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Articolo 11 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Rinnovamento del giudizio

Dispositivo dell'art. 11 Codice Penale

Nel caso indicato nell'articolo 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato, anche se sia stato giudicato all'estero [138, 201](1).

Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all'estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta.

Note

(1) Per quanto attiene al rispetto del principio del ne bis in idem in ambito europeo, si rimanda agli articoli 54-58 Convenzione di Schengen, firmata il 19 giugno 1990 e resa esecutiva con l. 30 settembre 1993, n. 388.

Ratio Legis

La norma rimarca l'esigenza di garantire in ogni caso l'applicazione della legge italiana con riferimento ai reati realizzati nel territorio della Repubblica, conformemente al principio di territorialità sancito dall'art. 6.
Nei casi in cui viene però a configurarsi una deroga a tale principio, tale esigenza risulta meno pregnante, motivo per il quale è sufficiente una preventiva valutazione politica ad opera del Ministro della giustizia.

Spiegazione dell'art. 11 Codice Penale

Il processo celebrato all'estero nei confronti del cittadino italiano non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per lo stesso fatto, in quanto nell'ordinamento giuridico italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale, a condizione però che il delitto sia stato commesso nel territorio italiano e, nei casi elencati agli artt. 7, 8, 10 e 11, vi sia la richiesta del Ministro della Giustizia.

Tuttavia, almeno per quanto riguarda l'Unione Europea, la norma in oggetto cede il passo all'Accordo di Schengen, il quale equipara le sentenze rese all'interno degli Stati membri, con conseguente applicazione del principio del ne bis in idem.
In tale ultimo caso vi sarà pertanto il riconoscimento automatico della sentenza resa in uno Stato membro e non vi sarà alcuna rinnovazione del giudizio in Italia.

Massime relative all'art. 11 Codice Penale

Cass. pen. n. 34576/2021

In tema di rapporti tra ordinamenti giurisdizionali, il cittadino soggetto anche alla giurisdizione ecclesiastica della Santa Sede e già giudicato in tale ambito per un fatto commesso nel territorio nazionale, può essere sottoposto a giudizio in Italia per lo stesso fatto, previsto come reato, non operando il divieto di "bis in idem", compreso quello regolato dall'art. 4 del Prot. n. 7 della Convenzione EDU, non applicabile nei casi di duplice procedimento, nei confronti della medesima persona e per il medesimo fatto, in due Stati diversi. (Fattispecie di violenza sessuale commessa da un sacerdote in danno di un minore, in cui la Corte ha precisato che le decisioni degli organi ecclesiastici sono espressione di un potere giurisdizionale assimilabile a quello di un'entità statuale ed ha, altresì, osservato che il divieto di "bis in idem" non costituisce principio generale del diritto internazionale ex art. 10 Cost. e che non esistono convenzioni cui la Santa Sede e l'Italia abbiano aderito che deroghino alla disciplina di cui all'art. 11 cod. pen.).

Cass. pen. n. 24795/2018

La richiesta di rinnovamento del giudizio nello Stato, di cui all'art. 11, comma secondo, cod. pen., non è soggetta al termine previsto dall'art. 128 cod. proc. pen.

Cass. pen. n. 40553/2013

Il processo celebrato all'estero nei confronti del cittadino non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell'ordinamento giuridico italiano non vige il principio del "ne bis in idem" internazionale, prevedendo l'art. 11, comma primo, c.p. la rinnovazione del giudizio nei casi indicati dall'art. 6 c.p., cioè quando l'azione o l'omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato (La Corte ha, altresì, escluso l'applicabilità dell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, essendo stata la condanna emessa in Croazia ed avendo quel Paese sottoscritto il trattato di adesione all'Unione Europea in data 9 dicembre 2011 con decorrenza 1° luglio 2013, data successiva alla celebrazione del processo in Italia).

Cass. pen. n. 20464/2013

Un processo celebrato nei confronti di cittadino straniero in uno Stato con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina dell'art. 11 c.p. non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, non essendo il principio del "ne bis in idem" principio generale del diritto internazionale, come tale applicabile nell'ordinamento interno.

Cass. pen. n. 32609/2006

Non è ostativa alla celebrazione del giudizio, in base all'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, la precedente condanna riportata per lo stesso fatto in uno Stato aderente alla suddetta Convenzione, quando la relativa pena non sia stata eseguita, né sia in corso di esecuzione, anche se sia ancora eseguibile.

Cass. pen. n. 44830/2004

Il processo celebrato all'estero nei confronti del cittadino non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell'ordinamento giuridico italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale, prevedendo l'art. 11, comma primo c.p. la rinnovazione del giudizio nei casi indicati dall'art. 6 c.p., cioè quando l'azione o l'omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato. (La Corte ha escluso che il principio di rinnovazione del giudizio contenuto nell'art. 11 c.p. possa ritenersi derogato dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, ovvero dalla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, o dall'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, oppure dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959).

Cass. pen. n. 28299/2004

A seguito dell'entrata in vigore in data 26 ottobre 1997 delle disposizioni contenute nella Legge n. 388/93 attuativa dell'accordo di Schengen, il cui articolo n. 54 stabilisce che: «una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un'altra parte contraente, a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di sede di esecuzione attualmente o, secondo la Legge della parte contraente di condanna, non possa più essere eseguita» trova applicazione il principio del ne bis in idem stabilito, con riguardo a sentenze penali pronunciate in Europa, sia dall'art. 53 della Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, resa esecutiva in Italia con Legge 16 maggio 1977, n. 305, che dalla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, resa esecutiva in Italia con Legge 16 ottobre 1989, n. 350, sull'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, recepito con la Legge 30 settembre 1993, n. 388. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento che dichiarava inapplicabile il principio del ne bis in idem, non riconoscendo allo stesso la natura di principio o consuetudine di carattere internazionale e per questo necessariamente recessivo nei casi in cui sia ravvisata la giurisdizione dell'A.G. in base alle norme di diritto interno, quando manchi una Convenzione depositata e ratificata tra gli Stati interessati).

Cass. pen. n. 12953/2004

Poiché nell'ordinamento italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale, la sentenza penale emessa in un Paese extra-europeo nei confronti di un cittadino italiano non impedisce la rinnovazione del giudizio in Italia per lo stesso fatto, sempre che il cittadino si trovi nel territorio italiano ed il Ministro della giustizia ne faccia richiesta ai sensi dell'art. 11, comma secondo c.p. Il pregresso riconoscimento della sentenza penale straniera sullo stesso fatto — eventualmente richiesto dal Ministro della giustizia nel caso in cui non esista trattato di estradizione con lo Stato estero ex art. 12, comma secondo, c.p. — non preclude il possibile esercizio dell'azione penale in Italia, in quanto l'istituto del riconoscimento non comporta il recepimento integrale della decisione straniera, ma produce i limitati effetti tassativamente indicati e non è in relazione di alternatività od incompatibilità con la rinnovazione del giudizio, soprattutto quando il Ministro della giustizia non abbia potuto esercitare contestualmente — per circostanze oggettive — l'eventuale opzione tra i due istituti. (Nel caso all'esame della S.C., il riconoscimento della sentenza penale emessa dalla Corte Suprema del Sud Africa era stato richiesto quando l'imputato si trovava ancora all'estero per l'espiazione della pena colà inflittagli, mentre le condizioni per richiedere il rinnovamento del giudizio, per il delitto di omicidio volontario commesso all'estero, erano divenute sussistenti solo in seguito al suo rientro in Italia).

Cass. pen. n. 12098/2004

Il principio del ne bis in idem stabilito con riguardo alle sentenze penali pronunciate dai Paesi dell'Unione Europea dall'art. 54 della legge 30 settembre 1993, n. 388, attuativa della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, presuppone l'identità del fatto. Nel caso di partecipazione all'estero ad un'associazione criminale ( nella specie: delitto di banda armata, per la partecipazione alla struttura “estero” delle Brigate Rosse) formatasi ed operante in Italia, da parte di un cittadino italiano, tale condotta è rilevante ai fini della giurisdizione penale italiana, risultando il reato associativo non solo commesso in Italia ma caratterizzato dal programma criminoso di compiere atti di violenza con fini di eversione dell'ordine democratico dello Stato italiano. Ne consegue che non può ritenersi ostativa la sentenza definitiva pronunciata nel Paese straniero a carico del predetto in relazione alla responsabilità per la fattispecie generale di delitto associativo (nella specie association de mailfaiteurs in quanto il fatto già giudicato è del tutto diverso da quello in relazione al quale viene esercitata la giurisdizione penale in Italia.

Cass. pen. n. 3362/1998

Il processo celebrato all'estero nei confronti del cittadino italiano non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per lo stesso fatto, in quanto nell'ordinamento giuridico italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale. La richiesta del Ministro di grazia e giustizia, quale condizione di procedibilità in Italia, nei confronti del cittadino o dello straniero già giudicato all'estero, è imposta, a norma degli artt. 11, secondo comma, c.p., soltanto nelle ipotesi, espressamente richiamate dalla disposizione, previste dai precedenti artt. 7, 8, 9 e 10 che concernono il delitto commesso interamente all'estero. Ai sensi dell'art. 11, primo comma, c.p., non è richiesta, invece, alcuna condizione di procedibilità per la rinnovazione del giudizio in ordine al reato commesso in Italia. E, invero, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, ai sensi dell'art. 6, secondo comma, c.p., quando è ivi avvenuta, in tutto o in parte, l'azione o l'omissione che lo costituisce.

Cass. pen. n. 4625/1997

Il principio del ne bis in idem stabilito, con riguardo a sentenze penali pronunciate in Europa, dall'art. 53 della Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, resa esecutiva in Italia con legge 16 maggio 1977 n. 305, non trova applicazione con riguardo a sentenze pronunciate in Germania, giacché fra il detto Paese e l'Italia non è ancora intervenuta ratifica della Convenzione summenzionata; né a tale lacuna può sopperirsi mediante richiamo alla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, resa esecutiva in Italia con legge 16 ottobre 1989 n. 350 sull'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, recepito con legge 30 settembre 1993 n. 388, non essendosi formato, né per l'una né per l'altro, un incontro bilaterale di volontà fra l'Italia (che ha dato esecuzione all'Accordo di Schengen). Rimane, quindi, in tale situazione, applicabile la regola generale di cui all'art. 11 c.p., secondo cui è consentita la rinnovazione in Italia del giudizio relativo a fatti per i quali l'imputato sia stato già giudicato all'estero.

Cass. pen. n. 5617/1994

Il ne bis in idem non costituisce principio né consuetudine di diritto internazionale e, pertanto, ove sia ravvisata la giurisdizione in base alle norme di diritto interno, queste devono cedere il passo a quelle internazionali solo in virtù di convenzione fra gli Stati, ratificata, resa esecutiva e depositata, la quale vincola unicamente gli Stati contraenti e nei limiti del patto tra essi raggiunto. La Convenzione europea tra gli Stati membri delle comunità europee, relativa all'applicazione del principio del ne bis in idem, firmata in Bruxelles il 25 maggio 1987 e ratificata dall'Italia con L. 16 ottobre 1989, n. 350, non è ancora in vigore sul piano internazionale, non essendo avvenuto il deposito degli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione da parte di tutti gli Stati membri delle Comunità europee alla data dell'apertura della firma, così come previsto dall'art. 6, comma 2, della Convenzione. La predetta Convenzione trova tuttavia applicazione nelle relazioni tra Italia, Danimarca e Francia dal 16 giugno 1992, in quanto questi sono gli unici Stati che hanno depositato il proprio strumento di ratifica, come risulta dal comunicato del Ministero degli esteri, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 135 del 10 giugno 1992. Ne consegue che la predetta Convenzione non può trovare applicazione nei rapporti con Stati diversi, quale la Confederazione Elvetica.

Cass. pen. n. 621/1993

Nell'ordinamento giuridico italiano non esiste il principio del ne bis in idem rispetto a sentenze straniere, in quanto l'art. 11 c.p. impone espressamente di giudicare nello Stato il cittadino o lo straniero che ivi abbia commesso reato, anche se sia stato già giudicato all'estero. Di ciò è conferma nell'art. 138 stesso codice il quale, per l'ipotesi di giudizio seguito all'estero e rinnovato in Italia, prevede come legittima l'esecuzione della pena inflitta dall'autorità giudiziaria italiana, disponendo che vi venga sempre computata la pena scontata all'estero.

Cass. pen. n. 4150/1991

L'art. 11, comma secondo, c.p., nel condizionare alla richiesta del ministro della giustizia la rinnovazione del giudizio nel territorio dello Stato per i delitti commessi dal cittadino all'estero, richiede un plus rispetto alle altre condizioni previste negli artt. 7, 8, 9 e 10 da esso richiamati. Ne consegue che, per la procedibilità dell'azione in ordine ai delitti indicati nell'art. 9, comma primo, c.p. (tra i quali rientra quello dell'art. 71 L. 22 dicembre 1975, n. 685), occorre, oltre alla richiesta del ministro, anche la condizione della presenza del cittadino nel territorio dello Stato. Ciò determina l'applicabilità del secondo comma dell'art. 128 c.p. e, quindi, l'operatività del maggior termine di decorrenza di tre anni per la richiesta del ministro nel caso di cittadino già giudicato all'estero.

Cass. pen. n. 2449/1991

La richiesta del Ministro di grazia e giustizia di rinnovamento del giudizio ex art. 11, comma secondo, c.p., a differenza delle richieste dello stesso ministro previste dagli artt. 8, 9 e 10 stesso codice, ha una funzione precipuamente processuale, oltre che nella natura anche nei fini, essendo predisposta a superare il divieto del bis in idem determinato dal sopravvenire di una sentenza irrevocabile straniera, e non è soggetta al termine di tre anni dall'inizio della permanenza dell'imputato nel territorio dello Stato, previsto dall'art. 128, secondo comma c.p. (Nella specie, la richiesta fu formulata dopo la condanna irrevocabile subita dal cittadino in Brasile).

Corte cost. n. 69/1976

L'art. 11 comma secondo, c.p., in quanto consente la rinnovazione del giudizio per determinati fatti già giudicati all'estero, non contrasta con gli artt. 10 comma primo e 24 comma secondo Cost., asseritamente violando il principio dell'irripetibilità del giudizio penale, da osservare, quale norma internazionale generalmente riconosciuta ai sensi del citato art. 10 comma primo Cost. e ponendosi altresì in contrasto con il diritto inviolabile dell'uomo ad un processo giusto.

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