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Articolo 517 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Scelta delle cose da pignorare

Dispositivo dell'art. 517 Codice di procedura civile

Il pignoramento deve essere eseguito sulle cose che l'ufficiale giudiziario ritiene di piu' facile e pronta liquidazione, nel limite di un presumibile valore di realizzo pari all'importo del credito precettato aumentato della meta'(1).

In ogni caso l'ufficiale giudiziario deve preferire il danaro contante, gli oggetti preziosi e i titoli di credito (2) che ritiene di sicura realizzazione [520] (3).

Note

(1) La formulazione attuale dell'articolo in esame è dettata dalla Legge 52/2006 con decorrenza dal 1 marzo 2006.
Il testo precedente recitava:
"Art. 517. (Scelta delle cose da pignorare)
Il pignoramento, quando non v'e` pregiudizio per il creditore, deve essere eseguito preferibilmente sulle cose indicate dal debitore.
In ogni caso l'ufficiale giudiziario deve preferire il danaro contante, gli oggetti preziosi e i titoli di credito che ritiene di sicura realizzazione."
(2) I titoli di credito vengono assoggettati all'espropriazione mobiliare per la loro peculiare caratteristica di consistere in documenti cartacei (dunque pignorabili, al pari di ogni altro bene mobile) nei quali è incorporata la promessa di effettuare una prestazione. Tutti gli altri crediti che il debitore vanta presso terzi e che non sono incorporati in titoli, essendo beni immateriali, possono essere pignorati soltanto nelle forme peculiari dell'espropriazione presso il terzo debitore (v. 543). Sono assoggettati alla medesima forma di pignoramento i titoli rappresentativi di merci.
(3) Le eventuali opposizioni dirette a contestare la scelta dei beni da pignorare devono proporsi ai sensi dell'art. 617 (opposizione agli atti esecutivi).

Ratio Legis

La norma in esame è stata modificata dalla legge 52/2006 che ha attribuito all'ufficiale giudiziario la scelta dei beni da pignorare, indicandogli la preferenza per quelli di pronta e facile liquidazione, come il denaro e gli oggetti preziosi. La previgente regola disponeva che fosse il creditore a scegliere i beni da pignorare o, in mancanza l'ufficiale giudiziario. Inoltre, la formulazione precedente a quella attuale disponeva che nel caso in cui non vi fosse stato pregiudizio per il creditore, la scelta poteva essere effettuata dal debitore.
La modifica del 2006 è stata dettata dalla necessità di assicurare, a tutela del credito, l'effettività del primo atto della procedura esecutiva, evitando che essa sia iniziata sulla base di valori di realizzo maggiori rispetto a quelli che si possono concretamente ottenere.

Spiegazione dell'art. 517 Codice di procedura civile

E’ compito dell’ufficiale giudiziario individuare in sede di pignoramento mobiliare i beni che ritiene di più facile e pronta liquidazione.

Per la loro valutazione dovrà tener conto del loro presumibile valore di realizzo ed il pignoramento dovrà colpire beni che abbiano un valore pari all'importo del credito precettato aumentato della metà, in modo tale da consentire anche il pagamento degli interessi e delle spese di esecuzione.
Il parametro del presumibile valore di realizzo impone che si debba avere riguardo al valore che concretamente è presumibile si possa ottenere in sede di liquidazione e non al valore dei beni intrinseco o di mercato al momento del pignoramento stesso.

In ogni caso, nella scelta delle cose da pignorare, l'ufficiale giudiziario deve preferire il danaro contante, gli oggetti preziosi e i titoli di credito che ritiene di sicura realizzazione.

Questi ultimi, infatti, consistendo in documenti cartacei, sono pignorabili al pari di qualunque altro bene mobile, al contrario, invece, di tutti gli altri crediti che il debitore vanta presso terzi e che non sono incorporati in titoli, i quali, essendo beni immateriali, possono essere pignorati soltanto nelle forme peculiari dell'espropriazione presso il terzo debitore.

Ai titoli di credito menzionati in questa norma vanno equiparati i titoli rappresentativi di merci.

Qualora dovessero sorgere contestazioni sulla scelta dei beni pignorati, ci si potrà avvalere dello strumento dell’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 del c.p.c..

Come può notarsi, è questa una norma a cui può attribuirsi natura regolamentare, in quanto assoggetta l'esecuzione del pignoramento a regole obiettive di determinazione dei beni.

Mentre prima della riforma del 2006 il pignoramento, purchè non si arrecasse alcun pregiudizio al creditore, doveva preferibilmente essere eseguito sulle cose indicate dal debitore (con preferenza sempre per il denaro contante, gli oggetti preziosi e i titoli di credito), adesso, in linea generale, la scelta delle cose da pignorare è compiuta su indicazione del creditore procedente o ad opera dell'ufficiale giudiziario, anche se al debitore esecutato non è precluso di indicare all'ufficiale giudiziario beni da sottoporre a pignoramento (si tratta, però, di una indicazione a cui non può riconoscersi alcun valore preferenziale).

La norma in esame deve essere posta in stretto collegamento con il primo comma dell’art. 518 del c.p.c., il quale prevede che l'ufficiale giudiziario procedente, se lo ritiene utile o ne sia fatta espressa richiesta dal creditore, nel compiere le operazioni di pignoramento può farsi assistere da un esperto stimatore da lui scelto.
Inoltre, il creditore procedente può assistere a sue spese a tutte le operazioni dell'organo esecutivo, con l'assistenza o a mezzo di difensore e di esperto o di uno di essi.

In dottrina è stato affrontato il problema di come ci si debba comportare nel caso in cui il debitore inviti l’ufficiale giudiziario a sottoporre a pegno beni impignorabili.
Al riguardo, mentre parte della dottrina ritiene che l'ufficiale procedente debba astenersi dal pignorare tali beni, secondo altra tesi, invece, il pignoramento deve ritenersi ammissibile, ma il debitore decade dal diritto di eccepire l'impignorabilità in sede di opposizione alla esecuzione, in quanto l'indicazione del bene comporta una implicita rinuncia al beneficio di legge previsto nel suo esclusivo interesse.

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P. F. chiede
giovedģ 03/01/2019 - Campania
“Salve buongiorno, ho un dubbio in relazione a quanto dettomi dal mio avvocato, e volevo sapere se la strada da intraprendere potrebbe essere quella giusta.
Vanto un credito, fondato su una sentenza esecutiva nei confronti di una persona, la quale ho saputo ha posto in essere una compravendita di un immobile il cui prezzo, per il 49%, è stato dilazionato mediante un effetto o pagherò cambiario con scadenza 31/03/2019, attualmente depositato, come da contratto, presso il notaio stipulante.
Il mio legale, dopo varie ricerche, e dopo avermi spiegato quali fossero le sue ragioni, è orientato ad eseguire il pignoramento del titolo di credito cambiario, nella forma del pignoramento presso terzi, avendo consultato sia la l'art. 1 della l. 147/2013 commi 63 e ss. e successive modifiche, sia la sentenza di Cassazione n. 4653/2007.
I miei dubbi risiedono sia nella possibilità di pignorare il titolo cambiario detenuto dal terzo, sia nella impignorabilità stessa delle somme in quanto corrispettivo della vendita.”
Consulenza legale i 12/01/2019
La soluzione proposta dal legale si ritiene che costituisca in effetti un ottimo strumento per riuscire a recuperare il proprio credito.
Va innanzitutto precisato, e così intanto si chiarisce uno dei dubbi posti, che il prezzo o corrispettivo di una compravendita immobiliare, qualora non sia stato integralmente pagato, può senza alcun dubbio essere sottoposto a pegno, non essendo ricompreso tra i beni o crediti impignorabili, quali sono quelli previsti espressamente dal legislatore all' art. 514 del c.p.c., all'art. 515 del c.p.c. ed all'art. 516 del c.p.c. (ove si distingue rispettivamente fra beni impignorabili in modo assoluto, in modo relativo e pignorabili in particolari circostanze di tempo).

Dato, dunque, per presupposto che quel saldo prezzo che l’acquirente deve ancora versare al proprio debitore è assoggettabile a pegno, si tratta ora di vedere di quale forma esecutiva ci si dovrà avvalere per aggredire quella somma, tenuto conto che a garanzia di tale pagamento è stato depositato nelle mani del notaio rogante un effetto cambiario di importo pari al residuo prezzo dovuto.

Sicuramente pertinente è il richiamo che nel quesito viene fatto all’art. 1 comma 63 e ss della Legge 147/2013 (c.d. legge di stabilità 2014), nonchè alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 4653/2007.
La norma citata viene in rilievo per rendere legittima la prassi adottata dal notaio di detenere presso il suo studio, nella qualità di mero depositario, l’effetto cambiario emesso in favore del venditore-debitore, non essendovi stata (almeno si presume) espressa richiesta, avanzata da almeno una delle parti stipulanti, di versare quella somma su apposito conto corrente dedicato (così prevede il comma 63).

La sentenza della Corte di Cassazione, invece, prende in esame una fattispecie che per certi versi, in realtà, differisce da quella che qui si richiede di analizzare.
In quel caso, infatti, oggetto di pignoramento non è stato un effetto cambiario, bensì un deposito titoli in custodia ed amministrazione della Banca, soggetto terzo rispetto al debitore, la quale non era soltanto depositaria dei titoli, ma aveva anche la legittimazione ad esercitare per il depositante i diritti nascenti dal deposito titoli.
In casi come questi, la Corte di Cassazione ha ritenuto che non è necessario avvalersi del pignoramento mobiliare, consistente nell’apprensione diretta del titolo di credito, in quanto il terzo (ossia la Banca), dal momento del pignoramento, assume la qualità di custode giudiziario del deposito titoli, venendo così meno il rischio che chi è debitore in base al titolo possa essere chiamato a pagare due volte a causa della circolazione del titolo.
A ciò si aggiunga che, essendo ora i depositi titoli dematerializzati, di fatto non ci si potrebbe avvalere di altra forma di pignoramento se non di quello presso terzi.

Diversa, invece, è la situazione nel caso di specie, in cui oggetto di pignoramento non sarebbe un deposito titoli (nella sentenza si parla chiaramente di strumenti finanziari), bensì un effetto cambiario, del quale il notaio ha la mera detenzione quale semplice depositario, e di cui non può avere alcun potere di amministrazione, data la sua peculiare natura di pagherò cambiario.
Tale diversità di situazioni induce a dover ritenere utilizzabile lo strumento dell’espropriazione mobiliare, disciplinato dagli artt.513 e ss c.p.c., consistente nella apprensione materiale del titolo di credito, ossia il pagherò cambiario.
Dispone, in particolare, l’art. 517 c.p.c. che il pignoramento deve essere eseguito sulle cose che l’ufficiale giudiziario ritiene di più facile e pronta liquidazione, aggiungendo al secondo comma che in ogni caso lo stesso ufficiale giudiziario deve preferire il denaro contante, gli oggetti preziosi ed i titoli di credito.

Nessun problema può sussistere per il fatto che l’effetto cambiario da pignorare si trova depositato presso il notaio e da quest’ultimo detenuto, in quanto ad una ipotesi del genere provvede espressamente il penultimo comma dell’art. 513 del c.p.c..
Dispone tale norma che qualora si intendano sottoporre a pegno cose determinate (l’effetto cambiario) che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore (lo studio notarile non appartiene al debitore), ma delle quali lo stesso debitore può direttamente disporre (il titolo cambiario è stato emesso in suo favore e sarà lui a disporne), il creditore potrà chiedere con ricorso al Presidente del Tribunale o a un Giudice da lui delegato che autorizzi con decreto l’ufficiale giudiziario ad accedere presso il terzo ed a pignorare quel bene determinato di proprietà del debitore.
Tale procedura consentirebbe di sottoporre direttamente l’effetto cambiario a pegno (con apprensione diretta del titolo) e di instaurare un processo esecutivo al termine del quale la somma portata da quel titolo verrebbe assegnata dal Giudice dell’esecuzione al creditore procedente.

Ma la fattispecie descritta nel quesito si presenta anche adatta alla soluzione del pignoramento presso terzi, soltanto che qui il terzo non si dovrebbe identificare nel notaio depositario del titolo (avente un ruolo diverso dalla Banca di cui alla sentenza della Cassazione richiamata), bensì nell’acquirente, debitore del proprio debitore per la residua parte del prezzo della compravendita.
L’atto di pignoramento presso terzi, dunque, andrà notificato, oltre che al proprio debitore (il quale da quel momento non potrà più disporre di quella somma), al terzo (l’acquirente, il quale, a conclusione del giudizio di esecuzione, sarà tenuto a pagare direttamente al creditore procedente in forza del provvedimento del Giudice) e, per ragioni di semplice opportunità, al notaio (detentore del titolo di credito, il quale non potrà più consegnare quel titolo all’avente diritto).

Sul buon esito di tale forma di pignoramento si ritiene che non possano sussistere dubbi, in quanto trattasi di credito certo e determinato, quale espressamente risultante dall’atto notarile di compravendita, anche se non immediatamente esigibile, potendo divenire tale soltanto alla scadenza fissata nell’effetto cambiario e sicuramente risultante dall’atto di compravendita (in forza del quale il prezzo è stato dilazionato).