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Articolo 7 Responsabilità professionale del personale sanitario

(L. 8 marzo 2017, n. 24)

[Aggiornato al 01/01/2023]

Responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria

Dispositivo dell'art. 7 Responsabilità professionale del personale sanitario

1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose.

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.

3. L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'articolo 590 sexies del codice penale, introdotto dall'articolo 6 della presente legge.

4. Il danno conseguente all'attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo.

5. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile.

Spiegazione dell'art. 7 Responsabilità professionale del personale sanitario

L’art 7 disciplina la responsabilità civile delle strutture sanitarie o sociosanitarie e degli esercenti le professioni sanitarie, prevedendo una netta bipartizione tra la responsabilità dell’ente ospedaliero e quella della persona fisica per i danni occorsi ai pazienti.
Responsabilità civile della struttura sanitaria
Al comma 1 viene confermata la natura contrattuale della responsabilità civile della struttura sanitaria che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, per i danni derivanti dalle condotte dolose o colpose ivi poste in essere da questi ultimi, anche qualora essi siano stati scelti dal paziente e non siano dipendenti della struttura medesima. La struttura risponde, pertanto, nei confronti dei danneggiati, ai sensi degli articoli 1218 (responsabilità del debitore) e 1228 (responsabilità per fatto degli ausiliari) del codice civile.
La norma si limita a fare riferimento “all’adempimento dell'obbligazione”, senza specificare quale sia la fonte da cui essa deriva. La giurisprudenza ha spesso fatto riferimento al cd. “contratto atipico di spedalità”, il quale si perfezionerebbe per facta concludentia, con l’accettazione del paziente presso la struttura. Tale contratto di spedalità ha un oggetto molto ampio, non limitato all'erogazione delle cure sanitarie, ma esteso anche “ad obblighi di protezione e accessori”, e dunque a prestazioni di natura latu sensu alberghiera (vitto, alloggio, ristorazione), di custodia del paziente, di igiene, di adeguatezza delle attrezzature e degli impianti, ecc. Tuttavia, vi è anche una tesi minoritaria, la quale sostiene che, in realtà, l’ospedale pubblico sia tenuto ad erogare le prestazioni di assistenza e cura non in base ad un contratto, ma perché è obbligato per legge (più precisamente, la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale). La legge Gelli non pare prendere una posizione su quale sia la fonte contrattuale dell’obbligazione, ma ciò rimane indifferente dal punto di vista pratico, dato che per l’art. 7 la responsabilità della struttura verso il paziente è comunque sempre disciplinata dagli artt. 1218 e 1228 c.c.
Il comma 2, poi, specifica che la responsabilità civile della medesima struttura è di natura contrattuale anche con riferimento alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria, ovvero nell'ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, nonché attraverso la telemedicina. Per quanto riguarda le prestazioni rese in regime di libera professione intramuraria (“intramoenia”, ex D.lgs. 502/92 s.m.i.), la norma pare recepire l’orientamento dottrinale per cui l’ente è obbligato in solido al risarcimento del danno perché trae esso stesso un utile economico dall’attività del libero professionista (essendo i relativi proventi ripartiti, sia pure in percentuali variabili, tra il sanitario e l’azienda di appartenenza).
Responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria
Il comma 3 stabilisce invece che la responsabilità dell'esercente le professioni sanitarie sia di natura extracontrattuale: egli risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
Tale previsione si pone in regime di discontinuità rispetto al passato. La prevalente giurisprudenza, infatti, qualificava la responsabilità sia della struttura sanitaria che del medico come vera e propria responsabilità contrattuale: la prima discendeva direttamente dal “contratto di spedalità” stipulato con il paziente, mentre per la seconda si faceva riferimento all’art. 1173 c.c., nella parte in cui parla di “ogni altro fatto o atto idoneo” a produrre obbligazioni. Si sosteneva che, all’atto di ricovero, tra medico e paziente si stabiliva un "contatto sociale qualificato" (nel senso che non era casuale, ma voluto da entrambe le parti), per effetto del quale il primo assumeva specifici obblighi di protezione nei confronti del secondo, la violazione dei quali imponeva il risarcimento del danno nelle forme prescritte dall’art. 1218 c.c. Questa identica qualificazione della responsabilità di medico e struttura sanitaria aveva avuto l’effetto di ripartire equamente il rischio risarcitorio in capo a tali soggetti, senza considerare le loro diverse capacità finanziarie.
La legge Gelli ha superato la teoria del contatto sociale con l’intento di diversificare le due posizioni, spostando il rischio sul soggetto maggiormente capiente: questo a vantaggio tanto dell’esercente la professione sanitaria, che risponde solo dei danni integralmente provati dal paziente, quanto del paziente medesimo, il quale è spinto ad agire nei confronti di chi può risarcire i danni più facilmente.
In questo modo il legislatore ha portato a compimento quel disegno, già prefigurato ma non completato dal decreto Balduzzi, che, valorizzando gli obblighi finalizzati alla sicurezza delle cure, pone la struttura quale referente immediato e diretto del paziente. La logica seguita dalla legge Gelli è quella di prevenzione, attraverso la quale l’attenzione viene spostata dal soggetto che ha commesso il fatto al “sistema”, alla ricerca dei fattori che hanno agevolato o reso possibile l’incidente; è, infatti, prima di tutto alla struttura che si chiede di dotarsi di un apparato efficiente e di attivarsi per un’accorta prevenzione e gestione del rischio.
È inoltre previsto che il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno al paziente, debba tener conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della legge Gelli - ossia del rispetto delle buone pratiche clinico-assistenziali e delle raccomandazioni previste dalle linee guida, salve le specificità del caso concreto - e dell'articolo 590 sexies c.p., come introdotto dal precedente articolo 6.
Il fatto che il medico abbia applicato le linee guida non significa che esso sia esonerato da un eventuale obbligo risarcitorio, infatti, se le specificità del caso concreto sono tali da non giustificarne l’osservanza, il medico che comunque le segua sarà esposto, in caso di danno (e sempreché sussistano i presupposti della negligenza, imprudenza o imperizia), al risarcimento.
Se invece il medico non abbia seguito le linee guida si possono aprire due diversi scenari: se le linee guida erano controindicate in ragione delle peculiarità della fattispecie, non gli si potrà muovere nessun rimprovero (sempreché la sua condotta non sia stata comunque negligente, diligente o imperita); se invece le linee guida erano confacenti al caso, di sicuro il medico è responsabile, ma ci si chiede se, in questo caso, sia possibile addirittura ipotizzare una colpa grave ex se.
Non è chiaro comprendere in concreto cosa significhi il richiamo all'applicazione delle linee guida come elemento di graduazione del risarcimento: sembrerebbe in questo modo possibile sostenere che la liquidazione del danno sia ricollegata alla valutazione del grado della colpa dell’esercente nella causazione del danno. Tuttavia, nella logica del codice civile, rispondere per colpa lieve o grave è indifferente ai fini della liquidazione del danno, essendo in linea di principio irrilevante la qualificazione del comportamento dell’agente; inoltre, la stessa legge Gelli non ha mai posto questa differenziazione. Ci si chiede se la regola secondo la quale il risarcimento dovrebbe tener conto della condotta voglia forse alludere alla possibilità di adottare, in simili casi, un meccanismo “para punitivo”, tale da aggravare la portata risarcitoria ordinaria.
Ricadute in materia di onere probatorio e di prescrizione
Viene quindi previsto un regime di doppia responsabilità civile, qualificato come:
• responsabilità contrattuale per la struttura, che risponde dei fatti illeciti compiuti dagli esercenti la professione sanitaria che vi operano;
• responsabilità extracontrattuale per l'esercente la professione sanitaria, a qualunque titolo operante in una struttura sanitaria e sociosanitaria pubblica o privata (salvo il caso di obbligazione contrattuale assunta con il paziente).
La diversa natura della responsabilità della struttura e del sanitario comporta notevoli ricadute sul piano sostanziale (in materia di prescrizione) e processuale (in relazione all'onere della prova della responsabilità e del danno).
Per quanto riguarda il termine di prescrizione delle diverse azioni:
- Per l’azione di responsabilità contrattuale contro la struttura sanitaria, il termine prescrizionale sarà di 10 anni (art. 2946 c.c.);
- Per l’azione di responsabilità extracontrattuale contro l’esercente la professione sanitaria, il termine sarà invece di 5 anni (art. 2947 c.c.).
Per quanto riguarda l’onere della prova:
- Nel giudizio contro la struttura sanitaria, il danneggiato dovrà semplicemente provare il titolo da cui deriva l'obbligazione (ad es. il c.d. contratto di spedalità) ed allegare l’inadempimento, rimanendo in capo alla struttura sanitaria l’onere della prova circa l'esatto adempimento ovvero dell'inadempimento non imputabile. Il danno risarcibile è limitato al danno che poteva prevedersi al tempo in cui è sorta l'obbligazione, salvo che in caso di dolo.
- Nel giudizio contro l’esercente la professione sanitaria, l’onere della prova è a carico del danneggiato, che dovrà non solo allegare, ma anche provare il fatto illecito, il danno, l'elemento soggettivo (la colpa) ed il nesso causale tra condotta ed evento.
Risarcimento del danno
Quanto alle modalità di risarcimento del danno, il comma 4 prevede che la sua liquidazione avvenga sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 (danno biologico per lesioni di non lieve entità) e 139 (danno biologico per lesioni di lieve entità) del Codice delle assicurazioni private (D.Lgs n. 209/2005). Il riferimento è alle tabelle uniche nazionali dei valori economici del danno biologico, il cui aggiornamento è disposto annualmente con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico.
La norma si riferisce a qualunque danno, sia quelli generati nell’ambito della struttura sanitaria, che quelli cagionati da un medico libero professionista. Il riferimento agli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private era già previsto dall’art. 3 del decreto Balduzzi ed è stato ripreso anche dalla legge Gelli, nell’ottica di creare un sistema in cui l’obbligo assicurativo costituisce uno dei pilastri portanti, sia a tutela del soggetto responsabile, che a protezione dello stesso paziente (un esempio paradigmatico di ciò è la previsione dell’azione diretta ai sensi dell’art. 12).
Norme imperative
Il comma 5 stabilisce che le disposizioni dell'articolo in esame vengono qualificate come "norme imperative" ai sensi del codice civile: tale precisazione intende sancire l'inderogabilità delle disposizioni sulla responsabilità civile per danni occorsi in ambito sanitario, anche qualora il contratto tra paziente e struttura (o tra il primo ed il medico libero professionista) contenga clausole che escludano o limitino la responsabilità. In questo caso, la contrarietà a norme imperative determina l'illiceità del negozio.

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Anto I. chiede
giovedì 11/10/2018 - Lombardia
“Struttura sanitaria privata,viene inviata messa in mora ,subito dopo la struttura viene venduta ad altra,in un simile caso quale valore ha la messa in mora fatta alla precedente per un errore sanitario?Grazie.”
Consulenza legale i 18/10/2018
Sicuramente il subingresso di una società ad un’altra non può comportare la cancellazione di tutti i rapporti pregressi, almeno sotto il profilo civilistico (dal punto di vista penale la responsabilità è personale), né tantomeno la perdita della possibilità di essere indennizzati per eventuali danni subiti.
Con ciò vuol dirsi che la lettera di diffida e messa in mora indirizzata alla struttura sanitaria cedente, e con la quale il paziente danneggiato aveva concluso il c.d. contratto di spedalità, manterrà indubbiamente il suo valore ed effetto anche con riguardo alla struttura sanitaria cessionaria, e ciò sia sotto il profilo del rispetto dei termini per chiedere il risarcimento dei danni, sia sotto il profilo della concreta possibilità di conseguire dalla parte cessionaria le eventuali somme che verranno riconosciute a titolo di risarcimento.
Vediamo adesso come può giungersi a tale conclusione.

Una prima considerazione intanto si impone.
Come sicuramente sarà ben noto, la materia della responsabilità medica dal 1 aprile 2017 è regolata dalla c.d. Legge Gelli-Bianco, ossia la legge n. 24 dell’8 marzo 2017; l' art. 7 della l. resp. personale sanitario , confermando un orientamento giurisprudenziale ormai da tempo diffuso, opera una netta demarcazione tra la responsabilità della struttura pubblica o privata e quella della persona fisica del personale medico o paramedico che incorre in responsabilità.

In particolare, mentre la responsabilità della struttura viene attratta nell’ambito della responsabilità contrattuale, e quindi è soggetta alle norme di cui agli artt. 1218 e 1228 c.c., l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ex art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
Si conferma infatti che il contratto che lega il paziente con la struttura è il c.d. contratto atipico di spedalità, in forza del quale la medesima struttura si obbliga a fornire al paziente una prestazione complessa di assistenza sanitaria; la sua responsabilità potrà così conseguire sia ex art. 1218 del c.c. dall’inadempimento di obbligazioni direttamente a suo carico, sia ex art. 1228 del c.c. dall’inadempimento della prestazione medico professionale svolta direttamente dal sanitario quale suo ausiliario necessario.

Ma la Legge n. 24/2017 si rivela di particolare ausilio, per il caso che ci riguarda, sotto un altro profilo: l’art. 10 della l. resp. personale sanitario prevede adesso per le strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche e private l’obbligo di copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi; l’obbligo assicurativo riguarda anche le prestazioni svolte in regime di libera professione intramuraria o in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale o attraverso la telemedicina (a tal fine le strutture sono perfino tenute a pubblicare sui rispettivi siti internet i dati riguardanti l’impresa assicuratrice, le polizze e le relative clausole contrattuali).

Le considerazioni che precedono, indubbiamente, non sono fine a se stesse, ma assumono una certa rilevanza in relazione alla particolare fattispecie.
Infatti, nel caso di specie il paziente che asserisce di essere stato danneggiato si trova di fronte ad una struttura sanitaria che ha ceduto ad altro soggetto (presumibilmente giuridico) la propria azienda, il che rende applicabile la disciplina civilistica della cessione di azienda, e più precisamente gli articoli dal 2558 al 2560 del codice civile.
La norma che più ci interessa è quella contenuta all’art. 2558 del c.c., nella parte in cui dispone che l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale.

L’ampia formula “contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda” comprende una vasta categoria di contratti, tra i quali da un lato vi sono i contratti c.d. aziendali in senso stretto (ossia quelli inerenti il godimento dei beni aziendali non di proprietà dell’imprenditore) e dall’altro, invece, quelli che si possono definire come contratti di impresa, che possono riguardare i rapporti tra imprenditore e fornitori, i contratti di assicurazione, ecc.

Inoltre, secondo la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza, poiché l’azienda va considerata quale universitas iuris, inclusiva non solo di beni materiali, ma anche di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi ad essa pertinenti, dovrebbero includersi nel trasferimento dell’azienda non solo i debiti già accertati e risultanti dai libri contabili obbligatori, ma anche tutti quelli scaturenti da una situazione di soggezione ad un diritto potestativo ad attuazione giudiziale, ossia dal diritto potestativo del paziente (che ha stipulato un contratto con la società cedente e che ha subito un danno) di agire in giudizio e vedere attuato il suo diritto ad ottenere un risarcimento.

Ritornando dunque al piano concreto della vicenda, può dirsi che la messa in mora è stata correttamente e validamente indirizzata alla struttura che ha concluso il contratto con il paziente.
Il fatto che tale struttura abbia successivamente alienato la propria azienda ad altra società non comporta la perdita di efficacia di quella messa in mora, in quanto la nuova società, nella sua qualità di cessionaria, si intende subentrata a tutti gli effetti nei rapporti giuridici attivi e passivi della società cedente, ivi compresi i rapporti contrattuali.

Tra questi ultimi debbono farsi rientrare non soltanto i rapporti contrattuali ancora in itinere conclusi con i pazienti, ma anche gli eventuali contratti di assicurazione; in particolare, ci si vuole riferire a quel contratto di assicurazione che, per effetto dell’art. 10 della Legge 24/2017, la struttura sanitaria è dal 1 aprile 2017 obbligata a stipulare a tutela proprio di eventuali richieste risarcitorie.

Considerato che a seguito della messa in mora si è appreso dell’intervenuta cessione di azienda, ciò che si consiglia è di reiterare nuovamente la messa in mora, indirizzandola alla nuova struttura nella qualità di cessionaria della struttura “X”.
Qualora tale messa in mora non abbia alcun positivo riscontro, dovrà esperirsi la regolare procedura di mediazione, voluta sempre dalla Legge Gelli-Bianco, procedura alla quale dovrà essere pur sempre invitata a partecipare la società cessionaria.

Si tenga infine presente che, per effetto della citata riforma, esiste un’ulteriore possibilità, ossia quella di ricorrere al Fondo di garanzia ex art. 14 della l. resp. personale sanitario.
In particolare, il comma 7 di quest’ultima norma prevede che tale fondo opera in tre casi, uno dei quali ricorre allorchè la struttura o l’esercente la professione sanitaria siano sprovvisti di copertura assicurativa per recesso dell’assicurazione o per sopravvenuta inesistenza o cancellazione dall’albo di questa.

Infine, e per concludere, qualora non si riescano ad ottenere risultati positivi da nessuna delle soluzioni prospettate, rimane sempre la strada di agire per responsabilità extracontrattuale nei confronti del medico (colui che si definisce esercente la professione sanitaria) ex art. 7 comma 3 della Legge 24/2017.
In questo caso, però, il termine di prescrizione per far valere la responsabilità non sarà di 10 anni (come nel caso di responsabilità contrattuale), ma di cinque anni, trattandosi appunto di responsabilità extracontrattuale disciplinata dall’ art. 2643 del c.c..