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Articolo 448 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 02/11/2023]

Provvedimenti del giudice

Dispositivo dell'art. 448 Codice di procedura penale

1. Nell'udienza prevista dall'articolo 447, nell'udienza preliminare, nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato, il giudice, se ricorrono le condizioni per accogliere la richiesta prevista dall'articolo 444, comma 1, pronuncia immediatamente sentenza. Nel caso di dissenso da parte del pubblico ministero o di rigetto della richiesta da parte del giudice per le indagini preliminari, l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può rinnovare la richiesta e il giudice, se la ritiene fondata, pronuncia immediatamente sentenza. La richiesta non è ulteriormente rinnovabile dinanzi ad altro giudice. Nello stesso modo il giudice provvede dopo la chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione quando ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero o il rigetto della richiesta(1)(5).

1-bis. Nei casi previsti dal comma 1, quando l’imputato e il pubblico ministero concordano l’applicazione di una pena sostitutiva di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il giudice, se non è possibile decidere immediatamente, sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente. Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 545 bis, comma 2(4).

2. In caso di dissenso, il pubblico ministero può proporre appello [594]; negli altri casi la sentenza è inappellabile [568 2].

2-bis. Il pubblico ministero e l'imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza(3).

3. Quando la sentenza è pronunciata nel giudizio di impugnazione, il giudice decide sull'azione civile a norma dell'articolo 578, comma 1(4).

Note

***DIFFERENZE RISPETTO ALLA FORMULAZIONE PREVIGENTE***
(in verde le modifiche e in "[omissis]" le parti della norma non toccate dalla riforma)


[omissis]
1-bis. Nei casi previsti dal comma 1, quando l’imputato e il pubblico ministero concordano l’applicazione di una pena sostitutiva di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il giudice, se non è possibile decidere immediatamente, sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente. Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 545-bis, comma 2.
[omissis]

__________________

(1) Trattasi di una sentenza che contiene un semplice accertamento negativo della non punibilità, risolvendosi nella constata insussistenza delle cause di proscioglimento menzionate nell'art. 129, comma 1.
(2) Tale comma è stato così sostituito dall'art. 34, della l. 16 dicembre 1999, n. 479.
(3) Comma aggiunto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103.
(4) In questi casi, il giudizio di primo grado si è svolto regolarmente, fino in fondo, sicché il giudice dell'impugnazione ha a disposizione gli atti di una completa istruzione dibattimentale.
(5) Comma aggiunto dal d.lgs. n. 150 del 2022 (c.d. riforma "Cartabia").

Ratio Legis

L'applicazione di pena concordata tra le parti, il cd. patteggiamento, è stato concepito nell'intento di snellire il corso del processo, del quale permette una chiusura anticipata in forza dell'accordo tra P.M. e imputato, il quale volontariamente si sottomette alla sanzione penale, evitando così l'approdo dibattimentale.

Spiegazione dell'art. 448 Codice di procedura penale

Come sancito dall'art. 444, il giudice deve valutare nell'udienza di cui all'articolo precedente se sussistano le condizioni per l'emissione della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Innanzitutto egli è tenuto a valutare se ricorrano le condizioni per prosciogliere immediatamente l'imputato per una delle cause di cui all'art. 129, e quindi in primis che l'imputato appaia effettivamente colpevole. In seguito deve valutare se la qualificazione giuridica del fatto, l'applicazione e la comparazione delle circostanze siano corrette. Da ultimo, valuta discrezionalmente se la pena quantificata dalle parti sia congrua. Si precisa che il giudice non può modificare la quantificazione e la determinazione della pena operata dalle parti, ma solo accettarla ed emettere sentenza, oppure rigettarla.

In caso di esito positivo della valutazione, applica la pena con sentenza, da emettersi immediatamente.

Nell'ipotesi in cui vi sia il dissenso del pubblico ministero, il giudice del dibattimento può nondimeno emettere la sentenza sul patteggiamento, qualora ritenga fondata e congrua la richiesta. In caso di rigetto da parte del giudice la richiesta non può più essere rinnovata. Nello stesso modo provvede in seguito alla chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione, quando ritiene ingiustificato il dissenso del p.m. o il rigetto della richiesta, espresso dal giudice per le indagini preliminari.

Oltretutto, il pubblico ministero può appellare tale sentenza emessa senza il suo consenso (unica eccezione all'inappellabilità della sentenza di patteggiamento).

Per l'imputato la sentenza è invece inappellabile. Egli, ed anche il pubblico ministero, possono solamente ricorrere in cassazione, e solo per motivi attinenti alla corretta formazione ed espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza (il giudice non può modificare la richiesta, ma solo ammetterla o rigettarla), all'erronea qualificazione giuridica del fatto ed all'illegalità della pena e della misura di sicurezza.

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni, e quindi sostituibile, il nuovo articolo 545 bis c.p.p. introduce tra gli atti successivi alla deliberazione nel giudizio ordinario, e precisamente dopo la pubblicazione della sentenza mediante lettura del dispositivo, una fase interlocutoria, che prevede la fissazione di una eventuale udienza successiva, finalizzata a verificare la possibilità concreta di sostituire la pena e di consentire alla parte stessa e all’Ufficio esecuzione penale esterna di intervenire per definire i contorni e i contenuti della pena sostitutiva da sottoporre al giudice, come meglio descritto nella relazione all’art. 545 bis c.p.p., a cui si rinvia.


La norma è applicabile anche al giudizio abbreviato, senza necessità di espressa previsione, per effetto del generale richiamo operato dall’art. 442, co. 1 c.p.p. agli artt. 529 e seguenti relativi alla decisione nel giudizio ordinario.


Rimangono tuttavia privi di disciplina tutti i casi di applicazione della pena su richiesta delle parti previsti dall’art. 448 c.p.p.
In essi, già oggi è possibile richiedere l’applicazione di una “sanzione sostitutiva” (ora pena sostitutiva), ai sensi dell’art. 444, co. 1 c.p.p., ma non sono regolati i casi in cui le parti davanti al giudice abbiano necessità di un tempo e quindi di un termine per gli stessi scopi previsti dall’art. 545 bis c.p.p. per il giudizio ordinario e il giudizio abbreviato.


La norma si inserisce nel novero di tutte le ipotesi di richiesta di applicazione pena, siano esse tipiche, ossia formulate in udienza già in corso, ovvero atipiche, quando l’udienza debba essere fissata appositamente. Sono questi i casi di giudizio immediato e di richiesta di applicazione pena nel corso delle indagini preliminari, ai sensi dell’articolo 447 c.p.p., posto che la delibazione sulla richiesta di applicazione pena deve essere sempre pronunciata in udienza.


Nei casi previsti dall’art. 448, co. 1, c.p.p., la norma di nuovo conio prevede che, "quando l’imputato e il pubblico ministero concordano l’applicazione di una pena sostitutiva di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981 n. 689, il giudice, se non è possibile decidere immediatamente, sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente".
Poiché l’applicazione della pena concordata dalle parti può essere richiesta all’esito di una previa interlocuzione tra pubblico ministero e difesa dell’indagato o imputato, le parti possono presentarsi al giudice con una proposta già delineata e solo da delibare. Questa dovrebbe essere l’ipotesi fisiologica, quando l’iniziativa diligente della difesa e la disponibilità del pubblico ministero si incontrano tempestivamente.


La norma che si introduce, invece, ha due presupposti:
a) che le parti si trovino già davanti al giudice e non abbiano potuto o voluto per qualsiasi causa raggiungere un consenso sull’applicazione di una pena sostitutiva;
b) che sia raggiunto almeno un accordo sulla pena e sulla sua applicazione ai sensi dell’articolo 444 c.p.p.


Si propone questa interpretazione dell’espressione "quando l’imputato e il pubblico ministero concordano l’applicazione di una pena sostitutiva", intendendo che l’accordo almeno generale deve essere già raggiunto e deve precedere la richiesta di differimento dell’udienza, di cui costituisce il presupposto. Si vuole, infatti, scongiurare il rischio di richieste esplorative o peggio dilatorie, oltre che impegnare invano l’Ufficio esecuzione penale esterna in attività preparatorie che poi non hanno concreto esito processuale.
Anche in questo caso, se non può decidere immediatamente, il giudice "sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente". La norma contiene il rinvio all’applicazione del comma 2 dell’art. 545 bis c.p.p., che disciplina le attività e i poteri del giudice, delle parti e dell’Ufficio di esecuzione penale esterna, allo scopo di determinare i contenuti e la fisionomia della pena sostitutiva da sottoporre al giudice stesso.
Si rinvia alla Relazione relativa all’articolo 545 bis c.p.p. per i dettagli in merito.


Quanto alla modifica apportata all’ultimo comma della norma in esame, essa risponde allo scopo di adeguare la disposizione al fatto che l’art. 578 c.p.p. ora si compone di tre commi, dei quali solo il primo corrisponde al precedente richiamo.

Massime relative all'art. 448 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 45559/2018

La sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre l'espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nell'art. 86 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 non può essere impugnata dal p.m. con ricorso per cassazione, ostandovi la previsione dell'art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen., introdotta dall'art.1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, che individua ipotesi tassative per la proponibilità di detta impugnazione, tra le quali l'effettiva adozione di una misura di sicurezza.

Cass. pen. n. 15557/2018

In tema di patteggiamento, il ricorso per cassazione per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato ai sensi del novellato art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., a pena di inammissibilità, deve contenere la specifica indicazione degli atti o delle circostanze che hanno determinato il vizio. (Fattispecie in cui la Corte ha affermato che la verifica da parte del giudice della volontà dell'imputato è superflua quando questi è presente all'udienza nella quale si raggiunge l'accordo tra le parti, a nulla rilevando che detta udienza fosse stata rinviata ad altra data per la sola lettura del dispositivo).

Cass. pen. n. 15553/2018

In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, l'erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato.

Cass. pen. n. 4727/2018

Ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. introdotto con la legge 23 giugno 2017, n. 103, è inammissibile il ricorso per cassazione, avverso la sentenza di patteggiamento, con il quale si deduca l'omessa valutazione da parte del giudice delle condizioni per pronunziare sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.; in tal caso, la corte provvede a dichiarare l'inammissibilità con ordinanza "de plano" ex art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.

Cass. pen. n. 3108/2018

In tema di patteggiamento, anche a seguito dell'introduzione dell'art.448, comma 2-bis, cod. proc. pen.,la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l'erronea qualificazione giudirica del fatto è limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo escludersi l'ammissibilità dell'impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che la verifica sulla corretta qualificazione giuridica del fatto va compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti in ricorso).

Cass. pen. n. 7951/2017

In tema di sentenza di applicazione della pena a seguito di istruttoria dibattimentale, ai sensi dell'art. 448, comma primo, cod. proc.pen., conseguente ad una " piena cognitio", il giudice deve necessariamente tener conto nella motivazione degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, non potendosi limitare ad una ricognizione sommaria di quelli che giustificano la "condanna " ed all'affermazione dell'assenza di quelli che consentono il proscioglimento; ne consegue che in forza della presunzione di innocenza l'imputato deve essere assolto ai sensi dell'art. 530, comma secondo, cod. proc. pen., se sussiste un ragionevole dubbio in ordine alla sua colpevolezza.

Cass. pen. n. 37378/2013

In tema di patteggiamento, il giudice del dibattimento non può accogliere, ai sensi dell'art. 448 c.p.p., la proposta di patteggiamento presentata dall'imputato, quando il P.M. non abbia espresso alcun parere sulla proposta medesima. (In motivazione, la Corte ha evidenziato come il potere di surroga "ex lege" del giudice al P.M. deve considerarsi un'eccezione alla regola generale della parità delle parti e compete nella sola ipotesi di cui al comma prima dell'art. 448 c.p.p., quando cioè la manifestazione di dissenso del P.M. non sia sorretta da adeguata motivazione o non sia giustificata).

Cass. pen. n. 42374/2009

Anche alla stregua dell’attuale formulazione dell’art. 448 c.p.p., quale introdotta dall’art. 34, comma 1, della legge 16 dicembre 1999 n. 479, qualora, a fronte della rinnovata richiesta dell’imputato, negli atti preliminari al dibattimento, di applicazione della pena, il pubblico ministero manifesti il proprio dissenso, il giudice non può accogliere immediatamente detta richiesta ma deve dar luogo al giudizio ordinario, fermo restando che all’esito del medesimo potrà, ove ritenga ingiustificato il dissenso, pronunciare sentenza di applicazione della pena che era stata richiesta.

Cass. pen. n. 36084/2005

In tema di conversione del ricorso per cassazione in appello, il presupposto della conversione è costituito dalla pertinenza dei due mezzi di impugnazione alla «stessa sentenza», da intendersi come unica statuizione del giudice, della stessa natura e sul medesimo oggetto, rispetto alla quale si profili l'eventualità di decisioni incompatibili per il caso di celebrazione dei diversi giudizi di impugnazione. Non è pertanto applicabile la conversione quando ricorso ed appello siano proposti con riferimento ad una decisione unitaria solo dal punto di vista grafico, e perà riguardanti imputati diversi, per taluno dei quali sia stata applicata la pena, in esito al dibattimento e sul presupposto del carattere ingiustificato del dissenso del P.M. o del provvedimento di rigetto della richiesta, mentre per altri sia stata pronunciata condanna.

Cass. pen. n. 34843/2001

La sentenza che, ritenendo ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, applichi - a conclusione del dibattimento - la pena originariamente richiesta dall'imputato, non è appellabile da quest'ultimo, ma solo ricorribile per cassazione; tuttavia, detto ricorso si converte in appello nella ipotesi in cui tale ultimo mezzo di gravame sia stato proposto dal pubblico ministero.

Cass. pen. n. 13277/1999

In tema di patteggiamento va escluso che il giudice del dibattimento abbia l'obbligo di vagliare immediatamente il dissenso espresso del P.M. e di accogliere la richiesta dell'imputato nell'ipotesi in cui il dissenso dell'accusa risulti infondato. Al contrario, il giudice ha l'obbligo di procedere al dibattimento (unico strumento idoneo a fornire gli elementi sulla base dei quali esaminare la posizione del P.M.) e solo conclusa la discussione, ove ritenuto ingiustificato il dissenso manifestato dalla Parte pubblica, di valutare la congruità della pena richiesta e di applicarla.

Cass. pen. n. 10461/1999

In tema di patteggiamento, poiché il giudice è tenuto a delibare la correttezza del computo svolto dal richiedente (computo che include anche la determinazione della diminuzione conseguente al rito), lo stesso, nell'applicare la pena concordata, si esprime implicitamente, per il solo fatto di avere adottato il rito speciale, anche sulla congruità della pena. Conseguentemente, il giudice che, viceversa, in primo o in secondo grado, non accolga la richiesta di patteggiamento, cui il P.M. non aveva prestato consenso, esercita correttamente il suo potere discrezionale, solo se infligge una pena superiore a quella proposta dall'imputato, anche se, svolgendo il computo, «parta» da una pena base inferiore a quella indicata dalla parte.

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