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Articolo 808 ter Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Arbitrato irrituale

Dispositivo dell'art. 808 ter Codice di procedura civile

Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall'articolo 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale(1)(2). Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo.

Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:

  1. 1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;
  2. 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;
  3. 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812;
  4. 4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;
  5. 5) se non e' stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'articolo 825.

Note

(1) Questo articolo è stato aggiunto dal D.Lgs. n. 40/2006.
(2) Con l'arbitrato irrituale o libero le parti incaricano gli arbitri del compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra di loro in ordine a determinati rapporti giuridici. La decisione degli arbitri irrituali ha valore contrattuale, con la conseguenza che, per il lodo contrattuale, vista la sua natura negoziale, non è possibile il deposito e la dichiarazione di esecutorietà.
Alla pari dell'arbitrato rituale anche quello irrituale richiede per la sua validità la forma scritta ad substantiam della clausola con cui le parti dichiarano la volontà di devolvere la controversia ad un arbitrato irrituale.

Spiegazione dell'art. 808 ter Codice di procedura civile

La norma in esame riconosce adesso espressamente come figura di carattere generale l'arbitrato irrituale, per la definizione del quale non viene più utilizzata semplicemente la definizione di “lodo”, ma quella di “determinazione contrattuale”, tanto che potrebbe parlarsi più propriamente di arbitrato contrattuale.

Finalità di questa norma si ritiene che sia quella di evitare le incertezze che spesso possono presentarsi nell'interpretazione dell'accordo, volendosi così incentivare il ricorso all'arbitrato irrituale.
A tal fine è stata prevista la chiara esternazione per iscritto della volontà di dirimere il contenzioso mediante arbitrato irrituale, mentre in assenza di una espressa disposizione per iscritto, si applicano le norme in tema di arbitrato rituale.

La composizione della controversia per arbitrato irrituale non è altro che una determinazione contrattuale, che le parti si impegnano anticipatamente ad accettare come espressione della volontà degli arbitri; essa non produce gli effetti previsti dall'art. 824 bis del c.p.c., ovvero gli effetti di una sentenza giurisdizionale civile (la lite viene composta secondo lo schema di una composizione amichevole o un negozio di accertamento, riconducibile alla volontà delle stesse parti).

Proprio al fine di eliminare ogni eventuale dubbio sulla natura e sugli effetti del lodo irrituale, la norma in esame esclude espressamente la possibilità di richiedere l'exequatur del lodo contrattuale, negando che possa farsi applicazione dell’art. 825 del c.p.c..

Dubbi sono stati avanzati in ordine alla necessità o meno della specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 del c.c. della clausola compromissoria irrituale. La giurisprudenza sembra propendere per l'esclusione della necessaria approvazione per iscritto, sul presupposto che la clausola compromissoria per arbitri liberi, a differenza di quella rituale, non comporta deroga alla competenza della autorità giudiziaria ordinaria.
La dottrina, dal canto suo, si è espressa in senso contrario, rilevando che la volontà compromissoria per arbitri irrituali comporta, comunque, una rinuncia alla tutela giurisdizionale, concludendo per la necessità della doppia sottoscrizione.

La determinazione del compenso, se le parti lo consentono, può essere demandata agli arbitri, ed in al caso avrà valore di proposta di liquidazione che dovrà essere accettata dalle parti.
In caso di mancato accordo o in assenza di determinazione, sarà necessario fare ricorso al giudice ordinario.

La nomina degli arbitri irrituali non è soggetta a particolari formalità e possono presentarsi due alternative:
a) le parti hanno indicato le modalità di nomina, a cui dovranno attenersi rigorosamente;
b) se nulla è stato previsto, le parti potranno procedere alla nomina degli arbitri con qualsiasi forma, compresa la possibilità di avvalersi delle modalità di nomina stabilite per l'arbitrato rituale.

Chiunque può assumere la funzione di arbitro, purché si tratti di persona fisica, la quale deve anche essere estranea al rapporto controverso; il mandato si estingue per morte, interdizione, inabilitazione, fallimento o per rinuncia.
Per ciò che riguarda il regime della responsabilità degli arbitri, si esclude l'applicabilità delle norme dettate in tema di arbitrato rituale (art. 813 ter del c.p.c.), mentre trovare applicazione le norme generali sull'inadempimento (art. 1218 del c.c..
Non si applica all'arbitrato irrituale l'istituto della ricusazione.
I casi di annullabilità del lodo contrattuale sono strettamente connessi alla natura negoziale della convenzione ed il giudice ordinario competente dovrà procedere secondo le disposizioni del libro I del codice di procedura civile.
L'impugnazione va proposta dinanzi al giudice di primo grado secondo gli ordinari criteri di competenza (giudice di pace o tribunale) e non secondo le regole stabilite per il lodo rituale dall'art. 828 del c.p.c..
La norma in esame non indica termini per l'impugnazione, il che comporta che si possono ritenere applicabili gli ordinari termini di prescrizione per l'azione di annullamento dei contratti.

Cinque sono i motivi di impugnazione, per i quali è dubbio se si tratti o meno di motivi tassativi; parte della dottrina ritiene che i motivi qui espressamente indicati siano da considerarsi aggiuntivi rispetto a quelli delle comuni impugnazioni disciplinate dal codice civile.

a) Invalidità della convenzione arbitrale e pronuncia extra o ultra petita.
L'invalidità della convenzione può derivare da vizi intrinseci e formali della convenzione (ad es. se stipulata da chi non ne aveva i poteri, oppure in forma orale) ovvero da violenza, dolo, errore e incapacità delle parti.
Costituisce motivo di annullabilità il vizio di ultrapetizione ma non anche quello di omessa pronuncia.
L'invalidità della convenzione si riflette necessariamente sul lodo contrattuale, in quanto il potere degli arbitri non può che trovare la sua fonte nella convenzione.

b) Nomina degli arbitri al di fuori delle forme e dei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale.
Trattasi di motivo che attiene alle irregolarità commesse nella nomina degli arbitri; tale vizio può consistere sia nell'inosservanza delle forme e dei modi stabiliti nel patto compromissorio dalle parti che nella carenza dei requisiti particolari degli arbitri richiesti dal patto compromissorio per la loro nomina. Anche il mancato rispetto del principio della disparità del numero degli arbitri può costituire di impugnazione secondo il n. 2 del secondo comma.

c) Incapacità dell'arbitro nominato.
Questo vizio si riferisce all'incapacità dell'arbitro di svolgere le proprie funzioni sussistente al momento della pronuncia del lodo (i requisiti dell’arbitro sono quelli previsti dall’art. 812 del c.p.c..

d) Violazione delle regole procedimentali imposte dalle parti come condizione di validità del lodo.
E’ questo il caso di violazione delle regole procedimentali imposte dalle parti come condizione di validità del lodo. Rientrano in questa ipotesi:
a) il mancato rispetto degli eventuali criteri di valutazione previsti dalle parti per l'emanazione del lodo;
b) i criteri di giudizio, secondo diritto o secondo equità. Vi rientra il caso della pronuncia degli arbitri secondo equità, in assenza della pattuizione delle parti e, parimenti, il caso opposto di pronuncia secondo diritto in presenza di richiesta di pronuncia equitativa.
c) il mancato rispetto del termine per la pronuncia del lodo.

e) Violazione del principio del contraddittorio.
Tale principio trova esplicito riconoscimento anche nell'arbitrato irrituale, in ossequio all'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale formatasi nel tempo.
Il contraddittorio deve essere garantito su ogni punto fondamentale della controversia, compreso il momento della ricostruzione dei dati di fatto rilevanti ai fini della decisione.
In ossequio a tale principio gli arbitri hanno l'obbligo di far conoscere alle parti i risultati dell'istruttoria.

Massime relative all'art. 808 ter Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 14986/2021

L'arbitrato irrituale costituisce uno strumento di risoluzione contrattuale delle contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici, imperniato sull'affidamento a terzi del compito di ricercare una composizione amichevole, conciliante o transattiva. Poiché le parti si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà, il lodo irrituale ha natura negoziale ed è impugnabile ai sensi dell'art. 808-ter c.p.c.: ne consegue che, ove - come nella specie - venga in discussione quale fosse l'oggetto della controversia deferita agli arbitri, il vizio denunciato si traduce in una questione d'interpretazione della volontà dei mandanti e si risolve, analogamente a quanto accade in ogni altra ipotesi di interpretazione della volontà negoziale, in un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se condotto nel rispetto dei criteri di ermeneutica contrattuale e correttamente motivato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 12/01/2016).

Cass. civ. n. 21059/2019

Al fine di distinguere tra arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria con riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti ed al comportamento complessivo delle stesse, senza che il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell'arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell'irritualità dell'arbitrato, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte dall'arbitrato rituale quanto all'efficacia esecutiva del lodo ed al regime delle impugnazioni. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo che le espressioni presenti nella clausola compromissoria: "giudizio arbitrale", "giudizio inappellabile", decisione da assumere "senza formalità di rito e secondo equità", non potessero essere interpretate con sicurezza come espressive della volontà delle parti di pattuire che la decisione sarebbe stata assunta dagli arbitri nelle forme dell'arbitrato irrituale).

Cass. civ. n. 28511/2018

Nel caso in cui le parti di un contratto di assicurazione affidino ad un terzo l'incarico di esprimere una valutazione tecnica sull'entità delle conseguenze di un evento, al quale è collegata l'erogazione dell'indennizzo, impegnandosi a considerare tale valutazione come reciprocamente vincolante ed escludendo dai poteri del terzo la soluzione delle questioni attinenti alla validità ed efficacia della garanzia assicurativa, il relativo patto esula sia dall'arbitraggio che dall'arbitrato (rituale od irrituale) ed integra piuttosto una perizia contrattuale, atteso che viene negozialmente conferito al terzo, non già il compito di definire le contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine al rapporto giuridico ma la semplice formulazione di un apprezzamento tecnico che esse si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva; pertanto non sono applicabili le norme relative all'arbitrato, restando impugnabile la perizia contrattuale per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, dolo, violenza, incapacità delle parti).

Cass. civ. n. 16164/2014

L'arbitrato irrituale, pur avendo natura negoziale, costituisce fonte di regolamentazione eteronoma degli interessi in conflitto, sicché la diligenza degli arbitri deve essere valutata in riferimento all'oggetto dell'incarico conferito, che non consiste nella composizione della controversia in modo necessariamente transattivo ed appagante per tutte le parti in causa, ma nella pronuncia di una decisione, secondo diritto o equità e nel rispetto del principio del contraddittorio, al termine di un procedimento in cui, previa definizione del "thema decidendum", sia stato consentito a ciascuna delle parti lo svolgimento di attività di allegazione, eccezione e prova su di un piano di parità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la negligenza degli arbitri, e la conseguente sussistenza di una giusta causa di loro revoca per avere gli stessi rigettato tutte le istanze probatorie dell'attore, sul duplice presupposto che era stato regolarmente consentito alle parti lo svolgimento di attività assertiva e deduttiva, e che l'obbligo degli arbitri di motivare i provvedimenti istruttori poteva essere rinviato al momento della loro decisione, rimasta, però, preclusa dall'intervenuta, precedente richiesta di revoca dei primi).

Cass. civ. n. 13212/2014

In tema di arbitrato irrituale, trova applicazione l'art. 1722, n. 1, cod. civ., con la conseguenza che il mandato conferito agli arbitri per la pronuncia del lodo deve ritenersi estinto alla scadenza del termine prefissato dalle parti, da ritenersi essenziale. Nel caso in cui la controversia abbia ad oggetto diritti reali immobiliari, detto termine non è prorogabile se non con patto avente la forma scritta "ad substantiam", poiché il mandato (o la modifica dei termini di un mandato) a concludere un negozio per il quale sia richiesta la forma scritta "ad substantiam", deve essere rilasciato per iscritto a pena di nullità; né, in mancanza della forma scritta, l'esistenza del patto di proroga può essere desunta da elementi presuntivi, quale il comportamento delle parti.

Cass. civ. n. 10300/2014

In tema di arbitrato, la sentenza che neghi la propria competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato irrituale non è impugnabile per regolamento di competenza, in quanto tale tipologia di arbitrato determina l'inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l'art. 819 ter cod. proc. civ. (Nella specie, la S.C. ha qualificato come irrituale l'arbitrato previsto da una clausola compromissoria contenuta nello statuto di un consorzio che deferiva alla competenza di un arbitro la soluzione delle controversie fra consorziati attraverso uno strumento inappellabile e destinato a realizzare la volontà delle parti di comporre la controversia).

Cass. civ. n. 26135/2013

Al fine di determinare se si verta in tema di arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria alla stregua dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall'art. 1362 cod. civ. e, dunque, fare riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti, e al comportamento complessivo delle stesse, anche successivo alla conclusione del contratto, senza che, il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell'arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell'irritualità dell'arbitrato, ovvero possa essere invocato il criterio, residuale, della natura eccezionale dell'arbitrato rituale, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte da tale forma di arbitrato quanto all'efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni, alle possibilità per il giudice di concedere la sospensiva.

Cass. civ. n. 5105/2012

Il patto compromissorio libero non demanda agli arbitri l'esercizio di una funzione giurisdizionale, ma conferisce loro un mandato per l'espletamento di una attività negoziale e poiché il potere degli arbitri di dare esecuzione al mandato presuppone la validità e l'efficacia dell'atto di conferimento, la cognizione in ordine alla ricorrenza di tale presupposto non può spettare a costoro, ma permane in capo al giudice ordinario.

Cass. civ. n. 18679/2011

La clausola compromissoria per arbitrato irrituale, anche quando la forma scritta sia richiesta soltanto "ad probationem", necessita comunque di un'espressa approvazione da parte dei contraenti; ne consegue che tale clausola, se predisposta e sottoscritta, in relazione ad un contratto di compravendita, dal solo mediatore, in forma generica ed indeterminata e senza la previsione di garanzia secondo cui le parti hanno comunque la facoltà di opporvisi (cd. clausola di salvaguardia), deve ritenersi non legittimamente stipulata.

Cass. civ. n. 10705/2007

Si ha arbitrato irrituale quando le parti conferiscono all'arbitro il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra loro in ordine a determinati rapporti giuridici mediante una composizione amichevole riconducibile alla loro volontà, mentre si ha perizia contrattuale quando le parti devolvono al terzo, scelto per la particolare competenza tecnica, non la risoluzione di una controversia giuridica, ma la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva. L'inquadramento del mandato conferito agli arbitri nell'una o nell'altra fattispecie non incide sul regime impugnatorio delle relative decisioni, restando nell'un caso e nell'altro la decisione degli arbitri sottratta all'impugnazione per nullità ai sensi dell'art. 828 c.p.c.

Cass. civ. n. 16718/2006

A seguito delle modifiche apportate all'istituto dell'arbitrato dalla novella del 1994, tanto all'arbitrato rituale che a quello irrituale va oggi riconosciuta natura privata, configurandosi in ogni caso la devoluzione della controversia ad arbitri come rinuncia all'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato per effetto di un'opzione per la soluzione della controversia sul piano privatistico (alla stregua, cioè, di un dictum di soggetti privati). Pertanto, la differenza tra le due fattispecie di arbitrato non può più fondarsi sul rilievo che, nel primo, e non nel secondo, le parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, dovendosi, per converso, ravvisare la differenza nella circostanza che, nell'arbitrato rituale, le parti stesse intendono pervenire alla pronuncia di un lodo suscettibile di esecutività onde produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., con l'osservanza del regime formale del procedimento arbitrale, mentre in quello irrituale esse intendono affidare all'arbitro la soluzione di una controversia attraverso uno strumento strettamente negoziale – mediante, cioè, una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla loro volontà –, impegnandosi, per l'effetto, a considerare la decisione degli «arbitri» come espressione, appunto, di tale personale volontà. Ne consegue l'irrilevanza dell'uso di espressioni tecniche come quelle di «controversia» «giudizio» e «questioni» che, pur essendo peculiari del procedimento giurisdizionale, possono essere utilizzate anche in riferimento all'arbitrato irrituale, per mera scelta lessicale dei contraenti, onde indicare in maniera appropriata gli eventuali contrasti di fatto che possano insorgere tra loro, e la necessità che vengano sottoposti al vaglio di un collegio arbitrale. (Nella specie, la S.C. ha qualificato l'arbitrato come irrituale, rilevando che nella clausola compromissoria le parti avevano espressamente dichiarato di accettare il lodo «come espressione della loro stessa volontà» ed avevano attribuito agli arbitri il potere di giudicare secondo equità e senza alcun vincolo formale di espressione del loro giudizio, fissando un brevissimo termine per la decisione e dispensandoli dal deposito del lodo in cancelleria).

Cass. civ. n. 3989/2006

In tema di arbitrato, l'art. 806 c.p.c. pone la regola della generale arbitrabilità di ogni controversia, derogando espressamente solo per le controversie previste dagli articoli 409 e 422 dello stesso codice, per le questioni di stato e di separazione personale tra coniugi e per quelle relative a diritti indisponibili. L'eccezione al principio della generale arbitrabilità deriva, inoltre, dalla inderogabilità della funzione attribuita al giudice dall'ordinamento in particolari casi, a causa della peculiarità del contesto giuridico, come in materia fallimentare, laddove la necessità del simultaneus processus che assicura la astratta possibilità del contraddittorio e la par condicio tra creditori, impone di risolvere in quella sede le relative controversie. Tale eccezione non può invece prospettarsi, in via generale, per le controversie riservate alla competenza per territorio inderogabile, non rilevando che tale competenza sia talvolta definita «funzionale» giacché tale definizione non si riferisce alla inderogabilità della funzione del giudice, ma alla volontà del legislatore di assicurare, per la specifica materia considerata, la rigidità del criterio di distribuzione della competenza tra i diversi giudici del medesimo settore giudiziario.

Cass. civ. n. 18049/2004

Nell'arbitrato irrituale il contraddittorio va inteso e seguito in relazione al contenuto della pronunzia arbitrale voluta dai compromettenti. Esso non si articola, quindi, necessariamente, in forme rigorose e in fasi progressive, regolate dall'arbitro – eventualmente – anche mediante richiamo a quelle del giudizio ordinario, fra cui quelle relative alle udienze di comparizione e di audizione delle parti, ma si realizza nei limiti in cui possa assicurarsi alle parti la possibilità di conoscere le rispettive ragioni e difendersi, di modo che ognuna deve avere la possibilità di farle valere e di contrastare le ragioni avversarie. Pertanto, è sufficiente che l'attività assertiva e deduttiva delle parti si sia potuta esplicare, in qualsiasi modo e tempo, in rapporto agli elementi utilizzati dall'arbitro per la sua pronuncia e, ove questi siano acquisiti mediante l'assunzione di prove, la relativa istruttoria non può essere segreta, ma deve essere svolta dando alle parti la possibilità d'intervenire e di conoscere i suoi risultati. (In applicazione di tale principio la Corte ha respinto il ricorso con il quale una delle parti si doleva della mancata redazione di un verbale delle operazioni e della mancata comunicazione delle attività compiute, prima dell'emissione della decisione finale, senza allegare e provare il compimento di uno specifico atto istruttorio diverso dall'esame dei documenti versati da ciascuna di esse).

Cass. civ. n. 5707/2002

La diversità di funzione tra gli istituti dell'arbitrato e dell'arbitraggio – composizione di una lite quanto al primo, integrazione del contenuto negoziale quanto al secondo – comporta che presupposto fondamentale dell'arbitrato è l'esigenza di un rapporto controverso, che, invece, difetta del tutto nell'arbitraggio, con la conseguenza che quest'ultimo, pur trovando applicazione in numerosi contratti tipici, non è configurabile nella transazione, della quale è presupposto essenziale una controversia attuale prevista.

Cass. civ. n. 5527/2001

L'arbitrato rituale, come quello irrituale, ha natura privata, configurandosi sempre la devoluzione della controversia ad arbitri come rinuncia all'azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato e come opzione per la soluzione della controversia sul piano privatistico, secondo il dictum di soggetti privati; pertanto, la distinzione tra arbitrato rituale e arbitrato irrituale non può imperniarsi sul rilievo che nel primo le parti abbiano demandato alle parti una funzione sostitutiva di quella del giudice; la differenza va, invece, ravvisata nel fatto che, nell'arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., con l'osservanza del regime formale del procedimento arbitrale; nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro la soluzione di controversie solo attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà.

Cass. civ. n. 3463/2001

Nell'arbitrato libero o irrituale, traducendosi questo in una regolamentazione negoziale della contesa, in esecuzione di mandato ricevuto, gli arbitri non sono tenuti a prefissare termini alle parti nemmeno per quanto attiene al potere di presentare documenti e memorie ed esporre le loro repliche, essendo sufficiente che le parti stesse abbiano avuto comunque – in qualsiasi tempo e modo prima della pronuncia arbitrale – la possibilità di esplicare la loro attività assertiva e deduttiva; tuttavia, una volta che gli arbitri hanno assegnato alle parti termini per la presentazione di memorie, repliche e per la discussione, qualora si presenti la necessità di modificare tali termini (come avvenuto nel caso di specie per la proroga concessa al consulente tecnico d'ufficio per il deposito della sua relazione) restano vincolati, in virtù del generale principio di correttezza e buona fede, da questo loro comportamento e conseguentemente sono tenuti a fissare nuovi termini e a darne tempestiva comunicazione alle parti, avendo il comportamento tenuto in precedenza circa la regolamentazione dell'attività delle parti ingenerato in queste un legittimo affidamento sulla rigorosa regolamentazione, mediante la fissazione di termini, della loro attività. Qualora omettano di adottare una simile condotta, gli arbitri violano i fondamentali principi di diligenza, collaborazione e buona fede incombenti agli stessi nell'esecuzione del mandato.

Data la specificità dell'incarico – diretto a porre fine, anche se con l'espletamento di attività sul piano ed in forma negoziale, ad una lite insorta tra i mandanti – anche nell'arbitrato libero o irrituale gli arbitri sono vincolati dall'obbligo di eseguire il loro mandato in posizione di equidistanza dalle parti e tale situazione sicuramente viene meno nel momento in cui tra gli arbitri e le parti insorga una qualche controversia. Pertanto, qualora anche uno soltanto dei mandanti revochi il mandato per giusta causa e promuova azione giudiziale per l'accertamento, in conseguenza della intimata revoca, dell'estinzione del mandato, il suddetto obbligo specifico, oltre che il più generale dovere di correttezza, impone agli arbitri di sospendere immediatamente ogni attività, non essendo loro consentito valutare autonomamente, trattandosi di fatti che li riguardano direttamente, se detti fatti siano idonei o meno a giustificare la revoca del mandato, ed esclusa – nell'esercizio di un non consentito potere di autotutela – tale idoneità, proseguire nello svolgimento dell'incarico in situazione conflittuale con una delle parti.

Cass. civ. n. 58/2001

Nell'arbitrato libero, il contenuto dell'obbligo assunto dagli arbitri, secondo le regole del mandato, è quello di emettere la decisione loro affidata entro un determinato termine, non potendo ammettersi che le parti siano vincolate alla definizione extragiudiziale della controversia, ed alla conseguente improponibilità della domanda giudiziale, per un tempo non definito. Ne consegue che, applicandosi all'arbitrato irrituale la disciplina dell'art. 1722, n. 1, c.c., il mandato conferito agli arbitri deve considerarsi estinto alla scadenza del termine prefissato dalle parti, salvo che esse non abbiano inteso in modo univoco conferire a detto termine un valore meramente orientativo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito relativa alla non riferibilità alla volontà dei compromettenti – in quanto emessa dopo la scadenza del termine all'uopo concesso – della determinazione arbitrale, decisione motivata alla stregua del rilievo che, attesa la essenzialità in via generale del termine di cui si tratta, non potesse ravvisarsi un univoco intendimento delle parti in senso contrario, pur in presenza di iniziative apparentemente equivoche – quali la nomina del proprio arbitro da parte di uno dei compromittenti o la richiesta al Consiglio dell'Ordine di procedere alla nomina del terzo arbitro nella imminenza della scadenza del termine – nel fatto che le parti stesse avevano sottoscritto il verbale di udienza nel quale si era prorogato il termine per il deposito del lodo, circostanza che, alla luce della eccezione relativa alla avvenuta scadenza del termine, sollevata proprio dalla parte cui risalivano le predette iniziative, nella precedente udienza dinanzi agli arbitri, doveva essere interpretata solo come accettazione della proroga della data della decisione su tale questione pregiudiziale).

Cass. civ. n. 15524/2000

Il provvedimento che preso atto della pattuizione di un arbitrato libero dichiara l'inammissibilità della domanda non risolve una questione di competenza, bensì di merito e, pertanto non è impugnabile con l'istanza di regolamento di competenza, ma con gli ordinari mezzi di impugnazione.

Cass. civ. n. 12155/1999

Allorquando le parti di un rapporto giuridico conferiscono ad un terzo l'incarico di svolgere, in base alla sua specifica capacità tecnica, constatazioni e accertamenti, il cui esito esse si impegnano ad accettare, ricorre l'ipotesi della perizia contrattuale, la quale si differenzia sia dall'arbitrato rituale o irrituale con cui le parti tendono (in diversi modi) alla definizione di una controversia giuridica, sia dall'arbitraggio avente ad oggetto l'incarico di determinare uno degli elementi del negozio in via sostitutiva della volontà delle parti; pertanto è nullo il compromesso con il quale si demandi agli arbitri la decisione in ordine ad una questione tecnica anziché ad un rapporto giuridico. (Nella specie, la S.C. decidendo nel merito ha dichiarato la nullità del lodo per nullità della clausola arbitrale che aveva demandato ad un collegio arbitrale la rinnovazione della verifica, già demandata in prima istanza ad una commissione prevista dal contratto, dell'esito della sperimentazione realizzata da uno dei contraenti e dell'idoneità dei suoi risultati a giustificare la realizzazione di un impianto industriale e l'avviamento della produzione).

Cass. civ. n. 4977/1999

In tema di arbitrato, non vale a trasformare l'arbitrato da irrituale in rituale il fatto che il lodo sia stato sottoscritto non solo dal terzo arbitro, nominato dai tecnici delle parti, come richiesto dalla clausola compromissoria, ma anche da detti tecnici, atteso che la loro sottoscrizione non può rilevare al fine di stabilire la natura dell'arbitrato, essendo questa ricollegabile soltanto alla volontà delle parti, alle quali solo compete di stabilire se affidare agli arbitri una funzione sostitutiva di quella propria del giudice ovvero conferire loro un mandato a definire la controversia sul piano negoziale, con una decisione riconducibile alla volontà dei mandanti.

Cass. civ. n. 8145/1998

Il compromesso per arbitrato irrituale costituisce un atto negoziale riconducibile, nella sostanza, all'istituto del mandato collettivo e di quello conferito nell'interesse anche di terzi, così che, stipulata la relativa convenzione in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento di una delle parti, esso non sarà soggetto alla sanzione dello scioglimento prevista, per (il conto corrente, la commissione ed) il mandato, dall'art. 78 l. fall., non operando tale regula iuris nell'ipotesi di mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi, con conseguente efficacia ed opponibilità del loro nei confronti della curatela e, per essa, dell'eventuale assuntore del successivo concordato fallimentare.

Cass. civ. n. 4931/1998

Nell'arbitraggio le parti demandano al terzo arbitratore la determinazione, in loro sostituzione, di uno o più elementi di un contratto concluso ma incompleto; in mancanza di espressa qualificazione, da parte dei contraenti, del tipo di arbitraggio voluto, l'interpretazione del contenuto e dell'estensione dei poteri dell'arbitratore spetta al giudice di merito la cui pronunzia in proposito non è censurabile in sede di legittimità se conforme alle regole legali di ermeneutica e sorretta da motivazione immune da vizi. (Nella specie, in relazione alla natura ed estensione dei poteri della commissione paritetica nazionale operante in base al C.C.N.L. per i dipendenti Enel, al S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la configurabilità di un'ipotesi di arbitraggio rimesso all'arbitrum merum del terzo – come tale impugnabile solo per malafede di quest'ultimo –, ravvisando invece un'ipotesi di arbitraggio rimesso all'arbitrum boni viri dell'arbitratore, sia per la previsione di una preventiva istruzione e di una procedura di reclamo, sia per l'impossibilità che le determinazioni della commissione si sottraggano al regime di annullabilità di rinunzia e transazioni ex art. 2113 c.c., in materia di diritti indisponibili quale il diritto alla qualifica).

Cass. civ. n. 655/1996

In tema di arbitrato libero o contrattuale, il giudice di merito, ove si denunci l'inesistenza della decisione arbitrale ai fini della proponibilità dell'azione dinanzi al giudice ordinario, per la mancanza dei «requisiti» necessari perché il responso degli arbitri possa qualificarsi come «decisione», dovrà vagliare anzitutto se le parti hanno stabilito espressamente e direttamente detti requisiti o ne abbiano rimesso la determinazione agli arbitri. In mancanza, dovrà stabilire se la decisione arbitrale contenga i requisiti stabiliti dall'art. 829 c.p.c. a pena di nullità, requisiti a detta decisione applicabili in forza del principio di integrazione del contratto fissato dall'art. 1374 c.c.

Cass. civ. n. 3791/1995

La perizia contrattuale con la quale le parti deferiscono ad uno o più terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito di formulare un apprezzamento tecnico che essi si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro volontà negoziale, si inserisce in una fattispecie negoziale diretta ad eliminare, su basi transattive o conciliative, una controversia insorta tra le parti, mediante mandato conferito ad un terzo, così come avviene nell'arbitrato libero, dal quale si differenzia per il diverso oggetto del contrasto, che attiene ad una questione tecnica, e non giuridica (come nell'arbitrato libero), ma non per gli effetti, dato che in entrambi il contrasto è superato mediante la creazione di un nuovo assetto di interessi dipendente dal responso del terzo, che le parti si impegnano preventivamente a rispettare.

Cass. civ. n. 11357/1994

Ricorre l'arbitrato irrituale, anziché quello rituale, quando si affida agli arbitri il compito di definire in via negoziale le contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine a determinati rapporti giuridici mediante una composizione amichevole, conciliativa o transattiva, o un negozio di accertamento, con la conseguenza che non è incompatibile con l'irritualità dell'arbitrato, che non postula necessariamente una composizione transattiva, il conferimento agli arbitri del potere di definire la controversia con il riconoscimento del fondamento delle pretese di una sola delle parti.

Cass. civ. n. 6648/1994

Nel compromesso per arbitrato irrituale è insita la rinuncia delle parti alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto controverso. Tuttavia risorge per le parti il potere di esercitare le azioni derivanti dal contratto e di richiedere al giudice la decisione già rimessa all'apprezzamento degli arbitri quando per qualsiasi ragione il compromesso abbia esaurito la sua efficacia per la sopravvenuta impossibilità di far regolare da arbitri il rapporto controverso, perché il mandato sia rimasto ineseguibile dagli arbitri o perché gli stessi abbiano emesso un responso nullo.

Cass. civ. n. 9727/1993

L'arbitrato libero non postula necessariamente che la composizione della lite abbia natura transattiva con reciproche concessioni, atteso che l'intento delle parti può essere quello di eliminare l'incertezza in ordine alle contestazioni fra loro insorte, attribuendo agli arbitri il compito di determinare l'esistenza o l'inesistenza, il contenuto o i limiti di un determinato rapporto giuridico, mediante un negozio di accertamento riconducibile ai mandati e vincolante per i medesimi. Pertanto, nell'ipotesi in cui il mandato conferito agli arbitri liberi sia stato circoscritto dalle parti alla determinazione dei confini dei loro fondi, all'apposizione dei termini e all'accertamento delle superfici delle aree comuni e di quelle di proprietà esclusiva, si è al di fuori dello schema della transazione e non è applicabile la disposizione dell'art. 1350, n. 12, c.c. circa la necessità della forma scritta, con la conseguenza che è irrilevante il difetto di sottoscrizione del lodo da parte di uno degli arbitri, sempreché egli abbia partecipato alla redazione dell'atto.

L'interruzione dell'attività degli arbitri irrituali conseguente alla comunicazione di una delle parti di revoca del mandato, in quanto provocata da una determinazione esterna, non può considerarsi alla stregua di una valida rinuncia al mandato ex art. 1722, n. 3, c.c. con conseguente estinzione dello stesso, per difetto di una libera determinazione della volontà di dismettere la situazione giuridica di cui è titolare il rinunciante.

Cass. civ. n. 10240/1992

In materia di arbitrato libero, il principio, secondo cui il venir meno dell'operatività e dell'efficacia del compromesso fa risorgere il potere delle parti di esercitare le azioni derivanti dal contratto e chiedere al giudice la decisione già rimessa all'apprezzamento degli arbitri irrituali, trova la sua giustificazione in eventi oggettivi che attengono alla validità e alla efficacia del compromesso o della clausola compromissoria, o che comportano l'impossibilità del responso arbitrale o il suo annullamento, o che comunque incidono in una fase successiva alla stipulazione del compromesso o della clausola compromissoria. Fuori da queste ipotesi, il far decorrere inutilmente il termine di decadenza previsto per adire gli arbitri liberi determina la definitiva rinuncia alla tutela giurisdizionale dei diritti relativi al rapporto controverso e l'improponibilità dell'azione giudiziaria.

Il compromesso e la clausola compromissoria per arbitrato irrituale devono essere redatti per iscritto a pena di nullità solo se relativi a rapporti giuridici per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam, mentre, se relativi ad altri rapporti, necessitano soltanto di prova per iscritto, secondo le regole di cui all'art. 1967 c.c., escludendosi, peraltro, che la detta clausola rientri fra quelle da approvarsi specificamente per iscritto, a norma degli artt. 1341 e 1342 c.c., non avendo contenuto derogativo della competenza del giudice ordinario, a differenza di quella per arbitrato rituale, anche nel caso in cui la disciplina del procedimento arbitrale sia stabilita con rinvio ad un regolamento non contenuto nel contratto, ma approntato da terzi e da intendere recepito nel contratto stesso in forza di tale rinvio, con conseguente onere di entrambe le parti di informarsene e di acquisirne conoscenza, equivalendo siffatta recezione alla materiale trascrizione nel documento e ad essa estendendosi la sottoscrizione dei contraenti.

Cass. civ. n. 8010/1990

Il lodo per biancosegno configura un arbitrato irrituale, caratterizzato dal fatto che le parti conferiscono ad arbitri l'incarico di determinare il contenuto sostanziale di un accordo per la composizione di una lite tra loro insorta, sostituendosi ad esse nel fissare un regolamento negoziale da trascrivere su fogli preventivamente firmati in bianco e, quindi, destinati ad assumere, anche da un punto di vista formale, il valore di una loro diretta manifestazione di volontà. Ne consegue che detto lodo è impugnabile solo per i vizi che possano vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, violenza, dolo, incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico o dell'arbitro stesso) e, in particolare, che l'errore rilevante è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri e ricorrente quando questi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà per non aver preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa; mentre è preclusa ogni impegnativa per errori di giudizio, sia in ordine alla valutazione delle prove che in riferimento all'idoneità della decisione adottata a comporre la controversia.

Cass. civ. n. 2949/1983

Ricorre la figura dell'arbitraggio quando le parti conferiscono ad un terzo (arbitratore) l'incarico di determinare, di regola secondo equità, uno degli elementi del negozio in formazione, non ancora perfezionato per la mancanza di quell'elemento, cioè l'incarico di svolgere un'attività da cui esula qualsiasi contenuto decisorio su questioni controverse, laddove con l'arbitrato rituale e con quello irrituale le parti tendono a conseguire, quali protagoniste di un conflitto, un giudizio decisorio sullo stesso, con la sola differenza che, mentre con il primo (arbitrato rituale) essi vogliono giungervi adottando il procedimento previsto dal codice di rito, col secondo (arbitrato irrituale) vi giungono impegnandosi a far proprio il regolamento della controversia che gli arbitri liberi, conformemente al mandato ricevuto, hanno adottato. Il determinare se ci si trovi di fronte ad un lodo rituale o irrituale, oppure ad un arbitraggio, implica un'indagine sulla volontà della parti e, nell'ipotesi di materia sottratta all'autonomia privata, sulla ratio della legge che disciplina il meccanismo di determinazione del terzo. L'art. 6, secondo comma, della L. 19 maggio 1975, n. 169 sul riordinamento dei servizi marittimi postali e commerciali di carattere locale, nello stabilire che il prezzo del naviglio, che le società di navigazione a carattere regionale di nuova istituzione sono tenute a rilevare dalle società di navigazione già concessionarie dei servizi, è determinato da un apposito collegio peritale con funzioni di arbitro inappellabile, ha previsto una ipotesi legale di arbitraggio, ma ciò non esclude che le parti, le quali per il resto conservano la disponibilità dei loro diritti, possano espressamente e concordemente richiedere ai componenti del collegio di pronunciarsi come arbitri rituali per la risoluzione di questioni giuridiche prospettabili in rapporto alla determinazione del prezzo e ad essi sottoposte con la formulazione di quesiti e controquesiti (nella specie, in ordine al tempo in relazione al quale il prezzo di rilievo doveva essere determinato), tale richiesta non trovando alcun ostacolo nella legge suindicata, in quanto si risolve nell'attribuzione dell'anzidetto collegio di un potere più incisivo di quello proprio dell'arbitratore, nella salvaguardia dello scopo sostanziale della legge stessa, che è quello di conferire a terzi qualificati il potere di determinare equitativamente il prezzo.

Cass. civ. n. 5485/1982

L'interpretazione dell'estensione del mandato conferito agli arbitri nell'arbitrato irrituale, non involgendo una questione di competenza dell'autorità giudiziaria, è rimessa esclusivamente al giudice del merito, la cui pronuncia si sottrae al sindacato di legittimità, se adeguatamente motivata ed esente da vizi logici ed errori di diritto.

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Bruno M. chiede
giovedì 06/04/2017 - Lazio
“R., avvalendosi dell’art. 6 dello Statuto societario, comunica a M. e F. che intende esercitare il diritto di prelazione.
M. e F., disattendendo le rivendicazioni di R., cedono le loro quote alla società B affermando al punto 4 dell'atto notarile: “… le parti dichiarano inoltre di essere a conoscenza che il mancato rispetto di vincoli alla trasferibilità delle quote renderebbe inefficaci le cessioni non legittimando l'acquirente ad esercitare alcuno dei diritti sociali connessi alle partecipazioni acquisite”.
Come se non bastasse, il notaio afferma in una lettera di essere in possesso di espressa dichiarazione scritta nella quale il presidente della società afferma l'insussistenza del diritto di prelazione.

R., stante l'articolo 6 dello Statuto, attiva il collegio arbitrale il quale sentenzia: “il trasferimento di quote del capitale sociale del T.A. srl avvenuto per atto autenticato nelle firme dal notaio tra F. e M., quali cedenti e la B. spa quale acquirente, è stato effettuato in violazione della clausola statutaria prevista dall'articolo 6 dello Statuto della suddetta società.
Nella motivazione della sentenza a pagina 13 gli arbitri richiamano espressamente quanto dichiarato dagli stessi partecipanti all'atto di cessione.

R. presenta una istanza di correzione ex articolo 826 cpc, non avendo il lodo trasposto nella sua parte dispositiva quanto già indicato in quella motiva in ordine agli effetti della accertata violazione della clausola statutaria di prelazione.
Clausola di prelazione che inserita in uno statuto di Srl ha efficacia reale e pertanto il cessionario non entra a far parte della compagine sociale. Vedessi sentenze Cass. civ. sez. I, n. 7003 del 4/3/2015, Cass. civ. Sez. I, n. 12370 del 3/6/2014, Cass. civ. siz. III, n. 12797 del 23/7/2012, Trib. Milano, sez. spec. in materia di impresa, n. 12821 del 13/11/2015 RG n. 72793/2014.

Gli arbitri citando l’articolo 2479 e la sentenza Cass. civ. n. 24559 del 2/12/2015 affermano: “non sono invocabili rimedi aventi fonte legale onde procurare l'inopponibilità della cessione di partecipazione eseguita in violazione, per ipotesi in cui, come nella specie inopponibilità siffatta non risulti contemplata dallo statuto sociale e non possa dunque autonomamente essere dichiarata in virtù dello stesso”.
Pertanto dichiara inammissibile l'istanza di correzione proposta da R.

Siccome la clausola compromissoria dello statuto prevedeva un arbitrato di tipo irrituale al termine del quale la pronuncia degli arbitri assume natura contrattuale tra le parti, a quanto mi si dice non si può invocare l'efficacia reale ma solo le implicazioni risarcitorie dovute per l'inadempimento della clausola statutaria.

La mia domanda è quella dell'uomo della strada: è mai possibile che nonostante l'affermazione degli stessi contraenti delle cessioni, nonostante le molteplici sentenze che stabiliscono l’efficacia reale del diritto di prelazione, l'acquirente possa fare e disfare, e per il fatto stesso di quanto affermano in un atto notarile, non ci sia uno strumento legale, un qualsiasi codicillo che possa far prevalere il diritto conculcato di R.?
Inoltre è possibile chiedere i danni agli arbitri che non si sono espressi per le conseguenze pratiche del loro lodo, anche perché mi si dice che l'applicazione dell'articolo 813 ter cpc nel caso dell'arbitrato irrituale è in discussione, in quanto la responsabilità deve essere vagliata sulla base della clausola generale di inadempimento di cui all'articolo 1218 cc.”
Consulenza legale i 20/04/2017
I soci di una S.R.L. possono sempre limitare la circolazione ed il trasferimento delle quote di partecipazione a terzi, contemplando nello statuto societario una cosiddetta clausola di prelazione.
A fronte del diritto di prelazione espressamente sancito, il socio che intende cedere la propria quota deve preventivamente avvertire (denuntiatio) gli altri soci della propria intenzione, comunicando altresì le condizioni di trasferimento ed i termini entro i quali il socio possa far valere il suo diritto ad essere preferito rispetto ai terzi.
Correttamente dunque nel suo caso il titolare del diritto R. ha dichiarato di voler esercitare il suo diritto di prelazione. Tuttavia i soci uscenti hanno comunque trasferito la loro quota a terzi, contravvenendo alla clausola statutaria.

In merito alle conseguenze prodotte dall’inosservanza di una clausola di prelazione, si distinguono due orientamenti: quello da lei citato, seguito dalla giurisprudenza prevalente e maggioritaria, secondo il quale la clausola di prelazione ha efficacia reale. Questo significa che l’eventuale violazione della prelazione produce effetti sul bene stesso.
Vi è poi un secondo orientamento, seguito più che altro dalla dottrina e da ritenersi oramai superato, che attribuisce al patto di prelazione efficacia meramente obbligatoria, e dunque l’inosservanza fa sorgere solo l'obbligo di risarcimento il danno.

Tuttavia dire che la clausola di prelazione ha efficacia reale non equivale a dire che al socio R. spetti il diritto di riscatto.
Sostiene la Corte di Cassazione, nella sentenza posta a fondamento del lodo, che sebbene debba riconoscersi efficacia reale alla clausola di prelazione statutaria, tuttavia non può riconoscersi quale conseguenza il diritto di riscatto della quota.
Il diritto di riscatto “non è un rimedio generale, ma solo una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione previsti per legge, spettanti ai relativi titolari” (Cass. 24559/2015).
La Cassazione, pur confermando l'efficacia reale del diritto di prelazione, si è soffermata a ribadire che il diritto di riscatto può riconoscersi solo se espressamente convenuto nello Statuto e nelle fattispecie previste dalla legge, nulla affermando in maniera specifica in ordine alle conseguenze dell'efficacia reale della clausola di prelazione.

Resta dunque da comprendere quali siano le conseguenze dell’efficacia reale del diritto di prelazione. Sul punto gli orientamenti non sono univoci.
Secondo l'orientamento maggioritario, espresso nella sentenza n. 24559/2015 ed alla quale sembrerebbe, almeno inizialmente, appartenere l’orientamento seguito dal lodo arbitrale, il trasferimento non ha effetti nei confronti della società, essendo alla stessa inopponibile. Mentre ha efficacia tra i soci uscenti ed i cessionari. Dunque, data l’impossibilità di opporre la cessione ad R., la società dovrebbe poter rifiutare l’annotazione del trasferimento ed impedire l'iscrizione nel libro dei soci acquirenti M. e P.. La mancata annotazione implica anche che gli acquirenti non potranno esercitare i diritti sociali (intervento in assemblea, riscossione dei dividendi, esercizio del diritto di opzione ecc.).
Giustamente il notaio al momento del rogito del trasferimento redarguiva le parti circa l'inefficacia della cessione vista la violazione della clausola di prelazione.

Sebbene il Collegio arbitrale sembri voler aderire a quest’ultimo orientamento, avendo anche riportato la sentenza in motivazione, ha poi, a seguito dell’istanza di correzione di errore materiale ex art. 826 c.p.c, chiarito che la sentenza della Cassazione andrebbe letta nel senso che lo Statuto avrebbe dovuto prevedere espressamente l’inopponibilità del trasferimento di quote in violazione dell’art. 6. E che, in assenza di una espressa previsione, non resta che il risarcimento del danno.
Non si tratta dunque di mancanza del dispositivo del lodo, ma invece trattasi di un mancato accoglimento della domanda di R. tesa a far dichiarare l’inopponibilità del trasferimento.

A parere di chi scrive il Collegio ha commesso un grave errore nel pervenire a conclusioni difformi rispetto a quanto in sostanza affermato dalla Corte di Cassazione, conclusioni basate su una lettura distorta della sentenza in parola.

La clausola compromissoria ha espressamente qualificato l’arbitrato come “irrituale”; con essa le parti si sono impegnate a definire amichevolmente ogni controversia tra di loro insorta, con la sottoscrizione di un lodo arbitrale che ha l’efficacia di un contratto tra di loro.
L’art. 808 ter c.p.c. prevede tuttavia specifici motivi per i quali è possibile impugnare dinanzi al Tribunale, tra i quali non rientra, però, l’errore di diritto.
Tuttavia la giurisprudenza ha riconosciuto che il lodo del collegio irrituale può essere invalidato per gli stessi motivi che determinano l’annullamento del contratto: errore, violenza e dolo. E questi vizi potrebbero essere ravvisati nel lodo arbitrale de qua, offrendo ad R. la possibilità, concreta anche se non semplice, di ottenere una completa riforma del provvedimento arbitrale.

Per quanto riguarda la responsabilità degli arbitri facenti parte del Collegio, la norma di riferimento è l’art. 813 ter c.p.c. il quale al 4° comma prevede che “se è stato pronunciato il lodo, l'azione di responsabilità può essere proposta soltanto dopo l'accoglimento dell'impugnazione con sentenza passata in giudicato e per i motivi per cui l'impugnazione è stata accolta”.
E la Corte di Cassazione ha confermato nella sentenza n. 12144/2016 che anche con riguardo all’arbitrato irrituale, per proporre l’azione di accertamento della responsabilità degli arbitri occorre prima impugnare il lodo ed ottenere una pronuncia favorevole e definitiva.

In definitiva, sebbene sia certamente possibile far valere la responsabilità degli arbitri, il problema chiave riguarda piuttosto l’impugnabilità del lodo per errore di diritto. Impugnazione che sebbene ardita, costituisce l’unica strada per tutelare il socio R. .