzioni corrisposte da Enti e Organismi Internazionali, da Rappresentanze diplomatiche e consolari, da Missioni, dalla Santa Sede, dagli Enti gestiti direttamente da essa e dagli Enti centrali della Chiesa Cattolica;
  • la quota esente dei redditi di lavoro dipendente prestato nelle zone di frontiera ed in altri Paesi limitrofi in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto lavorativo da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
  • il reddito d’impresa o di lavoro autonomo assoggettato ad imposta sostitutiva nel caso di applicazione del regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (art. 27, commi 1 e 2, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98);
  • il reddito d’impresa o di lavoro autonomo assoggettato ad imposta sostitutiva in applicazione del regime forfetario (art. 1, commi 54/89, della L. 23/12/2014, n. 190);
  • il reddito dei fabbricati assoggettato alla cedolare secca sulle locazioni.
Ai fini fiscali, possono quindi essere considerati familiari a carico, anche se non conviventi con il contribuente o residenti all’estero:
  • il coniuge non legalmente ed effettivamente separato;
  • i figli (compresi i figli, adottivi, affidati o affiliati) indipendentemente dal superamento di determinati limiti di età e dal fatto che siano o meno dediti agli studi o al tirocinio gratuito; gli stessi pertanto ai fini dell’attribuzione della detrazione non rientrano mai nella categoria “altri familiari”.
Possono essere considerati a carico anche i seguenti altri familiari, a condizione che convivano con il contribuente o che ricevano dallo stesso assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’Autorità giudiziaria:
  • il coniuge legalmente ed effettivamente separato;
  • i discendenti dei figli;
  • i genitori (compresi quelli adottivi);
  • i generi e le nuore;
  • il suocero e la suocera;
  • i fratelli e le sorelle (anche unilaterali);
  • i nonni e le nonne.
Ciò detto, è evidente che, al fine di poter dare una risposta più puntuale al quesito sarebbe necessario esaminare le condizioni contrattuali della polizza sanitaria di cui si discute per appurare se la stessa contiene un riferimento al concetto di “nucleo familiare” ovvero a quello di “famiglia anagrafica”, stante la differenza tra le due nozioni.
Quanto detto, comunque, può costituire una utile guida per affrontare la questione.


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