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Articolo 344 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Intervento in appello

Dispositivo dell'art. 344 Codice di procedura civile

Nel giudizio d'appello è ammesso soltanto l'intervento dei terzi [105, 267 ss.] che potrebbero proporre opposizione a norma dell'articolo 404 (1) (2) (3).

Note

(1) L'unico intervento in appello è consentito al terzo che era in ogni caso legittimato ad impugnare la sentenza con lo speciale strumento dell'opposizione ex art. 404 del c.p.c., sia ordinaria che revocatoria. Ai fini dell'intervento, è sufficiente dimostrare che vi sia il rischio di un pregiudizio eventuale che possa derivare dalla futura sentenza d'appello, non essendo necessaria l'esistenza di un pregiudizio effettivo.
(2) Secondo la giurisprudenza, risulta ammissibile il solo intervento principale (il terzo interveniente deve, quindi, far valere un diritto autonomo rispetto a quello controverso nel processo): il terzo non incorrerebbe nel divieto di proposizione di nuove domande, in quanto queste ultime sono conseguenza dell'intervento stesso. Sono reputati, al contrario, inammissibili l'intervento adesivo nonché l'intervento coatto, sia su ordine del giudice (iussu iudicis) che ad istanza di parte.
(3) Anche il litisconsorte necessario ritualmente costituitosi nel giudizio di primo grado e non citato in appello può intervenirvi, secondo la giurisprudenza, in quanto il giudice in ogni caso avrebbe dovuto disporre l'integrazione del contraddittorio nonché l'intervento del successore a titolo particolare nel diritto controverso.

Ratio Legis

L'intervento del terzo in appello è inammissibile perché viola il principio del doppio grado di giurisdizione, non avendo il terzo partecipato alla prima fase del giudizio.

Spiegazione dell'art. 344 Codice di procedura civile

Il carattere eccezionale dell'intervento in appello (abbastanza ridotto rispetto alle possibilità di intervento in primo grado) si giustifica per il fatto che l'ingresso di un terzo che non ha partecipato al primo grado di giudizio implica necessariamente la proposizione di una domanda nuova.
Riconoscere in modo illimitato la possibilità di intervento in appello si porrebbe, pertanto, in contrasto con il principio del doppio grado di giurisdizione.

La deroga a tale principio è possibile, nei soli casi previsti dalla norma, per una ragione di economia processuale: le questioni discusse a seguito dell'intervento del terzo in appello potrebbero comunque essere sollevate in un successivo giudizio di opposizione di terzo e la proposizione dell'opposizione contro la sentenza d'appello comporterebbe comunque un'analoga perdita del doppio grado di giurisdizione.

Secondo la lettera della disposizione in commento possono intervenire in appello sia i terzi che sarebbero legittimati a proporre opposizione di terzo ordinaria sia i terzi legittimati a proporre opposizione di terzo revocatoria.

Quanto ai terzi che potrebbero proporre opposizione di terzo ordinaria, il loro intervento è ammissibile se e nella misura in cui si configuri come intervento volontario principale, cioè l'intervento di chi è titolare di un diritto autonomo ed incompatibile con quello che è stato fatto valere nella sentenza di primo grado.

Anche al P. M. va riconosciuta la legittimazione all'intervento per far valere contro la sentenza uno dei vizi previsti dall'art. 397 del c.p.c..

La norma non precisa se una volta ammesso l'intervento, sia consentito al terzo ottenere una pronuncia di merito ovvero se detto intervento abbia come unico scopo l'annullamento della sentenza di primo grado ovvero la declaratoria di inopponibilità di questa sentenza di primo grado al terzo.
Secondo una vecchia tesi dottrinale, riconosciuta la legittimazione del terzo all'intervento, il giudice dovrebbe rinviare la causa al giudice di primo grado, affinché anche al terzo interveniente sia garantito il principio del doppio grado di giurisdizione.

Il pregiudizio a cui può andare incontro il terzo è quello che può derivare dall'esito del giudizio di appello e dunque dalla sentenza di secondo grado , sia essa di riforma o di conferma di quella di primo grado.

Deve escludersi che possa intervenire nel giudizio d'appello chi avrebbe potuto proporre, in primo grado, intervento adesivo; per quanto concerne, invece, l'intervento coatto, su istanza di parte o per ordine del giudice (art. 106 del c.p.c.), la dottrina lo considera generalmente inammissibile, in quanto la norma fa implicitamente riferimento al solo intervento volontario (l'applicazione analogica priverebbe il terzo della garanzia del doppio grado di giurisdizione).

In ordine al termine ed alla forma dell’intervento in appello, sono gli stessi di quelli previsti dagli artt. 267 ss. c.p.c. relativamente al giudizio di primo grado; appellante e appellato potranno formulare le controdifese e le deduzioni probatorie, che si rendano necessarie in seguito all'intervento, non solo all'udienza ma, occorrendo, anche con comparsa scritta.

Massime relative all'art. 344 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 31313/2018

Deve escludersi la legittimazione ad intervenire in grado di appello, secondo la previsione dell'art. 344 c.p.c. (in relazione all'art. 404 c.p.c.), del condebitore solidale, il quale non è qualificabile come terzo titolare di un diritto autonomo rispetto a quello oggetto di contesa tra le parti originarie, suscettibile di pregiudizio per effetto della decisione fra di esse pronunciata.

Cass. civ. n. 27530/2014

I creditori possono sempre intervenire in appello, ai sensi dell'art. 344 cod. proc. civ., ove assumano una posizione processuale simile a quella dell'opposizione di terzo revocatoria, purché specifichino nell'atto di intervento, pur senza formule sacramentali, di agire ai sensi dell'art. 404, secondo comma, cod. proc. civ., ovvero alleghino i presupposti di fatto su cui si fonda l'opposizione revocatoria, così assicurando il "thema decidendum", la costituzione del contraddittorio, la possibilità di verifica della ammissibilità dell'intervento e della fondatezza nel merito della domanda.

È inammissibile l'intervento del terzo creditore ipotecario nel giudizio in grado d'appello, introdotto per il trasferimento di immobile ex art. 2932 cod. civ. con domanda trascritta anteriormente all'iscrizione di ipoteca, dovendosi ritenere consentito solo l'intervento autonomo, assimilabile all'opposizione di terzo ex art. 404, primo comma, cod. proc. civ., promosso a tutela di un diritto autonomo e incompatibile con la situazione giuridica accertata in primo grado tra le originarie parti del processo, laddove, invece, l'interesse del titolare di un diritto di garanzia costituito successivamente alla domanda processuale è solo teso a rimuovere un ostacolo fattuale al soddisfacimento del proprio credito e non ad accertare una situazione giuridica incompatibile con quella dedotta in causa.

Cass. civ. n. 24412/2013

L'intervento in appello, recante una domanda volta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica in proprio favore di un contratto preliminare concluso "inter alios", è inammissibile, attesi i limiti sanciti dall'art. 344 c.p.c., tendendo non ad evitare un pregiudizio, bensì a realizzare una pretesa; qualificandosi inoltre tale intervento come adesivo, e non autonomo, per essere riconoscibile il diritto invocato dall'interventore solo previo accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. formulata in primo grado da uno dei contraenti, è altresì inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal medesimo interventore, in quanto carente, giacché titolare di un interesse di mero fatto, di un'autonoma corrispondente legittimazione ove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto all'impugnazione.

Cass. civ. n. 22925/2013

È inammissibile l'intervento in appello ex art. 344 c.p.c. della curatela fallimentare che, avendo esercitato vittoriosamente l'azione di risarcimento di danni a tutela della massa in un separato giudizio, intende contestare il diritto dei soci investitori di una società cooperativa fallita ad ottenere, nei confronti del Ministero, il risarcimento del danno loro individualmente arrecato dal mancato esercizio dei poteri di vigilanza sulla società, dal momento che tale ultima azione non ha la natura di azione di massa e può, pertanto, legittimamente coesistere con l'azione separatamente promossa dalla curatela fallimentare, cosicché, non essendo il curatore titolare di un diritto autonomo, la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica costituita o accertata in primo grado, non sarebbe legittimato all'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.

Cass. civ. n. 20696/2012

A norma dell'art. 344 c.p.c., il terzo proprietario di un immobile in virtù di atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale "inter alios", definita con sentenza di trasferimento di una quota indivisa dell'immobile che ricomprenda quello di cui il terzo è proprietario, è legittimato ad intervenire nel giudizio di appello pendente avverso la sentenza di trasferimento, al fine di far dichiarare l'inefficacia della sentenza nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 10590/2012

Nei casi di intervento in appello, a norma dell'art. 344 c.p.c., da parte di chi prospetti che la situazione giuridica accertata o costituita dalla sentenza di primo grado possa pregiudicare un proprio autonomo diritto, legittimazione e merito si confondono, in quanto la prima discende dall'effettiva titolarità del diritto incompatibile vantato ed il secondo concerne proprio l'incompatibilità tra quel diritto e la situazione giuridica accertata o costituita. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale, in relazione a giudizio di appello avverso sentenza pronunciata su domanda ex art. 2932 c.c., aveva escluso la legittimazione ad intervenire di un terzo subentrato nei diritti nascenti da un precedente preliminare di vendita in capo al promittente compratore, in conseguenza dell'esercizio della facoltà di nomina riconosciuta a quest'ultimo, sul presupposto della non perfetta identità dell'immobile oggetto dei due contratti).

Cass. civ. n. 9727/2012

In materia di assicurazione obbligatoria derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, nel vigore della legge 24 dicembre 1969, n. 990, l'impresa designata intervenuta in grado di appello assume, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, la stessa posizione dell'impresa in liquidazione coatta amministrativa e può limitarsi a far propri i motivi di appello proposti dalla sua dante causa senza necessità di proporre un proprio appello incidentale.

Cass. civ. n. 25999/2010

La controversia tra due associazioni, in ordine alla nullità di una deliberazione assunta dagli organi di una terza associazione estranea al giudizio, è utilmente decisa sulla base di accertamenti che acquistano l'efficacia del giudicato soltanto tra le parti, e che non possono in alcun modo essere opposti all'associazione che ha assunto la deliberazione, ma non ha partecipato al giudizio, con la conseguenza che l'intervento in appello da parte di quest'ultima è inammissibile, non ricorrendo il caso dell'art. 344 c.p.c.. (Nella specie, nella controversia intercorrente tra il partito politico della Democrazia cristiana e l'Associazione dei Cristiano democratici uniti, avente ad oggetto la validità della delibera di una terza associazione - la Democrazia cristiana "storica" - relativamente al diritto all'uso del nome "Democrazia cristiana" e del simbolo costituito dallo scudo crociato con la scritta "Libertas", era intervenuto in appello il Partito popolare italiano, lamentando la propria pretermissione, ma l'intervento era stato dichiarato inammissibile dalla corte territoriale, non essendovi litisconsorzio necessario; le S.U., enunciando il principio anzidetto, hanno confermato la decisione impugnata).

Cass. civ. n. 4251/2010

In tema di regolamento delle spese giudiziali, allorquando il giudice di appello dichiari inammissibile un intervento dinanzi a sé per ragioni meramente processuali (nella specie, per difetto dei presupposti di cui all'art. 344 c.p.c. e per carenza di interesse ad agire), la compensazione delle spese può essere giustificata esclusivamente in riferimento al tipo di statuizione adottata e non anche alle posizioni di carattere sostanziale che con l'atto di intervento inammissibile l'interventore ha inteso sostenere.

Cass. civ. n. 18560/2009

L'interesse del terzo ad intervenire in appello, ai sensi dell'art. 344 c.p.c., va valutato non già "ex post", e cioè in base all'incidenza che la decisione impugnata può concretamente avere sulla posizione del terzo, ma "ex ante", e cioè con riferimento alla proposizione della domanda e tenuto conto della astratta idoneità della pronuncia richiesta a ledere l'interesse diretto del terzo medesimo. (Applicando tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato la sussistenza dell'interesse, in capo all'erede legittimo, ad intervenire in appello nel giudizio promosso dall'erede testamentario per far valere la simulazione di una vendita compiuta dal defunto in prossimità del decesso, giudizio conclusosi in primo grado col rigetto della domanda).

Cass. civ. n. 11420/2009

A norma dell'art. 344 c.p.c., nel giudizio di appello è ammesso soltanto l'intervento del terzo che sarebbe legittimato all'opposizione di cui all'art. 404 c.p.c., in quanto titolare di un diritto incompatibile che potrebbe essere pregiudicato dalla emananda sentenza; ne consegue che, in un giudizio avente ad oggetto la tutela delle distanze di un fabbricato, promosso da soggetto che si affermi proprietario dell'immobile, sussiste la legittimazione ad intervenire, in grado di appello, da parte del terzo che assuma di essere proprietario esclusivo del medesimo bene, in quanto la sentenza - pur rimanendo una "res inter alios acta" - costituisce una situazione giuridica incompatibile col diritto di proprietà vantato dal terzo.

Cass. civ. n. 12385/2006

Ai sensi dell'art. 344 c.p.c. l'intervento in appello-precluso a chi non abbia partecipato al giudizio di primo grado, a meno che non sia successore a titolo particolare nel diritto controverso (art. 111 c.p.c.) — è limitato a coloro che sarebbero legittimati a proporre l'opposizione di terzo, giacché la norma citata, nell'apprestare uno strumento di tutela anticipata, consente ai terzi di fare valere le proprie ragioni ancor prima che sia emessa la sentenza che potrebbe pregiudicarle e nei cui confronti sarebbero legittimati a proporre l'opposizione di cui all'art. 404 c.p.c. Pertanto, può intervenire in appello colui che potrebbe subire pregiudizio nei suoi diritti da un determinato esito del giudizio ovvero l'avente causa di una delle parti che possa temere pregiudizio da una sentenza frutto di dolo o di collusione delle parti stesse in suo danno; peraltro, l'ammissibilità dell'intervento deve essere esaminata verificando la sussistenza del pregiudizio con un giudizio ex ante in ordine al possibile esito della controversia e non con una valutazione compiuta in sede di decisione alla stregua delle statuizioni in concreto da adottare.

Cass. civ. n. 12114/2006

L'intervento in appello è ammissibile soltanto quando l'interventore sia legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell'articolo 404 c.p.c., ossia nel caso in cui egli rivendichi, nei confronti di entrambe le parti, la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione accertata o costituita dalla sentenza di primo grado, e non anche quando l'intervento stesso sia qualificabile come adesivo, perchè volto a sostenere l'impugnazione di una delle parti per porsi al riparo da un pregiudizio mediato dipendente da un rapporto che lega il diritto dell'interventore a quello di una delle parti. (Nella specie, instaurata la causa, in tema di inadempimento contrattuale, da società in nome collettivo, avverso la sentenza di rigetto della domanda attrice era stato proposto appello, anche dall'unico socio residuo, in proprio, dopo l'avvenuto scioglimento della società; ha ritenuto la S.C. che tale appello fosse inammissibile e che, non avendo egli partecipato, in proprio, al giudizio di primo grado, la sua partecipazione nel giudizio di appello dovesse qualificarsi come intervento adesivo dipendente; sulla base del citato principio, la S.C. ha dichiarato l'inammissibilità dell'intervento e la inammissibilità del ricorso per cassazione, da lui proposto in proprio alla sentenza di appello che aveva confermato la sentenza di primo grado).

Cass. civ. n. 5071/1999

In caso di contratti agrari in cui sia parte una famiglia coltivatrice, la quale ha la struttura della società semplice, la domanda giudiziale relativa a rapporti che rientrano nell'oggetto sociale può essere proposta nei confronti di ciascuno dei componenti del gruppo, senza necessità che il contraddittorio sia integrato nei confronti degli altri. Pertanto, la sentenza che dichiari cessato il diritto di godimento del fondo sorto dal contratto d'affitto è validamente pronunciata in contraddittorio anche di uno solo dei componenti del gruppo, ed è efficace nei confronti di tutti, senza che il componente non citato, né intervenuto, in primo grado sia legittimato, alla stregua degli artt. 344 e 404 c.p.c., alla opposizione di terzo ordinaria, e, quindi, all'intervento in appello, non trovandosi costui in una posizione diversa ed autonoma rispetto a quella della parte convenuta, né in quella di litisconsorte necessario pretermesso.

Cass. civ. n. 8500/1998

L'intervento dei terzi nel giudizio di appello, data la formulazione dell'art. 344 c.p.c., che ne impedisca un'interpretazione diversa da quella letterale, può ritenersi ammesso limitatamente ai soli terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell'art. 404. Pertanto, a parte l'ipotesi riconducibile al comma 2 di questo articolo (intervento dell'avente causa o creditore di una delle parti, il quale deduca che la sentenza già emanata — unitamente a quella che deve essere resa dal giudice di secondo grado — sia l'effetto di dolo o di collusione tra le suddette parti in danno di esso interveniente), l'intervento deve ritenersi ammesso — in relazione alla previsione dell'art. 404, comma 1 — quando il terzo faccia valere nel giudizio una pretesa del tutto autonoma da quella formante oggetto di contestazione tra le parti originarie, e incompatibile con la situazione giuridica accertata dalla sentenza di primo grado o con quella che eventualmente potrebbe essere accertata dalla sentenza di appello. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto ammissibile in appello l'intervento di un soggetto che mirava, da un lato, a constatare l'eccezione con cui il convenuto aveva dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva, e, dall'altro, a sostenere nel merito le ragioni difensive del medesimo convenuto).

Cass. civ. n. 826/1997

La peculiare natura del condominio, ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi componenti, i quali devono intendersi rappresentati ex mandato dall'amministratore, comporta che l'iniziativa giudiziaria di quest'ultimo a tutela di un diritto comune dei condomini non priva i medesimi del potere di agire personalmente a difesa di quel diritto nell'esercizio di una forma di rappresentanza reciproca atta ad attribuire a ciascuno una legittimazione sostitutiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non può tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere i diritti degli altri condomini. Pertanto il condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall'amministratore per far valere diritti della collettività condominiale non è un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei ma è una delle parti originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicché, ove tale intervento sia stato spiegato in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell'intervento dei terzi in quel grado fissati nell'art. 344 c.p.c.

Cass. civ. n. 6156/1994

L'intervento del terzo in appello, ai sensi e nei casi previsti dall'art. 344 c.p.c., in relazione all'art. 404 c.p.c., non trova ostacolo nell'eventualità che il terzo stesso, a difesa del proprio diritto, abbia già instaurato una separata causa, tenendo conto che tale intervento non mira (e non potrebbe mirare, in difetto di deroga al principio del doppio grado di giurisdizione) a conseguire una pronuncia nel rapporto fra l'interventore e le altre parti, ma si esaurisce in un inserimento nel dibattito fra gli originari contendenti, al fine di orientarne la definizione in senso conciliabile con le aspettative dell'istante.

Il pregiudizio, che legittima il terzo all'intervento in appello, ai sensi dell'art. 344 c.p.c., in relazione all'art. 404 c.p.c., ove un suo autonomo diritto possa subire lesione, va riscontrato con riferimento non alle statuizioni di primo grado, rimesse in discussione dal processo di gravame, ma al potenziale esito di quest'ultimo, in relazione alle pronunce che le parti hanno richiesto al giudice di secondo grado.

Cass. civ. n. 2335/1994

Nel giudizio di impugnazione della deliberazione dell'assemblea della società, il socio, che non è stato parte del giudizio di primo grado, non è legittimato né ad impugnare la pronuncia resa inter alios né ad intervenire adesivamente in appello, essendo il suo intervento ammesso solo quando egli possa proporre opposizione ai sensi dell'art. 404 c.p.c., e cioè in caso di titolarità, nei confronti di entrambe le parti, di un diritto autonomo, la cui tutela non sia compatibile con la situazione giuridica accertata o costituita dalla sentenza di primo grado.

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Consulenze legali
relative all'articolo 344 Codice di procedura civile

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A. D. B. chiede
mercoledì 16/03/2022 - Puglia
“Soggetto ("A") contro Comune omissis: davanti Cd'App. in sede di rinvio per quantificazione corrispettivo "retrocessione" di un suolo mai utilizzato in ambito PEEP e per il quale a suo tempo "A" incassò la relativa indennità di esproprio.
Soggetto ("B") interveniente autonomo principale, ex socio di ex Coop. assegnataria a suo tempo di un suolo nello stesso PEEP utilizzato per alloggi societari e non pagato al Comune.
Entrambi "A" e "B" hanno lo stesso interesse, ossia quantificare nella misura più bassa possibile il valore ven. dei suoli così da versare al Comune un corrispettivo calmierato.
Domanda :
può intervenire il Soggetto ("C"),per un suolo espropriato, confinante con "A" e anch'esso mai trasformato?. Si precisa che "C" ha un'azione giudiziaria in corso davanti al giudice di primo grado intentata essenzialmente per il risarcimento da responsabilità extracontrattuale, ovvero subordinatamente ed alternativamente, contrattuale, paracontrattuale o precontrattuale del Comune di omissis nella procedura espropriativa e solo in estremo subordine per il diritto alla "retrocessione" del suolo, peraltro senza proporre un prezzo.
L'interesse di "C" alla determinazione del v.v. all'attualità del suolo, é sia diretto, per l'eventuale corrispettivo da versare al Comune (quando anch'egli otterrà la sentenza di retrocessione, ma il Comune potrebbe autonomamente applicare a "C" le condizioni determinate dalla C.d'App. per la retrocessione ad "A"), sia indiretto per poter sfruttare la opzione di acquisto del suolo del confinante "A", che lo stesso "A" gli ha già informalmente prospettato.
Mi permetto di aggiungere un altra circostanza di cui ho avuto appena contezza che, forse, renderebbe utile e opportuno l'intervento di "C", dato che é emerso che il Comune nella causa per retrocessione nei confronti di "A" pretende un corrispettivo oscillante fra 115,00 e 134,00 €/Mq , mentre inspiegabilmente per la retrocessione nei confronti di "C" la pretesa comunale oscilla fra 250 e 300 €/Mq. Si ricorda che i suoli di "A" e "C" (espropriati per lo stesso PEEP) sono fra loro confinanti e con identica tipizzazione urbanistica.
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 23/03/2022
In premessa va chiarito che i principi generali sulle condizioni di ammissibilità e le preclusioni relative all’intervento in causa, specialmente in grado di appello, sono gli stessi già illustrati nei precedenti pareri resi sulla medesima questione (da ultimo il quesito n. 30383, oppure anche il quesito n. 26827) e che si tratta solo di declinare di volta in volta tali indicazioni astratte rispetto alla situazione concreta.
Inoltre, si sottolinea che la decisione sulla possibilità di intervenire o meno nel processo coinvolge necessariamente valutazioni di opportunità anche economica, che sono rimesse esclusivamente alla parte e non possono essere prese in considerazione nel presente parere.
Soprattutto, prima di stabilire una strategia processuale è fondamentale chiedersi quale sia l’obiettivo che si vuole ottenere e se lo strumento scelto sia il mezzo migliore per perseguirlo.
Tanto chiarito, si nota che il soggetto C -sulla base di quanto prospettato nel quesito- pare atteggiarsi come un terzo titolare di un diritto autonomo rispetto a quello oggetto di contesa tra le parti originarie, suscettibile di pregiudizio per effetto della decisione fra di esse pronunciata, rispettando in tal senso i presupposti fissati dall’art. 344 c.p.c..
Rimane qualche dubbio sull’incompatibilità del diritto vantato da C rispetto a quello di tutte le parti processuali, in quanto il terreno di cui vorrebbe chiedere la retrocessione, pur avendo caratteristiche simili, è diverso da quello oggetto della presente causa.
Comunque, -se ciò non ha costituito un ostacolo all’intervento di B (che si trova per molti versi in una posizione simile)- presumibilmente la Corte d’Appello adotterà la stessa linea favorevole anche nei confronti di C.
D'altro canto, è necessario considerare lo scopo dell’istituto, che va ricondotto al principio di economia processuale, nonché all’esigenza di evitare il contrasto tra giudicati, che viene evitato trattando una pluralità di questioni legate tra loro nell’ambito dello stesso processo.
Nel nostro caso, però, C ha già avviato una causa autonoma relativa all’immobile al quale è realmente interessato, peraltro deducendo varie domande nei confronti del Comune e solo in subordine la domanda di retrocessione.
Per questo, la decisione di spiegare l’intervento anche nel processo de quo potrebbe dare luogo non solo a una pronuncia di inammissibilità (con relativa condanna alle spese), ma potrebbe anche essere vista come un abuso del processo nel caso in cui C proponga domande relative al proprio immobile.
In breve, l'impressione è che si voglia ricorrere all’istituto dell’intervento prima di aver definito con precisione gli scopi che si intende raggiungere, esponendo così la parte a un rischio processuale non necessario.
Come già scritto, infatti, se l’obiettivo è solo quello di utilizzare le risultanze della CTU e le statuizioni della sentenza della Corte d’Appello e contestare la “incoerenza” delle difese comunali, non è necessario intervenire nel processo in quanto è sufficiente produrre i documenti de quibus nella causa che interessa direttamente C (peraltro questo lascia più spazio di manovra in caso di decisione sfavorevole).

Angela D.B. chiede
venerdì 21/05/2021 - Puglia
“Fatto
Si intende proporre intervento di terzo nel giudizio fra il soggetto "A" (e un Comune) che ha riassunto in C d' Appello la causa per decidere il solo valore venale di un terreno dato che la Cassazione ha già stabilito, con sent. pass. in giudic., il diritto di "A" ad ottenere la Retrocessione del bene a suo tempo ablato.
L'interventore "B" é interessato da altro terreno, dello stesso comprensorio e stesse caratteristiche di quello di "A", per il quale anche "B", per altroverso, deve pagare il prezzo al Comune, pertanto l'interesse di "B" é lo stesso di quello di "A", ovverosia pagare al Comune un prezzo quanto più basso possibile
Domande:
1) "B" può fare intervento adesivo dipendente ? cioé senza ampliare le domande di "A" ma solo specificandone meglio gli aspetti e quindi senza pagare il c.u ?
2) in caso di intervento adesivo o principale autonomo, "B" può fare domande specifiche? in quel caso deve pagare il c.u. proporzionato alle sue richieste ?
3) se "A" e il Comune decidono di rinunciare agli atti e al giudizio, l'interventore può continuare il giudizio per ottenere una pronuncia del Giudice sulla sua domanda?
4) se "A" e il COmune decidono di firmare una transazione davanti al Giudice, l'interventore può essere parte della transazione ?”
Consulenza legale i 28/05/2021
Dalla documentazione inviata a corredo del quesito emerge che la causa promossa dal soggetto A riguarda la retrocessione ex art. 47 T.U. Espropri di aree acquisite da un Comune e mai utilizzate per la realizzazione dell’opera pubblica (nella specie un P.E.E.P. annullato dal Giudice amministrativo e, comunque, scaduto).
Tale processo si trova oggi in grado di appello, a seguito di riassunzione successiva ad una pronuncia di annullamento con rinvio della Suprema Corte scaturita dall’accoglimento del motivo di ricorso proposto dal Comune in merito alla misura del corrispettivo della retrocessione.
Il soggetto B è anch’egli interessato all’esito della causa e vorrebbe volontariamente intervenirvi, in quanto socio di una Cooperativa a cui venne assegnato un suolo espropriato per costruire alloggi di EEP ed è stato in seguito diffidato a pagare al Comune il corrispettivo dell’assegnazione.

Tanto premesso, in estrema sintesi la differenza fondamentale tra intervento autonomo-principale e intervento dipendente consiste nel fatto che con il primo chi interviene fa valere un proprio diritto, che può essere incompatibile o compatibile con quello delle altre parti; nel secondo caso, invece, il terzo si limita a sostenere le ragioni di una delle parti, senza fare domande nuove.
Ai sensi dell’art. 344 c.p.c., in grado d’appello l’intervento è ammesso da parte dei terzi che potrebbero proporre opposizione ex art. 404 c.p.c., ossia ai terzi che deducano un pregiudizio per i propri diritti.
Secondo la Suprema Corte, tale principio –applicabile anche ai giudizi di rinvio come quello di specie- va declinato nel senso che il terzo debba rivendicare, nei confronti di entrambe le parti, la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione accertata o costituita dalla sentenza di primo grado, e non anche quando l'intervento stesso sia qualificabile come adesivo, perché volto a sostenere l'impugnazione di una delle parti per porsi al riparo da un pregiudizio mediato dipendente da un rapporto che lega il diritto dell'interventore a quello di una delle parti (Cassazione civile, sez. III, 23 maggio 2006, n. 12114; Cassazione civile, sez. III, 16 aprile 2015, n. 7710).

Pertanto, al fine di evitare il rischio che vengano proposte eccezioni di inammissibilità dell’intervento, è opportuno che nella comparsa di intervento esso venga impostato come un intervento principale autonomo, deducendo quale diritto il terzo ritiene leso dalla pronuncia emessa nel giudizio pendente tra A e il Comune e formulando le relative domande nei confronti delle altre parti.
Nel caso di specie, dato che la posizione del soggetto B è per vari aspetti diversa da quella di A, è in astratto possibile prospettare un pregiudizio nei confronti di entrambi i soggetti già presenti nel giudizio, fatta salva la verifica circa la sussistenza concreta delle caratteristiche del diritto da far valere, nonché della legittimazione ad agire in qualità di semplice socio della Cooperativa assegnataria, che lo scrivente non è allo stato in grado di effettuare.

Per quanto riguarda il contributo unificato, inoltre, ne è previsto il pagamento solo in caso di intervento autonomo, da determinare in base al valore della domanda proposta, e non anche in ipotesi di intervento adesivo dipendente (art. 14, comma 3, D.P.R. n. 115/2002).

Va, comunque, specificato che nel caso di specie è a parere dello scrivente molto dubbia l’utilità di spiegare un intervento nel processo de quo, posto che si tratta di un giudizio di rinvio, ove una parte delle questioni sono state già decise e sono coperte da giudicato interno, e che per questo “soffre” di forti limitazioni.
Inoltre, non è chiaro quale beneficio sia in concreto possibile trarre dall’intervento in un giudizio impostato da altri e il cui esito non ha alcun effetto vincolante nei confronti del soggetto B, anziché avviare un nuovo processo nel quale far valere, senza preclusioni o limiti di sorta, tutte le proprie domande, difese ed eccezioni.

Le risposte ai quesiti nn.3 e 4 discendono da quanto sopra scritto in merito alle caratteristiche dell’intervento ammesso in appello.
In particolare, la rinuncia agli atti deve essere accettata (art. 306 c.p.c.) dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione del giudizio.
Il terzo, quindi, quale portatore di un interesse autonomo, nella fattispecie potrebbe opporsi all’estinzione del processo, non accettando l’eventuale rinuncia delle altre parti.
La transazione, invece, è un contratto che viene stipulato volontariamente tra le parti, con la conseguenza che può includere qualsiasi soggetto che le parti acconsentano ad includere.
Anche in questo caso, però, è necessario valutare bene i rapporti tra socio B e cooperativa e l’utilità di una eventuale transazione.