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Articolo 297 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Computo dei termini di durata delle misure

Dispositivo dell'art. 297 Codice di procedura penale

1. Gli effetti della custodia cautelare [294, 303] decorrono dal momento della cattura [293], dell'arresto [380, 381] o del fermo [384].

2. Gli effetti delle altre misure decorrono dal momento in cui l'ordinanza che le dispone è notificata a norma dell'articolo 293(1).

3. Se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettere b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma(2)(3).

4. Nel computo dei termini della custodia cautelare si tiene conto dei giorni in cui si sono tenute le udienze e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni solo ai fini della determinazione della durata complessiva della custodia a norma dell'articolo 303 comma 4.

5. Se l'imputato è detenuto per un altro reato o è internato per misura di sicurezza, gli effetti della misura decorrono dal giorno in cui è notificata l'ordinanza che la dispone [293], se sono compatibili con lo stato di detenzione o di internamento; altrimenti decorrono dalla cessazione di questo. Ai soli effetti del computo dei termini di durata massima, la custodia cautelare si considera compatibile con lo stato di detenzione per esecuzione di pena o di internamento per misura di sicurezza.

Note

(1) Tra queste misure rientrano anche gli arresti domiciliari ex art. 284.
(2) Tale comma è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Cost., con sent. 3 novembre 2005, n. 408, nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza
(3) Tale comma è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Cost., con sent. 22 luglio 2011, n. 233, nella parte in cui – con riferimento alle ordinanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi – non prevede che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l'imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all'adozione della seconda misura.

Ratio Legis

La norma in esame, ispirata al favor libertatis, esercita una chiara funzione garantista diretta ad evitare la reiterazione delle ordinanze sia nello stesso procedimento sia in procedimenti diversi.

Brocardi

Prehensio

Spiegazione dell'art. 297 Codice di procedura penale

La norma si colloca tra le disposizioni dettate per l'esecuzione delle varie misure cautelari, ed appare altresì funzionale ad una tipica causa di estinzione delle stesse.

Dopo aver espresso nei primi due commi il principio generale secondo cui gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell'arresto e del fermo, mentre gli effetti delle altre misure decorrono dal momento della notifica della relativa ordinanza, la norma in esame si dà carico di disciplinare l'ipotesi di cumulo di provvedimenti applicativi della misura a carico del medesimo imputato.

Quando i suddetti provvedimenti riguardano lo stesso fatto, ancorché diversamente circostanziato o qualificato, i termini decorrono dal giorno di esecuzione o di notificazione del primo provvedimento e sono commisurati all'imputazione più grave. Tale disposizione non tiene conto tuttavia dell'ipotesi, non infrequente, in cui nel corso delle indagini preliminari l'originaria imputazione venga riformulata in melius, con chiare ripercussioni sui termini di durata delle varie misure.

La regola della simultanea decorrenza desta non poche perplessità anche in ordine alla successiva applicazione attraverso successive ordinanze, che è stata estesa anche a fatti diversi, quando tra tali fatti sussistano rapporti di connessione nei casi di cui all'articolo 12 lett. b) e lett. c) e purché si tratti di fatti commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza.

In tali ipotesi, l'unica deroga alla regola della retrodatazione del dies a quo per il computo dei termini di durata è quella di cui all'ultima parte del comma 3, secondo cui tale regola no si applica per fatti no desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto connesso.

Di conseguenza, per l'operatività della regola in questione, è sufficiente che i fatti diversi contestati con ordinanze ulteriori, applicative della stessa misura nei confronti dello stesso imputato, risultassero desumibili dagli atti al momento del rinvio a giudizio, prescindendo dalla circostanza che tali fatti non fossero obiettivamente noti al momento dell'emissione dell'ordinanza di cui sopra o comunque che in tale momento non fossero stati acquisiti tutti gli elementi necessari per l'applicazione della misura, poi solamente in seguito applicata.


Massime relative all'art. 297 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 7691/2018

In tema di contestazioni a catena ai fini della retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare successivamente disposta, il momento in cui dagli atti possono desumersi i gravi indizi di colpevolezza non coincide con l'emissione dell'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. ma con il rinvio a giudizio con cui si avvia la fase dibattimentale.

Cass. pen. n. 49224/2017

In tema di misure cautelari, la continuazione tra reato associativo mafioso e reati-fine, aggravati dalla finalità mafiosa, rilevante, ai sensi dell'art. 297 cod. proc. pen., ai fini della retrodatazione del "dies a quo" della custodia cautelare, si configura solo quando i reati fine sono stati già programmati, quanto meno nelle loro linee essenziali, sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso. (Nella specie, la Corte ha escluso la retrodatazione della misura per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., in relazione a precedente misura emessa per un'estorsione aggravata ex art. 7 d.l. n. 152 del 1991, convertito in legge n. 203 del 1991, commessa successivamente alla costituzione del vincolo associativo genetico).

Cass. pen. n. 22571/2017

In tema di contestazioni a catena, la garanzia processuale prevista dall'art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., relativa alla retrodatazione dei termini di decorrenza della misura cautelare alla data di esecuzione della prima ordinanza, determina una dipendenza funzionale dell'ordinanza retrodatata dalla prima, di cui seguirà le sorti procedimentali; ne consegue che l'ordinanza successiva dovrà essere dichiarata inefficace solo nel caso in cui siano decorsi i termini massimi di custodia cautelare afferenti alla prima, ma non in quello di revoca di tale ordinanza per cessazione delle esigenze cautelari.

Cass. pen. n. 13834/2017

In tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore "desumibilità" delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, richiede la sussistenza di indizi univoci e idonei a fondare una compiuta affermazione di responsabilità cautelare; ne consegue, che la pregressa esistenza di una serie di dichiarazioni di un collaboratore di giustizia o di un coindagato non possono essere ritenuti rilevanti se al momento delle dichiarazione non esisteva già un compendio che potesse essere di riscontro alle stesse.(Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la motivazione dell'ordinanza del tribunale del riesame che escludeva la sussistenza dell'ipotesi di "contestazione a catena" rispetto ad altra ordinanza già emessa nei confronti del medesimo soggetto, poiché, nonostante le dichiarazioni del coindagato fossero già esistenti al momento della adozione della prima ordinanza, solo successivamente gli inquirenti erano venuti in possesso degli elementi di oggettivo riscontro alle medesime).

Cass. pen. n. 12752/2017

Quando sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare personale nei confronti dello stesso imputato per fatti connessi, la regola della retrodatazione della durata dei termini di custodia cautelare prevista dall'art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., non opera nel caso in cui ad un'ordinanza pronunciata nel corso delle indagini preliminari ne segua una seconda emessa in fase dibattimentale.

Cass. pen. n. 6861/2017

Il c.d. congelamento dei termini di custodia cautelare nei giorni destinati alle udienze e alla deliberazione della sentenza ex art. 297 comma quarto cod. proc. pen. determina la possibilità di superamento dei soli termini ordinari di cui all'art. 303, commi primo, secondo e terzo, cod. proc. pen., mentre non ha alcuna incidenza sul computo della durata massima della custodia stessa, ai sensi dell'art. 304 comma sesto cod. proc. pen., che in nessun caso può superare il doppio dei predetti termini, in quanto il termine finale di fase deve essere considerato come limite estremo, superato il quale il permanere dello stato coercitivo non risulta più conforme al principio di proporzionalità espresso dall'art. 275, comma secondo, cod. proc. pen.

Cass. pen. n. 47570/2016

In tema di computo dei termini della custodia cautelare, la previsione contenuta nell'art. 297, comma quarto, cod. proc. pen. che ha introdotto l'istituto del cosiddetto "congelamento" (in forza del quale, indipendentemente da un provvedimento del giudice, nel calcolo dei termini di fase non si tiene conto dei giorni in cui si sono tenute le udienze, né di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza) si applica soltanto alle fasi del giudizio di primo grado e delle impugnazioni, con esclusione dell'udienza preliminare.

Cass. pen. n. 24438/2015

In tema di contestazioni a catena, la garanzia processuale contenuta nell'art. 297 comma terzo cod.proc.pen.- relativa alla retrodatazione dei termini di decorrenza della misura cautelare data di esecuzione della prima ordinanza - non viene meno a seguito della definizione del procedimento penale nell'ambito del quale è stato emesso il primo provvedimento restrittivo, quale che sia la conclusione di quest'ultimo, sfavorevole (cfr. Corte cost., sent. n. 233 del 2011), ma anche favorevole all'imputato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avessero dichiarato estinta per decorrenza termini l'ordinanza applicativa di misura cautelare per il reato di omicidio, retrodatandone la decorrenza alla data di emissione di altra precedente ordinanza coercitiva per il reato di ricettazione, emessa nell'ambito di procedimento riunito sulla base del riconoscimento di una connessione qualificata tra i due reati, e per il quale era intervenuta archiviazione).

Cass. pen. n. 23729/2015

L'appello concernente misure cautelari personali, implicando una valutazione globale della prognosi cautelare, attribuisce al giudice "ad quem" tutti i poteri "ab origine" rientranti nella competenza funzionale del primo giudice, ivi compreso quello di decidere, pur nell'ambito dei motivi prospettati e, quindi, del principio devolutivo, anche su elementi diversi e successivi rispetto a quelli utilizzati dall'ordinanza impugnata, applicandosi anche a tale procedimento l'art. 603, secondo e terzo comma, cod. proc. pen. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza che - in relazione alla dedotta applicabilità della retrodatazione dell'ordinanza cautelare ai sensi dell'art. 297, terzo comma, cod. proc. pen. - aveva ritenuto essere sottratta al suo sindacato la valutazione se la separazione delle indagini in due diversi procedimenti fosse o meno il frutto di una scelta discrezionale del pubblico ministero, per il fatto di non avere a disposizione gli atti di indagine necessari per tale apprezzamento).

Cass. pen. n. 9781/2015

In tema di durata massima dei termini di custodia cautelare, l'art. 297, comma quarto, cod. proc. pen. ha introdotto l'istituto del cosiddetto "congelamento", in forza del quale, limitatamente ai termini di fase e indipendentemente da un provvedimento del giudice, i giorni in cui sono tenute le udienza e quelli necessari per la deliberazione della sentenza non si computano, con la conseguenza che il relativo calcolo deve essere effettuato secondo il calendario comune, eliminando dal computo i giorni in cui si sono tenute le udienze, così che il termine non viene a scadere con il decorso del periodo di tempo previsto dall'art. 303 cod. proc. pen., dovendosi a quest'ultimo aggiungere un numero di giorni pari a quello delle udienze tenute.

Cass. pen. n. 8984/2015

Quando sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare personale nei confronti dello stesso imputato per fatti connessi, la regola della retrodatazione della durata dei termini di custodia cautelare prevista dall'art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., non trova applicazione se la richiesta è presentata nel corso di una fase successiva a quella delle indagini preliminari. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi l'ordinanza che aveva rigettato la richiesta, ex art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., di retrodatazione del termine di durata della custodia cautelare in carcere presentata dopo la sentenza di primo grado).

Cass. pen. n. 47581/2014

In ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell'art. 297, comma terzo, cod.proc.pen., impone, ai fini del calcolo dei termini di fase, di frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che, al fine di verificare l'eventuale decorso del termine di durata previsto per la fase delle indagini preliminari, il periodo di custodia cautelare sofferto in altro procedimento dovesse essere computato esclusivamente per la parte compresa tra il momento dell'arresto e quello di emissione del decreto che disponeva il giudizio).

Cass. pen. n. 50128/2013

Quando nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata (nella specie determinata dal vincolo di continuazione), opera la retrodatazione prevista dall'art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. anche rispetto ai fatti oggetto di un "diverso" procedimento, se questi erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti oggetto della prima ordinanza.

Cass. pen. n. 43235/2013

La retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza, riferita a misure cautelari emesse da giudici aventi diversa competenza territoriale in presenza di una connessione qualificata, può essere dichiarata anche all'esito del giudizio di cognizione, pur ove sia intervenuta sentenza irrevocabile con riferimento alla prima imputazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la scarcerazione per decorrenza dei termini, ex art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., disposta all'esito del giudizio abbreviato rispetto ad imputazione, ritenuta connessa per identità del disegno criminoso, rispetto alla quale era stata pronunciata, in altro processo, sentenza irrevocabile).

Cass. pen. n. 42442/2013

Il giudice investito dell'istanza di retrodatazione degli effetti della misura cautelare personale richiesta ai sensi dell'art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. per l'ipotesi della connessione qualificata (art. 12 lett. b) e c) cod. proc. pen.) tra plurimi fatti di omicidio dedotti in due titoli cautelari emessi in diversi contesti procedimentali, è tenuto a riscontrare se all'epoca della consumazione del primo di essi erano state già programmate, almeno nelle linee essenziali, le soppressioni delle altre vittime, verificando le vicende fattuali deducibili dai provvedimenti cautelari (tempo e luogo di commissione dei delitti, identità degli autori e delle vittime, possibili moventi), al fine di compiere la concreta verifica del legame teleologico o della continuazione.

Cass. pen. n. 15736/2013

La retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell'art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., impone, per il computo dei termini di fase, di frazionare la globale durata della custodia cautelare, imputando solo i periodi relativi a fasi omogenee. (Nella specie, la Corte, pur riconoscendo la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ha ritenuto, al fine di verificare se fosse decorso il termine di durata previsto per la fase delle indagini preliminari, di scomputare dal periodo complessivo di durata della custodia cautelare, solo le frazioni di tempo relative alla fase in questione per i due procedimenti).

Cass. pen. n. 11807/2013

La retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare disposta per differenti reati non solo presuppone, in ogni caso, che la seconda ordinanza abbia ad oggetto fatti anteriori a quelli oggetto della prima, ma, quando i reati siano oggetto di distinti provvedimenti e procedimenti e tra gli stessi non sussista una delle ipotesi di connessione qualificata previste dall'art. 297, comma terzo, c.p.p., richiede anche, come condizioni ulteriori ed autonomamente necessarie, che, al momento dell'emissione della prima ordinanza, fossero già desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere il successivo provvedimento e che i diversi procedimenti, pendenti davanti alla stessa autorità giudiziaria, fossero stati tenuti separati in conseguenza di una scelta del pubblico ministero.

Cass. pen. n. 5050/2013

Nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze le quali dispongano la medesima misura cautelare per fatti diversi, tra i quali non sussiste la connessione prevista dall'art. 297, comma terzo, c.p.p., la regola della retrodatazione dei termini di durata della misura non si applica con riferimento a provvedimenti adottati in procedimenti diversi, anche se, al momento dell'emissione della prima ordinanza, fossero desumibili dagli atti gli elementi che hanno giustificato quelle successive. (Fattispecie in cui la Corte ha ravvisato la diversità dei procedimenti nonostante l'occasionale genesi, nel corso delle investigazioni relative alla vicenda oggetto della prima ordinanza, degli elementi di sospetto dai quali era nata l'indagine che aveva condotto all'emissione del secondo provvedimento).

Cass. pen. n. 45246/2012

In tema di contestazione a catena, la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b) desumibilità dall'ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare l'ordinanza successiva.

Cass. pen. n. 22035/2012

In tema di decorrenza dei termini di custodia cautelare, la previsione di cui all'art. 297, comma primo, c.p.p. - per la quale gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo - deroga alla disciplina generale che prevede la non computabilità del "dies a quo" (art. 14, comma secondo, c.p. e 172, comma quarto, c.p.p.).

Cass. pen. n. 19555/2012

Nel procedimento di riesame non è deducibile la questione relativa all'inefficacia sopravvenuta dell'ordinanza di custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase, in relazione all'asserita contestazione a catena, in quanto si tratta di vizio che non intacca l'intrinseca legittimità dell'ordinanza, ma agisce sul piano dell'efficacia della misura cautelare.

Cass. pen. n. 11186/2012

In tema di durata massima della custodia cautelare, il cd. congelamento automatico dei termini, previsto dall'art. 297, comma quarto, cod. proc. pen., comporta che dalla durata complessiva della custodia debbano essere sottratti tutti i giorni in cui sono tenute le udienze, senza distinguere tra udienze precedenti o successive alla scadenza del termine ordinario, dovendo tale distinzione ritenersi irrilevante alla luce dell'automatismo previsto dalla norma, che determina il progressivo spostamento in avanti del termine originariamente previsto, via via che le udienze vengono celebrate.

Cass. pen. n. 1006/2012

La questione relativa all'applicazione della regola della retrodatazione dei termini della misura cautelare in caso di cosiddette contestazioni a catena può essere validamente dedotta davanti al tribunale in sede di riesame ove si prospetti che, già al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare, erano scaduti interamente, per effetto della retrodatazione, i termini di custodia.

Cass. pen. n. 49/2012

In tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, il momento in cui dagli atti possono desumersi i gravi indizi di colpevolezza coincide non con la materiale disponibilità dell'informativa di reato, ove questa riassuma i dati investigativi e gli elementi di prova progressivamente acquisiti, ma con quello in cui il suo contenuto possa considerarsi "recepito", risultante dal tempo obiettivamente occorrente al pubblico ministero per una lettura ponderata del materiale.

Cass. pen. n. 21056/2010

Il periodo di custodia cautelare scontato all'estero in esecuzione di un mandato di arresto europeo deve essere computato nella determinazione dei termini di fase, pur quando il soggetto detenuto all'estero sia al contempo sottoposto ad espiazione di una pena detentiva e non sia stato posto nella disponibilità della giurisdizione italiana.

Cass. pen. n. 10443/2010

In tema di cosiddetta "contestazione a catena", la disciplina prevista dall'art. 297, comma terzo, c.p.p. per il computo dei termini di durata della custodia cautelare è applicabile nell'ipotesi in cui, al momento dell'emissione della seconda ordinanza custodiale, non sia ancora passata in giudicato la sentenza di condanna relativa ai fatti costituenti oggetto della prima ordinanza cautelare.

Cass. pen. n. 9946/2010

La questione della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare per effetto della cosiddetta "contestazione a catena" è rilevabile d'ufficio nel corso del procedimento di riesame nel quale sia stata invocata l'insussistenza delle esigenze cautelari.

Cass. pen. n. 8839/2010

Anche nel caso di più ordinanze cautelari emesse in distinti procedimenti dinanzi alla medesima autorità giudiziaria nei confronti della stessa persona per fatti diversi non legati dalla connessione qualificata prevista dall'art. 297, comma terzo, c.p.p., opera la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia allorché le notizie di reato siano pervenute a quella autorità precedentemente all'adozione della prima misura, a nulla rilevando la conoscenza effettiva, da parte di essa, della notizia sulla quale si fonda la misura ulteriore.

Cass. pen. n. 50000/2009

La disciplina dettata dall’art. 297, comma 3, c.p.p. per il caso di c.d. “contestazione a catena” può trovare applicazione solo con riguardo alla fase delle indagini preliminari e non già nel corso del dibattimento ovvero quando sia stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado, giacchè solo nella detta fase la decorrenza del termine massimo di custodia cautelare coincide con il giorno di applicazione della misura, mentre per la fase dibattimentale il termine decorre dal decreto di citazione a giudizio e per la fase successiva decorre dalla pronuncia della sentenza di primo grado.

Cass. pen. n. 44902/2009

In presenza di una connessione qualificata tra i fatti per i quali venga emessa una prima ordinanza di custodia cautelare e quelli per i quali venga emessa una ordinanza successiva, la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima di detta misura alla data di esecuzione della prima ordinanza opera indipendentemente dalla circostanza che le due ordinanze siano state emesse nell’ambito di procedimenti distinti, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie.

Cass. pen. n. 20780/2009

Il meccanismo di computo dei termini di durata delle misure cautelari prevsito dal terzo comma dell'art. 297 c.p.p. (cd. “contestazione a catena”) non si applica al caso in cui la precedente ordinanza cautelare sia stata emessa nell'ambito di un procedimento conclusosi con sentenza divenuta irrevocabile prima dell'adozione della seconda misura.

Cass. pen. n. 40321/2008

Quando nei confronti dello stesso imputato sono emesse in distinti procedimenti pendenti dinanzi alla medesima autorità giudiziaria ordinanze di custodia cautelare per fatti diversi tra i quali non sussiste la connessione qualificata prevista dall'art. 297, comma terzo, c.p.p., ai fini della valutazione circa la conoscibilità, da parte del pubblico ministero, degli elementi giustificativi della seconda ordinanza al momento di emissione della prima e della conseguente retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia, sono irrilevanti sia la provenienza delle notizie di reato da parte di autorità di polizia diverse, sia l'eventuale assegnazione dei procedimenti a magistrati diversi dello stesso ufficio.

Cass. pen. n. 38852/2008

In tema di cosiddetta «contestazione a catena » la retrodatazione dei termini di durata della custodia cautelare relativi a misura disposta con ordinanza successiva opera anche quando la precedente ordinanza sia stata emessa nell'ambito di procedimento conclusosi con sentenza di condanna passata in giudicato.

Cass. pen. n. 2958/2008

In tema di decorrenza dei termini di custodia cautelare ex art. 303 c.p.p., il computo deve essere eseguito secondo i principi generali stabiliti dagli artt. 14, c.p. e 172, comma secondo, c.p.p., in virtù dei quali il dies a quo non è compreso nel computo dei termini.

Cass. pen. n. 2021/2008

In tema di rapporti tra estinzione di misure cautelari personali e computo dei relativi termini di durata, poichè l'art. 297, comma terzo, prima parte, c.p.p. non pone una deroga ai principi dettati dall'art. 300 c.p.p., è ininfluente la mancata emissione di una nuova ordinanza cautelare in caso di riqualificazione giuridica del fatto contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio o nella sentenza di condanna di primo grado, salvo che ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare.

Cass. pen. n. 46835/2007

In tema di termini di durata della custodia cautelare, l'assoluzione nel giudizio di primo grado dal reato più grave — nell'ipotesi di pluralità di ordinanze cautelari concernenti fatti diversi ma desumibili al momento della emissione della prima ordinanza, ex art. 297, comma terzo, c.p.p. — non spiega effetti in ordine al computo del termine di fase del giudizio di primo grado, concernente i reati superstiti, in quanto in detta fase occorre tener conto solo della contestazione (contra 2007, n. 35113Corte cost. n. 453 del 1997).

Cass. pen. n. 35113/2007

In tema di cd. contestazione a catena, la questione attinente all'asserita violazione dell'art. 297, comma terzo, c.p.p. non riguarda l'intrinseca legittimità dell'ordinanza cautelare, ma l'efficacia della misura, sicchè non è deducibile in sede di riesame, dovendo essere proposta con istanza di revoca della misura cautelare al giudice procedente.

Cass. pen. n. 26434/2007

In tema di c.d. contestazione a catena, la disciplina prevista dall'art. 297, comma terzo, c.p.p. presuppone la coesistenza delle diverse ordinanze applicative di una misura cautelare per il medesimo fatto ovvero per fatti connessi o teleologicamente collegati; ne consegue che tale disciplina non trova applicazione se il secondo provvedimento cautelare non è stata adottato in costanza di esecuzione del primo, perchè per i fatti oggetto di quest'ultimo l'imputato è già stato condannato con sentenza divenuta irrevocabile.

Cass. pen. n. 16492/2007

Ai fini dell'applicazione dell'articolo 297, comma 3, del c.p.p., la nozione di anteriore «desumibilità» delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice «conoscenza» o «conoscibilità» di determinate evenienze fattuali. Infatti, la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all'articolo 297, comma 3, del c.p.p., deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi a un determinato fatto-reato che abbiano in sé una specifica «significanza processuale»; ciò che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente (sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini) del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie (articolo 273 del c.p.p.), suscettibili di dare luogo — in presenza di concrete esigenze cautelari (articolo 274 del c.p.p.) — alla richiesta e all'adozione di una (nuova) misura cautelare. In altri termini, la sola conoscenza o conoscibilità di un determinato evento o dato, discendente dalla sua storica esistenza, non può essere equiparata a una desumibilità processualmente significativa e finalisticamente orientata a valutazioni e apprezzamenti propri dell'attività di indagine preliminare, quale è quella richiesta ai fini dell'articolo 297, comma 3, del codice di procedura penale. (Mass. redaz.).

La ratio della disposizione dettata dall'articolo 297, comma 3, del c.p.p., in tema di «retrodatazione della misura cautelare in caso di «contestazioni a catena», è quella di impedire la strumentale diluizione dei termini di custodia cautelare per effetto di episodiche o frazionate disaggregazioni di più fattispecie cautelari. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 14535/2007

Nell'ipotesi in cui in diversi procedimenti sono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi, non legati da connessione qualificata, e gli elementi posti a fondamento della seconda ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini di custodia cautelare della seconda ordinanza decorrono dal momento in cui è stata eseguita o notificata la prima, se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 18003/2006

La regola della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, nel caso di emissione di più ordinanze che dispongono la medesima misura nei confronti dello stesso imputato per fatti diversi, trova applicazione pur quando, in assenza di connessione qualificata, si sia proceduto separatamente, sempre che i fatti siano stati commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza e gli elementi indiziari posti a fondamento della seconda ordinanza fossero già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente.

Cass. pen. n. 7615/2006

Quando nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, opera la retrodatazione prevista dall'art. 297, comma terzo, c.p.p. anche rispetto a fatti oggetto di un « diverso» procedimento, se questi erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti oggetto della prima ordinanza.

Cass. pen. n. 1077/2006

La retrodatazione, ai sensi dell'art. 297, comma 3, c.p.p., della decorrenza dei termini di custodia cautelare alla data della esecuzione o notificazione di una prima ordinanza cautelare, cui ne siano seguite altre relative a fatti diversi, non opera qualora questi ultimi formino oggetto di un diverso procedimento e non siano in rapporto di connessione qualificata (quale indicato nella citata disposizione normativa) con gli altri ai quali si riferisce la prima ordinanza, nulla rilevando, in tale situazione, il momento della desumibilità dagli atti degli elementi indizianti atti a giustificare l'emissione delle ordinanze successive.

Cass. pen. n. 21957/2005

Nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare per fatti diversi, commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive, prevista dall'art. 297, comma terzo, c.p.p., opera indipendentemente dalla possibilità, al momento dell'emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l'esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive, e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l'esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure.

Cass. pen. n. 20922/2005

Nel caso di pluralità di ordinanze applicative della medesima misura cautelare la regola dettata dall'art. 297, comma 3, c.p.p., secondo cui i termini di durata massima della misura decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima di dette ordinanze opera, finché non sia intervenuto il rinvio a giudizio, indipendentemente (quando sussista il requisito della connessione qualificata) dalla circostanza che i fatti posti a base delle ordinanze successive fossero o non fossero desumibili dagli atti al momento dell'emissione della prima, dovendosi ritenere che la condizione della non desumibilità, prevista dall'ultima parte della citata disposizione normativa per la non operatività della suddetta regola, sia richiesta solo per il caso che le successive ordinanze siano state emesse dopo il rinvio a giudizio. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 6841/2004

La retrodatazione della misura custodiale non vale per la fase successiva all'emissione del provvedimento che dispone il giudizio ordinario o abbreviato ovvero della sentenza di applicazione della pena su richiesta, stante l'inapplicabilità dell'art. 297, comma terzo, c.p.p. in mancanza di specifica disposizione di legge (in motivazione, la Corte ha chiarito che l'«omissione» legislativa si giustifica, in quanto solo nella fase delle indagini preliminari si pone la concreta esigenza di evitare possibili elusioni dei termini di durata delle misure cautelari).

Cass. pen. n. 34479/2003

Agli effetti di quanto previsto dall'art. 297 terzo comma c.p.p., l'esclusione della continuazione o del vincolo della connessione teleologica fra il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ed i singoli reati fine deve essere adeguatamente motivata dal giudice del riesame, in quanto il carattere specialistico del programma criminoso, finalizzato alla commissione di reati connessi al traffico illecito delle sostanze stupefacenti, non consente di negare, sulla base di una semplice massima d'esperienza, che i singoli reati fine siano stati ideati sin dal momento costitutivo dell'associazione.

Cass. pen. n. 34125/2003

Il c.d. «congelamento» dei termini di fase della custodia catuelare, previsto dall'art. 297, comma 4, c.p.p. per i giorni in cui si tiene udienza e per quelli impiegati per la deliberazione della sentenza, opera anche con riguardo ai termini la cui durata sia stata prolungata in base alla diversa e non incompatibile disposizione di cui all'art. 303, comma 1, lett. b), n. 3 bis, c.p.p.

Cass. pen. n. 3632/2003

Ai sensi dell'art. 297, comma terzo, c.p.p., il quale fa divieto di applicare la così detta contestazione a catena, il termine al quale riferire la “desumibilità dagli atti” è diverso a seconda che in relazione al fatto oggetto della prima ordinanza cautelare sia o meno intervenuto rinvio a giudizio, al momento della emissione della seconda ordinanza cautelare, poiché, nella prima ipotesi (prevista dalla seconda parte dell'art. 297, comma terzo), la desumibilità dagli atti deve farsi risalire ad epoca anteriore al disposto rinvio a giudizio, mentre, nella seconda ipotesi (prevista dalla prima parte dell'art. 297, comma terzo), la desumibilità dagli atti deve essere riferita ad epoca anteriore all'emissione della prima ordinanza cautelare.

Cass. pen. n. 42271/2002

In tema di divieto di c.d. «contestazione a catena», i termini di efficacia della nuova ordinanza cautelare emessa per lo stesso fatto oggetto di precedente ordinanza, ovvero per fatti diversi commessi antecedentemente e legati ad esso dal rapporto di connessione qualificata di cui alla prima parte dell'art. 297, comma 3, c.p.p., decorrono dal giorno in cui è stata notificata o eseguita la prima, se il quadro legittimante la seconda misura era già desumibile anteriormente ad essa, mentre decorrono dal momento in cui è emerso il quadro indiziante — inteso come notizia del fatto-reato e presenza delle condizioni legittimanti la custodia — se questo si è reso concreto in una data successiva al primo provvedimento, dovendosi escludere, ai fini della valutazione di «desumibilità degli atti» e della conseguente retrodatazione di efficacia dell'ulteriore provvedimento, la rilevanza delle sole acquisizioni precedenti alla prima ordinanza, qualora quella successiva sia emanata in pendenza della fase delle indagini preliminari.

Cass. pen. n. 31287/2002

In tema di divieto di contestazioni a catena (art. 297, comma 3, c.p.p.), l'individuazione del momento di “desumibilità dagli atti” degli elementi idonei a costituire presupposto per l'emissione della successiva ordinanza cautelare in epoca anteriore al disposto rinvio a giudizio presuppone che, in relazione al fatto oggetto della prima ordinanza cautelare, sia intervenuto il rinvio a giudizio al momento della emissione della seconda ordinanza cautelare (art. 297, comma 3, seconda parte, c.p.p.). Qualora, invece, il rinvio a giudizio non sia intervenuto, la desumibilità dagli atti deve sussistere (art. 297, comma 3, prima parte, c.p.p.) al momento di emissione della prima ordinanza cautelare.

Cass. pen. n. 41370/2001

In tema di provvedimenti concernenti l'applicazione di misure cautelari personali, poiché nessuna disposizione di legge vieta che per uno stesso fatto di reato siano emessi più provvedimenti cautelari, rilevando la circostanza solo ai fini della durata della misura ai sensi del comma 3 dell'art. 297 c.p.p. nell'ipotesi in cui il Gip, emesso un provvedimento cautelare, trasmetta successivamente, senza dichiarare la propria incompetenza, gli atti, ai sensi dell'art. 16 del codice di rito, a diverso P.M. ed il Gip presso quest'ultimo emetta a sua volta ulteriore provvedimento custodiale, nessuna nullità si verifica per violazione dell'art. 27 c.p.p.

Cass. pen. n. 27542/2001

In tema di durata massima della custodia cautelare, il c.d. congelamento dei termini di fase previsto dall'art. 297, comma 4, c.p.p. opera automaticamente, senza necessità di una richiesta del pubblico ministero o di un provvedimento del giudice.

Cass. pen. n. 18895/2001

Qualora nei confronti dello stesso soggetto siano state emesse ed eseguite più ordinanze di custodia cautelare per reati diversi, l'intervenuta assoluzione dell'imputato del reato cui si riferisce taluna di dette ordinanze non incide sulla perdurante applicabilità — sussistendone gli altri presupposti — della disciplina dettata dall'art. 297, comma 3, c.p.p. in materia di decorrenza dei termini di custodia cautelare. Tale decorrenza rimane pertanto quella individuabile sulla base di detta disciplina, nulla rilevando neppure che, medio tempore, la misura sia stata mantenuta per il solo reato per il quale è stata poi pronunciata assoluzione e che tale reato fosse più grave dell'altro ancora sub judice per il quale sia invece intervenuta condanna non definitiva, fermo restando, naturalmente, che a tale condanna deve farsi esclusivo riferimento per la determinazione del termine concretamente applicabile.

Cass. pen. n. 8631/2001

L'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, per fatti diversi e anteriori a quelli oggetto di altro provvedimento restrittivo, viola il divieto delle «contestazioni a catena» solo se tra i fatti sia stata accertata in concreto la connessione indicata nell'art. 12, comma 1, lett. b) e c) c.p.p. (Fattispecie nella quale la Corte, facendo applicazione del principio, ha annullato l'ordinanza del tribunale che aveva dichiarato l'inefficacia della misura cautelare disposta dal Gip per decorrenza del termine massimo stabilito per la fase delle indagini preliminari, calcolato dalla esecuzione della prima ordinanza, per violazione del divieto delle «contestazioni a catena» di cui all'art. 297, comma 3, c.p.p. — ed aveva ritenuto — allo scopo — sufficiente il solo fatto in sè della unicità della fonte probatoria.

Cass. pen. n. 5556/2000

Ai fini del computo dei termini di durata massima, la misura cautelare degli arresti domiciliari è compatibile con la espiazione di una pena, poiché in entrambe le situazioni la persona risulta privata della libertà di locomozione, indipendentemente dal luogo di detenzione. Ne consegue che gli effetti della misura cautelare decorrono dal giorno di notificazione della relativa ordinanza e non da quello, eventualmente successivo, in cui si estingue la pena in corso di esecuzione. (Fattispecie relativa a delitto di evasione, contestato sul presupposto del persistere dello status detentionis dell'agente, in virtù dell'individuazione, ritenuta erronea dalla Corte, di un dies a quo postdatato della misura cautelare).

Cass. pen. n. 637/2000

In tema di custodia cautelare, la decorrenza dei termini non si computa ai sensi degli artt. 172 c.p.p. (vale a dire, secondo il calendario comune e senza tener conto dell'ora o del giorno in cui essa è iniziata), ma dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo. Invero, come stabilisce l'art. 297 codice di rito, l'efficacia della custodia cautelare è in atto dal momento stesso della esecuzione della misura; da quel momento pertanto decorrono i termini per gli adempimenti relativi all'esercizio di attività implicanti il passaggio di fase.

Cass. pen. n. 608/2000

In tema di perdita di efficacia della custodia cautelare per scadenza dei termini, quando i titoli custodiali, pur se tutti decorrenti, quanto a durata, dalla prima ordinanza applicativa ex art. 297, comma terzo, c.p.p., siano stati emessi in distinti procedimenti, l'indagato ha interesse a ottenere la liberazione in relazione al titolo per il quale i termini di custodia siano scaduti, acquistando in tal modo lo status libertatis in ciascun provvedimento nel quale egli si trovi coinvolto.

Cass. pen. n. 6237/2000

La norma di cui al terzo comma dell'articolo 297 c.p.p. non trova applicazione nel caso in cui la cosiddetta «contestazione a catena» abbia per oggetto il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso ed i cosiddetti reati fine, perché il delitto previsto dall'articolo 416 bis c.p. si commette al momento della affiliazione al sodalizio, mentre i reati fine vengono ideati ed attuati successivamente, senza il vincolo rigidamente previsto dall'articolo 12, primo comma, lett. c) c.p.p. Ed invero, la natura permanente dell'associazione e la sua preesistenza rispetto ai singoli episodi criminali, impedisce di collegare fra di loro i reati in modo tale da poter sostenere che questi ultimi siano compiuti per eseguire il reato associativo. Ne consegue che la contestazione del reato associativo, anche se effettuata successivamente rispetto ai singoli reati, non determina, ai fini della custodia cautelare, l'effetto indicato dall'articolo 297, terzo comma, c.p.

Cass. pen. n. 3040/1999

La permanenza del reato di associazione per delinquere cessa con la privazione della libertà personale dell'agente. Pertanto, se dopo la scarcerazione risulti provata l'ulteriore adesione al sodalizio, deve ravvisarsi un nuovo e autonomo reato per il quale può essere emesso un nuovo provvedimento cautelare, dalla notifica del quale decorre un nuovo termine di custodia cautelare, senza che sia violato l'art. 297, comma terzo, c.p.p.

Cass. pen. n. 4470/1999

Agli effetti della deroga al principio di retrodatazione dei termini di custodia cautelare stabilita dall'art. 297, comma 3, ultimo periodo, c.p.p., nel caso di più ordinanze custodiali emesse per fatti connessi, l'esistenza del «fatto» deve essere intesa con riferimento al singolo imputato e non al più generale tema delle indagini, giacché, altrimenti, il pubblico ministero sarebbe arbitro di diluire i termini di custodia cautelare aggiungendo sempre nuovi imputati o nuove imputazioni. (Fattispecie nella quale la S.C., nell'enunciare il principio di cui in massima, ha escluso la fondatezza dell'affermazione del giudice a quo secondo la quale, agli effetti della disposizione menzionata, per «fatti» «debbono intendersi i fatti-reato complessivamente connessi allo stesso filone di indagine», e ciò per non pregiudicare la riservatezza dell'attività di indagine relativa ai reati connessi).

Cass. pen. n. 2526/1999

In tema di termini di durata delle misure cautelari, l'articolo 297, comma terzo, c.p.p., ai fini della retrodatazione della seconda misura custodiale, ne limita la rilevanza all'ipotesi in cui un reato sia stato commesso per eseguirne un altro. Tale rapporto di connessione non può ravvisarsi in linea di principio tra i reati riconducibili al programma di azione criminale di un'associazione per delinquere ed il delitto associativo. Ed invero, da un lato sarebbe errato sostenere che i singoli episodi in cui il programma si manifesta sono stati commessi per eseguire il reato associativo, perché questo, a seguito dell'accordo degli associati, è già di per sè perfetto ed operante, con o senza la consumazione dei delitti in parola; e dall'altro il reato associativo sorge per attuare un programma criminoso aperto e globale e non un singolo o singoli reati, sicché l'accordo trascende i suoi momenti esecutivi e non può dirsi immediatamente diretto ad eseguire proprio quel reato o quei reati nella loro storicità. (Nella specie, la Corte ha tuttavia ritenuto che il rapporto tra la detenzione di armi e l'associazione per delinquere di tipo mafioso non sia esclusivamente quello di semplice reato rientrante nel programma criminale dell'associazione, in quanto la detenzione di armi è diretta proprio ed unicamente ad agevolare l'operatività dell'associazione e può definirsi strumentale poiché commessa per eseguire il delitto associativo).

Cass. pen. n. 4895/1999

In caso di contestazione a catena ex art. 297, terzo comma, c.p.p. il termine di custodia cautelare comincia a decorrere per tutte le misure cautelari concatenate dalla data di esecuzione della prima di esse e prosegue per tutta la durata della propria fase, cumulando quanto già patito in forza del primo titolo custodiale, all'eventuale residuo per il caso in cui questo non fosse durato fino al suo massimo di pari fase.

Cass. pen. n. 1499/1999

L'intervenuta declaratoria di nullità del decreto che ha disposto il giudizio non incide sulla sua idoneità a produrre comunque gli effetti di cui all'art. 297, comma 3, c.p.p., per cui deve in ogni caso farsi ad esso riferimento ai fini della verifica in ordine alla desumibilità o meno dagli atti, prima della sua emanazione, di fatti per i quali sia stata emessa ordinanza di custodia cautelare e che si assumano connessi con altri per i quali sia stata in precedenza emessa analoga ordinanza.

Cass. pen. n. 1764/1999

Con l'introduzione del nuovo comma terzo dell'art. 297 c.p.p., per effetto dell'art. 12 della legge 8 agosto 1995, n. 332, il legislatore ha esteso l'ambito del divieto della cosiddetta contestazione a catena, ai fini della decorrenza del termine iniziale della custodia cautelare, oltre che allo stesso fatto, anche a fatti diversi da quello per il quale sia stata emessa la prima ordinanza custodiale, alle condizioni: a) che essi siano stati commessi anteriormente a detta ordinanza; b) che risultino connessi al fatto per il quale è stata emessa la prima ordinanza, essendo configurabile il concorso formale, la continuazione o il nesso teleologico; c) che essi siano desumibili dagli atti prima che sia disposto il rinvio a giudizio per il fatto oggetto della originaria ordinanza cautelare.

Cass. pen. n. 3268/1999

La nuova disciplina dell'art. 297, comma terzo, c.p.p., introdotta dall'art. 12 della legge n. 332 del 1995, che ha esteso la precedente normativa concernente la cosiddetta «contestazione a catena» ai casi di connessione tra i reati, pur essendo di immediata applicazione ai procedimenti in corso, non può incidere, allorché sia intervenuto il rinvio a giudizio, sulla precedente fase procedimentale e non può, quindi, comportare un nuovo calcolo dei termini di custodia cautelare relativi alla detta fase, sulla base delle regole da essa stabilite

Cass. pen. n. 2136/1999

In tema di misure cautelari coercitive, il divieto di «contestazione a catena» di cui al terzo comma dell'art. 297 c.p.p. (che, in caso di reati connessi, stabilisce la retrodatazione del termine iniziale della custodia cautelare, commisurata alla imputazione più grave, all'epoca di emissione del più antico provvedimento restrittivo) trova il suo limite nel caso in cui i reati oggetto delle nuove contestazioni non siano stati desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio, relativo al fatto con il quale sussiste la connessione. Tale precisazione va tuttavia intesa nel senso che la retrodatazione della misura cautelare opera soltanto con riferimento ad episodi (desumibili dagli atti) che avrebbero giustificato l'adozione del provvedimento di rigore prima del rinvio a giudizio, intervenuto per i fatti oggetto della misura già applicata. Invero, lo scopo della norma è quello di evitare che la artificiosa separazione dei procedimenti, con rinvii a giudizio opportunamente frazionati nel tempo, possa essere destinata ad una protrazione della durata delle misure, che viceversa non si avrebbe se, disposto contestualmente il rinvio a giudizio per tutti i reati, il processo risultasse unico anche nelle fasi successive. (Fattispecie nella quale i nuovi reati sono stati commessi, ed, a maggior ragione, portati a conoscenza del P.M., dopo la esecuzione della misura cautelare, ma prima del rinvio a giudizio relativo agli episodi criminosi per i quali fu disposta la carcerazione).

In tema di reato associativo, la permanenza cessa anche con la privazione della libertà personale dell'agente, con la conseguenza che, se - successivamente alla instaurazione dello stato di detenzione - risulti provata ulteriore adesione al sodalizio criminoso, deve ravvisarsi nuovo ed autonomo reato, per il quale può essere emesso nuovo provvedimento cautelare coercitivo, dalla cui notifica decorre nuovo termine di custodia cautelare.

Cass. pen. n. 1835/1999

Il divieto delle contestazioni a catena e la conseguente applicazione della disciplina dell'art. 297, comma terzo, c.p.p., trovano applicazione nelle ipotesi di misure cautelari riferibili allo stesso fatto o a fatti diversi tra i quali sussista la connessione qualificata di cui all'art. 12, comma primo, lettere b) e c) c.p.p., restando esclusi in ogni altra ipotesi in cui, pur essendovi inerzia colpevole del P.M., non vi sia anche connessione qualificata tra i reati ai quali si riferiscono le diverse ordinanze cautelari. (Nell'enunciare il principio sopra trascritto, la S.C. ha sottolineato che tale interpretazione limitativa della disciplina delle contestazioni a catena appare ineludibile alla luce delle modificazioni introdotte con legge n. 332 del 1995, pur lasciando senza tutela molti indagati nei cui confronti il P.M., con comportamento scorretto, nasconda fatti o elementi in base ai quali potrebbe richiedere e ottenere la misura cautelare anche per reati diversi da quello per il quale l'indagato è già ristretto e procrastini la richiesta di custodia, al fine di sfruttare la durata della precedente carcerazione e ricongiungerla ad libitum con la nuova, prolungando con tale artificio i termini custodiali).

Cass. pen. n. 290/1999

In tema di c.d. contestazione a catena la disciplina prevista dall'art. 297, terzo comma, c.p.p. è applicabile, oltre che alle ipotesi espressamente previste, anche a quelle relative a fatti diversi, ancorché non in rapporto di connessione qualificata ai sensi dell'art. 12, primo comma, lett. b) e c) c.p.p., sempre che di detti fatti diversi si accerti in modo incontestabile che, al momento della emissione del primo provvedimento, a disposizione dell'autorità giudiziaria vi erano già idonei indizi di colpevolezza. (Fattispecie relativa ad associazione per delinquere per la quale è stato escluso il divieto della contestazione a catena allorché anche dopo l'arresto eseguito in esecuzione di provvedimento cautelare coercitivo, sia patologicamente persistito il legame associativo).

Cass. pen. n. 833/1999

Non è ammissibile il ricorso per cassazione avverso ordinanza del tribunale del riesame emessa a seguito del procedimento di cui all'art. 309 c.p.p. con il quale si deduca la sopravvenuta caducazione della misura cautelare per una delle ipotesi previste dall'art. 297, terzo comma, c.p.p., trattandosi di vizio processale che non intacca l'intrinseca legittimità dell'ordinanza impositiva della misura ma che agisce sul diverso piano dell'efficacia della misura stessa, per cui deve essere dedotto e dichiarato nell'ambito di procedimento appositamente promosso con l'istanza di revoca di cui all'art. 306 c.p.p., e non direttamente con la richiesta di riesame o addirittura con il ricorso per cassazione.

Cass. pen. n. 6530/1999

Agli effetti di quanto previsto dall'art. 297, comma 3, c.p.p., fra reato associativo e singoli reati fine non è ravvisabile un vincolo rilevante ai fini della continuazione e meno ancora della connessione teleologica, posto che, normalmente, al momento della costituzione della associazione, i reati fine sono previsti solo in via generica. Tale vincolo potrà ritenersi sussistente soltanto nella eccezionale ipotesi in cui risulti che fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dalla adesione ad esso, un determinato soggetto, nell'ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamente commessi. (Fattispecie in tema di associazione di stampo mafioso in ordine alla quale si deduceva, agli effetti cautelari, una sorta di «presunzione di continuazione» rispetto ai reati fine).

Cass. pen. n. 3381/1999

Il divieto della cosiddetta contestazione a catena, di cui al terzo comma dell'art. 297 c.p.p., trova applicazione nel senso che la unificazione e retrodatazione dei termini di decorrenza delle misure cautelari si applica per le misure relative agli stessi fatti, ovvero per le misure relative a fatti diversi legati da connessione qualificata, quando questi siano stati commessi anteriormente alla prima ordinanza cautelare. Questa disciplina garantista è derogata per fatti-reato diversi uniti da connessione qualificata, quando questi fatti non siano desumibili dagli atti stessi esistenti prima del rinvio a giudizio disposto per il primo fatto reato con cui intercorre la connessione. Il termine temporale di riferimento è diverso per le due ipotesi, identificandosi per la prima ipotesi nella prima ordinanza cautelare e per la seconda ipotesi nel decreto dispositivo del rinvio a giudizio.

Cass. pen. n. 3680/1998

Le cause che determinano la perdita di efficacia dell'ordinanza impositiva della misura cautelare, tra le quali rientra quella prevista dal terzo comma dell'art. 297 c.p.p. — che disciplina il caso in cui siano emessi più provvedimenti che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto —, si risolvono in vizi processuali che non intaccano l'intrinseca legittimità dell'ordinanza, ma agiscono sul diverso piano dell'efficacia della terza misura, per cui devono essere dichiarati nell'ambito di un procedimento appositamente promosso con l'istanza di revoca ex art. 306 c.p.p.

Cass. pen. n. 4561/1998

La norma di cui all'art. 297 c.p.p., in tema di misura cautelare, prevede espressa deroga alla regola generale in tema di computo dei termini, di cui all'art. 172 c.p.p. Infatti nel caso dell'art. 297 i termini sono correlati al pregiudizio arrecato alla libertà dell'indagato, per cui non è possibile ritenere che la custodia decorra dal giorno successivo alla sua applicazione, perché la sua efficacia è in atto al momento dell'esecuzione della misura e da quel momento decorrono i termini per gli adempimenti relativi all'esercizio di attività implicanti il passaggio di fase.

Cass. pen. n. 3119/1998

Il giudizio sulle gravi condizioni di salute deve essere rapportato alle esigenze cautelari e alla loro gravità, così che quando queste sono maggiori, tanto più gravi devono essere le condizioni di salute per giustificare l'esclusione della custodia cautelare in carcere e, quando sono minori, un quadro di particolare gravità clinica è sufficiente a supportare una misura cautelare meno afflittiva.

Cass. pen. n. 1831/1998

Qualora vengano emesse, in momenti diversi, due ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti del medesimo indagato, l'una per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso fino ad una determinata data e l'altra per il medesimo delitto consumato, anche, successivamente, non può trovare applicazione il principio del ne bis in idem, operante anche in materia cautelare, in quanto, nonostante la identità del reato, i fatti sono diversi, essendo quelli considerati nella seconda ordinanza posteriori ed autonomi rispetto ai primi poiché prosecutivi dell'attività delittuosa tipica della associazione mafiosa.

Cass. pen. n. 1072/1998

In tema di durata massima dei termini di custodia cautelare, mentre l'art. 297, comma quarto, c.p.p. introduce l'istituto del cosiddetto «congelamento», in forza del quale, limitatamente ai termini di fase e indipendentemente da un provvedimento del giudice, i giorni in cui sono tenute le udienze e quelli necessari per la deliberazione della sentenza non si computano, l'art. 304, comma secondo, c.p.p. prevede, in caso di dibattimenti particolarmente complessi, la sospensione dei termini di custodia cautelare, per effetto di un provvedimento del giudice, operante anche sugli intervalli fra le udienze e tra queste e il momento di deliberazione della decisione (cosiddetti tempi morti). Poiché i due istituti sono completamente autonomi, nei casi in cui venga adottato il provvedimento previsto dal comma secondo dell'art. 304, di più ampia portata temporale, il periodo di «congelamento» viene ad essere assorbito da quello di durata della sospensione, con la conseguenza della non cumulabilità dei periodi stessi.

Cass. pen. n. 996/1998

In tema di divieto di «contestazioni a catena», di cui all'art. 297, comma 3, c.p.p., il termine al quale riferire la «desumibilità dagli atti» è diverso a seconda che in relazione al fatto oggetto della prima ordinanza cautelare sia o meno intervenuto il rinvio a giudizio, al momento della emissione della seconda ordinanza cautelare. Nella prima ipotesi (seconda parte dell'art. 297, comma 3), la desumibilità dagli atti deve farsi risalire ad epoca anteriore al disposto rinvio a giudizio; nella seconda ipotesi (prima parte dell'art. 297 comma 3), invece, la desumibilità dagli atti, deve essere riferita ad epoca anteriore all'emissione della prima ordinanza cautelare. In ogni caso, non comporta la retrodatazione del termine di custodia l'acquisizione agli atti, entro i limiti temporali indicati dalle citate disposizioni, della mera notizia del fatto-reato, essendo invece indispensabile che sussistano i presupposti legittimanti l'adozione della misura cautelare.

Cass. pen. n. 437/1998

La retrodatazione della misura custodiale non vale per la fase del dibattimento, nella quale il termine decorre dal decreto di citazione a giudizio, ed ove non è prevista la possibilità di una retrodatazione del secondo decreto di citazione al primo, anche se riferito allo stesso reato per cui è stato emanato l'altro; ciò in quanto l'art. 297, comma terzo, c.p.p. è inapplicabile alla fase del dibattimento in mancanza di specifica disposizione di legge. (Nella specie l'imputato era stato tratto a giudizio con due decreti dopo essere stato raggiunto da due misure di custodia cautelare per reato associativo riconosciuto come unico, ed i termini della fase dibattimentale erano stati correttamente computati dal secondo decreto di rinvio a giudizio).

Cass. pen. n. 226/1998

In tema di congelamento e di sospensione dei termini procedurali va affermata la totale diversità dei due istituti e la loro applicabilità in via alternativa nel computo dei termini della fase processuale; con la conseguenza dell'esclusione del cumulo dei due periodi di sospensione. Infatti l'istituto del congelamento dei termini si applica ope legis, ed opera solo in relazione ai giorni di udienza ed a quelli necessari per la deliberazione, incidendo solo sui termini di fase; mentre quello della sospensione opera in virtù di un provvedimento del giudice, e comprende i cosiddetti tempi morti (intervalli tra le udienze e tra le udienze e la deliberazione), incidendo non solo sui termini di fase ma anche su quelli di durata complessiva della misura cautelare.

Cass. pen. n. 5166/1998

Il congelamento dei termini di custodia cautelare previsto dall'art. 297, comma quarto, c.p.p., e la sospensione dei termini di custodia cautelare prevista dall'art. 304, comma secondo, c.p.p., sono istituti diversi e indipendenti: il primo opera ex lege e solo sui giorni di udienza e su quelli necessari per la deliberazione della sentenza; l'altro richiede, invece, uno specifico provvedimento di sospensione e incide anche sugli intervalli e i tempi morti. Peraltro tali istituti non sono cumulabili, nel senso che in presenza della sospensione disposta a norma dell'art. 304, comma secondo, non può operare anche il congelamento dei tempi di udienza ex art. 297, comma quarto, essendo tale effetto ricompreso nel più ampio effetto sospensivo, restando in esso assorbito.

Cass. pen. n. 354/1998

Qualora, dovendosi operare una riduzione di pena detentiva per effetto di attenuanti o diminuenti, il risultato ottenuto comprenda una frazione di giorno, detto risultato, avuto riguardo tanto al disposto di cui all'art. 297, comma 1, c.p.p. (secondo cui “gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo”), quanto a quello di cui all'art. 134, comma secondo, c.p. (secondo cui “nelle condanne a pene temporanee non si tien conto delle frazioni di giorno”), deve essere corretto con l'eliminazione della suindicata frazione e non già con l'arrotondamento della stessa all'unità superiore. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che correttamente, in caso di “patteggiamento”, dovendosi ridurre di un terzo la pena di gg. 20 di arresto, il risultato fosse stato determinato in gg. 13 e non in gg. 14).

Cass. pen. n. 4941/1997

In tema di compatibilità tra custodia cautelare e detenzione, il criterio stabilito dall'art. 297 comma 5 c.p.p., ai fini della decorrenza dei termini di custodia cautelare in costanza di detenzione per altro titolo, è richiamato dall'art. 298 comma 1 c.p.p. per escludere la sospensione della misura cautelare in atto, quando sopravvenga un ordine di carcerazione. La compatibilità è determinata dalla natura della misura cautelare e deve perciò ritenersi che la misura degli arresti domiciliari sia compatibile con l'espiazione della pena, infatti sia l'esecuzione di un ordine di carcerazione che il provvedimento di arresti domiciliari privano la persona della libertà di locomozione, indipendentemente dal luogo in cui è ristretta. Né l'incompatibilità può derivare da prescrizioni collaterali alla misura cautelare, che ne segnano esclusivamente le modalità esecutive, quali il permesso di recarsi in determinate ore del giorno per terapia riabilitativa presso il Sert, dal momento che esse non ne mutano la natura e gli effetti. Difatti la persona agli arresti, nel tempo limitato in cui deve trovarsi presso il centro riabilitativo, incluso quello necessario per gli spostamenti, si ritiene agli arresti anche se in diverso luogo mentre, ove non vi si rechi, si sottrae alla misura. (Nell'affermare il principio di cui in massima la Corte ha confermato il provvedimento del giudice di merito che aveva ordinato la scarcerazione dell'imputato ai sensi dell'art. 300 comma 4 c.p.p. anche se, essendo l'imputato in regime di arresti domiciliari, era stato notificato ordine di carcerazione per altra condanna, non ritenendo sospesa la custodia cautelare).

Cass. pen. n. 5864/1997

Il criterio generale di computo dei termini di custodia cautelare previsto dall'art. 297, comma 4, c.p.p. non trova applicazione qualora i suddetti termini siano stati sospesi ai sensi dell'art. 304, comma 2, c.p.p., applicandosi in tale ipotesi soltanto la disciplina dettata dalla seconda delle indicate disposizioni normative, per la quale ugualmente — così come previsto dall'art. 297, comma 4 — non si tiene conto dei giorni d'udienza e di quelli impiegati per la deliberazione della sentenza.

Cass. pen. n. 3482/1997

Ai fini dell'applicabilità dell'art. 297, comma terzo, c.p.p., per fatti «non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio» devono intendersi quelli per cui non sono ancora acquisiti, al momento della chiusura delle indagini in ordine ad altro reato contemplato in una precedente ordinanza cautelare e legato da qualificata connessione, gravi indizi di colpevolezza, indipendentemente dal fatto che il P.M. ne abbia notizia storica.

Cass. pen. n. 9/1997

Il divieto della cosiddetta «contestazione a catena» di cui al terzo comma dell'art. 297 c.p.p. trova applicazione in tutte le situazioni cautelari riferibili allo stesso fatto o a fatti diversi tra cui sussista connessione ai sensi dell'art. 12, comma primo, lett. b) e c), stesso codice, limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, a nulla rilevando che esse emergano nell'ambito di un unico procedimento o di più procedimenti, pendenti dinanzi allo stesso giudice, e quindi innanzi ad esso cumulabili, ovvero a diversi giudici, e quindi cumulabili nella sede giudiziaria da individuare a norma degli artt. 13, 15 e 16 c.p.p. Tale divieto si applica a condizione che siano desumibili dagli atti, entro i limiti temporali rispettivamente previsti dal primo e dal secondo periodo del citato art. 297, terzo comma, per le diverse situazioni in essi previste, tutti gli elementi apprezzabili come presupposti per l'emissione delle successive ordinanze cautelari i cui effetti sono da retrodatare, non essendo sufficiente, ai fini della sua operatività, la mera notizia del fatto-reato. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha affermato che le difficoltà operative che la sua applicazione può comportare in caso di pluralità di procedimenti, specie se pendenti dinanzi a distinte autorità giudiziarie, devono essere superate facendo ricorso alla disciplina sul cumulo dei procedimenti dinanzi al giudice individuabile a norma degli artt. 13 e seguenti c.p.p., anche mediante il contributo della difesa il cui accesso agli atti nel procedimento de libertate, soprattutto dopo la sentenza n. 192/1997 della Corte costituzionale, non incontra più limitazioni).

Cass. pen. n. 1577/1997

Nell'ambito del periodo di sospensione dei termini disposto dall'art. 304, secondo comma, c.p.p. non opera il congelamento dei giorni di udienza di cui all'art. 297, quarto comma, c.p.p., essendo questi ultimi già oggetto del (più ampio) periodo di sospensione. Per il calcolo della durata di custodia cautelare ex art. 304, sesto comma in relazione al quarto comma, c.p.p. rileva il periodo di sospensione aumentato dell'eventuale tempo intercorso tra il dies a quo di cui alle lett. b), c), d) del primo comma dell'art. 303 e l'ordinanza di sospensione: tempo, quest'ultimo, computato alla stregua dell'art. 297, quarto comma, c.p.p.

Cass. pen. n. 2206/1997

Il congelamento dei termini della custodia cautelare previsto dall'art. 297 comma 4 c.p.p., non è cumulabile con la sospensione dei termini prevista dall'art. 304 comma 2 c.p.p. poiché la seconda, di più ampia portata, esclude l'operatività del primo, limitato ai giorni delle udienze e della deliberazione della sentenza, che non siano già «coperti» dal provvedimento sospensivo. In nessun caso è possibile perciò cumularne gli effetti sommando al doppio dei termini di fase (tetto massimo previsto dall'art. 304 comma 6 c.p.p.) i giorni impegnati nell'udienza e nella deliberazione della sentenza.

Cass. pen. n. 2261/1997

Alla stregua della vigente formulazione dell'art. 297, comma 3, c.p.p., pur dovendosi in linea di principio ritenere che la disciplina ivi contenuta in materia di c.d. «contestazioni a catena» trovi applicazione soltanto nell'ambito di un medesimo procedimento, deve ammettersi la possibilità di una deroga quando, ad iniziativa del pubblico ministero, dall'unico procedimento vengano separate le indagini concernenti taluni fatti, poiché in tal caso l'organo procedente conosce ed è in grado di valutare unitariamente le notizie di reato oggetto dei procedimenti separati e deve impedirsi che la separazione possa essere utilizzata per eludere il divieto di artificioso frazionamento dei provvedimenti custodiali onde protrarne la durata.

Cass. pen. n. 5901/1996

La norma contenuta nell'ultima parte dell'art. 297, comma terzo, c.p.p., secondo la quale «la disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma» deve intendersi riferita a fatti emersi nell'ambito di un unico procedimento penale, nella fase delle indagini preliminari e non in quella propriamente processuale, che ha inizio in seguito al decreto che dispone il giudizio, giacché la norma tende a sanzionare proprio il fatto che da un unico procedimento in indagini preliminari si dia luogo a più ordinanze cautelari e a più decreti che dispongono il giudizio relativamente a fatti che erano emersi dagli atti già al momento in cui era stato disposto il primo rinvio a giudizio.

Cass. pen. n. 2058/1996

In tema di decorrenza dei termini di custodia cautelare la disposizione contenuta nell'art. 297, comma terzo, c.p.p. è applicabile anche ad ordinanze emesse nell'ambito di procedimenti diversi, nonché pendenti innanzi a giudizi con diversa competenza territoriale, purché relative allo stesso fatto, ovvero a fatti tra i quali sussista uno specificato rapporto di connessione.

Cass. pen. n. 4490/1996

Il divieto della cosiddetta «contestazione a catena», anche nell'attuale formulazione dell'art. 297, comma 3, c.p.p., trova applicazione soltanto quando si verta in ambito di unico procedimento e non quando si tratti di procedimenti diversi, ancorché affidati allo stesso giudice o, a maggior ragione, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie. *

Cass. pen. n. 56/1993

La coesistenza dell'esecuzione da parte di un medesimo soggetto, il quale versi nella duplice situazione giuridica di imputato e condannato, di una delle misure alternative alla detenzione previste dalla legge n. 354 del 1975 e di una misura cautelare, consentita dal disposto del secondo comma dell'art. 298 c.p.p., non deroga al principio secondo cui uno stesso giorno (o periodo) di privazione della libertà personale non può essere autonomamente imputato a due diverse pene; come si evince dal quinto comma dell'art. 297 stesso codice, infatti, per quel che concerne la misura cautelare, la coesistenza è limitata al computo ed al decorso dei termini massimi di durata ed il relativo periodo non può essere computato ai fini della determinazione della pena da eseguire ai sensi dell'art. 657, primo comma, c.p.p.

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