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Articolo 283 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Provvedimenti sull'esecuzione provvisoria in appello

Dispositivo dell'art. 283 Codice di procedura civile

Il giudice d'appello, su istanza di parte proposta con l'impugnazione principale o con quella incidentale, sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione(3), se l'impugnazione appare manifestamente fondata o se dall'esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti(2).

L'istanza di cui al primo comma può essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello se si verificano mutamenti nelle circostanze, che devono essere specificamente indicati nel ricorso, a pena di inammissibilità.

Se l'istanza prevista dal primo e dal secondo comma è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta al pagamento in favore della cassa delle ammende di una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio(4).

Note

(1) Con l. 28 dicembre 2005, n. 263 l'espressione "gravi motivi" è stata sostituita da "gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti".
Il secondo comma, invece, è stato aggiunto con l. 12 novembre 2011, n. 183.
(2) Prima della Riforma Cartabia la norma faceva riferimento ad una generica sussistenza di "gravi e fondati motivi". Adesso, invece, vengono specificati i casi in cui il giudice d'appello può sospendere l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, ovvero nel caso in cui sia possibile l'insolvenza di una delle parti, se vi sia una ragionevole probabilità di accoglimento dell'appello, ovvero se vi sia il fondato timore che l'immediata esecuzione della sentenza possa causare all'appellante un pregiudizio irreparabile.
(3) Nel sistema attualmente vigente, il giudice di secondo grado può soltanto sospendere la provvisoria esecutività disposta dalla legge: il provvedimento di sospensione può riguardare l'intera sentenza o soltanto alcuni suoi capi.
La sospensione può:
- arrestare anche il procedimento esecutivo già iniziato, operando tuttavia ex nunc con salvezza degli atti già compiuti;
- impedire l'inizio della procedura esecutiva non già intrapresa.
(4) Disposizione riformulata dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia").
Il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto: - (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti"; - (con l'art. 35, comma 4) che "Le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023".

Ratio Legis

La facoltà concessa alla parte di chiedere la sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza mira a riequilibrare la tutela delle parti, preservando il principio teso ad evitare i rischi derivanti dalla eccessiva durata del processo.

Spiegazione dell'art. 283 Codice di procedura civile

A seguito della riforma del 2005, l'accoglimento dell'istanza di sospensione prevista da questa norma veniva subordinata all’esistenza di motivi non soltanto “gravi”, ma anche “fondati”, con la precisazione che tali motivi potevano riguardare la “possibilità di insolvenza di una delle parti” e che l'inibitoria potesse essere concessa “con o senza cauzione”.

Parte della dottrina ha affermato che i motivi posti a base dell'intervento legislativo dovevano rinvenirsi nella volontà di tutelare l'appellante dinanzi ad una decisione, provvisoriamente esecutiva, che si potesse rivelare prima facie suscettibile di riforma; sotto questo profilo, la sussistenza di “fondati motivi” postulava che dinanzi al giudice di appello, nella decisione preliminare (e sommaria), potesse venire in rilievo anche la fondatezza dello stesso appello; diversamente, la valutazione della possibilità di insolvenza trovava la sua giustificazione nell'esigenza di evitare che l'eventuale riforma della sentenza gravata si rivelasse inutile per la impossibilità di ripetere le somme che potevano essere state pagate ingiustamente a seguito della esecuzione forzata intrapresa dalla parte appellata.

Questa stessa norma è stato oggetto di modifiche a seguito della Riforma Cartabia, modifiche consistenti nella trasposizione in forma precettiva del principio a mente del quale occorre prevedere:
1) che la sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza impugnata sia disposta sulla base di un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell'impugnazione o, alternativamente, sulla base di un grave e irreparabile pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti quando la sentenza contiene la condanna al pagamento di una somma di denaro;
2) che l’istanza di sospensione possa essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello, anche con ricorso autonomo, a condizione che il ricorrente indichi, a pena di inammissibilità, gli specifici elementi sopravvenuti dopo la proposizione dell'impugnazione;
3) che, qualora l'istanza sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000 (l'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio).

Si è, dunque, voluto precisare che il pregiudizio grave e irreparabile, tale da fondare l’accoglimento dell’inibitoria, può derivare “anche” dall’esecuzione di pronunce di condanna al pagamento di somme di denaro, in particolare in relazione alla possibilità di insolvenza, ma che al tempo stesso la tutela può riferirsi anche a sentenze di condanna ad un facere o a un pati, in relazione alle quali può venire pure in rilievo la possibilità di insolvenza di una delle parti (un esempio può ravvisarsi nell’ipotesi in cui sia stata ordinata la demolizione di un’opera e il creditore non sia in condizione di offrire garanzie di essere poi in grado di ripristinarla, allorchè la decisione dovesse essere riformata).

Per quanto riguarda il riferimento alla “possibilità di insolvenza di una delle parti”, espressione che lascia presupporre una condanna al pagamento di una somma di denaro, si è sostenuto che la possibile (futura) insolvenza del creditore, in prospettiva di una eventuale riforma della sentenza di primo grado con conseguente obbligo di restituzione, sia stata tipizzata come “grave motivo”, idoneo da solo a sorreggere l'accoglimento dell'istanza di inibitoria.
Tuttavia, considerato che la norma fa genericamente riferimento ad “una delle parti”, anche il rischio della futura insolvenza del debitore (cioè dell’appellante) potrebbe venire in rilievo quale valida ragione per negare la sospensione dell'esecuzione.
Sempre in relazione alla valutazione dell’insolvenza di una delle parti, si ritiene che debba essere esaminata solo la possibile attuale situazione di insolvenza, restando irrilevante il rischio di una possibile insolvenza futura, soprattutto in mancanza di indici di dissesto patrimoniale già presenti nel momento in cui viene assunta la decisione sull'istanza inibitoria.

Deve osservarsi che, mentre l'inibitoria della efficacia esecutiva della sentenza potrà avvenire prima dell'inizio dell'esecuzione e ne impedirà irreversibilmente l'avvio sulla base di quella sentenza, la sospensione dell'esecuzione già iniziata può condurre solo ad un arresto del procedimento esecutivo, e non alla caducazione degli atti esecutivi già compiuti.

Circa, infine, la possibilità di subordinare il provvedimento sospensivo al rilascio di una cauzione, secondo alcuni autori tale strumento può essere imposto solo a carico della parte istante, che ottiene la provvidenza richiesta.
Vi è tuttavia chi ha proposto una lettura estensiva della norma al fine di permettere la possibilità di porre una cauzione a carico di tutte e due le parti, e dunque sia in ipotesi di concessione che di rigetto dell'istanza.

E’ stato evidenziato in dottrina che, se dopo la pronuncia dell'ordinanza ex [[186 quatercpc]], il convenuto non chieda espressamente la sentenza per le vie ordinarie, tale ordinanza si converte velocemente in sentenza e diviene da lui appellabile nei modi consueti, con una efficacia esecutiva sospendibile ai sensi della norma in esame.
L'art. 27, L. 12.11.2011, n. 183 (cd. legge di stabilità), con l'intento di disincentivare le istanze di sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza di primo grado, ha previsto l'irrogazione di una pena pecuniaria non inferiore a 250 euro e non superiore a 10.000 euro per la parte che abbia proposto la relativa istanza, quando questa sia inammissibile o manifestamente infondata.

Il legislatore ha inteso così responsabilizzare la parte soccombente che pretestuosamente richieda la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, al sol fine di ritardare la soddisfazione in via esecutiva della parte vittoriosa.
Si tratta di una sanzione pecuniaria assimilabile a quella prevista dall'art. 408 (anche in questa parte la norma è stata modificata, con la precisazione che la sanzione pecuniaria deve essere versata a favore della Cassa delle Ammende).

Massime relative all'art. 283 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 19247/2019

L'ordinanza con la quale il giudice dell'appello irroga, ai sensi dell'art. 283, comma 2, c.p.c., la sanzione pecuniaria per l'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento che non riveste simultaneamente i caratteri della decisorietà e della definitività e, pertanto, non idoneo ad acquistare autorità di giudicato, essendo revocabile con la sentenza che definisce il giudizio d'impugnazione. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO LECCE, 08/06/2017).

Cass. civ. n. 13774/2015

I provvedimenti resi dal giudice d'appello sulla provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado (anche se emessi secondo il rito attualmente vigente) non sono ricorribili per cassazione, neppure a norma dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimenti di natura processuale con contenuto non decisorio, che producono effetti temporanei, destinati ad esaurirsi con la sentenza definitiva del giudizio d'impugnazione. (Dichiara inammissibile, App. Catania, 16/07/2013).

Cass. civ. n. 14048/2013

In caso il titolo esecutivo giudiziale provvisorio, la sospensione, della sua esecutività - come nell'ipotesi di cui all'art. 283 c.p.c. ad opera del giudice dell'impugnazione - non comporta la sopravvenuta illegittimità degli atti esecutivi nel frattempo compiuti, ma impone la sospensione ai sensi dell'art. 623 c.p.c., del processo esecutivo iniziato sulla base di detto titolo.

Cass. civ. n. 2671/2013

L'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza impugnata, formulata ai sensi dell'art. 283 c.p.c., mette capo ad un subprocedimento incidentale, privo di autonomia rispetto al giudizio di merito, sicché la regolamentazione delle spese ad esso relative deve essere disposta, al pari di quella concernente le spese del procedimento principale, con il provvedimento che chiude quest'ultimo, tenendo conto del suo esito complessivo. Pertanto, ove la sentenza impugnata sia stata riformata "in toto" dal giudice d'appello, la liquidazione delle spese relative a tale subprocedimento non può essere esclusa sul presupposto che l'istanza di sospensione fosse stata, "medio tempore", rigettata.

Cass. civ. n. 4024/2007

L'ordinanza, emessa ai sensi dell'art. 283 c.p.c., con la quale venga accolta l'istanza di sospensione dell'efficacia della sentenza di primo grado, ha carattere provvisorio e cautelare e, pertanto, non pregiudica in nessun caso la decisione definitiva sull'appello, fondata sulla piena cognizione di tutte le acquisizioni processuali dalla quale è destinata ad essere assorbita, con la sua conseguente inidoneità ad incidere su diritti soggettivi con efficacia di giudicato.

Cass. civ. n. 4060/2005

La sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado che il giudice d'appello, ai sensi dell'art. 283 c.p.c., nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990 può disporre in presenza di «gravi motivi» è rimessa ad una valutazione globale d'opportunità, poiché tali motivi consistono per un verso nella delibazione sommaria della fondatezza dell'impugnazione e per altro verso nella valutazione del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire (anche in relazione alla difficoltà di ottenere eventualmente la restituzione di quanto pagato) dall'esecuzione della sentenza, che può essere inibita anche parzialmente se i capi della sentenza sono separati. Ne consegue che il potere discrezionale riconosciuto al giudice d'appello dagli articoli 283 e 351 c.p.c. dopo la suddetta novella è più ampio di quello riconosciuto al medesimo giudice con riferimento alla sentenza impugnata con ricorso per Cassazione ovvero alla sentenza di primo grado favorevole al lavoratore o a quella di condanna relativa a rapporti di locazione, comodato e affitto d'immobili, per la sospensione dell'esecutività delle quali è rispettivamente richiesta l'esistenza di un «grave e irreparabile danno» ovvero di un «gravissimo danno».

Cass. civ. n. 13617/2004

Poiché, ai sensi dell'art. 283 c.p.c. riformato, l'istanza diretta ad ottenere la sospensione, in tutto o in parte, dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza di primo grado deve essere proposta con l'impugnazione principale o incidentale, la decisione di inammissibilità dell'appello (nel caso di specie, appello con riserva dei motivi) fa venir meno anche gli effetti dell'inibitoria.

Cass. civ. n. 11143/1995

Le somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, ai sensi del previgente art. 282 c.p.c., che, in conseguenza della riforma di detta sentenza da parte del giudice d'appello, debbono essere restituite costituiscono debito di valuta, sicché trova applicazione il principio nominalistico in base al quale l'obbligazione deve essere adempiuta mediante la restituzione della medesima quantità di moneta, salvo oltre agli interessi legali il diritto al risarcimento del «maggior danno», ai sensi dell'art. 1224 comma secondo c.c. Detto risarcimento non può, peraltro, essere chiesto allo stesso giudice d'appello, ostandovi il principio del doppio grado di giurisdizione.

Cass. civ. n. 4647/1985

La declaratoria di difetto di giurisdizione, resa dal giudice d'appello, privando di ogni efficacia la sentenza di primo grado, ne elimina anche l'eventuale valore provvisoriamente esecutivo (nella specie, trattandosi di condanna al pagamento di crediti di lavoro) e comporta quindi il potere-dovere del medesimo giudice d'appello di disporre la restituzione di quanto ricevuto in forza di detta provvisoria esecutività, senza che si renda in proposito necessaria, trattandosi di pronuncia di natura conseguenziale, una istanza della parte interessata.

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Consulenze legali
relative all'articolo 283 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Giuseppe M. chiede
lunedì 15/04/2019 - Puglia
“In una causa civile presso il Tribunale di (omissis), sono risultato soccombente in un processo di sfratto. Il Giudice ha depositato il dispositivo di sentenza a gennaio 2018, riservandosi il deposito delle motivazioni entro 60 giorni. Nel dispositivo liquidava le spese legali in circa € 7000, a carico del soccombente, a favore del procuratore legale dell’altra parte, dichiaratosi distratta rio.
Alla notifica del dispositivo, al fine di evitare azioni esecutive nei miei confronti, provvidi a corrispondere all’avvocato la somma determinata dal Giudice.
A seguito del deposito delle motivazioni della sentenza, provvidi ad inoltrare ricorso in appello, richiedendo la sospensione della provvisoria esecuzione della stessa sentenza, che mi è stata concessa.
Ho diritto alla restituzione di quanto versato all’avvocato?”
Consulenza legale i 18/04/2019
La sospensione della provvisoria esecutività della sentenza impedisce che, per tutto il corso del processo, la stessa possa produrre i suoi effetti e quindi che la parte vittoriosa la metta in esecuzione per conseguire quanto le è dovuto.
Com’è noto, infatti, da tempo le sentenze sono tutte provvisoriamente esecutive e per “bloccarne” gli effetti, come è stato fatto nel caso di specie, è necessario presentare apposita istanza, istanza che dev’essere motivata perché devono giustificarla gravi e fondati motivi, non sempre sussistenti.

Ebbene, se la sentenza non può essere messa in esecuzione ciò significa che la parte vittoriosa non può pretendere che la controparte vi ottemperi: nel caso in esame, in particolare, non sarebbe stato necessario corrispondere al legale avversario le spese di lite.

Ora che queste ultime sono già state corrisposte, tuttavia, può essere problematico recuperarle: in effetti il pagamento è avvenuto in un momento in cui la sentenza era a tutti gli effetti esecutiva ed in cui il soccombente era tenuto a pagare, proprio ad evitare l’esecuzione forzata.
Alla richiesta di restituzione controparte potrebbe, di conseguenza, legittimamente opporre che nel momento del versamento la sua pretesa era del tutto fondata e lo era in forza di un titolo esecutivo a tutti gli effetti.

Il diritto alla rifusione definitiva delle spese di lite può maturare, in realtà, solo al termine del processo di appello: non esistendo alcuna norma che regola questa situazione in particolare, si sconsiglia di assumere iniziative di recupero del credito in questione e si consiglia, invece, di pazientare fino al termine del giudizio di impugnazione.

L. G. chiede
martedì 27/10/2015 - Estero
“l'art. 283 del c.p.c. contiene un riferimento alla possibile insolvenza di una delle parti, credete che sia applicabile nel caso di una sentenza di separazione che assegni un mantenimento?”
Consulenza legale i 02/11/2015
L'art. 283 del codice di rito prevede che per "gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti" possa essere emesso dal giudice di appello, su richiesta di parte, un provvedimento 'paralizzante' la provvisoria esecuzione di un dictum di primo grado.

La norma trova applicazione in tutti i procedimenti civili ordinari di cognizione, pertanto non vi sono ragioni per escludere che essa disciplini anche il processo in cui si discuta della separazione personale tra i coniugi, in particolare degli aspetti patrimoniali: si tratta, infatti, di un contenzioso davanti al giudice istruttore regolato dalle norme sul processo ordinario di cognizione, con la particolarità di essere preceduto da una fase processuale che si svolge innanzi al Presidente del Tribunale.

Ad esempio, la Corte d'appello di Roma, sez. feriale, con ordinanza del 7 agosto 2013, ha affrontato proprio il caso di un provvedimento emesso dal Tribunale di Roma, con il quale - in accoglimento di una richiesta della modifica dei provvedimenti separativi - era stato disposto in capo alla moglie l’onere dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge richiedente. L'onerata aveva reclamato il decreto chiedendo, ex artt. 283 e 351 c.p.c., che venisse, prima della discussione sul merito del reclamo, disposta la sospensiva dell’efficacia esecutiva del provvedimento, dolendosi delle modalità di espletamento della c.t.u. sui redditi del marito.

Chiarito che l'art. 283 c.p.c. è applicabile al procedimento giudiziale di separazione dei coniugi, va da sé che anche la norma relativa alla possibilità di insolvenza di una delle parti sia invocabile.

Il concetto di 'possibilità di insolvenza' è stato introdotto dal legislatore al fine di tutelare principalmente colui che, condannato a pagare in primo grado, rischiava di vedere pregiudicata in appello la possibilità di ottenere il rimborso nei confronti dell'appellato, divenuto insolvente.

Appare necessario che l'applicazione della sospensiva richieda una delibazione, da parte del giudice, circa, alternativamente:
- la possibilità che la parte appellata (quindi vittoriosa in primo grado) presenti un grado di insolvenza tale da non garantire l'eventuale restituzione di quanto l'appellante sia condannato a pagare in prime cure;
- oppure, la possibilità che insolvente rischi di diventarlo il soccombente in primo grado, nel qual caso dovrà essere mantenuta l'esecutività della sentenza impugnata.

Nel caso dei coniugi, se ipotizziamo che il marito impugni la sentenza che lo condanna al mantenimento della moglie al fine di ottenere che l'assegno sia ridotto o direttamente revocato, egli dovrà dar prova che la moglie non sarebbe in grado - a causa del rischio di insolvenza - di restituire le somme che lui le dovrebbe versare in base al provvedimento di primo grado.
Il giudice dovrà tenere in attenta considerazione la natura particolare del credito, in quanto il mantenimento è una prestazione che serve in primis a garantire un sostentamento al coniuge, privo di propri redditi o insufficienti per adempiere alle proprie necessità (in virtù del persistente dovere di assistenza materiale che permane in capo ai coniugi separati, v. art. 156 del c.c.). Pertanto, è difficile ipotizzare che la misura sospensiva venga concessa solo sulla base del fatto che il coniuge titolare dell'assegno non sarebbe in grado di restituire quanto ricevuto per averlo utilizzato per la propria sopravvivenza: margini di ragionamento potranno esserci, invece, qualora il mantenimento sia talmente elevato da garantire un alto tenore di vita, esorbitando da quelle che sono le necessità primarie della persona (vitto, alloggio, vestiario, cure mediche).

Attenzione, naturalmente, al fatto che l'insolvenza non sarà l'unico elemento che il Giudicante dovrà porre alla base della sua decisione: egli dovrà tenere conto anche della probabile fondatezza dell'impugnazione proposta (il cosidetto "fumus boni iuris").

TERESA D. chiede
mercoledì 02/04/2014
“Mi riferisco alla risposta da Voi data al mio quesito n° 9985/2014 per precisarVi che il testamento successivo a quello annullato in primo grado (1996-perché recante data falsa e trovato fra "le sue carte" successivamente alla sentenza sfavorevole) risale al 1993 e contiene disposizioni del de cuius diverse da quelle indicate nel testamento successivo(indicazione di un solo erede). Vi chiedo se il
testamento (1993), precedente a quello già conosciuto(1996), di cui l' appellante ne chiede il riconoscimento nel giudizio di appello "in subordine" possa essere considerato superato proprio perché precedente.
Sempre in riferimento al caso di specie ed all'art. 283 cpc, il giudice d'appello ha sospeso la esecuzione della sentenza di cui sopra.
Considerato che la sospensiva viene concessa in presenza di gravi e fondati motivi e cioè quando il giudice già dopo una prima valutazione ritenga fondate le ragioni della appellante e quindi probabile l' accoglimento dell' appello, mi è stato riferito tuttavia che nella prassi è più frequente che la inibitoria sia concessa in presenza di un grave pregiudizio economico specie laddove alla gravità del sacrificio da imporre all' appellante non corrisponde un consistente vantaggio per l'appellato nel perseguire l' esecuzione provvisoria.Nel caso di specie l'appellante, molto anziana ed in cattive condizione di salute ed economiche, sarebbe stata costretta ad abbandonare l' immobile dove abita.”
Consulenza legale i 07/04/2014
Il primo quesito posto riguarda la possibilità del testatore di revocare con un testamento successivo - invalido-, un testamento precedente (supponendo che questo, invece, sia valido).
Come noto, il testamento è un atto essenzialmente revocabile, in quanto la volontà del testatore è tutelata dall'ordinamento al punto di consentirgli di mutare idea sino all'ultimo istante della sua vita (art. 697 del c.c.). I modi e le forme con cui si può revocare o modificare un precedente testamento sono quelli indicati tassativamente dalla legge.
L'art. 680 del c.c. prevede che la revocazione di un testamento può farsi espressamente solo con un altro testamento oppure con un atto ricevuto da notaio, in presenza di due testimoni.
L'art. 682 del c.c., poi, stabilisce che può esservi anche una revoca c.d. tacita, con un testamento posteriore che contenga delle disposizioni incompatibili con il testamento precedente (ad es.: non è scritto "Revoco il testamento del 1993 con cui lasciavo l'immobile X a Tizio", bensì semplicemente "Lascio l'immobile X a Caio").
La revoca mediante nuovo testamento può aversi indipendentemente dalla forma del testamento: un testamento pubblico può essere revocato da un più semplice testamento olografo (cioè scritto di pugno dal testatore senza l'intervento di un notaio).
Ma se il testamento successivo è invalido, la revoca è efficace?
La risposta è negativa.
Ciò si deduce in base sia ai principi generali in materia di successione, sia alla luce dell'art. 683 del c.c., che stabilisce i casi in cui la revocazione rimane efficace anche se il testamento posteriore risulta privo di effetti: con ciò escludendo che la revocazione possa essere efficace se il testamento successivo sia invalido (nullo o annillabile).
Pertanto, nel caso di specie, si deve escludere che il testamento del 1993 possa essere stato revocato dal testamento annullato del 1996, anzi: se quest'ultimo è stato dichiarato invalido, quello precedente potrebbe essere invece efficace (sempre che non sia a sua volta invalido per altri motivi).

Quanto al secondo quesito, l'art. 283 del c.p.c. prevede che l'esecutorietà della sentenza di primo grado possa essere sospesa se sussistono "gravi e fondati motivi". Con questa espressione il legislatore ha inteso riferirsi a tutta una serie di motivazioni, che contemplino, però, la contemporanea presenza del fumus boni iuris (parvenza di fondatezza dell'appello) e del periculum in mora. La norma non utilizza tali espressioni, anzi, sino alla riforma del processo civile entrata in vigore nel 2006 (l. 263/2005) l'art. 283 c.p.c. parlava esclusivamente di "gravi motivi". La giurisprudenza di merito prima della riforma sosteneva: " [...] i motivi di merito connessi all’esame della fondatezza dell’appello devono essere valutati con la cognizione sommaria propria di un provvedimento inibitorio urgente che viene emesso a modifica di un provvedimento – sentenza – conseguente ad un procedimento a cognizione piena; le ragioni connesse alla gravità, vanno invece esaminate con valutazione comparativa della posizione di entrambe le parti, tenendo presente rispettivamente non solo l’entità del beneficio e del pregiudizio immediato che deriverebbero alle parti dall’esecuzione della sentenza ma soprattutto l’eventuale rischio di entrambe di non poter riottenere gli utili effetti derivanti dalla decisione (ad esempio, per provata o presumibile possibilità di dispersione del patrimonio e per l’intrinseca natura della decisione)" (App. Firenze, ord. 19.11.95).
Dottrina e giurisprudenza, a seguito della novella legislativa, non hanno preso una posizione netta (anche se da più parti si è sostenuto che l'aggiunta del termine "fondati" non costituisca una grande innovazione della norma), ma in genere hanno ritenuto che il giudice d'appello debba effettuare una sommaria ricognizione della causa, valutando l'esistenza di entrambi i requisiti, sia fumus che periculum, potendo bilanciare la loro presenza secondo la teoria dei vasi comunicanti (è sufficiente un fumus più flebile se il periculum in mora è molto evidente).
Tuttavia, si registrano posizioni discordanti sul tema: parte della dottrina sostiene che sarebbe preponderante la necessità del fumus; per altri, è solo il periculum a risultare decisivo, in particolare in seguito alla riforma del processo civile del 2006, che ha aggiunto all'articolo in commento anche l'espressione "anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti".
E' difficile, quindi, dare conto di una precisa posizione in tema di sospensione dell'esecuzione provvisoria in appello.
La prassi delle Corti d'appello è quella di valutare sia la fondatezza dell'appello che l'esistenza del pericolo derivante dall'eventuale esecuzione della sentenza, operando una analisi comparativa della sussistenza dei due requisiti e accettando che l'uno risulti sacrificato (ma dovendo sussistere seppur in minima parte) all'altro, se questo secondo risulti particolarmente evidente.
Nel caso di specie, le condizioni di età e di salute dell'appellante comportavano che, in caso di esecuzione della sentenza e quindi di allontamento della signora dalla sua abitazione, quest'ultima avrebbe potuto subire un danno irreparabile, visto che, se la sentenza di appello fosse poi risultata a lei favorevole, avrebbe potuto nelle more aggravarsi o addirittura decedere. E' quindi possibile ipotizzare che il Giudice d'appello abbia preferito dare maggiore importanza a tale aspetto, indagando in maniera meno approfondita sulla fondatezza dell'appello, ritenendo comunque che l'impugnazione non fosse del tutto priva di fondamento.
E' bene ricordare che il provvedimento con cui la Corte d'appello sospende l'esecutorietà della sentenza non è impugnabile, né ricorribile per Cassazione, né reclamabile ex art. 669 terdecies del c.p.c.: essa non avrà mai efficacia di giudicato, rimanendo assorbita nella sentenza d'appello definitiva (Cass. civ., 1 marzo 2005, n. 4299).

Lorenzo chiede
mercoledì 14/03/2012 - Marche
“E' possibile proporre istanza di sospensiva dell'esecuzione di una sentenza di primo grado con atto separato (e temporalmente successivo) da quello di impugnazione principale?
Grazie”
Consulenza legale i 21/03/2012

L'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza appellata deve essere inserita, a pena di inammissibilità, nell'atto di appello. L'istanza di inibitoria della provvisoria esecuzione o esecutorietà della sentenza di primo grado risulta, infatti, ancorata alla previa proposizione dell'appello e, in coerenza con il nuovo sistema teso ad una maggiore concentrazione, va formulata nel corpo dell'atto di gravame, con conseguente inammissibilità di una inibitoria chiesta con atto successivo e diverso dall'appello (sul punto si vedano anche App. Trieste, ord. 19.02.03; nonchè App. Napoli 12.06.2002).


Luigi chiede
lunedì 21/03/2011 - Veneto

Oggetto:riforma della sentenza n...pronunciata il....dal tribunale di Venezia.
Vista l'istanza con la quale l'appellante ha chiesto la sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata; ritenuto che l'art.283c.p.c. consente la sospensione dell'esecutività della sentenza quando ricorrono gravi motivi;
ritenuto che i motivi di appello, pur nella sommarietà della presente delibazione,non risultano privi di qualche fondamento,
P.Q.M.
sospende l'efficacia esecutiva della sentenza impugnata e rinvia la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 21.1.2014.
Cortesemente gradirei una spiegazione in merito a questa sospensione.
Ringrazio e saluto cordialmente”

Consulenza legale i 30/06/2011

Secondo l’art. 283 del c.p.c. l’inibitoria è subordinata al vaglio della sussistenza di “gravi e fondati motivi”; tali motivi possono consistere anche nella “possibilità di insolvenza di una delle parti”; infine, l’inibitoria può essere subordinata a cauzione.

La valutazione che la Corte d’appello è chiamata ad effettuare riguarda la gravità e la fondatezza dei motivi, cioè il periculum e il fumus boni juris.

Prima della l. 263/2005 che ha modificato l'articolo, la dottrina e la giurisprudenza di gran lunga prevalenti ritenevano che al giudice d’appello spettassero i più ampi poteri nella valutazione dell’opportunità dell’inibitoria; e, all’occorrenza, non avevano mancato di attribuire rilevanza alla probabile difficoltà per il soccombente di recuperare quanto versato in esecuzione della sentenza che fosse stata successivamente riformata in appello.

Nel caso di specie, si è basata la valutazione unicamente sul fumus boni iuris cioè sulla verosimile fondatezza del gravame, criterio considerato come rientante a pieno titolo tra le valutazioni rilevanti ai fini della sospensione della sentenza appellata.

Una riflessione è d'uopo. Non par dubbio, però, che i motivi di cui discorre l’art. 283 c.p.c. siano quelli dell’inibitoria (i medesimi cui si riferisce anche l’aggettivo «gravi» e cui si riferiva il previgente testo della norma) e non certo i motivi dell’impugnazione.


S. C. chiede
mercoledì 04/05/2022 - Campania
“Un creditore di mio padre, morto nel 2020, mi ha chiesto il pagamento di una somma da lui dovutagli e non avendo accettato di pagarlo, dato che non avevo mai accettato l'eredità, mi ha portato in giudizio.
Il Tribunale ha preso atto della mia mancata accettazione ma la rinuncia non era ancora intervenuta e quindi mi ha condannato a pagarlo.
Ho successivamente rinunciato all'eredità dinanzi ad un notaio ed impugnato la decisione di primo grado ma la Corte d'Appello, che ancora deve decidere la vicenda, non ha sospeso la sentenza ed il creditore ha pignorato il mio stipendio.
Cosa posso fare per oppormi alla ingiusta trattenuta sul mio salario?”
Consulenza legale i 12/05/2022
Purtroppo la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, sancita dall’art. 282 c.p.c. - esecutività che la Corte di Appello ha ritenuto di non sospendere - fa sì che sulla base di essa possa essere instaurata una procedura esecutiva nei confronti della parte soccombente, quanto meno finché il titolo esecutivo non venga meno: è possibile, infatti, che il giudice di secondo grado riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata.
Peraltro, non è prevista neppure la possibilità di impugnazione dell’ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione. Infatti, secondo la giurisprudenza (v. Cass. Civ., Sez. VI - 3, ordinanza 03/07/2015, n. 13774), “i provvedimenti resi dal giudice d'appello sulla provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado (anche se emessi secondo il rito attualmente vigente) non sono ricorribili per cassazione, neppure a norma dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimenti di natura processuale con contenuto non decisorio, che producono effetti temporanei, destinati ad esaurirsi con la sentenza definitiva del giudizio d'impugnazione”.
Su un piano non processuale ma di diritto sostanziale, va considerato anche che l’art. 525 c.c. consente a chi ha rinunciato all’eredità di revocare la propria rinuncia, finché non sia prescritto il diritto di accettare l'eredità: dunque anche il chiamato all’eredità che abbia rinunciato può, entro tali limiti temporali, accettare in un secondo momento l’eredità, a condizione però che non sia già stata acquistata da altro dei chiamati. Il principio è stato ribadito anche dalla giurisprudenza: si veda Cass. Civ., Sez. III, sentenza 18/04/2012, n. 6070 (“la rinunzia all'eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell'art. 525 cod. civ. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita”).

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