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Articolo 172 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 01/01/2024]

Fusione di società

Dispositivo dell'art. 172 TUIR

1. La fusione tra più società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse o incorporate, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento.

2. Nella determinazione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante non si tiene conto dell'avanzo o disavanzo iscritto in bilancio per effetto del rapporto di cambio delle azioni o quote o dell'annullamento delle azioni o quote di alcuna delle società fuse possedute da altre. I maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell'eventuale imputazione del disavanzo derivante dall'annullamento o dal concambio di una partecipazione, con riferimento ad elementi patrimoniali della società incorporata o fusa, non sono imponibili nei confronti dell'incorporante o della società risultante dalla fusione. Tuttavia i beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base all'ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti.

3. Il cambio delle partecipazioni originarie non costituisce né realizzo né distribuzione di plusvalenze o di minusvalenze né conseguimento di ricavi per i soci della società incorporata o fusa, fatta salva l'applicazione, in caso di conguaglio, dell'articolo 47, comma 7 e, ricorrendone le condizioni, degli articoli 58 e 87.

4. Dalla data in cui ha effetto la fusione la società risultante dalla fusione o incorporante subentra negli obblighi e nei diritti delle società fuse o incorporate relativi alle imposte sui redditi, salvo quanto stabilito nei commi 5 e 7.

5. Le riserve in sospensione di imposta, iscritte nell'ultimo bilancio delle società fuse o incorporate concorrono a formare il reddito della società risultante dalla fusione o incorporante se e nella misura in cui non siano state ricostituite nel suo bilancio prioritariamente utilizzando l'eventuale avanzo da fusione. Questa disposizione non si applica per le riserve tassabili solo in caso di distribuzione le quali, se e nel limite in cui vi sia avanzo di fusione o aumento di capitale per un ammontare superiore al capitale complessivo delle società partecipanti alla fusione al netto delle quote del capitale di ciascuna di esse già possedute dalla stessa o da altre, concorrono a formare il reddito della società risultante dalla fusione o incorporante in caso di distribuzione dell'avanzo o di distribuzione del capitale ai soci; quelle che anteriormente alla fusione sono state imputate al capitale delle società fuse o incorporate si intendono trasferite nel capitale della società risultante dalla fusione o incorporante e concorrono a formarne il reddito in caso di riduzione del capitale per esuberanza.

6. All'aumento di capitale, all'avanzo da annullamento o da concambio che eccedono la ricostituzione e l'attribuzione delle riserve di cui al comma 5 si applica il regime fiscale del capitale e delle riserve della società incorporata o fusa, diverse da quelle già attribuite o ricostituite ai sensi del comma 5 che hanno proporzionalmente concorso alla sua formazione. Si considerano non concorrenti alla formazione dell'avanzo da annullamento il capitale e le riserve di capitale fino a concorrenza del valore della partecipazione annullata.

7. Le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l'ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all'articolo 2501 quater del codice civile, senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. Tra i predetti versamenti non si comprendono i contributi erogati a norma di legge dallo Stato a da altri enti pubblici. Se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell'ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società partecipante o dall'impresa che le ha ad essa cedute dopo l'esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell'atto di fusione. In caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione ai sensi del comma 9, le limitazioni del presente comma si applicano anche al risultato negativo, determinabile applicando le regole ordinarie, che si sarebbe generato in modo autonomo in capo ai soggetti che partecipano alla fusione in relazione al periodo che intercorre tra l'inizio del periodo d'imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione. Le disposizioni del presente comma si applicano anche agli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti di cui al comma 5 dell'articolo 96 del presente testo unico, nonché all'eccedenza relativa all'aiuto alla crescita economica di cui all'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Al fine di disapplicare le disposizioni del presente comma il contribuente interpella l'amministrazione ai sensi dell'articolo 11, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente(1).

8. Il reddito delle società fuse o incorporate relativo al periodo compreso tra l'inizio del periodo di imposta e la data in cui ha effetto la fusione è determinato, secondo le disposizioni applicabili in relazione al tipo di società, in base alle risultanze di apposito conto economico.

9. L'atto di fusione può stabilire che ai fini delle imposte sui redditi gli effetti della fusione decorrano da una data non anteriore a quella in cui si è chiuso l'ultimo esercizio di ciascuna delle società fuse o incorporate o a quella, se più prossima, in cui si è chiuso l'ultimo esercizio della società incorporante.

10. Nelle operazioni di fusione, gli obblighi di versamento, inclusi quelli relativi agli acconti d'imposta ed alle ritenute operate su redditi altrui, dei soggetti che si estinguono per effetto delle operazioni medesime, sono adempiuti dagli stessi soggetti fino alla data di efficacia della fusione ai sensi dell'articolo 2504 bis, comma 2, del codice civile; successivamente a tale data, i predetti obblighi si intendono a tutti gli effetti trasferiti alla società incorporante o comunque risultante dalla fusione.

10-bis. Il regime dell'imposta sostitutiva di cui al comma 2-ter dell'articolo 176 può essere applicato, con le modalità, le condizioni e i termini ivi stabiliti, anche dalla società incorporante o risultante dalla fusione per ottenere il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti in bilancio a seguito di tali operazioni.

Note

(1) Il D. Lgs. 29 novembre 2018, n. 142 ha disposto, con l'art. 13, comma 1, che la presente modifica si applica a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018.

Massime relative all'art. 172 TUIR

Cass. civ. n. 15757/2020

In tema di reddito imponibile delle società, in base ai principi della neutralità e della simmetria fiscale della fusione e della scissione di società (artt. 172 e 173 T.U.I.R.), l'avanzo da annullamento - generato da una serie di operazioni straordinarie (fusione, scissione, ecc.), che sia riconducibile alla sopravvalutazione del patrimonio netto della società fusa o incorporata rispetto al suo valore effettivo, o alla previsione di perdite ed oneri futuri o di un "badwill" correlato alle attività di tale società - ove sia iscritto, ex art. 2504 bis, comma 4, c.c., tra i fondi per rischi ed oneri nel passivo dello stato patrimoniale della società risultante dalla fusione o della società incorporante e, quindi, sia effettivamente utilizzato per la copertura degli oneri e delle perdite civilistiche della società fusa o incorporata (al momento del loro manifestarsi), è irrilevante sotto il profilo fiscale, nel senso che non determina alcun prelievo tributario.

Cass. civ. n. 19222/2019

In tema d'imposte sui redditi, in caso di fusione di società, l'art. 123, comma 5 (ora 172, comma 7), del d.P.R. n. 917 del 1986, al fine di evitare la fusione di "scatole vuote", ormai prive di concreta operatività, a fini elusivi, subordina il diritto della incorporante di utilizzazione delle perdite fiscali pregresse della società incorporata a specifici requisiti, prevedendo che: a) nell'esercizio anteriore alla delibera di fusione risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente e relativi contributi superiore al 40% rispetto alla media dei due periodi di imposta immediatamente precedenti; b) le perdite conseguite dalle società partecipanti alla fusione sono riportabili nel limite del patrimonio netto delle stesse, senza tener conto dei versamenti effettuati dai soci nei ventiquattro mesi precedenti la situazione patrimoniale di riferimento; c) in caso di fusioni con annullamento, allorché la società incorporante abbia svalutato la partecipazione dell'incorporanda, le perdite anteriori della incorporata sono deducibili fino a concorrenza dell'ammontare complessivo della svalutazione delle azioni o delle quote, avendo le perdite pregresse già trovato riconoscimento fiscale con la suddetta svalutazione.

Cass. civ. n. 7591/2017

In materia di riscossione tributaria, è legittima l'emissione della cartella di pagamento nei confronti di una società incorporata riferita ai redditi realizzati fino alla data della fusione, ferma restando la legittimazione passiva, in ordine alla notificazione della cartella, della società incorporante, subentrata a titolo universale nei rapporti sostanziali e processuali dell'incorporata.

Cass. civ. n. 26697/2016

In tema d'imposte sui redditi, il contenuto assolutamente chiaro dell'art. 123, comma 5 (ora 172, comma 7), del d.P.R. n. 917 del 1986, laddove prevede che le perdite conseguite dalle società partecipanti alla fusione sono riportabili nel limite del patrimonio netto delle stesse, senza tener conto dei versamenti effettuati dai soci nei ventiquattro mesi precedenti la situazione patrimoniale di riferimento, così perseguendo l'obiettivo di evitare la fusione di "scatole vuote", cariche solo di perdite, ma di fatto non operative, non consente di ravvisare deroghe o condizioni di operatività diverse da quelle stabilite, non essendo, peraltro, la ricostituzione del capitale sociale un atto dovuto ai sensi dell'art. 2447 c.c.

Cass. civ. n. 1434/2013

La fusione per incorporazione di una società della quale l'incorporante era unica socia, senza aumento di capitale dell'incorporante e con annullamento delle quote rappresentative del capitale dell'incorporata, legittima l'incorporante ad iscrivere in bilancio, alla voce "avviamento", il disavanzo di fusione, pari alla differenza tra il patrimonio netto della società incorporata ed il prezzo pagato per acquistarne le quote e, di conseguenza, a dedurre dal reddito imponibile la relativa quota di ammortamento. È, di conseguenza, viziata da violazione di legge la sentenza di merito, la quale neghi la suddetta deducibilità, in mancanza della prova del pagamento d'un prezzo per l'acquisizione dell'avviamento dell'incorporata, giacché, nell'ipotesi sopra descritta, l'onerosità dell'acquisizione dell'avviamento è "in re ipsa", e sussiste sol che le quote dell'incorporata siano state acquistate per un prezzo superiore a quello risultante dal bilancio d'esercizio (fattispecie non soggetta, "ratione temporis", al principio della neutralità fiscale del disavanzo di fusione, introdotto dall'art. 27, comma primo, della legge n. 724 del 1994). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Napoli, 08/02/2006)

Cass. civ. n. 19234/2012

In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. (principio affermato con riferimento a fattispecie nella quale era stato stipulato un atto di fusione societaria dopo l'entrata in vigore delle disposizioni antielusive di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 358 del 1997, ma le parti avevano convenzionalmente fatto risalire gli effetti a data antecedente l'entrata in vigore delle disposizioni, al fine di eluderne l'applicazione). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 23/01/2006)

Cass. civ. n. 21782/2011

In tema di imposte sui redditi, l'art. 123, comma 5, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo vigente "ratione temporis" ed applicabile fino al 31 dicembre del 2003) nel prevedere, quale uno dei criteri per beneficiare del riporto delle perdite in esito alla fusione, che nell'esercizio anteriore alla delibera di fusione risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente e relativi contributi superiore al 40% rispetto alla media dei due periodi di imposta immediatamente precedenti, persegue l'obiettivo di evitare la fusione di "scatole vuote" o cariche solo di perdite da portare "in dote" all'incorporante, ma ormai svuotate di ogni concreta operatività, ed esige che la società abbia una residua efficienza, costituendo il limite predetto una presunzione di legge di operatività, rendendo irrilevanti, ai presenti fini, depotenziamenti dell'attività in esso contenuti, ma senza, nel contempo, esigere alcun depotenziamento. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 27/06/2006)

In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto costituisse abuso del diritto l'assunzione, da parte di una società in perdita e senza dipendenti, nell'anno precedente alla fusione, di un dipendente con il ruolo di amministratore delegato, senza che ricorressero ragioni economiche che la giustificavano, essendo la stessa finalizzata ad integrare uno dei presupposti, previsti dal comma 5 dell'art. 123 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - nel testo anteriore ala riforma di cui al d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 - per poter beneficiare della riportabilità delle perdite secondo cui le spese per lavoro dipendente debbono essere superiori al 40%, rispetto alla media degli ultimi due esercizi anteriori). (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 27/06/2006)

Cass. civ. n. 8663/2011

In tema di contenzioso tributario, il diniego da parte del direttore regionale delle entrate di disapplicazione di una legge antielusiva, effettuato ai sensi del comma ottavo dell'art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è un atto definitivo in sede amministrativa (così indicato espressamente dal d.m. Finanze 19 giugno 1998, n. 259, attuativo della procedura di cui al comma 8 del citato art. 37-bis) e recettizio con immediata rilevanza esterna, da qualificarsi come un'ipotesi di diniego di agevolazione, come tale impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. h) del d.lgs 31 dicembre 1992 n. 546. Il relativo giudizio instaurato dinanzi al giudice tributario, vertendo in materia di diritti soggettivi e non di meri interessi legittimi, è a cognizione piena e si estende, quindi, al merito della pretesa e non è limitata alla mera illegittimità dell'atto per cui, all'esito, potrà essere emessa una decisione sulla fondatezza della domanda di disapplicazione, con conseguente attribuzione, ove ne ricorrano le condizioni applicative, dell'agevolazione richiesta. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Firenze, 22/03/2005)

Cass. civ. n. 1372/2011

In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse alla mera aspettativa di quei benefici. Ne consegue che il carattere abusivo di un'operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell'operazione medesima ma possono rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda. (In applicazione del riportato principio, la S.C. ha negato potesse essere riconosciuto il carattere abusivo di una complessa operazione di trasferimento di un pacchetto azionario di una società facente capo ad un gruppo multinazionale ad altra società del gruppo, con l'assunzione di notevoli impegni economici per il finanziamento dell'operazione e con conseguente riduzione del carico fiscale, solo perché lo stesso risultato economico avrebbe potuto raggiungersi attraverso un'operazione di fusione, essendo peraltro non contestate dall'amministrazione finanziaria le necessità organizzative volte ad una gestione unitaria di uno dei settori di attività del gruppo). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Roma, 08/02/2005)

Cass. civ. n. 19509/2010

La fusione per incorporazione, che si sia verificata prima dell'entrata in vigore del novellato art. 2504 bis c.c., determina l'estinzione della società incorporata, non avendo la nuova disciplina normativa della fusione, introdotta del d.l.vo n. 6 del 2003, carattere interpretativo ed efficacia retroattiva, ma esclusivamente innovativo.

Cass. civ. n. 23633/2008

In tema di fusione di società, ai sensi dell'art. 123 commi 1 e 2 T.U.I.R. nel testo "ratione temporis" vigente, sono soggette alla specifica disciplina di favore quanto alle imposte sul reddito d'impresa soltanto le operazioni direttamente imputabili all'atto di fusione e non anche ad atti eventualmente concorrenti essendo fiscalmente neutre solo le differenze di fusione (avanzi e disavanzi), prive di rilievo reddituale poiché non necessariamente indicative di una perdita o di un guadagno. Posto che il disavanzo non è di per sé una perdita deducibile ma deriva dalla differenza tra il valore fiscale della partecipazione che viene annullata e il valore contabile dei beni acquisiti, la regola di cui al comma 2 dell'art. 123 T.U.I.R. - secondo la quale "nella determinazione del reddito della società.. incorporante non si tiene conto dell'avanzo o disavanzo iscritto in bilancio per effetto.. dell'annullamento delle azioni.. e delle plusvalenze iscritte in bilancio non si tiene conto fino a concorrenza della differenza tra il costo delle azioni o quote delle società incorporate annullate per effetto della fusione e il valore del patrimonio netto risultante dalle scritture contabili", ha natura eccezionale, intendendo non tenere conto delle plusvalenze iscritte ma nei soli limiti del disavanzo risultante direttamente dall'annullamento, con onere della prova a carico del contribuente interessato che voglia eventualmente invocare il presupposto della diretta imputabilità alla fusione della emersione della plusvalenza posta a compensazione del disavanzo (principio affermato dalla S.C., con conferma della sentenza impugnata, in una fattispecie di rideterminazione del reddito imponibile di una società, a fini IRPEG ed ILOR, per avere essa utilizzato il disavanzo da fusione per incorporazione di altra società di cui già possedeva l'intero capitale azionario, società incorporata che il 31 dicembre 1991 - poche ore prima ma nello stesso giorno della fusione, peraltro riferita ai meri fini fiscali con effetti retroattivi al 1 gennaio 1991 - aveva conferito un ramo d'azienda ad una terza società, appena costituita, ricevendone in contropartita la totalità delle quote, operazione che generava una plusvalenza contabile a favore della conferente, poi incorporata nella ricorrente cui era stato rideterminato il reddito). (rigetta, Comm. Trib. Reg. Napoli, 18 marzo 2005)

Cass. civ. n. 12308/2006

In tema di imposte sui redditi d'impresa, l'art. 54 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che occupandosi delle plusvalenze patrimoniali, ove realizzate od iscritte nella contabilità, considera tanto le plusvalenze dei beni relativi all'impresa quanto le plusvalenze delle aziende, comprendendovi espressamente il valore di avviamento, recepisce un concetto di plusvalenza patrimoniale così ampio da consentire di considerare tale anche il "know-how", quale plusvalenza riferibile all'azienda, benché non espressamente richiamato, risolvendosi l'uno e l'altro - l'avviamento ed il "know-how" - in un diverso e maggior valore del complesso produttivo, rispetto alla somma dei valori dei cespiti che lo compongono, così da meritare l'inclusione nella categoria delle plusvalenze in linea di principio tassabili, ove la ricchezza aggiunta da ciascuno di quei valori si traduca in reddito. Ne consegue, con riferimento alla fusione per incorporazione di una società di capitali implicante l'annullamento delle azioni o quote detenute dalla società incorporante, che la "ratio" della deroga prevista alla computabilità nell'imponibile delle plusvalenze iscritte in bilancio, prevista dall'art. 123, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 917 del 1986, nel testo fissato con decorrenza 1 gennaio 1988 dall'art. 7 della legge 11 marzo 1988, n. 67 - il quale stabilisce che non si tiene conto delle plusvalenze iscritte in bilancio sino a concorrenza della differenza tra il costo delle azioni o quote annullate ed il valore netto del patrimonio della società incorporata risultante dalle scritture contabili -, non è limitata al caso dell'imputazione del disavanzo di fusione a plusvalenza di determinati beni, ma comprende la possibilità di iscrivere il disavanzo stesso a titolo di "know-how", oltre che di avviamento, risultando tale "ratio" valida anche per il primo, non diversamente che per il secondo. Anche per l'iscrizione in bilancio di una distinta posta avente ad oggetto il "know-how", a copertura del disavanzo risultante dalla fusione, vale infatti il rilievo che l'operazione contabile suddetta non rivela, in realtà, alcun incremento di ricchezza, essendo quel bene già prima della fusione di pertinenza della società incorporante, per effetto della sua partecipazione nell'incorporata. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 2 Novembre 1999)

Cass. civ. n. 8236/2006

In tema di imposte sui redditi d'impresa e con riguardo alla fusione per incorporazione di una società di capitali, le cui azioni o quote siano possedute dall'incorporante, quest'ultima, annullando le azioni o quote medesime, ha facoltà di recuperare contabilmente il maggior costo di esse rispetto al minor valore "di libro" del patrimonio netto dell'incorporata, ove la relativa divergenza dipenda dalla valutazione delle rimanenze finali dell'incorporata stessa, iscrivendo nel passivo di bilancio (o del conto economico) una corrispondente posta di rivalutazione delle rimanenze iniziali, senza con ciò incorrere in un incremento del reddito imponibile, ai sensi e nel vigore dell'art. 123, secondo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo risultante dall'art. 7 della legge 11 marzo 1988, n. 67. Ciò comporta l'indistinguibilità fra beni strumentali e beni merce al fine della determinazione del reddito imponibile, nell'ipotesi di fusione per incorporazione di una società di capitali interamente posseduta dalla società incorporante. (Nella specie la S.C. ha applicato il principio alla valutazione dei titoli posseduti dalla società incorporata, che, in quanto società finanziaria, costituiscono per essa dei beni merce). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Venezia, 20 Settembre 2001)

Cass. civ. n. 6204/2006

In tema di imposte sui redditi d'impresa, con riguardo alla fusione per incorporazione di una società di capitali e, specificamente, alla computabilità a titolo di aumento del costo della partecipazione nella società incorporata dell'importo del prestito obbligazionario in favore della stessa sottoscritto dalla società incorporante, secondo la disciplina dell'art. 2420 bis cod. civ. (nel testo applicabile "ratione temporis"), all'atto della delibera di azioni convertibili, la società deve contestualmente deliberare l'aumento del capitale sociale per un importo corrispondente al valore nominale delle azioni da attribuire in conversione, secondo un rapporto di cambio all'uopo espressamente stabilito. Tale delibera - a differenza della ipotesi dell'ordinario aumento di capitale mediante emissione di nuove azioni a pagamento, ex art. 2438 cod. civ. - implica una proposta irrevocabile della società per la stipula del contratto di sottoscrizione delle nuove azioni, rispetto alla quale la richiesta dell'obbligazionista di conversione delle obbligazioni in azioni assume la funzione di accettazione della proposta stessa, determinando la immediata conclusione del contratto e, con essa, l'effetto costitutivo del rapporto sociale oggetto del patto di conversione. Ne consegue che ove, al momento della estinzione della società emittente le obbligazioni, la conversione in azioni, in favore della società incorporante, si sia già perfezionata - come nel caso di specie -, deve ritenersene legittima l'imputazione ad incremento del costo della partecipazione della società incorporante in quella incorporata, contribuendo in tal modo a determinare il disavanzo di fusione nella misura indicata nelle scritture contabili. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 26 Maggio 1999)

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