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Articolo 217 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Amministrazione e godimento dei beni

Dispositivo dell'art. 217 Codice Civile

(1)Ciascun coniuge ha il godimento e l'amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo [179](2).

Se ad uno dei coniugi è stata conferita la procura ad amministrare i beni dell'altro con l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli è tenuto verso l'altro coniuge secondo le regole del mandato [1703].

Se uno dei coniugi ha amministrato i beni dell'altro con procura senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli ed i suoi eredi, a richiesta dell'altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio [149], sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati [185].

Se uno dei coniugi, nonostante l'opposizione dell'altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti [185].

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 85 della L. 19 maggio 1975 n. 151.
(2) Nel co. I del presente articolo si ribadisce che ognuno dei due coniugi ha il godimento e l'amministrazione dei beni esclusivi, risultando tali gli acquisti effettuati in costanza di matrimonio dal singolo coniuge; a questi spetterà anche la gestione separata ed autonoma degli stessi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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Consulenze legali
relative all'articolo 217 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

V. A. chiede
lunedė 03/10/2022 - Lombardia
“Salve, scrivo per avere maggiori informazioni in merito al regime matrimoniale in separazione dei beni.
Ho letto che nel caso di separazione dei due coniugi il patrimonio costituito dopo il matrimonio è diviso in misura proporzionale al contributo economico versato da ogni coniuge per acquistare i beni (chiaramente in presenza di minori il discorso cambia perché i minori hanno priorità rispetto ai coniugi).
Non mi è chiaro cosa può accadere in caso di morte di uno dei due coniugi.
Mi sono da poco sposato in regime di separazione dei beni e ad oggi io e mia moglie (non abbiamo ancora figli) viviamo in una casa di mia proprietà che ho acquistato prima del matrimonio. Inoltre, ho intestato metà della casa di famiglia che i miei genitori hanno dato a me e a mio fratello quando eravamo piccoli.
Le scrivo perché i miei suoceri stanno facendo discorsi prematuri in merito alla faccenda casa e vorrebbero che io intestassi a mia moglie la mia casa, perché temono che lei non sia tutelata in caso dovessi morire. A tal proposito vorrei sapere: in caso di morte mia moglie eredita la mia casa e il 50% della casa di famiglia?
Visto che trovo poco conveniente affrontare questi discorsi a neanche un mese dal matrimonio, vorrei evitare che i miei genitori possano trovarsi fuori dalla loro casa se dovessi morire. Se mia moglie dovesse ereditare anche casa dei miei genitori, potrei tutelare i miei genitori redigendo un testamento olografo in cui lascio la nuda proprietà del 50% della mia casa a mia moglie e l’usufrutto a vita ai miei?

Grazie.”
Consulenza legale i 09/10/2022
Quando si applica il regime della separazione dei beni ciascun coniuge conserva il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo (così il comma 1 dell’art. 217 c.c.), fermo restando l’obbligo, facente capo ad entrambi i coniugi, di contribuire ad sustinenda onera matrimonii (in conformità a quanto disposto dagli artt. 143 e 148 c.c.).

E’ peraltro evidente che, malgrado i coniugi abbiano optato per il regime della separazione dei beni, il fatto stesso della convivenza genera tra loro una situazione di utilizzo promiscuo di un vasto insieme di beni, indipendentemente da quale dei due coniugi ne sia l’effettivo titolare.
Inoltre, durante il periodo della convivenza i coniugi pongono in essere una pluralità di acquisti di beni in relazione ai quali non è previsto il rispetto di un particolare regime formale, tale da poter consentire ex post e, molto spesso, anche a distanza di anni, di individuare chi sia stato l’effettivo acquirente, se l’uno o l’altro coniuge o entrambi (è questo il caso dell’acquisto dei beni mobili non registrati, quali possono essere i mobili che arredano l’abitazione).

Per tale ragione, la legge, ed in particolare il codice civile, detta una serie di regole volte a disciplinare situazioni di questo tipo, quali in particolare l’art. 218 del c.c., il quale assimila la posizione del coniuge che gode dei beni dell’altro coniuge a quella dell’usufruttuario e l’art. 219 del c.c., in forza del quale si prevede che, qualora dovesse sorgere controversia tra i coniugi circa la titolarità di determinati cespiti, si presume che si tratti di beni comuni ad entrambi i coniugi per pari quota, a meno che uno di essi non riesca a dare, avvalendosi di ogni possibile mezzo di prova, dimostrazione di esserne proprietario esclusivo o titolare di una quota maggiore.

Ora, fatta questa premessa generale e passando ad analizzare il caso di specie, ciò che qui in particolare rileva è la natura dei beni in ordine ai quali viene posto il quesito.
Infatti, al contrario dei beni mobili, a cui prima si è fatto riferimento e per i quali possono sorgere dubbi e contestazioni al fine di dimostrarne la proprietà esclusiva di un coniuge o dell’altro, in questo caso i beni a cui ci si riferisce sono immobili, per la cui circolazione il nostro ordinamento giuridico richiede il rispetto di forme e adempimenti ben precisi (forma scritta e trascrizione nei registri immobiliari).

Pertanto, trattandosi di immobili di proprietà di uno solo dei coniugi (il marito), alla morte di colui che ne è titolare esclusivo, su quei beni, salvo diversa disposizione testamentaria (la quale dovrà pur sempre rispettare la quota di riserva spettante ai legittimari), si aprirà la successione in favore di coloro che a quel momento (c.d. data di apertura della successione) saranno suoi eredi legittimi (secondo le disposizioni di cui agli artt. 565 e ss. c.c.).
Si tenga presente che i genitori del de cuius avranno diritto a concorrere con il coniuge superstite solo in assenza di figli, secondo quanto disposto dall’art. 582 del c.c..

Inoltre, è bene sapere che, in casi come questo al coniuge superstite spetterà, ex art. 540 del c.c., in aggiunta alla quota riservatale per legge, il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, trattandosi di immobile di proprietà del defunto (ciò che potrebbe già costituire sufficiente forma di tutela per lo stesso coniuge e rassicurare i suoceri).

Ad ogni modo, in base alla situazione patrimoniale attuale, il coniuge superstite avrà diritto di concorrere sia sull’immobile di proprietà esclusiva del defunto (quello destinato a casa di abitazione) che su quello di cui si ha la proprietà in ragione di ½ indiviso.
Non è possibile stabilire con esattezza le relative quote di partecipazione in quanto queste varieranno a seconda di coloro che si verranno a trovare a quella data nella posizione di chiamati all’eredità.
Ovviamente, in quanto comproprietaria, seppure per una minima quota, dell’immobile attualmente abitato dai genitori, il coniuge superstite avrà anche il diritto di farne uso in proporzione al valore della propria quota, in conformità a quanto disposto dall’art. 1102 del c.c..

Per ovviare, dunque, ad ogni possibile inconveniente e garantire ai propri genitori il godimento pacifico ed esclusivo dell’immobile ove vivono, può senza alcun dubbio essere una buona soluzione quella a cui si fa riferimento nella parte conclusiva del quesito (ossia lasciare per testamento il diritto di nuda proprietà del 50% di quell’immobile alla moglie ed il diritto di usufrutto vitalizio ai propri genitori), tenuto conto che in questo modo non verrebbe quasi sicuramente intaccato il valore della quota di riserva spettante al coniuge superstite, unica ragione per la quale quella disposizione potrebbe essere impugnata, con rischio di non conseguire egualmente il risultato sperato.