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Articolo 591 ter Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Ricorso al giudice dell'esecuzione

Dispositivo dell'art. 591 ter Codice di procedura civile

Quando nel corso delle operazioni di vendita insorgono difficoltà, il professionista delegato può rivolgersi al giudice dell'esecuzione, il quale provvede con decreto.

Avverso gli atti del professionista delegato è ammesso reclamo delle parti e degli interessati, da proporre con ricorso al giudice dell'esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal compimento dell'atto o dalla sua conoscenza. Il ricorso non sospende le operazioni di vendita, salvo che il giudice dell'esecuzione, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione.

Sul reclamo di cui al secondo comma, il giudice dell'esecuzione provvede con ordinanza, avverso la quale è ammessa l'opposizione ai sensi dell'articolo 617(4).

Note

(1) Se durante lo svolgimento dei sui compiti insorgono difficoltà, il professionista può risolverle direttamente o rivolgersi al giudice dell'esecuzione, il quale provvederà con decreto senza contraddittorio tra le parti.
Si tratta, infatti, di difficoltà di natura materiale e di ordine giuridico relative all'interpretazione delle norme che regolano la vendita con incanto.
(2) Gli atti del professionista possono essere oggetto di reclamo al giudice dell'esecuzione, il quale deciderà con ordinanza revocabile ai sensi dell'art. 487 del c.p.c. e opponibile ai sensi dell'art. 617 del c.p.c..
Lo stesso mezzo di impugnazione può essere proposto avverso il decreto pronunciato dal giudice dell'esecuzione a seguito della richiesta di chiarimenti da parte del professionista. Tale reclamo verrà deciso con ordinanza, anch'essa impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 del c.p.c..
(3) Articolo così modificato dal D. L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2015, n.132.
(4) Disposizione riformulata dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia"), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, il quale ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Spiegazione dell'art. 591 ter Codice di procedura civile

La norma in esame disciplina le modalità di ricorso al giudice dell’esecuzione avverso gli atti del professionista delegato ed anch’essa è stata oggetto di modifiche in occasione della Riforma del processo civile di cui al D.Lgs. 10.10.2022, n. 149.
Questa, come riformulata per effetto del D.L. 27.6.2015, n. 83, prevedeva originariamente che, nel caso in cui fossero insorte difficoltà nel corso della vendita forzata, il professionista, o il commissionario nella vendita mobiliare, avrebbe dovuto rivolgersi al giudice dell’esecuzione affinchè provvedesse sulle stesse con decreto reclamabile.
Sul reclamo provvedeva sempre il giudice dell’esecuzione con ordinanza impugnabile ai sensi dell’art. 669 terdecies del c.p.c..
Sempre con reclamo potevano essere impugnati gli atti del professionista delegato.

Tale formulazione aveva fatto sorgere una serie di problematiche, legate, in particolare, alla mancata indicazione di un termine (perentorio) per la presentazione del reclamo avverso gli atti del professionista nonchè alla previsione del reclamo al collegio, ex art. 669 terdecies del c.p.c., come strumento di impugnazione dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione.
In particolare, per quanto concerneva la mancanza di un termine entro cui proporre il reclamo avverso gli atti del professionista, ciò comportava che i vizi degli atti, non sanandosi, si sarebbero potuti trasmettere agli atti successivi e ciò si sarebbe potuto a sua volta tradurre in motivo di impugnazione del decreto di trasferimento ex art. 617 del c.p.c. (chiaramente, l’impugnazione del decreto di trasferimento avrebbe significato poter rimettere in discussione anche l’aggiudicazione).
Per quanto concerneva, invece, la previsione del reclamo al collegio per impugnare l’ordinanza del giudice dell’esecuzione, ci si chiedeva quale fosse la sua reale natura, e più precisamente se questa fosse o meno da considerarsi provvedimento idoneo al giudicato.
Analoghe questioni erano state sollevate in relazione all’art. 534 ter del c.p.c., che disciplina il medesimo istituto in relazione ai beni mobili e che è stato pure interessato dalla Riforma.

Ebbene, con l’ultima riforma del processo civile sono state introdotte modifiche di carattere sistematico, risultando adesso la norma divisa in tre e non più in due commi.
Il primo comma continua a prevedere che nel caso di eventuali difficoltà insorte nel corso delle operazioni di vendita, il professionista delegato o il commissionario possono rivolgersi al giudice dell'esecuzione, il quale provvede con decreto.
Al secondo comma, però, è stato introdotto un termine perentorio di venti giorni dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza per proporre reclamo avverso agli atti del professionista delegato o del commissionario ad opera delle parti e degli interessati, con ricorso al giudice dell’esecuzione (l’introduzione di tale termine implica la stabilizzazione degli atti del professionista in un momento successivo alla sua scadenza del termine).
Quest’ultimo, qualora sussistano gravi motivi, può disporre la sospensione dell’esecuzione.
Per quanto concerne l’ordinanza con la quale il giudice decide sul reclamo, la reintroduzione del reclamo cautelare, in luogo dell’opposizione ex art. 617 del c.p.c., ne conferma la natura non decisoria, ma meramente ordinatoria, venendo così meno ogni dubbio in ordine alla sua possibile idoneità al giudicato.

Massime relative all'art. 591 ter Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 12238/2019

L'ordinanza collegiale pronunciata all'esito del reclamo ai sensi dell'art. 591 ter c.p.c. avverso gli atti pronunciati dal giudice dell'esecuzione nel corso delle operazioni di vendita per espropriazione di immobili delegate al professionista ex art. 591 bis c.p.c., non ha natura né decisoria, nè definitiva e, come tale, non è suscettibile di passare in giudicato, sicché non è impugnabile con ricorso per cassazione, né ordinario, né straordinario ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.

Cass. civ. n. 1335/2011

In tema di esecuzione forzata, il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c. è esperibile esclusivamente nei confronti di atti riferibili al giudice dell'esecuzione, il quale è l'unico titolare del potere di impulso e controllo del processo esecutivo; pertanto, ove tale giudice abbia delegato ad un notaio lo svolgimento delle operazioni, gli atti assunti dal professionista possono essere sottoposti al controllo del giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 60 c.p.c. ovvero nelle forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato ma non possono essere impugnati direttamente con l'opposizione agli atti esecutivi.

Cass. civ. n. 14707/2006

La norma dell'art. 591 ter c.p.c., in tema di operazioni di esecuzione per espropriazione di immobili delegate al notaio, quando, nel secondo comma, dispone che «restano ferme le disposizioni di cui all'art. 617» c.p.c., dev'essere interpretata nel senso che l'opposizione agli atti esecutivi è il mezzo esperibile contro le ordinanze del giudice dell'esecuzione pronunciate, sia a seguito del reclamo delle parti del processo esecutivo contro i decreti pronunciati dal giudice dell'esecuzione su sollecitazione del notaio delegato, in relazione a difficoltà insorte nelle operazioni di esecuzione, sia a seguito del reclamo delle parti avverso gli atti del notaio delegato, restando, pertanto, esclusa ogni possibilità di diretta impugnativa in sede giurisdizionale diversa dal reclamo tanto dei suddetti decreti quanto degli atti del notaio delegato, e, quindi, la proposizione diretta dell'opposizione agli atti esecutivi contro di essi ed a maggior ragione, data l'esistenza nel sistema dell'esecuzione forzata di un rimedio generalizzato contro le invalidità del processo esecutivo, rappresentato proprio dal rimedio dell'art. 617 c.p.c., del ricorso straordinario ai sensi del settimo comma dell'art. 111 Cost., rimedio che, peraltro, è inesperibile anche contro le stesse decisioni emesse in sede di reclamo, atteso che esse possono essere impugnate solo con l'opposizione di cui all'art. 617 c.p.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 591 ter Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Giuseppe T. chiede
giovedì 22/04/2021 - Abruzzo
“Si fa riferimento a vostra risposta a quesito Q202026801 per esporre quanto segue. Nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare senza incanto il delegato alla vendita non osserva il periodo di pubblicità minimo di 45 giorni fissato nell'ordinanza di delega. L'interessato all'asta propone ricorso ex art.591 ter cpc. Il giudice anziché sospendere l'esecuzione e disporre nuovamente la pubblicità dell'avviso d'asta (così come indicato anche in risposta al quesito) dichiara non luogo a provvedere ex art.591 ter cpc per carenza di legittimazione attiva dell'interessato alla vendita (ricorrente) e mandando al delegato di posticipare la vendita di almeno 10 gg rispetto alla data inizialmente fissata generando ulteriore confusione, anche per via della discrezionalità in tal modo concessa al delegato avendo stabilito genericamente un periodo minimo di almeno 10 gg. (quasi a voler mettere una toppa), con ciò violando egli stesso le disposizioni contenute nell'ordinanza di delega firmata da altro giudice e l'articolo 409 cpc, nonché i principi di diritto affermati in materia da Cass. civ sez.VI-3 sent. del 7-5-2015 n.9255 e Cass civ sez. III sent 9-5-2019 n.12238. Dopo qualche giorno dal provvedimento di rigetto del giudice, il debitore fa domanda di ammissione al concordato preventivo ex art. 161 c.6 L.F e il giudice dichiara l'improseguibilità dell'esecuzione senza null'altro disporre. Il ricorrente ha interesse a proporre reclamo ex art. 669 terdecies cpc per far accertare e dichiarare quanto segue.
1) l'interesse a proporre il reclamo al collegio in quanto il provvedimento di improseguibilità dell'esecuzione è stato adottato dopo la proposizione del ricorso ex art.591 ter cpc e la decisione del giudice dell'esecuzione
2) l'illegittimità dell'attività posta in essere dal delegato e l'illegittimità del provvedimento del giudice
3) interesse del reclamante in quanto la domanda di concordato preventivo potrebbe essere non accolta considerato che con la domanda di concordato preventivo il debitore si riserva in un secondo momento di presentare nel termine di 120 gg la proposta e il piano
4) in ogni caso vi è l'interesse del reclamante all'accertamento della legittimità delle attività poste in essere dagli organi della procedura (delegato e giudice) alla luce di uno dei principi di diritto fissati da cass. 12238/2019 che sancisce quanto segue: "eventuali nullità verificatesi nel corso delle operazioni delegate al professionista e non rilevate nel procedimento di reclamo ex art. 591 ter cpc potranno essere fatte valere impugnando ai sensi dell'art.617 cpc il primo provvedimento successivo adottato dal giudice dell'esecuzione". Ciò posto si chiede un parere sulle ragioni che si vorrebbero far valere in sede di reclamo (o ve ne sono altre di interesse) e qualora il collegio rigetti il reclamo per carenza di interesse o nel merito se si può proporre ricorso straordinario per cassazione?) Grazie”
Consulenza legale i 02/05/2021
La conclusione a cui si era giunti nella precedente consulenza 26801 è che, in casi di inosservanza del termine minimo di 45 giorni tra pubblicazione dell’avviso di vendita e data fissata per l’asta, si rischia di andare incontro ad una opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 del c.p.c., dalla quale ne potrebbe conseguire la nullità dell’aggiudicazione.

Era stata anche precisato che di tale inosservanza non se ne può senz’altro dolere il terzo partecipante all’asta, nei confronti del quale opera il principio generale della sanatoria della nullità ex art. 156 del c.p.c. per essere comunque venuto a conoscenza dell’atto esecutivo e per aver partecipato all’asta, affermandosi che legittimati attivamente all’opposizione ex art. 617 c.p.c. potranno ritenersi esclusivamente il debitore e lo stesso creditore procedente (i soli soggetti che possono dolersi del fatto che quel difetto di pubblicità non ha consentito la partecipazione all’asta di una maggiore platea di pubblico).

Era stato consigliato, come extrema ratio, di portare all’attenzione del giudice dell’esecuzione quel difetto di pubblicità, avvalendosi dello strumento previsto dall’art. 591 ter del c.p.c. e chiedendo al medesimo giudice di sospendere l’esecuzione e provvedere con ordinanza a disporre nuovamente la pubblicità dell’avviso d’asta al fine di evitare, in caso di successiva invalidazione dell’aggiudicazione, un inutile dispendio di attività processuale.

Al ricorso proposto ex art. 591 ter c.p.c. ha fatto seguito il provvedimento che adesso si sottopone all’esame di questa Redazione, notificato al ricorrente in data 19.04.2021, ed avverso il quale si vorrebbe proporre reclamo, per il quale si ricorda lo stesso art. 591 ter c.p.c. richiama il disposto di cui all’669 terdecies c.p.c., che fissa in quindici giorni dalla notifica il termine “perentorio” per proporre reclamo.
Dalla lettura dello stesso e delle motivazioni che ne vengono poste a fondamento se ne deve dedurre l’incensurabilità della decisione adottata, e ciò per le ragioni che si vanno adeso ad illustrare.

Anche se non può criticarsi la scelta, da parte di colui che ha proposto ricorso, di non aver presentato alcuna offerta (per il fondato timore che possa operare nei propri confronti la sanatoria della nullità ex art. 156 c.p.c. comma 3, in quanto, qualora un soggetto partecipi effettivamente alla vendita, l’avviso avrà comunque raggiunto, nei suoi confronti, il proprio scopo), corretto d’altra parte si ritiene che sia quanto dedotto dal giudice, il quale rileva che nella categoria degli interessati devono farsi rientrare tutti coloro che abbiano un minimo di interesse all’esecuzione, includendovi anche gli offerenti all’incanto.
Giustamente si rileva che, nella procedura in esame, il ricorrente non riveste neppure tale qualità, invitandolo per tale ragione a formulare la propria offerta onde acquisire un concreto interesse al corretto svolgimento di quella procedura esecutiva.

Malgrado ciò, il medesimo giudice non sembra essere rimasto del tutto sordo alle osservazioni del ricorrente, in quanto dà atto del principio espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 13824 del 09.06.2010, secondo cui la regola di cui è espressione l’art. 2929 del c.c. e per la quale la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, non trova applicazione quando la nullità riguardi proprio la vendita o l’assegnazione.

E’ proprio in ragione di ciò, infatti, che ha ritenuto opportuno sanare in qualche modo quel difetto di pubblicità ordinando al delegato di posticipare la vendita ad almeno dieci giorni di distanza dalla data già fissata.
Tale rimedio si ritiene che possa in effetti valere quale sanatoria della irregolarità nella pubblicità dell’avviso d’asta dedotto dal ricorrente, dovendosi considerare sufficiente per garantire il rispetto del periodo minimo risultante sia dall’ordinanza di vendita emessa dallo stesso giudice che dall’art. 490 del c.p.c..

Peraltro, si è dell’opinione che la soluzione così adottata difficilmente verrebbe smentita dal collegio a cui ci si dovrà rivolgere per l’eventuale reclamo, in quanto è innegabile che sia stata in ogni modo raggiunta la finalità a cui mira la disposizione del citato art. 490 c.p.c. (garantire la partecipazione all’asta di una maggiore platea di pubblico).

Al rilevato difetto di interesse processuale (a cui il ricorrente potrebbe rimediare, come indirettamente suggerito dallo stesso giudice al punto 2 del provvedimento in esame, nella parte in cui è detto “il ricorrente è ancora in tempo per presentare l’offerta”), adesso si aggiunge anche un difetto di interesse sostanziale, in quanto il reclamo verrebbe proposto in relazione ad una procedura esecutiva che risulta sospesa ex lege, per il ricorrere delle condizioni di cui all’art. 168 della l. fall. (il secondo comma di tale norma, oltretutto, dispone che durante il periodo di sospensione non si verificano le decadenze e le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti esecutivi sospesi).

Ciò che si suggerisce, dunque, per non correre il rischio di trovarsi al limite della lite temeraria, è di non proporre alcun reclamo, per difetto di interesse sostanziale e processuale.
Analizzando analiticamente le ragioni illustrate nel quesito e che si vorrebbero far valere in sede di reclamo, può dirsi che:
  1. l’interesse a proporre il reclamo non sussiste per effetto di quanto disposto dall’art. 168 legge fallimentare, norma che vieta nel periodo di sospensione la prosecuzione di qualunque azione esecutiva in danno del debitore (si invocherebbe il giudizio in relazione ad una procedura che non può andare avanti);
  2. la lamentata illegittimità del provvedimento del giudice e dell’attività posta in essere dal delegato si ritiene che non verrebbe confermata dal collegio, in quanto il giudice con il provvedimento successivamente reso ha posto rimedio a tale “irregolarità” e lo stesso collegio non potrebbe non prenderne atto;
  3. non sussiste alcun interesse del reclamante, in quanto nella fase della sospensione per istanza di concordato preventivo soltanto i creditori potrebbero avere diritto a far valere eventuali interessi contrari alla sospensione;
  4. alla ragione dedotta al punto 4 il giudice dell’esecuzione ha chiaramente dato risposta, facendo osservare al ricorrente che non può qualificarsi come interessato in quanto non può neppure rientrare nella categoria degli offerenti.


Enrico R. chiede
martedì 15/12/2020 - Sicilia
“In una procedura esecutiva immobiliare, dopo l'aggiudicazione dell'immobile e prima del decreto di trasferimento, il Giudice dell'esecuzione ha revocato il professionista delegato alla vendita del compendio "per gravi e ripetute irregolarità nella gestione della delega che hanno compromesso la reciproca fiducia".
Ebbene, vi chiedo: gli atti firmati dal professionista revocato sono da ritenersi validi (tra cui l'aggiudicazione)? la società esecutata cosa può eccepire per la nullità degli atti? Una ratio logica è: se manca la fiducia del Giudice manca la fiducia di chiunque. Grazie”
Consulenza legale i 21/12/2020
La revoca, disposta dal giudice dell’esecuzione, del professionista delegato alla vendita dei beni pignorati, motivata dalla sussistenza di “gravi e ripetute irregolarità nella gestione della delega, che hanno compromesso la reciproca fiducia” può incidere sulla validità degli atti esecutivi fino a quel momento posti in essere, ivi compresa l’eventuale aggiudicazione, soltanto ove le irregolarità riscontrate si traducano in vizi procedurali di tali atti e non investano soltanto l’aspetto della responsabilità disciplinare dello stesso professionista.
Pertanto, in presenza di tali condizioni, il soggetto esecutato, sia esso persona fisica o giuridica, è legittimato ad agire in giudizio per far valere la nullità degli atti della procedura, trovando tale legittimazione il proprio fondamento nella suddetta revoca.

A tale conclusione si giunge sulla base delle seguenti considerazioni.
In linea generale e secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il professionista delegato alle operazioni di vendita è un ausiliario del giudice, a cui viene affidato lo svolgimento di una funzione pubblica, finalizzata all’esatta realizzazione della vendita forzata ed alla certezza dei conseguenti trasferimenti.
Da tale qualificazione giuridica se ne fa conseguire, a carico del professionista delegato inadempiente ai propri doveri, una responsabilità civile di natura extracontrattuale ex art. 2043 del c.c. in tutte le ipotesi in cui si sia verificato un danno ingiusto a carico di una delle parti del processo esecutivo o di terzi interessati, quale può essere lo stesso aggiudicatario.

Per determinare l’ambito della responsabilità civile del delegato occorre in primo luogo fare riferimento all’ordinanza di delega della vendita (emessa ex artt. 569 e 591 bis c.p.c.), considerato che questa costituisce lex specialis della singola espropriazione per la quale è stata emessa, con riferimento in particolare a modalità, tempi e condizioni della delega.
Pertanto, qualora sia possibile accertare che le c.d. “gravi e ripetute irregolarità nella gestione della delega” abbiano determinato una violazione delle condizioni di vendita fissate con l’ordinanza ex art. 569 del c.p.c., da ciò non potrà che conseguirne l’illegittimità derivata dell’atto del delegato, per violazione del provvedimento di delega che, come già detto, costituisce la fonte dei poteri del professionista e, per l’effetto, l’illegittimità dell’aggiudicazione, la quale può essere fatta valere da tutti i soggetti del processo esecutivo, compreso tra questi lo stesso debitore esecutato.

Tale principio di diritto è stato formulato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9255 del 7 maggio 2015, in relazione ad una fattispecie di violazione delle eventuali modalità di pubblicità, ulteriori rispetto a quelle minime previste dall’art. 490 del c.p.c., che devono essere rigorosamente rispettate a garanzia dell’uguaglianza e parità di condizioni tra tutti i potenziali partecipanti alla gara nonché dell’affidamento da ciascuno di loro riposto nella trasparenza e complessiva legalità della procedura.

Ad ulteriore conferma di quanto detto sopra si richiama anche la più recente sentenza della medesima Corte di Cassazione n. 12238 del 9 maggio 2019, nella quale si afferma il principio generale secondo cui tutti gli atti del professionista delegato sono reclamabili al giudice dell’esecuzione ex art. 591 ter c.p.c.; eventuali nullità delle operazioni delegate al professionista e non rilevate nel procedimento di reclamo, potranno essere fatte valere impugnando ex art. 617 del c.p.c. il primo provvedimento successivo adottato dal giudice dell’esecuzione.
L’art. 591 ter c.p.c. disciplina un vero e proprio subprocedimento incidentale, per mezzo del quale è appunto possibile sottoporre all’attenzione del giudice eventuali irregolarità poste in essere dal professionista delegato e che hanno condotto all’adozione da parte dello stesso di un atto ritenuto viziato dalle parti.

Non è previsto alcun termine entro cui reclamare al giudice dell'esecuzione gli atti del professionista delegato, e da ciò se ne deduce non soltanto che tali atti non possono acquisire alcuna stabilità, ma anche che qualsiasi errore commesso dal professionista delegato, se dovesse comportare una nullità derivata del successivo atto di procedura compiuto dal giudice dell'esecuzione, potrà essere fatto valere impugnando quest'ultimo nei limiti ed alle condizioni di cui all'art. 617 c.p.c. (ad esempio, sia il decreto di trasferimento che l'approvazione del piano di riparto potrebbero essere impugnati ex artt. 512 o 617 c.p.c.).

In conclusione, ciò che si consiglia è di prendere esatta cognizione, attraverso un accurato esame del fascicolo dell’esecuzione, di quali sono le gravi irregolarità poste in essere dal professionista delegato e che hanno indotto il giudice dell’esecuzione a revocargli la delega.
Qualora ci si renda conto che tali irregolarità hanno di fatto determinato una nullità degli atti della procedura esecutiva, compresa l’aggiudicazione, sarà opportuno proporre reclamo al giudice dell’esecuzione ex art. 591 ter c.p.c., chiedendo allo stesso di disporre la sospensione della procedura esecutiva per la sussistenza di gravi motivi (la revoca della delega dovrebbe costituire già di per sé prova dei gravi motivi).
Nel caso in cui l’ordinanza che il giudice emetterà a seguito di tale reclamo non dovesse soddisfare le proprie richieste, non resta altra scelta, sempre che ne sussistano i presupposti, che proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 del c.p.c., ed in particolare avverso il successivo atto della procedura esecutiva che il giudice dell’esecuzione andrà ad emettere.