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Articolo 571 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

Dispositivo dell'art. 571 Codice Penale

Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina(1) in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente(2), con la reclusione fino a sei mesi.

Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni [572](3).

Note

(1) I concetti di mezzi di correzione e di disciplina hanno subito un'evoluzione storica. Tradizionalmente infatti la dottrina li riconduceva allo ius corrigendi riconosciuto in capo a soggetti in posizioni di autorità che dunque potevano impiegare l'uso della violenza fisica o morale nei confronti di coloro che risultavano essere assoggettati alla loro autorità (si pensi ad esempio al rapporto genitore-figlio). Di conseguenza il reato in esame si considerava configurabile qualora fossero travalicati i limiti di tale violenza. Attualmente invece si nega che possa ricorrere all'uso di mezzi correttivi nell'ambito di alcune relazioni, quindi di abuso può parlarsi solo nei casi di uso improprio o abnorme di mezzi leciti. Qualora dunque vengano usati mezzi illeciti come le percosse, le ingiurie, le minacce verranno ad applicarsi i corrispondenti reati.
(2) Il pericolo di una malattia è diversamente considerato dalla dottrina. Infatti alcuni autori propendono per ritenerla una condizione obiettiva di punibilità (v. art. 44), altri invece pensano che si tratti di un elemento costitutivo del reato su cui deve ricadere quindi la volizione.
(3) Si tratta di un'ipotesi d delitto aggravato dall'evento lesione o morte, evento che non deve però essere voluto, se così fosse infatti il reo risponderebbe di lesioni o di omicidio.

Ratio Legis

La dottrina maggioritaria ritiene che tale disposizione non attenga tanto all'ambito familiare, ma, a dispetto della sua collocazione, sia invece diretta a tutelare la dignità personale del soggetto.

Spiegazione dell'art. 571 Codice Penale


Il bene giuridico oggetto di tutela è l'incolumità fisica del soggetto passivo, ovvero l'inviolabilità della libertà personale, oppure ancora la libertà di manifestazione del pensiero.

Trattasi di reato proprio, in quanto può essere commesso solamente da persone avvinte da un particolare vincolo nei confronti del soggetto passivo.

L'abuso è configurabile qualora vi sia un esercizio illecito di un potere riconosciuto dall'ordinamento. Per quanto riguarda il potere educativo e disciplinare in capo agli insegnanti, l'uso della violenza non può mai ritenersi né correttivo né educativo, per via del primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come si riteneva in passato, semplice oggetto di protezione.

Il reato è a forma libera e si consuma tramite l'abuso di un qualsivoglia mezzo di correzione e di disciplina, e non rappresenta un'ipotesi di reato abituale, essendo la reiterazione dell'abuso una semplice modalità di manifestazione del reato.

Il reato diviene punibile qualora dal fatto derivi un pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, concetto più ampio di quello enucleato in tema di lesioni personali (art. 582).

Qualora si verifichi un'effettiva malattia o la morte del soggetto passivo, il secondo comma prevede l'applicazione di una circostanza aggravante specifica. Inoltre, secondo la giurisprudenza, tale aggravante si applica anche qualora la morte derivi dal suicidio del soggetto passivo, eziologicamente riconducibile all'abuso subito.

///SPIEGAZIONE ESTESA

La norma in esame punisce chi ecceda volontariamente nell'uso di mezzi correttivi o disciplinari, a cui faccia ricorso per esercitare la propria autorità correttiva o coercitiva, facendo insorgere il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente nei confronti del soggetto a lui sottoposto.

È un reato proprio, in quanto soggetto attivo può essere soltanto chi eserciti un certa autorità verso un'altra persona, la quale può derivare da un rapporto di famiglia, di istruzione, di educazione, di cura, di vigilanza, di custodia o di esercizio di una professione o di un'arte.

La condotta tipica consiste, dunque, negli atti con cui il soggetto agente ecceda, nei confronti della persona da lui dipendente, per uno dei suddetti motivi, nell'uso di mezzi coercitivi o disciplinari che, se contenuti entro certi limiti, sarebbero del tutto legittimi.
Il presupposto per la realizzazione della fattispecie in esame è, quindi, rappresentato dall'utilizzo di mezzi di correzione, di per sé leciti, il cui eccesso, però, li renda illeciti. Da ciò deriva che, qualora il mezzo usato fosse per sua stessa natura illecito, come, ad esempio, le sevizie o le minacce, non si potrebbe configurare il delitto in esame, ma ci si troverebbe di fronte ad una fattispecie di reato contro la persona.

È, altresì, essenziale che il fatto si verifichi nel momento in cui il soggetto agente eserciti la propria autorità di correzione o di disciplina. Qualora tale rapporto non sussistesse, non si potrebbe configurare il delitto in esame ma, eventualmente, un'altra fattispecie. Non è, dunque, configurabile il reato di abuso dei mezzi di correzione qualora il soggetto passivo sia, ad esempio, il figlio maggiorenne, seppur convivente, non essendo esso più sottoposto alla responsabilità genitoriale.
Il rapporto disciplinare può, peraltro, essere sia di diritto privato, come nel caso di quello derivante dall'esercizio della responsabilità genitoriale, sia di diritto pubblico, si pensi, ad esempio, a quello intercorrente tra il direttore di un carcere e le persone in esso detenute. Nel caso in cui, però, il rapporto abbia la propria fonte nel diritto pubblico, l'art. 571 c.p. risulta applicabile soltanto se il fatto non integri un'altra fattispecie.

L'oggetto materiale del reato è costituito dalle persone sottoposte all'autorità del soggetto agente, o, comunque, a lui affidate per motivi di educazione, istruzione, cura, vigilanza, custodia, oppure per l'esercizio di una professione o di un'arte. Possono, pertanto, rientrare in tale concetto, ad esempio: il figlio soggetto alla responsabilità genitoriale, la persona soggetta a tutela, l'allievo affidato al maestro, il dipendente soggetto a chi abbia su di lui un'autorità nell'esercizio di una professione o di un'arte.

Il reato di abuso dei mezzi di correzione si considera consumato nel momento in cui si realizzi l'evento tipico, rappresentato dall'insorgenza di un pericolo di malattia nel corpo o nella mente del dipendente, conseguentemente alla condotta criminosa dell'agente. Non si potrà, dunque, considerare perfezionato il delitto in esame, né qualora il pericolo di malattia non sorga come conseguenza della condotta tenuta dal soggetto attivo, né nel caso in cui il mezzo da lui impiegato non sia tale da determinare un pericolo di malattia.
Non è, pertanto, configurabile il tentativo, poiché, se sorge il pericolo il reato è consumato, e se esso manca, il fatto non è punibile ex art. 571 c.p.

Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, è sufficiente che sussista, in capo all'agente, il dolo generico, quale coscienza e volontà di tenere un certo comportamento, abusando nell'esercizio della propria autorità correttiva o disciplinare. L'evento di pericolo, dunque, sebbene prevedibile, non deve essere voluto dal soggetto attivo, poiché, in caso contrario, la propria condotta integrerebbe un delitto contro la persona, venendo meno ab origine l'intento disciplinare.

Il reato risulta aggravato, ai sensi del secondo comma, qualora, dalla condotta criminosa, derivi, come evento non voluto, una lesione personale o la morte del soggetto passivo.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 571 Codice Penale

Cass. pen. n. 13145/2022

Esula dal perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice dell'abuso di mezzi di correzione o di disciplina in ambito scolastico qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da "animus corrigendi", atteso che, secondo la linea evolutiva tracciata dalla Convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, le condotte connotate da modalità aggressive sono incompatibili con l'esercizio lecito del potere correttivo ed educativo - che mai deve deprimere l'armonico sviluppo della personalità del minore - lì dove l'abuso ex art. 571 cod. pen. presuppone l'eccesso nell'uso di mezzi che siano in sé giuridicamente leciti.

Cass. pen. n. 7969/2020

In tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia è più ampia di quella del fatto di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, quali stato d'ansia, insonnia, disagio psicologico, disturbi del carattere ed alimentari.

Cass. pen. n. 11777/2020

L'elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall'agente, in quanto l'uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito. (In motivazione, la Corte ha precisato che il reato di abuso dei mezzi di correzione presuppone l'uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, quali l'esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l'obbligo di condotte riparatorie o forme di rimprovero non riservate).

Cass. pen. n. 17810/2019

In tema di rapporti tra maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione, nel caso di uso sistematico di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del minore affidato, anche se sorretto da "animus corrigendi", deve escludersi la configurabilità del meno grave delitto previsto dall'art. 571 cod. pen. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che integri il delitto di maltrattamenti la condotta di sistematico ricorso ad atti violenti tenuta dal ricorrente nei confronti dei figli minori della propria convivente, a nulla rilevando il preteso intento educativo).

Cass. pen. n. 51591/2016

In tema di esercizio del potere di correzione e disciplina in ambito lavorativo, configura il reato previsto dall'art. 571 cod. pen. la condotta del datore di lavoro che superi i limiti fisiologici dell'esercizio di tale potere (nella specie rimproveri abituali al dipendente con l'uso di epiteti ingiuriosi o con frasi minacciose), mentre integra il delitto di cui all'art. 572 cod. pen. la condotta del datore di lavoro che ponga in essere nei confronti del dipendente comportamenti del tutto avulsi dall'esercizio del potere di correzione e disciplina, funzionale ad assicurare l'efficacia e la qualità lavorativa, e tali da incidere sulla libertà personale del dipendente, determinando nello stesso una situazione di disagio psichico (nella specie, lancio di oggetti verso il dipendente e imposizione di stare seduto per lungo tempo davanti alla scrivania del datore di lavoro senza svolgere alcuna funzione).

Cass. pen. n. 11795/2013

Non integrano il delitto previsti dall'art. 571 c.p. le condotte di un insegnante di un asilo nido non violente e tipicamente affettuose, non potendo esse essere interpretate, per la loro connotazione di piccolo eccesso o mancanza di misura nella relazione tra l'educatore ed il minore, come abuso in ambito scolare materno-infantile. (Nella specie, la Corte ha escluso la sussistenza del delitto in presenza di comportamenti di un insegnante di un asilo nido consistiti in baci sulla labbra ed abbracci molto intensi ai bambini).

Cass. pen. n. 4444/2011

Non è configurabile il reato di abuso di mezzi di correzione, qualora soggetto passivo sia il figlio già divenuto maggiorenne ancorché convivente, trattandosi di persona non più sottoposta all'autorità del genitore.

Cass. pen. n. 18289/2010

Ai fini dell'integrazione della fattispecie prevista dall'art. 571 c.p. è sufficiente il dolo generico, non essendo richiesto dalla norma il fine specifico, ossia un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di realizzare la condotta di abuso.

Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché ben può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell'abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell'incolumità fisica e della serenità psichica del minore, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzano l'evento, quale che sia l'intenzione correttiva o disciplinare del soggetto attivo. (Fattispecie in cui alcuni bambini affidati ad un'insegnante di scuola materna erano stati in più occasioni oggetto di minacce e percosse, ovvero sottoposti a umilianti dileggi per il loro basso rendimento scolastico).

Cass. pen. n. 2100/2010

Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché può essere integrato anche da un unico atto espressivo dell'abuso.

Cass. pen. n. 16491/2005

In tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia nella mente (il cui rischio di causazione implica la rilevanza penale della condotta) è più ampia di quelle concernenti l'imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d'ansia all'insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento.

Cass. pen. n. 6001/1998

In materia di abuso dei mezzi di correzione e di disciplina il pericolo di una malattia fisica o psichica richiesto dall'art. 571 c.p. non deve essere accertato necessariamente attraverso una perizia medico-legale, ma può essere desunto anche dalla natura stessa dell'abuso, secondo le regole della comune esperienza; e può ritenersi, senza bisogno di alcuna indagine eseguita sulla base di particolari cognizioni tecniche, allorquando la condotta dell'agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto di produrre siffatta conseguenza. Né occorre, trattandosi di tipico reato di pericolo, che questa si sia realmente verificata, atteso che l'esistenza di una lesione personale è presa in considerazione come elemento costitutivo della ipotesi diversa e più grave prevista dal secondo comma dell'art. 571.

Cass. pen. n. 3789/1998

In tema di abuso di mezzi di correzione e di disciplina, di cui all'art. 571 c.p., mentre non possono ritenersi preclusi quegli atti, di minima valenza fisica o morale che risultino necessari per rafforzare la proibizione, non arbitraria né ingiusta, di comportamenti oggettivamente pericolosi o dannosi rispecchianti la inconsapevolezza o la sottovalutazione del pericolo, la disobbedienza gratuita, oppositiva e insolente, integra la fattispecie criminosa in questione l'uso in funzione educativa del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, che trasmodi nell'abuso sia in ragione dell'arbitrarietà o intempestività della sua applicazione sia in ragione dell'eccesso nella misura, senza tuttavia attingere a forme di violenza. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto che integrasse il reato in questione la pratica di lievi percosse e tirate di capelli per l'eccesso di reiterazione rispetto all'ordinario e per l'effetto lesivo punito dal capoverso dell'art. 571 c.p., senza peraltro che tali condotte trasmodassero nell'abitualità di maltrattamenti, inquadrabile nel distinto reato previsto nell'abitualità di maltrattamenti, inquadrabile nel distinto reato previsto dall'art. 572 c.p.).

Cass. pen. n. 2609/1997

L'esercizio della funzione correttiva con modalità afflittive e deprimenti della personalità, nella molteplicità delle sue dimensioni, contrasta con la pratica pedagogica e con la finalità di promozione dell'uomo ad un grado di maturità tale da renderlo capace di integrale e libera espressione delle sue attitudini, inclinazioni ed aspirazioni. Pertanto quando un siffatto esercizio, nel contesto della famiglia ovvero di rapporti di autorità o di dipendenza, si ripeta con abituale frequenza nei confronti dello stesso soggetto, l'intento correttivo resta escluso e si versa nell'ipotesi criminosa dell'art. 571 c.p., dei maltrattamenti in famiglia avverso fanciulli. (Principi affermati con riguardo a comportamento di ospiti-datori di lavoro di una persona extracomunitaria a cui non venne corrisposta retribuzione ed a cui sistematicamente fu imposto di non uscire, di non comunicare con alcuno, di lavarsi e vestirsi in giardino, di non guardare la televisione).

Cass. pen. n. 4904/1996

Alla luce della concezione personalistica e pluralistica della Costituzione, del riformato diritto di famiglia e della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, non può più ritenersi lecito l'uso sistematico della violenza quale ordinario trattamento del minore, sia pure sostenuto da animus corrigendi. Pertanto, l'eccesso di mezzi violenti di correzione non rientra della fattispecie di cui all'art. 571 c.p., e la differenza tra il delitto previsto da tale articolo (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina) e quello previsto dall'art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) deve essere ricercato nella condotta, e non già nell'elemento soggettivo del reato, che si atteggia in entrambe le fattispecie come dolo generico.

Con riguardo ai bambini il termine «correzione» va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo. In ogni caso non può ritenersi tale l'uso della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò sia per il primato che l'ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di convivenza utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice. Ne consegue che l'eccesso di mezzi di correzione violenti non rientra nella fattispecie dell'art. 571 c.p. (abuso di mezzi di correzione) giacché intanto è ipotizzabile un abuso (punibile in maniera attenuata) in quanto sia lecito l'uso.

Cass. pen. n. 3536/1996

Per stabilire se è configurabile il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina oppure altro reato (nella specie, maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli), assumono rilevanza sia l'elemento oggettivo della fattispecie concreta, e cioè la correlazione tra i mezzi e i metodi utilizzati e la finalità educativa e disciplinare, sia l'elemento soggettivo, e cioè che il motivo determinante dell'agente sia quello disciplinare e correttivo.

Cass. pen. n. 15903/1990

Integra il reato di cui all'art. 571 c.p. l'uso della violenza nei rapporti educativi come mezzo di correzione e disciplina, comunque non consentito, qualora dal fatto derivi il pericolo di una malattia del corpo e della mente o una lesione o la morte. (Fattispecie in tema di violenza fisica esercitata su dei ragazzi da un organizzatore-vigilante di campeggio montano).

Cass. pen. n. 10841/1986

L'abuso dei mezzi di correzione previsto e punito dall'art. 571 c.p. presuppone un uso consentito e legittimo di tali mezzi tramutato per eccesso in illecito (abuso). Ne consegue che non è configurabile tale reato qualora vengano usati mezzi di per sé illeciti sia per la loro natura che per la potenzialità di danno. (Nella specie è stato ritenuto che le frustate a sangue e le punizioni umilianti e degradanti, quali: pulire il pavimento con la lingua, mangiare in ginocchio per un mese, cospargere la vittima di pomate irritanti, etc., integrino gli estremi del reato di violenza privata).

Corte cost. n. 27/1971

È manifestamente infondata — ai sensi degli artt. 26 comma primo della L. 11 marzo 1953, n. 87 e 9 comma secondo delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte cost. 16 marzo 1956 — la questione di legittimità costituzionale dell'art. 571 comma secondo c.p. sollevata in riferimento all'art. 3 comma primo Cost., sostenendo che il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d'ufficio (anche) quando ne deriva una lesione personale lievissima (comma secondo), in tal caso punita con un terzo della pena del reato di lesione personale lievissima, mentre quest'ultimo delitto, nonostante la maggior gravità della sanzione, è perseguibile soltanto a querela di parte (art. 582, comma secondo). Ma nel nostro ordinamento giuridico penale, la perseguibilità d'ufficio non è necessariamente in relazione alla gravità del reato, quale si rivela con la misura della pena, ma, talvolta, si ricollega alla particolarità della fattispecie e del bene che con la condotta criminosa venga offeso. Nell'art. 571 il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d'ufficio perché non si rimetta all'iniziativa dell'offeso, spesso un minore, o un minorato, o un dipendente, la punibilità di chi ha tradito la sua funzione di educatore o istruttore: motivo, questo, che basta ad escludere l'irrazionalità della norma. Allorquando dal reato derivi una lesione personale lievissima, la perseguibilità d'ufficio è connessa all'abuso e non alla lesione, che, fra l'altro, ne è conseguenza solo eventuale. Pertanto, la disparità di trattamento fra reato di abuso con lesioni personali lievissime e reato di lesioni personali lievissime è giustificata dalla disparità di situazioni, poiché, qualunque sia la misura della pena nei due casi, nell'uno c'è l'abuso e nell'altro no.

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F. S. chiede
lunedì 03/01/2022 - Calabria
“Salve. Si intende porre alla cortese attenzione dei legali di questa redazione un episodio avvenuto al sottoscritto e risalente a diversi anni fa, a proposito del quale lo stesso sottoscritto desidera, per pura curiosità, ricevere il parere di un esperto in materia.
Ad aprile 2015 il sottoscritto aveva l’età di anni 11, frequentava il primo anno di scuola secondaria di primo grado e partecipava ad un viaggio di istruzione, organizzato dall’istituto a cui era iscritto, della durata di giorni 4 e notti 3, con cena e pernottamento in albergo. Poiché si trattava di un hotel che ovviamente ospitava anche altre persone, il dirigente scolastico dell’istituto, il quale partecipava al viaggio e pernottava nella sua camera, raccomandava costantemente agli alunni di non fare rumore o alzare troppo la voce al fine di non recare disturbo agli altri clienti dell’hotel.
L’episodio specifico è il seguente. Durante il secondo giorno del viaggio d’istruzione, la sera verso le 19 quando gli alunni si preparavano nelle loro camere per poter successivamente andare a cena nel ristorante dell’albergo, il sottoscritto, insieme ad alcuni suoi compagni di stanza, si recava dinnanzi alla porta della camera di altri suoi compagni, la quale, all’insaputa del sottoscritto, era ubicata esattamente accanto alla camera del dirigente scolastico. Curioso di vedere l’interno della camera degli altri suoi compagni, il sottoscritto chiedeva insistentemente di potervi entrare e, dopo qualche rifiuto da parte di questi, il sottoscritto alzava la voce (alzamento di voce, questo, dovuto all’entusiasmo e neanche lontanamente di carattere intimidatorio) ribadendo per un’ultima volta la richiesta. Dopo che anche questa veniva rifiutata, il sottoscritto si voltava e cominciava ad andare via, camminando, e non correndo, quando, dopo pochi istanti, il dirigente scolastico usciva improvvisamente dalla sua camera correndo, lungo il disimpegno ivi presente, in direzione del sottoscritto (che quindi si era appena voltato indietro), lo afferrava impetuosamente dal collo e dalle spalle, poneva bruscamente il collo del sottoscritto attorno al suo braccio, che lo racchiudeva completamente stringendolo con significativa forza, e infine, nella condizione appena descritta, riportava il sottoscritto fino alla camera, dalla quale quest’ultimo si era allontanato per non più di qualche paio di metri. Il dirigente scolastico procedeva poi ad operare un severo rimprovero al sottoscritto e a tutti gli alunni lì presenti (per aver alzato troppo la voce nonostante le raccomandazioni), per i quali si suppone senza dubbio che abbiano assistito alla scena precedentemente descritta. Seguono alcune precisazioni: 1) il dirigente scolastico è un uomo oggettivamente grosso, robusto e corpulento, mentre il sottoscritto era allora, così come adesso, un soggetto oggettivamente gracile e debole fisicamente. 2) il sottoscritto non ha mai avuto comportamenti violenti e/o intimidatori nei confronti di alcuno, dimostrandosi una persona indiscutibilmente non violenta e/o pericolosa, sebbene allo stesso tempo vivace e talvolta esuberante. 3) il sottoscritto non ha mai avuto comportamenti irrispettosi e/o oltraggiosi verso la docenza o la dirigenza scolastica dell’istituto che frequentava all’epoca dei fatti. 4) in riferimento alla scena precedentemente descritta, che nella sua interezza si svolgeva in pochi secondi, il sottoscritto ricorda bene di essere stato di fatto piegato quasi a 90 gradi in avanti e verso il basso dal dirigente scolastico nel momento in cui lo afferrava con forza per il collo, tenendo il suo braccio e avambraccio stretto attorno ad esso lungo il suo fianco. Allo stesso tempo, il sottoscritto non opponeva, né poteva avere modo, di opporre resistenza alcuna. 5) il sottoscritto può assicurare di essere rimasto traumatizzato in seguito all’episodio, assumendo nei giorni seguenti del viaggio di istruzione un atteggiamento visibilmente sconvolto, impaurito e sottomesso. 6) il sottoscritto, a causa della sua fattuale mancanza di autostima e di sicurezza di sé (già evidenziata da uno psicoterapeuta in un attuale percorso di psicoterapia) nonché la sua conseguente tendenza di sottomissione, all’epoca dei fatti ha ritenuto giusta la condotta del dirigente, e pertanto ha deliberatamente omesso di raccontare l’accaduto a chiunque per tutti gli anni successivi, nel timore di poter essere ulteriormente rimproverato.
Tenendo conto di quanto riportato, si intende porre le seguenti domande: 1) la condotta tenuta dal dirigente scolastico nell’episodio precedentemente descritto è penalmente illecita? 2) in caso di risposta affermativa alla precedente domanda, quali sarebbero i reati commessi dal dirigente scolastico? 3) Dando atto che, visto il tempo passato, il sottoscritto non intende ormai prendere provvedimento legale alcuno nei confronti del dirigente scolastico, e ammesso che questi abbia tenuto una condotta penalmente perseguibile, quali provvedimenti si sarebbero potuti prendere all’epoca dei fatti e con quali probabilità il dirigente scolastico sarebbe stato sanzionato penalmente?
Si ringrazia per la cortese attenzione.”
Consulenza legale i 05/01/2022
In primo luogo bisogna capire se la condotta illustrata è penalmente illecita.

In via generale, ragionando in astratto e parametrando il tutto ai dati fattuali narrati, è possibile concludere per l’illiceità della condotta posta in essere dal dirigente scolastico.

Nel caso in questione, la fattispecie che si attaglia maggiormente sembra essere quella di cui all’art. 571 c.p. che punisce con una pena abbastanza esigua il soggetto che, essendo preposto alla cura/vigilanza/custodia di altro soggetto, abusa dei mezzi di correzione o disciplina se dal fatto deriva il pericolo di una malattia del corpo e/o della mente.

Palesemente sussistenti tutti i presupposti richiamati dalla fattispecie, qualche dubbio si può nutrire solo in relazione alla malattia del corpo e della mente; tuttavia, come si legge dal dato normativo, la fattispecie parla di “pericolo” e, quindi, risultano penalmente rilevanti tutte quelle condotte che, pur non essendo causa della malattia in parola, costituiscono un pericolo per la sua insorgenza (cosa che, di fatto, nel caso di specie risulta poi avvenuta).

Se, poi, si suppone che, addirittura, i problemi psicologici di cui alla narrazione del parere siano stati diretta conseguenza della condotta del dirigente, allora si potrebbe ipotizzare la sussistenza del secondo comma dell’art. 571 c.p., che prevede un innalzamento generalizzato delle pene.

Si badi bene, in ogni caso, che si tratta di una valutazione compiuta in astratto e basata su una conoscenza parziale dei fatti.

Non va dimenticato, invero, che i mezzi di correzione sono spesso scriminati dal nostro ordinamento e, dunque, laddove la condotta del dirigente, nel caso di specie, fosse stata “equilibrata” rispetto all’atteggiamento dell’alunno, la stessa dovrebbe ritenersi lecita proprio perché scriminata dall’ordinamento essendo il classico esempio di “causa di giustificazione” non codificata.

Supponendo, comunque, che la condotta fosse penalmente illecita, quanto alle conseguenze dobbiamo scindere il profilo penale da quello disciplinare.

Sotto quest’ultimo versante, è possibile affermare che il dirigente avrebbe subito le ordinarie conseguenze di natura giuslavorista e, segnatamente, il richiamo o, in casi di conclamata gravità, il licenziamento.

Sotto il versante penale, invece, è ovvio che la conseguenza più grave per il dirigente sarebbe stata quella di incorrere in un procedimento giudiziario, a seguito del deposito di apposita denuncia - querela da parte dello studente ipoteticamente maltrattato.
In tale ultimo caso, è comunque altamente improbabile che il dirigente potesse essere condannato a pene detentive.
A quanto è dato comprendersi, si trattava di soggetto incensurato, la cui ipotetica condanna a pena detentiva sarebbe stata condizionalmente sospesa ex art. 163 c.p.
D’altra parte, va rilevato che la persona offesa dal reato avrebbe potuto, nell’ambito del giudizio penale, esercitare l’azione civile per il risarcimento del danno, attraverso la costituzione di parte civile.
Questa, probabilmente, sarebbe stata la conseguenza peggiore per il dirigente scolastico che, in caso di condanna, sarebbe stato parimenti tenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti dall’alunno maltrattato.


Carmen C. chiede
martedì 29/01/2019 - Toscana
“Buonasera vorrei fare una domanda riguardo abuso mezzi correzione. Mio figlio seconda liceo sta avendo problemi di salute (tic nervoso) in relazione al fatto che l'insegnante di italiano da ormai 2 anni continua ad assegnare alla classe verifiche differenziate per difficoltà e a lui sempre la più difficile. Per legge le verifiche dovrebbero essere sovrapponibili e già questo è un illecito. L'ho fatto presente al preside che per ora non si è mosso. In relazione a questo fatto il ragazzo è svilito e non messo in condizione, molte volte, di raggiungere la sufficienza (a questo punto di proposito). Insomma comincia ad avere ansia perché frustrato da questo comportamento. In questi giorni farò un accesso agli atti per avere le verifiche di mio figlio e le tracce assegnate a tutta la classe (alle volte ne dà anche 10 e una volta mio figlio era l'unico ad averae quella versione). Chiaramente nel primo trimestre non è un problema, ma lo diventa ora che si avvicina la fine della scuola. Si configura abuso mezzi correzione?
Grazie”
Consulenza legale i 01/02/2019
Per rispondere al quesito occorre valutare attentamente la sussistenza di tutti gli elementi oggettivi previsti dalla fattispecie di cui all’art. 571 del codice penale.

Di certo sussistono gli elementi riguardanti i soggetti coinvolti: non v’è dubbio alcuno infatti che il reato può essere integrato da un maestro nei confronti del suo alunno che indubbiamente risulta essere sottoposto alla sua autorità e/o gli risulta affidato per ragioni di educazione, come recita l’articolo predetto.

Al contempo non può sottacersi che la situazione di perdurante ansia del ragazzo sia idonea a integrare l’ulteriore elemento della fattispecie ovvero il pericolo che dal fatto derivi una malattia del corpo e della mente.

Più complesso invece è valutare se il comportamento tenuto dal maestro sia effettivamente idonea ad integrare la condotta di abuso in senso stretto.

Al riguardo va detto che la giurisprudenza ha interpretato la fattispecie in esame in modo sempre più estensivo ricomprendendovi anche condotte non configuranti abuso in astratto ma potenzialmente rilevanti ai fini del reato per la particolare situazione psicofisica del soggetto “maltrattato”.
Così, ad esempio, la Cass. pen. Sez. VI, 28/12/2002, n. 43673 ha affermato che «Configura il reato di maltrattamenti il metodo didattico improntato allo «sterile autoritarismo» esercitato dal docente verso gli allievi, tanto più se questi ultimi sono piccoli e attraversano la delicata fase della «scolarizzazione», quando il passaggio dall'ambiente familiare a quello tutto nuovo della scuola richiederebbe armonia ed affetto per assicurare il corretto sviluppo psichico dei bambini».
Dello stesso avviso è la dottrina secondo cui l'uso di un mezzo astrattamente lecito (un rimprovero particolarmente severo potrà esser valutato come eccessivo se rivolto ad una persona psichicamente fragile) potrà qualificarsi, se valutato in base alla natura del rapporto, come in base alle condizioni in cui lo stesso rapporto si svolge, illecito in quanto non adeguato o sproporzionato rispetto al fine correttivo che deve raggiungere.

Stando alla giurisprudenza e alla dottrina suindicata, non sembra remota la possibilità di inquadrare la condotta del maestro nell’ambito del reato in questione.
A tal fine bisogna tuttavia essere assolutamente certi dell’oggettiva disparità di trattamento osservata dal maestro nei confronti dell’alunno asseritamente maltrattato. Disparità che nel caso di specie si traduce nell’oggettiva certezza – o quantomeno nel fondato sospetto – che il maestro abbia assegnato al ragazzo compiti più difficili di quelli assegnati agli altri perseguendo il fine di denigrazione e umiliazione dello stesso.

Ciò soprattutto per il fatto che il reato deve essere supportato dal dolo (diritto penale) generico, ovvero dalla consapevole volontà del soggetto agente di abusare dei mezzi di correzione e dunque di denigrare e umiliare la vittima.