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Articolo 29 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Casi nei quali alla condanna consegue l'interdizione dai pubblici uffici

Dispositivo dell'art. 29 Codice Penale

La condanna all'ergastolo [22] e la condanna alla reclusione [23] per un tempo non inferiore a cinque anni importano l'interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque [31, 33, 98 2, 139, 140, 314 2, 315 2, 317 2](1)(2) .

La dichiarazione di abitualità [102-104] o di professionalità nel delitto [105], ovvero di tendenza a delinquere [108], importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici [33] .

Note

(1) Qualora si configuri un situazione caratterizzata dalla pluralità di reati, si dovrà considerare la pena inflitta per il reato più grave o delle singole pene previste, al fine di determinare se la pena della reclusione sia inferiore a 5 o 3 anni.
(2) Si ricordi che anche al d fuori del codice penale sono previsti casi di interdizione dai pubblici uffici. Ne sono esempi le disposizioni di cui all'art. 2637 del c.c., comma 2 in materia di aggiotaggio ; art. 2, l. 25 gennaio 1982, n. 17 a riguardo delle associazioni segrete; nonché in tema di mafia secondo l' art. 10 quinquies, l. 31 maggio 1965, n. 575, aggiunto dall'art. 20, l. 13 settembre 1982, n. 646.

Ratio Legis

La norma, in ossequio al principio di tassatività, fissa i casi in cui alla condanna consegue la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici. Tali presupposti sono ancorati alla gravità della condanna o alla pericolosità del condannato. Si colgono qui evidenti finalità retributive e di prevenzione generale.

Spiegazione dell'art. 29 Codice Penale

La norma in oggetto dispone che l'interdizione perpetua dai pubblici uffici (art. 28) consegue automaticamente alla condanna all'ergastolo, alla condanna alla pena della reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni o alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel delitto, o di tendenza a delinquere.

Per contro, l'interdizione temporanea pari ad anni cinque consegue alla condanna alla reclusione per una durata non inferiore ad anni tre.

Negli altri casi è stato specificato (Cass., sez. IV, n. 43991/2013) che, in materia di reati previsti dal codice penale, nel caso di generica previsione, senza indicazione di durata, della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, essa deve intendersi come interdizione temporanea con durata uguale a quella della pena principale inflitta e, comunque, non inferiore ad un anno.

Per determinare se la pena della reclusione non sia inferiore ad anni cinque o tre ai fini dell'applicazione, rispettivamente, dell'interdizione perpetua o temporanea, si ha riguardo, nel caso di più reati, alle pene singole e non a quella complessiva.

Massime relative all'art. 29 Codice Penale

Cass. pen. n. 42003/2021

È ammissibile il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza di condanna emessa all'esito di giudizio abbreviato che abbia omesso di statuire sull'applicazione di una pena accessoria. (Fattispecie in cui si è ritenuto che l'omissione sia emendabile direttamente dalla Corte ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. l), cod. proc. pen., come modificato dall'art. 1, comma 67, della legge 23 giugno 2017, n. 103, non richiedendosi l'esercizio di un potere discrezionale). (Annulla senza rinvio, GIP TRIBUNALE BERGAMO, 16/02/2021).

Cass. pen. n. 30285/2021

È ammissibile il ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento con cui si censuri l'omessa applicazione di una pena accessoria, ove questa debba essere obbligatoriamente disposta, a nulla rilevando che non se ne faccia menzione nell'accordo, poiché si tratta di una statuizione non negoziabile tra le parti. (Annulla in parte senza rinvio, GIP TRIBUNALE BERGAMO, 15/10/2020).

Cass. pen. n. 1578/2020

È ammissibile il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza di condanna emessa all'esito di giudizio abbreviato che abbia omesso di statuire sull'applicazione di una pena accessoria. (Fattispecie in cui si è ritenuto che l'omissione sia emendabile direttamente dalla Corte ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. l), cod. proc. pen., come modificato dall'art. 1, comma 67, della legge 23 giugno 2017, n. 103, non richiedendosi l'esercizio di un potere discrezionale). (Annulla senza rinvio, GIP TRIBUNALE BRESCIA, 15/01/2020).

Cass. pen. n. 11940/2020

Il giudice di appello, in caso di accoglimento dell'accordo delle parti sui motivi con rideterminazione della pena, è tenuto alla sostituzione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, applicata con la sentenza di condanna a pena detentiva non inferiore a cinque anni, con quella dell'interdizione temporanea, ove la pena irrogata sia complessivamente pari ad anni cinque di reclusione, anche se la sostituzione non sia stata prevista nell'accordo tra le parti. (Annulla con rinvio, CORTE APPELLO VENEZIA, 13/06/2018).

Cass. pen. n. 20108/2013

Deve essere annullata senza rinvio la sentenza di patteggiamento ad una pena superiore a due anni di reclusione in cui sia omessa la condanna al pagamento delle spese processuali e l'applicazione della pena accessoria obbligatoria per legge della interdizione dei pubblici uffici per anni cinque.

Cass. pen. n. 46340/2008

Ai fini dell'applicazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, il giudice deve tener conto dell'entità della pena principale irrogata dalla sentenza di condanna, anche all'esito delle eventuali diminuzioni processuali.

Cass. pen. n. 4559/1999

In tema di pene accessorie, nel caso di condanna per reato continuato, nel commisurare la durata della pena accessoria a quella principale deve farsi riferimento alla pena base inflitta per la violazione più grave, come determinata in concorso delle circostanze attenuanti e aggravanti e del relativo bilanciamento, e non a quella complessiva, comprensiva cioè dell'aumento per la continuazione.

Cass. pen. n. 5567/1998

Ai fini dell'applicazione dell'interdizione dai pubblici uffici, nel caso di condanna conseguente a giudizio abbreviato, poiché le pene accessorie assumono carattere di automatismo in rapporto all'entità del trattamento sanzionatorio, il limite di pena di cui all'art. 29 c.p. non può prescindere dagli effetti su di esso del procedimento speciale del rito abbreviato e, quindi, della conseguente diminuente sulla pena da infliggersi in concreto.

Cass. pen. n. 8605/1997

Qualora più reati per i quali intervenga condanna siano legati dal vincolo della continuazione, l'entità della pena, ai fini dell'applicazione di una pena accessoria, va determinata non con riferimento alla pena complessiva, compreso l'aumento per la continuazione, ma unicamente con riferimento alla pena-base.

Cass. pen. n. 8263/1997

Ai fini dell'applicazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, occorre far riferimento alla pena alla quale l'imputato è stato condannato e cioè a quella in concreto comminata dopo il computo di tutte le attenuanti e le diminuenti previste dalla legge senza distinzione di merito o di rito. Ne consegue che in caso di applicazione della diminuente per il rito abbreviato di cui all'art. 442 c.p.p., la pena applicata in concreto è quella risultante dopo la diminuzione di un terzo imposta dallo speciale giudizio abbreviato.

Cass. pen. n. 4951/1997

Ai fini della applicazione della interdizione dai pubblici uffici, nel caso di condanna conseguente a giudizio abbreviato, il limite di pena di cui all'art. 29 c.p. va individuato non con riguardo alla pena irrogata in concreto, dopo la riduzione conseguente alla diminuente ex art. 442, comma secondo, c.p.p., ma a quella stabilita dal giudice prima dell'applicazione di detta diminuente, data la natura meramente processuale di essa e tenuto conto del logico collegamento della pena accessoria alla negativa valutazione sostanziale del fatto-reato riflessa nella pena principale.

Cass. pen. n. 6321/1996

Ai fini dell'applicazione dell'interdizione dai pubblici uffici i limiti di pena fissati dagli artt. 29 e 32 c.p., nel caso di giudizio abbreviato, vanno individuati non con riguardo alla pena irrogata in concreto, ma a quella stabilita dal giudice prima dell'applicazione della diminuente del rito: invero detta diminuente ha genesi e finalità meramente processuali che non consentono la sua assimilazione ad una normale circostanza attenuante.

Cass. pen. n. 3716/1996

Al fine di stabilire se alla condanna debba conseguire o meno l'interdizione dai pubblici uffici, e se questa debba essere perpetua o soltanto temporanea, occorre considerare l'entità della pena irrogata in concreto, come risultante a seguito del computo dell'eventuale diminuente per il rito abbreviato; l'art. 29 c.p., infatti, riferendosi genericamente alla «condanna», ha riguardo esclusivamente alla pena irrogata, in sè considerata, a prescindere dagli elementi del calcolo aritmetico che concorrono a determinarla.

Cass. pen. n. 12741/1995

L'interdizione temporanea dai pubblici uffici, ai sensi dell'art. 29 c.p., consegue a condanna alla reclusione per tempo non inferiore a tre anni di reclusione. Detta pena, in caso di reati unificati per continuazione, è quella irrogata per quello ritenuto più grave, non dovendosi tenere conto dell'aumento per continuazione, e, in caso di applicazione della diminuente per il rito abbreviato di cui all'art. 442 c.p.p., la pena da prendersi in continuazione è quella risultante dopo la diminuzione di un terzo imposta dallo speciale giudizio abbreviato.

Cass. pen. n. 4914/1995

Ai fini dell'irrogazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici il giudice deve tenere conto dell'entità della pena quale risulta dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito, che incidono sulla effettiva gravità del reato, ed attenuanti meramente processuali o premiali, che costituiscono l'incentivo per la collaborazione dell'imputato alla definizione del giudizio, e ciò in quanto, come risulta palese dall'art. 29 c.p., che si riferisce alla condanna inflitta comprensiva delle singole parti componenti, non è consentito scindere la riduzione premiale dalla pena principale determinata in relazione alla gravità del reato. (Fattispecie in tema di patteggiamento in appello).

Cass. pen. n. 4327/1994

Poiché la diminuente prevista per la celebrazione del processo con il rito abbreviato ha genesi e finalità meramente processuali che la rendono non assimilabile ad una circostanza attenuante del reato, i limiti di pena fissati dall'art. 29 c.p. per stabilire la durata dell'interdizione dai pubblici uffici vanno individuati non sulla pena irrogata in concreto e in maniera definitiva ma in un momento anteriore vale a dire prima di operare la diminuzione per il rito prescelto. Ne deriva che qualora venga inflitta una pena inferiore ai cinque anni di reclusione in conseguenza dell'applicazione della detta diminuente, la condanna importa l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Cass. pen. n. 11633/1992

Ai fini dell'applicazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, occorre avere riguardo non alla pena totale inflitta per più reati, bensì a quella irrogata per ogni singolo reato, senza tener conto di eventuali cause estintive della pena.

Cass. pen. n. 5558/1992

Sia l'art. 9, D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865 e sia l'art. 2, D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394 prevedono la concessione dell'indulto solo per le pene accessorie temporanee. È, quindi, esclusa da tale beneficio, la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, perché consegue di diritto, ai sensi dell'art. 29, primo comma, c.p., alle condanne alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni.

Cass. pen. n. 945/1971

La pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici consegue ope legis — a norma dell'art. 29 in relazione all'art. 20 c.p. — alla dichiarazione di delinquente abituale, senza necessità di alcuna statuizione del giudice di cognizione il quale, con la sentenza di condanna, non è tenuto ad applicare le pene accessorie conseguenti alla condanna stessa, dovendo ad esse provvedere in executivis il giudice competente.

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D. R. chiede
giovedì 26/05/2022 - Piemonte
“Buongiorno, sono un dipendente comunale dal 01-05-22, inquadrato come assistente amministrativo. Attualmente sono indagato per truffa art 640, per fatti accaduti con il precedente datore di lavoro come consulente presso poste italiane, riguardante polizze danni disconosciute da clienti. La mia domanda è : dovessi essere condannato sarei licenziato o comunque sottoposto di default a procedimento disciplinare che potrebbe portare al licenziamento? La mia Amministrazione sarebbe direttamente a conoscenza del procedimento ( il giudice a sentenza emessa lo comunica di default all'ente ) o dovrei comunicarlo io? grazie”
Consulenza legale i 04/06/2022
Affinchè scatti il licenziamento per condanna penale è necessario che:
1) la condanna sia definitiva;
2) la condanna riguardi reati che determinano l’interdizione perpetua dai pubblici uffici;
3) la condanna riguardi fatti che da soli possono comportare il licenziamento disciplinare.

La condanna è definitiva quando:
a) non è possibile proporre appello perché è decorso il tempo previsto;
b) se espressa in secondo grado quando non è più possibile proporre ricorso in Cassazione;
c) quando si tratta di condanna confermata dalla Cassazione (terzo e ultimo grado).

L’interdizione perpetua dai pubblici uffici (art. 29 c.p.) si applica quando una persona è condannata all’ergastolo oppure se una persona viene condannata alla reclusione per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni.

Quindi basta che la condanna sia ad almeno cinque anni per far scattare la suddetta interdizione.

Anche la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

Pertanto, nel caso di specie, affinchè la condanna per truffa importi automaticamente il licenziamento è necessario che sia non inferiore a tre anni.

Inoltre, il CCNL enti locali prevede il licenziamento disciplinare per giusta causa (art. 59) anche per altre ipotesi di condanna penale. Ad esempio, per coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo.

Infine, si deve considerare che il licenziamento può scattare, indipendentemente dall’interdizione ai pubblici uffici, anche in quanto il comportamento extralavorativo penalmente rilevante abbia comunque leso il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

Anche recentemente la Cassazione, con Ordinanza n. 28368 del 15 ottobre 2021, ha ribadito che costituisce giusta causa di licenziamento la condanna, anche non definitiva, del dipendente che abbia commesso condotte extralavorative penalmente rilevanti.

In particolare, secondo la Suprema Corte, il datore di lavoro può recedere per giusta causa “per comportamenti del lavoratore che possano altresì integrare gli estremi del reato, qualora i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza che sia necessario, in tale evenienza, attendere la sentenza definitiva di condanna, restando privo di rilievo che il contratto collettivo di lavoro preveda la più grave sanzione disciplinare solo in siffatta ipotesi”.
Inoltre, “l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile sia idoneo a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (…); è bene rammentare in proposito che la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso, di talché tali condotte possono anche determinare l’irrogazione della sanzione espulsiva ove siano presenti caratteri di gravità».

Sempre secondo la Cassazione (sentenza n. 428/2019), posto che la giusta causa è ravvisabile anche in relazione a fatti estranei all'obbligazione contrattuale, purché idonei ad incidere sul vincolo fiduciario, la stessa può essere integrata anche da comportamenti che siano stati posti in essere dal lavoratore prima dell’assunzione.

L’art. 57 del CCNL enti locali prevede all’ultimo capoverso, lettera q), l’obbligo per il dipendente di “comunicare all’amministrazione la sussistenza di provvedimenti di rinvio a giudizio in procedimenti penali”.

La violazione degli obblighi di cui all’art. 57, comporta, ai sensi dell’art. 58, l’avvio di un procedimento disciplinare che può portare anche al licenziamento.
Pertanto, nonostante la condanna non venga comunicata direttamente all’ente, è obbligo del dipendente informare l’amministrazione della pendenza del procedimento e dei suoi eventuali sviluppi.

In conclusione, il procedimento per truffa e l’eventuale condanna dovrebbero essere comunque comunicati all’amministrazione e, pur non comportando necessariamente un licenziamento, potrebbero portare ad un procedimento disciplinare, il quale potrebbe concludersi con una sanzione anche di tipo espulsivo.

Marco chiede
venerdì 13/03/2015 - Puglia
“Buongiorno,
sono un ex rettore attualmente condannato in appello per peculato con aggravante della interdizione dai p.u. per 5 anni. Sono stato invitato alla inaugurazione dell'a.a. (come spettatore) dall'attuale rettore della università dalla quale ora sono in pensione. E' legittimo che io vi partecipi?”
Consulenza legale i 18/03/2015
Come sancito dall'art. 28 del codice penale, l'interdizione temporanea dai pubblici uffici priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l'interdizione: del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico; di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, e della qualità ad essi inerente di pubblico ufficiale o d'incaricato di pubblico servizio; dell'ufficio di tutore o di curatore, anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura; dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche; degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico; di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque degli uffici, servizi, gradi o titoli e delle qualità, dignità e decorazioni indicati nei numeri precedenti; della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, titolo, dignità, decorazione e insegna onorifica, poco sopra indicati.

Chi ha subito questo tipo di condanna, ad esempio, non può partecipare a numerosi concorsi pubblici (si chiede quasi sempre di godere dell'elettorato passivo e attivo); non può assumere incarichi in un pubblico ufficio; e così via.

Peraltro, si fa notare che la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, secondo comma, n. 5, del codice penale, limitatamente alla parte in cui i diritti in esso previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro, in quanto ha ritenuto che "la retribuzione dei lavoratori - tanto quella corrisposta nel corso del rapporto di lavoro, quanto quella differita, a fini previdenziali, alla cessazione di tale rapporto, e corrisposta, sotto forma di trattamento di liquidazione o di quiescenza, a seconda dei casi, allo stesso lavoratore e ai suoi aventi causa - rappresenta, nel vigente ordine costituzionale (che, tra l'altro, l'art. 1 della Costituzione definisce fondato sul lavoro), una entità fatta oggetto, sul piano morale e su quello patrimoniale, di particolare protezione. L'art. 36 garantisce espressamente il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato ed in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. E non appare compatibile con i principi ispiratori di questo precetto costituzionale collegare indiscriminatamente (come fa l'art. 28, n. 5, del Codice penale, integrato dall'art. 29), per il personale degli enti pubblici e i loro aventi causa, la perdita di tale diritto al fatto che il titolare di esso abbia riportato la condanna a una certa pena detentiva" (sentenza n. 3/1966).

La partecipazione alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico è di norma un evento aperto al pubblico: ciò significa che chiunque può prendervi parte, salvo, magari, l'esaurimento dei posti del locale in cui l'evento ha luogo.
Non si ravvisa, quindi, un motivo evidente per cui una persona interdetta dai pubblici uffici non possa prendere parte alla cerimonia, naturalmente, non potendo in tale sede godere di diritti nascenti da onorificenze accademiche o da altri titoli o insegne onorifiche.
Nel caso di specie, quindi, l'ex rettore potrà partecipare alla cerimonia come un qualsiasi cittadino.