Questa revoca era sconosciuta al diritto romano; introdotta, per prima, da una costituzione degli Imperatori Costanzo e Costante (a. 349) a favore delle madri verso le quali i figli donatari si fossero mostrati ingrati, fu riconosciuta da Giustiniano, che la disciplinò ex se, fissando in quattro le cause che la determinavano: ingiurie atroci, vis di fatto verso il donante, grave danno arrecato al suo patrimonio, inadempimento degli oneri imposti con la donazione.
Il codice del 1865 riconosceva soltanto tre cause; quello vigente, nel riprodurle, ne ha aggiunta una quarta. Esse sono tutte tassative, nel senso, cioè, che per altre cause la revoca non è ammessa, ancorché sia da lamentare un’ingratitudine morale del donatario.
La domanda di revocazione per ingratitudine è, così, proponibile se il donatario:
a) ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il donante o il coniuge o un discendente o un ascendente di lui, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a termini della legge penale;
b) ha commesso in danno di una di tali persone un fatto al quale la legge penale dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio;
c) ha denunziato una di tali persone per reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, e la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale, ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati e la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di esso donatario, falsa in giudizio penale.
Sono queste di cui ai punti a), b) e c) le stesse cause che determinano l’indegnità a succedere ed alla cui configurazione e regolamentazione occorrerà quindi far capo anche per decidere dell'ingratitudine del donatario;
d) si è reso colpevole di ingiuria grave verso il donante; nella corrispondente causa prevista dall'art. #1081# del codice precedente si menzionavano, accanto alle ingiurie gravi, “altre minacce e sevizie”, termini che non figurano più nell’art. 801, perché i fatti costituenti tali forme di reato sono già previsti dalla legge. Che cosa sia da intendersi per ingiuria grave non è possibile affermare a priori, trattandosi di una qualificazione affidata al discernimento del giudice che, nel decidere, dovrà considerare non soltanto il quid factum, ma, nel loro insieme, le condizioni sociali, i rapporti fra donante e donatario, le circostanze di tempo, di modo e di luogo in cui vennero pronunciate;
e) ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio del donante: tale causa è nuova e si giustifica da un duplice punto di vista, giuridico e morale; l’avverbio “dolosamente” sta ad indicare che il danno non può costituire causa di revoca quando è determinato da comportamento colposo del donatario;
f) ha rifiutato indebitamente gli alimenti che per legge è tenuto a somministrare al donante. Questa precisazione del titolo che è a base del diritto del donante agli alimenti da parte del donatario, e che, in sostanza, si identifica col rapporto di parentela e di affinità, elimina le gravi controversie dibattute sotto il vecchio codice del 1865 nell’interpretazione dell’avverbio "indebitamente" che si leggeva nel n. 3 dell’art. #1081#. Precisato nel vincolo di parentela o di affinità il fondamento dell’obbligo agli alimenti, deve escludersi quale causa di revoca il diniego del donatario di prestare gli alimenti dovuti a diverso titolo, ancorché debba considerarsi in debito: così se gli alimenti sono dovuti per convenzione o per la stessa qualità di donatario. Contro il diniego di costui, il donante potrà far ricorso, nel primo caso, alle comuni azioni contrattuali, nel secondo, all’azione che è posta a tutela dell’obbligazione alimentare. Va rilevato come la revoca della donazione non fa venir meno l’obbligo alimentare, ma si risolve in una sanzione per il diniego a somministrare gli alimenti.