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Articolo 2096 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Assunzione in prova

Dispositivo dell'art. 2096 Codice Civile

Salvo diversa disposizione [delle norme corporative](1), l'assunzione del prestatore di lavoro [3, 2071] per un periodo di prova deve risultare da atto scritto [1350 n. 13, 2241, 2725].

L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova [2241](2).

Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto [1373], senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine(3).

Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro [2120].

Note

(1) Vedi nota 1 sub art. 2095.
(2) Il periodo di prova deve avere una durata adeguata allo svolgimento delle mansioni per le quali il lavoratore viene assunto. I contratti collettivi pongono un limite massimo di durata, che può essere derogato per volontà delle parti, riducendo lo stesso.
Un periodo più lungo di quello ritenuto congruo dalle parti collettive può essere previsto solo per particolare complessità delle mansioni affidate al lavoratore in prova.
(3) La Corte Costituzionale, con sentenza 16-22 dicembre 1980, n. 189, ha dichiarato l'illegittimità del presente comma nella parte in cui non riconosce il diritto alla indennità di anzianità del lavoratore assunto con patto di prova nel caso di recesso dal contratto durante il periodo di prova stesso.

Ratio Legis

Il patto di prova mira a tutelare l'interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto, ed è necessario che esso contenga la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l'esperimento deve svolgersi.

Massime relative all'art. 2096 Codice Civile

Cass. civ. n. 28252/2018

La ripetizione del patto di prova in successivi contratti di lavoro tra le medesime parti è ammissibile se, in base all'apprezzamento del giudice di merito, vi sia la necessità per il datore di lavoro di verificare, oltre alle qualità professionali, anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, trattandosi di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto legittima la prova perché giustificata dalla necessità imprenditoriale di verificare il contegno del lavoratore, da adibire a mansioni di portalettere già svolte, ma con contratti a termine di breve durata, risalenti nel tempo, nonché in ambito territoriale e con un bacino di utenza affatto diversi). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 13/08/2013).

Cass. civ. n. 26679/2018

In tema di impugnazione del recesso motivato dal mancato superamento della prova, anche il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione deve allegare e provare l'inadeguatezza delle modalità dell'esperimento oppure il positivo esperimento della prova ovvero, ancora, la sussistenza di un motivo illecito o estraneo all'esperimento stesso, restando escluso che l'obbligo di motivazione contrattualmente previsto possa far gravare l'onere della prova sul datore di lavoro e che la valutazione discrezionale dell'amministrazione possa essere oggetto di un sindacato tale da omologare il mancato superamento della prova alla giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo.

Cass. civ. n. 23898/2018

In tema di patto di prova, la disposizione del contratto collettivo che, attribuendo rilevanza sospensiva del periodo di prova alla malattia, stabilisca un periodo di comporto più breve rispetto a quello previsto per la generalità dei lavoratori, è legittima, poiché, da un lato, è coerente con la causa del contratto in prova, connotata della reciproca verifica di convenienza del rapporto - in cui rileva anche l'esigenza della parte datoriale di vagliare i tempi coessenziali all'esercizio della sua attività e la possibilità di proseguire nel rapporto stesso -, e, dall'altro, tutela sia il diritto alla salute che quello alla conservazione del posto del lavoratore, salvaguardando, in un'ottica di equo bilanciamento di interessi, il diritto al lavoro e quello al libero esercizio dell'impresa.

Cass. civ. n. 22396/2018

In tema di pubblico impiego privatizzato, l'obbligo - imposto dalle parti collettive alle amministrazioni - di motivare il recesso intimato durante il periodo di prova, in quanto finalizzato a consentire la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto alla finalità della prova e all'effettivo andamento della prova stessa, non porta ad omologare il predetto recesso al licenziamento disciplinare, anche ove fondato sull'assenza di diligenza nell'esecuzione della prestazione, poiché tale mancanza ben può essere valorizzata al solo fine di giustificare il giudizio negativo sull'esperimento; nè l'obbligo in parola incide sulla ripartizione degli oneri probatori, spettando comunque al lavoratore dimostrare il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite o la contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento medesimo.

Cass. civ. n. 17921/2016

Il licenziamento intimato sull'erroneo presupposto della validità del patto di prova, in realtà affetto da nullità per essere già avvenuta con esito positivo la sperimentazione del rapporto tra le parti, non è sottratto all'applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, sicché la tutela da riconoscere al prestatore di lavoro è quella prevista dall'art. 18 st.lav. ove il datore di lavoro non alleghi e dimostri l'insussistenza del requisito dimensionale, ovvero quella riconosciuta dalla l. n. 604 del 1966, in difetto delle condizioni necessarie per l'applicabilità della tutela reale.

Cass. civ. n. 16214/2016

Il datore di lavoro che si ritenga leso dalla mancata proroga del patto di prova determinata da dolo del lavoratore deve provare gli artifizi e i raggiri che abbiano avuto efficienza causale sul suo consenso, restando il dedotto dolo comunque irrilevante ove cada non sulla stipulazione del contratto di lavoro o sull'individuazione dei suoi elementi essenziali ma solo sul patto di prova, che costituisce elemento accidentale del contratto. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto dal datore di lavoro che deduceva la natura dolosa del comportamento di una lavoratrice, assunta in prova, che non aveva sottoscritto la mail aziendale contenente la proroga del patto di prova, al solo fine di avvalersi della conversione del contratto per scadenza del periodo di esperimento).

La cessazione unilaterale del rapporto per mancato superamento della prova rientra nell'eccezionale fattispecie del recesso "ad nutum" di cui all'art. 2096 c.c., sottratto all'ordinaria disciplina di controllo delle ragioni del licenziamento, fermo restando, peraltro, che il richiamo al mancato superamento di un patto di prova non validamente apposto è inidoneo a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento e giustifica l'applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria, prevista dall'art. 18, comma 4, st.lav, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, applicabile "ratione temporis".

Cass. civ. n. 17371/2015

Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti a sperimentarne la convenienza, sicché è illegittimamente stipulato ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le stesse mansioni, ancorché diversamente denominate, e per un congruo lasso di tempo, a favore dello stesso datore di lavoro o di un precedente datore di lavoro-appaltatore, titolare del medesimo appalto.

Cass. civ. n. 17587/2013

In tema di patto di prova, la dichiarazione di assunzione del lavoratore, se sottoscritta per ricevuta dal lavoratore, integra il requisito della forma scritta richiesto dall'art. 2096 c.c..

Cass. civ. n. 16224/2013

In tema di lavoro in prova, il principio secondo il quale il recesso del datore di lavoro per esito negativo della prova ha natura discrezionale e dispensa dall'onere di provarne la giustificazione (differenziandosi, pertanto, dal recesso assoggettato alla disciplina limitativa dei licenziamenti) si applica anche al recesso della P.A. nel rapporto di lavoro privatizzato, cui non si estende l'obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi previsto dall'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, trattandosi di atto gestionale del rapporto di lavoro adottato con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

Cass. civ. n. 15100/2012

In tema di lavoro con patto di prova, l'art. 2096 c.c. - secondo il quale, scaduto il termine di durata della prova, ciascuna parte può recedere dal rapporto, divenendo in caso contrario definitiva l'assunzione - si riferisce al caso in cui, alla scadenza del termine, il rapporto di lavoro continui a svolgersi e non a quello in cui le prestazioni lavorative cessino alla scadenza e la volontà di recedere del datore venga recepita successivamente dal lavoratore; ne consegue che, in tale ultima ipotesi, il rapporto cessa al momento della ricezione del licenziamento.

Cass. civ. n. 10440/2012

Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l'illegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro. Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile solo se essa, in base all'apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all'imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l'intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso del datore di lavoro avverso la declaratoria di nullità del secondo patto di prova, apposto al contratto a tempo indeterminato stipulato appena quindici giorni dopo la scadenza del rapporto a termine, durato tra le stesse parti per quasi sette mesi, non avendo l'imprenditore dimostrato l'esistenza di uno specifico motivo di rivalutazione delle caratteristiche del lavoratore).

Cass. civ. n. 4573/2012

Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso dalla mancata prestazione lavorativa inerente al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso, invece, stante la finalità del patto di prova, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e, in particolare, il godimento delle ferie annuali, che, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova. Tale principio trova applicazione solo in quanto non preveda diversamente la contrattazione collettiva, la quale può attribuire od escludere rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi, che si verifichino durante il periodo medesimo.(Nella specie, la decisione della corte territoriale, confermata dalla S.C., nell'interpretare l'art. 27 del c.c.n.l. per i lavoratori addetti all'industria delle calzature del 27 aprile 2000, contenente una indicazione esemplificativa di eventi non prevedibili quali cause di sospensione del periodo di prova, ha ritenuto che la disposizione aveva recepito il principio di effettività della prova, riconoscendo efficacia sospensiva anche al godimento delle ferie annuali).

Cass. civ. n. 23061/2007

Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso, stante la finalità del patto di prova, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro, e, in particolare, il godimento delle ferie annuali, il quale, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova. Tale principio trova applicazione solo in quanto non preveda diversamente la contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo.(Nella specie, il contratto collettivo prevedeva «che il periodo di prova ha una durata pari a sei mesi di servizio effettivo» e la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la sentenza di merito che aveva interpretato la previsione nel senso che si era inteso ricomprendere nel computo del relativo arco temporale solo i giorni effettivamente lavorati al fine di salvaguardare il periodo di prova).

Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, salvo che la motivazione sia imposta, a tutela del lavoratore, dalla contrattazione collettiva; in tale ultimo caso, la motivazione ha la funzione di dimostrare sinteticamente che il recesso è stato determinato effettivamente da ragioni specifiche inerenti all'esito dell'esperimento in prova (che costituisce la causa del patto) e che non è dovuto a ragioni illecite, o comunque estranee al rapporto, ed in particolare a forme di discriminazione e, inoltre, ove il prestatore non assunto in via definitiva contesti quella motivazione, il datore deve integrarla opportunamente fornendo le indicazioni specifiche e complete delle ragioni della decisione assunta. (Nella specie, il lavoratore aveva impugnato giudizialmente il licenziamento intimatogli, adducendo la genericità della motivazione, ed il datore di lavoro aveva indicato le ragioni specifiche del recesso nel giudizio stesso; la S.C., enunciando il principio su riportato, ha confermato la sentenza di merito che, ritenendo comunque assolto l'obbligo di motivazione previsto dalla contrattazione collettiva, aveva affermato la legittimità del recesso).

Cass. civ. n. 21698/2006

Con riguardo al rapporto di lavoro costituito con patto di prova, la facoltà di recesso prevista dal terzo comma dell'art. 2096 c.c. soggiace all'unico limite oltre quello temporale dell'adeguatezza della durata della prova della mancanza di un motivo illecito ed è consentita non solo al termine ma, salvo che l'esperimento sia stato stabilito per un tempo minimo necessario, anche nel corso del periodo di prova. Tale periodo, ancorché fissato in un semestre, rimane sospeso per malattia o infortunio del lavoratore, senza che a ciò sia di ostacolo la previsione dell'art. 10 della legge n. 604 del 1966 (secondo cui le norme della stessa legge si applicano, nei confronti dei lavoratori assunti in prova, «dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro»), non potendo prescindersi, nell'interpretazione della suddetta norma, dal rilievo che essa è posta nell'interesse precipuo del lavoratore ed atteso che l'indicata sospensione produce l'effetto di arrestare il decorso del periodo di prova senza dilatarne la durata. Questo principio non comporta un'alterazione dell'equilibrio originario delle posizioni delle parti, poiché il prolungamento del periodo di prova ha effetto reciprocamente sia a favore che a sfavore tanto del lavoratore che del datore di lavoro. In particolare, il prestatore di lavoro avrà modo di espletare fino in fondo l'esperimento e di dare così prova pienamente delle proprie capacità, mentre il datore di lavoro avrà tutto il tempo necessario per verificare queste capacità e, quindi, entrambe le parti avranno la possibilità di decidere se proseguire il rapporto convertendolo in una delle forme definitive previste dalla legge, o, invece, interromperlo.

Il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto ma contenere - se del caso ponendo riferimento, eventualmente, alle previsioni del contratto collettivo ove sia in esso riportata in modo sufficientemente chiaro e preciso - anche la specifica indicazione della mansione da espletarsi, la cui mancanza costituisce motivo di nullità del patto (con automatica conversione dell'assunzione in definitiva sin dall'inizio) a prescindere dal livello contrattuale e dalla natura della mansione assegnata, atteso che, da una parte, la possibilità per il lavoratore di impegnarsi secondo un programma ben definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini, e, dall'altra, la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria valutazione sull'esito della prova, presuppongono che questa debba effettuarsi in relazione a compiti esattamente identificati sin dall'inizio

Cass. civ. n. 19558/2006

Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo natura discrezionale, non deve essere motivato, salvo che la motivazione sia imposta, a tutela del lavoratore, dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, in nessun caso lo stesso obbligo di motivazione può comportare la configurabilità dell'onere del datore di lavoro di provare la giustificazione del proprio recesso dal rapporto di lavoro in prova, in quanto ne risulterebbe la omologazione integrale al rapporto di lavoro definitivo, in palese contrasto con il sistema normativo costituito dall'art. 2096 c.c. e dagli artt. 5 e 10 della legge n. 604 del 1966.

La mancata prestazione lavorativa sospende il decorso del periodo di prova di cui all'art. 2096 c.c., in quanto preclude alle parti, sia pure temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro, che costituisce la causa del patto di prova, a prescindere dalle previsioni del contratto collettivo che, in ipotesi, limitino la sospensione del periodo di prova soltanto ad alcune cause di sospensione della prestazione lavorativa. Tale principio si applica anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche che, dopo la privatizzazione, «sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa», fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D.lgs. sul pubblico impiego, n. 165 del 2001. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il recesso del Ministero della Giustizia da un rapporto di lavoro in prova, recesso esercitato individuando il termine finale del periodo di prova aggiungendo ai sei mesi dalla data di immissione in servizio, tutti i giorni di assenza per malattia, ferie e permesso ascrivibili a cause di sospensione tutelata dal rapporto).

Cass. civ. n. 13455/2006

Il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto, la quale può essere operata anche per relationem alla qualifica di assunzione, ove questa (come nella specie ) corrisponda ad una declaratoria del contratto collettivo che definisca le mansioni comprese nella qualifica.

Cass. civ. n. 8038/2002

Il datore di lavoro che, nella incontroversa esistenza del rapporto di lavoro, ne sostenga la cessazione per negativo esito della prova, ha l'onere di provare, ex art. 2967, secondo comma, c.c., l'esistenza di un valido patto di prova; a tal fine è necessario che il patto risulti da atto scritto, anteriore o contestuale all'inizio del rapporto di lavoro.

Cass. civ. n. 9948/2001

Il potere discrezionale del datore di lavoro di recedere nel corso del periodo di prova è legittimamente esercitato quando rifletta l'accertamento e la valutazione non soltanto degli elementi di fatto concernenti la capacità professionale del lavoratore, ma anche degli elementi concernenti il comportamento complessivo dello stesso, quale è desumibile anche dalla sua correttezza e dal modo in cui si manifesta la sua personalità. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto idonea a giustificare il recesso del datore di lavoro la mendace dichiarazione, resa dal lavoratore all'epoca di presentazione della domanda di assunzione, in ordine all'insussistenza di precedenti penali).

Cass. civ. n. 5591/2001

La forma scritta necessaria, a norma dell'art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam, e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta nullità assoluta dell'assunzione in prova e la sua immediata ed automatica conversione in assunzione definitiva, deve sussistere sin dall'inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola orale mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore.

Cass. civ. n. 14950/2000

Il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto, ma contenere anche la specifica indicazione delle mansioni da espletare, atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull'esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate. A tal fine il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva è sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell'indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli, profili professionali il richiamo contenuto nel patto di prova è fatto alla nozione più dettagliata.

Cass. civ. n. 13700/2000

Con riferimento al patto di prova inserito nel contratto di lavoro, per il quale l'ordinamento — per evidenti ragioni antifrodatorie — prescrive non solo la forma scritta, ma anche la predeterminazione della durata, entro limiti massimi, gli spazi di autonomia negoziale sono limitati, proprio per una valutazione «a priori» del carattere sfavorevole del rapporto in prova per il lavoratore, ma non sino al punto da non consentire alle parti una predeterminazione della durata per relationem, con rinvio esplicito alla disciplina collettiva, del tutto legittima ove esplicantesi entro i limiti inderogabili fissati dalla legge.

Cass. civ. n. 8295/2000

La clausola del contratto individuale di lavoro con cui sia previsto un periodo di prova di durata maggiore di quella massima prevista
dal contratto collettivo applicabile al rapporto — fermo restando il limite di sei mesi di cui all'art. 10 della legge n. 604 del 19666 — può ritenersi legittima solo nel caso in cui la particolare complessità delle mansioni di cui sia convenuto l'affidamento al lavoratore renda necessario, ai fini di un valido esperimento e nell'interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo di quello ritenuto congruo dalle parti collettive per la normalità dei casi; il relativo onere probatorio ricade sul datore di lavoro, a cui la maggiore durata del periodo di prova attribuisce una più ampia facoltà di licenziamento per mancato superamento della prova.

Cass. civ. n. 3451/2000

La causa del patto di prova va ravvisata nella tutela dell'interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro. Ne consegue che per evitare la sua illegittimità per incoerenza con la suddetta causa è necessario che esso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l'esperimento deve svolgersi. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto sufficiente l'indicazione del livello contrattuale di inquadramento del lavoratore).

Cass. civ. n. 2579/2000

Quando le parti — o la parte in caso di negozio giuridico unilaterale — procedono alla re¬dazione per iscritto di un atto possono bene fare riferimento, mediante semplice richiamo per relationem, al contenuto di un altro atto, effettuando un rinvio materiale, perché diretto ad inserire nell'atto la clausola contenuta in un diverso atto e ad attribuire al sottoscrittore la paternità di quella clausola. Consegue che, poiché l'art. 2096 c.c. impone la forma scritta per il patto di prova ma non per le modalità di esecuzione della prova, il rinvio per relationem ad un contratto collettivo, in ordine a tali modalità, si deve ritenere legittimo, anche perché, tramite il rinvio, il contenuto non ha alcun margine di indeterminabilità. (Nel caso di specie la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva ritenuto la validità del patto di prova, nel quale l'indicazione delle mansioni era stata fatta per relationem a quelle proprie dell'operaio di secondo livello del C.C.N.L.).

Cass. civ. n. 11597/1999

La stipulazione scritta del patto di prova deve essere anteriore o, quanto meno, contestuale all'inizio dell'esecuzione del rapporto di lavoro onde non attribuire al datore di lavoro, in frode alla normativa di natura pubblicistica sui licenziamenti posta dal legislatore a tutela del lavoratore, un facile strumento idoneo a consentirgli la libera recedibilità dal contratto almeno per un certo periodo anche senza giusta causa o giustificato motivo. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto che la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a efficacia differita con patto di prova apposto sin dal momento della stipula e, quindi, con attribuzione di efficacia differita al patto di prova medesimo, al pari di tutte le altre clausole, non escludesse l'anteriorità del patto stesso rispetto al momento in cui il lavoratore era stato assunto in forza del suddetto contratto di lavoro in precedenza stipulato).

Cass. civ. n. 12379/1998

Il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l'interesse di entrambe le parti contrattuali di sperimentare la reciproca convenienza al contratto, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimamente apposto un patto in tal senso che non sia funzionale alla suddetta sperimentazione per essere questa già intervenuta con esito positivo, fatto che può essere provato anche per presunzioni, essendo desumibile dalla sussistenza di un precedente rapporto di lavoro tra le parti, o, come nella specie, dall'avere in precedenza il lavoratore prestato per un congruo lasso di tempo la propria opera per il datore di lavoro, sia pure in seguito a comando disposto dal precedente datore di lavoro, società controllata dalla società instaurante il nuovo rapporto e già beneficiaria del distacco.

Cass. civ. n. 10305/1998

Nell'ipotesi di recesso del datore di lavoro dal rapporto in prova, con manifestazione di volontà esplicitamente riferita all'esperimento in
corso, tale qualificazione dell'atto come espressione del potere discrezionale di recesso durante il periodo di prova, sottratto alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, preclude al medesimo datore la responsabilità di prospettare a propria difesa, nella successiva controversia instaurata dal lavoratore con la contestazione della legittimità del recesso, circostanze del tutto estranee all'esito dell'esperimento ed eventualmente valutabili come giustificato motivo oggettivo in un rapporto soggetto alla disciplina della legge 15 luglio 1966 n. 604. Tale deduzione, modificando i termini della controversia, si pone in contrasto con il fondamentale principio del contraddittorio, del quale costituisce espressione la regola della immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento; tale regola ha portata generale come garanzia del diritto di difesa del lavoratore e si estende anche ai casi in cui il datore di lavoro giustifichi il recesso con una speciale situazione di inapplicabilità della tutela di cui alla citata legge n. 604/1966.

Cass. civ. n. 7644/1998

Il rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova è sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali, ed è caratterizzato dal potere di recesso da parte del datore di lavoro senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso; grava sul lavoratore che deduce in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso l'onere di provare sia il positivo superamento dell'esperimento, sia l'imputabilità del recesso ad un motivo, unico e determinante, che sia estraneo alla funzione del suddetto patto e perciò illecito.

Cass. civ. n. 402/1998

Il lavoratore licenziato in periodo di prova può dedurre, oltre al motivo illecito del recesso, anche il motivo estraneo all'esperimento offrendo vuoi la prova diretta della sua esistenza, vuoi quella indiretta del positivo superamento dell'esperimento che depone, con la valenza della presunzione semplice, per l'esistenza di un motivo diverso da quello del mancato superamento dell'esperimento stesso; ma tale motivo estraneo all'esperimento non costituisce di per sè solo motivo illecito ex art. 1345 c.c., né è a quest'ultimo equiparabile quanto all'idoneità ad inficiare il recesso come affetto da vizio di nullità. Consegue che, ove il lavoratore dimostri che il recesso è avvenuto per un motivo che non è qualificabile come motivo illecito, ma che è estraneo all'esperimento lavorativo (quale nella specie la sopravvenienza di un'esigenza aziendale di ridimensionamento di un reparto e di conseguente soppressione di un posto di lavoro), il giudice non può ritenerne per ciò solo l'illegittimità, ma deve valutarne la giustificatezza in termini non dissimili dal giustificato motivo oggettivo di licenziamento in regime di recesso causale al fine di accertare l'idoneità, o meno, del recesso per termine alla prova ed a risolvere il rapporto..

Cass. civ. n. 12673/1997

Ad integrare l'atto scritto richiesto ad substantiam per i contratti formali non è sufficiente un qualsiasi documento, ma è necessario uno scritto contenente la manifestazione di volontà di concludere il contratto, posto in essere dalle parti al fine specifico di manifestare tale volontà. Conseguentemente non è idoneo ad integrare l'atto scritto necessario per l'assunzione in prova di un lavoratore una dichiarazione di quietanza contenente la precisazione che il rapporto di lavoro si è interrotto durante il periodo di prova previsto dal contratto collettivo; del resto una simile dichiarazione è inidonea ai fini in esame anche perché la previsione del patto di prova da parte della contrattazione collettiva non comporta l'inclusione di tale patto nel contratto individuale, se in quest'ultimo manca l'esplicita stipulazione per iscritto del patto di prova. (Nella specie la sentenza impugnata, confermata nella parte in questione dalla S.C., aveva altresì escluso che tale quietanza — peraltro preceduta da denuncia della lavoratrice all'Ispettorato del lavoro di segnalazione di licenziamento intervenuto durante il periodo di gravidanza — avesse il significato di un'accettazione del licenziamento o di acquiescenza al medesimo).

Cass. civ. n. 3910/1997

Le parti del contratto di lavoro subordinato possono legittimamente, nella loro autonomia negoziale, convenire che il lavoratore, prima dell'effettiva assunzione, si limiti a svolgere una semplice attività «esplorativa» dell'ambiente di lavoro che sia finalizzata unicamente all'acquisizione delle opportune, reciproche informazioni concernenti l'instaurando rapporto.

Cass. civ. n. 1045/1997

In tema di assunzione in prova, il contratto collettivo contiene la previsione generale che, successivamente, potrà trovare applicazione nei vari, personali contratti di assunzione di volta in volta intercorrenti tra lavoratori e datori di lavoro; pertanto la disciplina dettata dall'art. 2096 c.c. deve intendersi riferita al singolo contratto personale di assunzione in prova, non al contratto collettivo; ne consegue che il requisito della forma scritta non può ritenersi soddisfatto ove non risulti per iscritto il singolo contratto personale di assunzione, essendo del tutto ininfluente a tal fine il fatto che l'assunzione in prova sia prevista dal contratto collettivo di categoria.

Cass. civ. n. 730/1997

Il datore di lavoro non può validamente licenziare un lavoratore per mancato superamento del periodo di prova, qualora lo stesso si sia rifiutato di sottoscrivere la lettera di assunzione contenente la clausola relativa, poiché l'art. 2096 c.c. prevede (a pena di nullità) che l'assunzione del lavoratore per un periodo di prova deve risultare da atto scritto, né in senso contrario rileva la circostanza che l'assunzione sia avvenuta in base ad avviamento obbligatorio, poiché anche in questo caso il patto di prova deve risultare dalla concorde volontà delle parti manifestata in un atto scritto, salva la facoltà dell'imprenditore di rifiutare l'assunzione in caso di non giustificata mancata accettazione del patto da parte dell'invalido.

Cass. civ. n. 9769/1996

Il licenziamento intimato per asserito esito negativo della prova, sull'erroneo presupposto della validità della relativa clausola o in forza di errata supposizione della persistenza del periodo di prova (venuto invece a scadere) si configura come licenziamento individuale non distinguibile da ogni altro licenziamento della stessa natura e regolato — ove intimato a carico di lavoratore fruente della tutela della stabilità del posto — dalla disciplina comune per quel che attiene ai requisiti di efficacia e di legittimità.

Cass. civ. n. 11934/1995

In ipotesi di recesso del datore di lavoro prima del compimento del periodo di prova del lavoratore, la declaratoria della sua illegittimità non comporta che il contratto di lavoro debba ormai essere considerato come stabilmente costituito, ma esclusivamente il diritto del lavoratore di terminare la prova e ottenere il pagamento delle retribuzioni per i giorni residui, tenuto presente che il datore di lavoro, nel lasso di tempo tra l'interruzione del periodo di prova e il giorno della prefissata sua scadenza, avrebbe potuto esercitare la facoltà di recesso, senza limiti e condizioni, ai sensi dell'art. 2096, comma 3, c.c.

La sospensione del rapporto di lavoro in caso di malattia, prevista dall'art. 2110 c.c., trova applicazione anche durante il periodo di prova - in particolare ai fini dei computi relativi al superamento o meno di detto periodo -, non sussistendo ragioni idonee a giustificare una contraria conclusione e, al contrario, dovendosi rilevare che durante il periodo di malattia il lavoratore non ha la possibilità di dimostrare le sue capacità né il datore di lavoro quella di accertarle. Invece il periodo di prova non è prorogabile in caso di carcerazione preventiva del lavoratore, dato che in riferimento a tale evento non trova applicazione la norma di cui all'art. 2110, le cui tassative previsioni sottraggono taluni eventi impeditivi della prestazione di lavoro alla disciplina generale in materia di contratti e di recesso del datore di lavoro. (Nella specie, in relazione all'assunzione in prova di un operaio da parte dell'Ente Ferrovie dello Stato, la sospensione per malattia - secondo la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte - aveva fatto risultare anteriore alla scadenza della prova il recesso intimato dal datore di lavoro, mentre la non prorogabilità a causa della carcerazione preventiva delle prevista durata massima del rapporto in prova aveva reso irrilevante che al lavoratore - che comunque non avrebbe potuto riprendere servizio in tempo - non fosse stato accordato il previsto periodo minimo di prestazione effettiva contrattualmente previsto).

Cass. civ. n. 484/1994

Con riguardo alla facoltà di recesso dal rapporto di lavoro costituito con patto di prova ai sensi dell'art. 2096, terzo comma. cod. civ., che può essere esercitata anche nel corso del periodo di prova (a meno che non sia stata stabilita una durata minima) i rispettivi obblighi ed oneri del lavoratore e del datore di lavoro in ordine all'esperimento non si sottraggono alla regola generale di esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede; pertanto, ove il comportamento del datore di lavoro non consenta l'esperimento in condizioni e modi adeguati, anche in relazione alle mansioni contrattuali, il lavoratore può legittimamente recedere dal rapporto, senza alcuna responsabilità contrattuale, nell'esercizio di un diritto che ha la sua fonte nell'art. 1460 cod. civ.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2096 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. I. chiede
sabato 09/03/2024
“Salve. Ho un ragazzo cieco che sta facendo il secondo mese di prova come centralinista. Ha già un contratto a tempo indeterminato e lentamente sta imparando, ma usa bene computer e tasti del centralino
Chiedo: il capo che deve valutare, sulla base delle affermazioni dei colleghi, e sulle sue osservazioni, può non ritenere idoneo il ragazzo e quanti mesi ulteriori di prova ha?
Grazie”
Consulenza legale i 18/03/2024
L’articolo 7 comma 1 del Decreto legislativo numero 104/2022 prevede che il periodo di prova “non può essere superiore a sei mesi”, salva la “durata inferiore prevista dalle disposizioni dei contratti collettivi”.
Per quanto riguarda il collocamento obbligatorio, la legge 68/99, all’art. 11 comma 2, prevede che possa essere stabilito lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo.
Pertanto, bisognerà fare riferimento al contratto collettivo e ad eventuali ulteriori convenzioni per verificare la durata del patto di prova nel caso in questione.

Ai sensi dell’art. 2096 c.c. il datore di lavoro è tenuto a consentire l’esperimento che costituisce oggetto della prova.
In buona sostanza, al lavoratore deve essere data la possibilità di dimostrare la propria idoneità e capacità a svolgere la mansione dedotta in contratto.
È evidente, dunque, che il datore di lavoro è tenuto a dare all’esperimento una durata minima – benché non pattuita tra le parti – a consentirlo.

In altre parole, il datore di lavoro può liberamente recedere dal rapporto durante il periodo di prova, nel momento in cui abbia effettivamente consentito l’esperimento, sia assegnando realmente al lavoratore le mansioni per cui era stato assunto in prova, sia concedendogli un lasso di tempo ragionevole e sufficiente a verificare che la prova sia stata superata, o sia fallita.

Sulla scorta di questi principi, la giurisprudenza è pacifica nell’affermare l’illegittimità dei licenziamenti in prova intimati dopo un lasso di tempo troppo breve e comunque in assenza di una reale valutazione delle capacità professionali del lavoratore (Cass. 1/3/89 n. 1104; Cass. 15/7/86 n. 4578; Trib. Milano 26/10/99).

È illegittimo il licenziamento in prova che si fondi su motivazioni estranee al contenuto del patto di prova (Cass. 4/8/98 n. 7644; Cass. 9/11/96 n. 9797; Cass. 21/4/93 n. 4669; Cass. 12/10/87; Cass. 17/3/86 n. 1833; Trib. Milano 29/6/00).

In quest’ottica è pacificamente ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore in prova avviato obbligatoriamente, se il recesso appare determinato o, quanto meno, influenzato da considerazioni sul minor rendimento dovuto all’invalidità.

Se, infatti, dopo il periodo di prova il datore di lavoro dà esito negativo della prova stessa e quindi non provveda con l’assunzione del disabile, la risoluzione del rapporto per esito negativo non deve dipendere dalla menomazione da cui è affetto il lavoratore (articolo 11, comma 2 della Legge 68/1999).

In sostanza, la disabilità non può mai costituire motivo di risoluzione del rapporto di lavoro, perché se così fosse si attuerebbe una forma di discriminazione. Peraltro, la disabilità è già nota all’avvio del rapporto di lavoro.
Peraltro, la prova deve avere a oggetto lo svolgimento di mansioni che siano compatibili con lo stato psicofisico del disabile.

Il recesso del datore di lavoro non deve essere influenzato da valutazioni negative circa il minore rendimento lavorativo scaturente dal tipo di invalidità, a pena di nullità del recesso stesso (sentenza Cassazione del 16 agosto 2004 n. 15942).

Secondo alcune pronunce della Cassazione (sentenza Cassazione del 16 gennaio 1984 n. 362), il datore di lavoro deve motivare per iscritto il recesso per esito negativo della prova del lavoratore disabile, al fine di consentire al giudice di verificare – in caso di contestazione da parte del dipendente – la correttezza dell’esercizio del potere discrezionale, con riferimento alla valutazione della compatibilità delle mansioni assegnate al disabile rispetto alla propria condizione psicofisica e, altresì, di verificare che il patto di prova non sia stato utilizzato semplicemente per eludere la legge sul collocamento obbligatorio.


T. V. chiede
giovedì 28/07/2022 - Veneto
“Buongiorno,
espongo brevemente il mio quesito:
sono stato assunto con decorrenza dal 1^ giugno 2022 con contratto a tempo pieno ed indeterminato 36 ore settimanali, inquadrato nella categoria B posizione economica B1 del C.C.N.L. del comparto “Funzioni Locali”, tale contratto collettivo all’art. 20 comma 1 stabilisce che per il mio inquadramento il periodo di prova è di 2 mesi, il comma 3 dello stesso articolo recita: “Ai fini del compimento del suddetto periodo di prova si tiene conto del solo servizio effettivamente prestato.”, il mio dubbio nasce alla luce di questo ultimo dettato, mi chiedo quindi posso considerare superato il periodo di prova a partire dal giorno 1^ agosto 2022 trascorsi 2 mesi di servizio (interrotti solamente dalla festività del 2 giugno festa della Repubblica) oppure il periodo di prova terminerà il giorno 26 agosto 2022 contando effettivi 60 giorni lavorativi escludendo il 2 giugno e tutti i sabato e le domeniche?
Vi ringrazio.”
Consulenza legale i 21/08/2022
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25482 del 2 dicembre 2014, occupandosi di un periodo di prova di un apprendista, ha ricordato che, per giurisprudenza prevalente, il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività.

La Corte ha ritenuto infatti che la dicitura "effettivo lavoro” prestato debba contemplare anche i giorni di riposo settimanale, di regola coincidenti con la domenica, in quanto sono obbligatori per legge, costituiscono una modalità di svolgimento dell'attività lavorativa e si pongono come condizione necessaria per il recupero delle condizioni psicofisiche del lavoratore.

Il decorso è escluso, invece, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali.

Tuttavia, tale principio trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo (Cass., 5 novembre 2007, n. 23061; Cass., 22 marzo 2012, n. 4573).

Quindi, qualora il CCNL parli di “giorni di effettiva presenza al lavoro” non vanno conteggiati nel periodo di prova i giorni di riposo settimanale né le eventuali giornate di riposo compensativo.

La giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare al riguardo che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.

Ciò vuol dire che se nel CCNL è previsto un conteggio a giorni di lavoro effettivo, come nel caso del CCNL Commercio, e poi nel contratto individuale di lavoro viene indicata la clausola afferente il periodo di prova o patto di prova indicante i giorni di lavoro effettivo, allora il computo dei giorni dovrà essere parametrato esclusivamente sui giorni di lavoro effettivo, escludendo i giorni non lavorati.

Nel caso di specie, la situazione è ambigua, in quanto il periodo di prova è determinato in un complessivo arco temporale (2 mesi), ma successivamente si fa riferimento al servizio effettivamente prestato.

A parere di chi scrive, nel caso di specie, il periodo di prova è da considerare superato in data 1° agosto 2022.

Infatti, nel ccnl commercio, oggetto delle sentenze sopra menzionate, quando si fa riferimento a giorni di lavoro effettivo, anche la durata del periodo di prova è indicata in giorni, mentre per i livelli per i quali è previsto una durata del periodo di prova espressa in mesi, è il contratto collettivo stesso a precisare che deve essere computato in giorni di calendario (quindi senza esclusione di domeniche e altre festività).

Inoltre, l’ARAN con l’orientamento applicativo RAL423, proprio con riferimento al CCNL Funzioni Locali, ha precisato che “tutte le assenze effettuate dal dipendente nei giorni in cui era dovuta la prestazione hanno l’effetto di prolungare il periodo di prova”.

Ragionando a contrario, pertanto, i giorni di assenza nei giorni in cui la prestazione non era dovuta (domeniche e altre festività) non hanno l’effetto di prolungare il periodo di prova.

R. C. chiede
mercoledì 08/06/2022 - Lombardia
“Spettabile Ufficio,
con la presente chiedo una Vostra consulenza in materia di diritto del lavoro. Sono un dipendente pubblico del comparto Funzioni Locali, assunta a novembre 2021. Sono inoltre vincitrice di un concorso pubblico presso il Ministero dell' Interno Dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile. Vorrei usufruire del diritto alla conservazione del posto di lavoro previsto nell'art 20 del CCNL Funzioni Locali. Ai sensi del citato art posso chiedere l' aspettativa per la durata del periodo di prova presso il nuovo ente, e quindi decidere successivamente se dimettermi oppure rientrare nella posizione lavorativa precedente?”
Consulenza legale i 16/06/2022
Ai sensi dell’art. 20, comma 10, CCNL Funzioni Locali, “Il dipendente a tempo indeterminato, vincitore di concorso presso altro ente o amministrazione, durante il periodo di prova, ha diritto alla conservazione del posto, senza retribuzione, presso l’ente di provenienza per un arco temporale pari alla durata del periodo di prova formalmente prevista dalle disposizioni contrattuali applicate nell’amministrazione di destinazione. In caso di mancato superamento della prova o per recesso di una delle parti, il dipendente stesso rientra, a domanda, nella categoria e profilo professionale di provenienza”.

Ai sensi del comma 11, è previsto che tale disciplina non si applichi “al dipendente a tempo indeterminato, vincitore di concorso, che non abbia ancora superato il periodo di prova nell’ente di appartenenza”.

Inoltre, il comma 12 prevede che la medesima disciplina trovi applicazione anche in caso di provenienza da altro comparto di contrattazione, a condizione che in questo sussista una condizione di reciprocità, nel senso che esista nell’ambito della contrattazione collettiva di questo diverso comparto una clausola di contenuto analogo che riconosca ai dipendenti vincitori di concorso in altro comparto di contrattazione, il diritto alla conservazione del posto nell’ente di provenienza, per la durata del periodo di prova.

Questa condizione di “reciprocità”, con riferimento al personale dei vigili del fuoco, è soddisfatta dalle previsioni dell’art. 22, comma 8, lettera a) del relativo CCNL. Ai sensi della richiamata disposizione, infatti il dipendente è collocato in aspettativa “per un periodo massimo di sei mesi se assunto presso la stessa o altra Amministrazione pubblica con rapporto di lavoro a tempo indeterminato a seguito di vincita di pubblico concorso per la durata del periodo di prova”.

Conseguentemente, il dipendente del comparto enti locale vincitore di un concorso per il dipartimento dei vigili del fuoco, ha diritto alla conservazione del posto presso l’ente locale di provenienza per i sei mesi del periodo di prova.

Riccardo B. chiede
giovedì 10/03/2022 - Veneto
“Buongiorno,
Dopo un periodo di circa un anno con contratto a chiamata, il giorno 10/02/2022 ho firmato lettera di assunzione di apprendistato subordinata ad un periodo di prova di 30 giorni.
Mansione: Operatore al servizio di sala, 20 ore settimanali, livello 5 del CCNL.
Premetto che a tutti gli effetti svolgo la mansione di capo sala, visto che mi è stata affidata la gestione della sala e anche la formazione delle altre colleghe (tutte con contratto a chiamata).
Per questo è stato concordato uno stipendio di 1000€ netti mensili più eventuali straordinari (accordo verbale ma dimostrabile dai vari messaggi intercorsi).
Durante il periodo di prova, che tutt'ora sto svolgendo, mi è stato però comunicato che: Visto il costo in contingenze e l'ammontare degli straordinari, non procederanno all'assunzione con contratto di apprendistato ma si ritornerà a contratto a chiamata.
Come posso agire?”
Consulenza legale i 17/03/2022
Nel caso di specie, si deve innanzitutto indagare sulla genuinità del patto di prova e del contratto di apprendistato.

Se si considera che il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti a sperimentare la convenienza del rapporto di lavoro, esso è da considerare illegittimamente stipulato ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le stesse mansioni, ancorché diversamente denominate, e per un congruo lasso di tempo, a favore dello stesso datore di lavoro. In tal senso si è espressa anche la Cassazione con sentenza n. 17371/2015.

Vi è quindi, nel caso di specie, la questione della nullità del patto di prova.

In secondo luogo, l’interruzione del rapporto di apprendistato sembrerebbe dovuto non ad un mancato superamento del periodo di prova, ma a mere ragioni economiche. Infatti, il datore di lavoro non ha intenzione di interrompere del tutto i rapporti con il lavoratore, ma di stipulare con lo stesso un contratto più conveniente economicamente.

Si precisa che in tal caso la prova in un eventuale procedimento sarebbe a carico del lavoratore.

Inoltre, nel caso di specie si potrebbe contestare anche la genuinità del contratto di apprendistato.

Pur non esistendo una previsione normativa che escluda la possibilità di successione tra il contratto a chiamata e il contratto di apprendistato, sarà comunque necessario valutare la genuinità dell’apprendistato, al fine di evitare comportamenti elusivi e garantire, nell’ambito del piano formativo individuale, un reale percorso di natura addestrativa di carattere teorico e pratico volto ad un arricchimento complessivo delle competenze del lavoratore.

Da quanto esposto, non sembra che l’apprendistato avesse un reale scopo formativo.

Infine, nel caso di specie si dovrà dimostrare la genuinità anche delle motivazioni alla base dell’assunzione a chiamata.

Il lavoro intermittente conosciuto anche come "Job on call" (lavoro a chiamata) è l'espressione di un tipo di lavoro subordinato flessibile, con il quale un lavoratore pone a disposizione del datore di lavoro la propria prestazione lavorativa, vale a dire le proprie energie e competenze, con cadenza appunto intermittente e dunque discontinua nel tempo. Caratteristica peculiare di tale forma di lavoro, è la non continuità delle prestazioni lavorative richieste dal datore di lavoro, non risultando predeterminabile, in tale tipologia di lavoro, la frequenza delle prestazioni lavorative e la durata delle stesse, a differenza del lavoro a tempo pieno o parziale che, invece, impongono una precisa indicazione dell'orario e del periodo temporale in cui il lavoro si svolgerà. Le prestazioni di lavoro discontinue sono inquadrate ed espletate in base alle effettive esigenze dell'impresa, esigenze che, per rendere legittimo il ricorso a questa tipologia contrattuale di lavoro subordinato, devono corrispondere a quelle individuate dalla contrattazione collettiva.

Se tali esigenze, nel caso di specie, non sussistono, anche il ricorso al lavoro a chiamata sarà illegittimo.

Un indizio circa l’insussistenza di tali esigenze risiede nel fatto che il datore di lavoro aveva intenzione di avviare un contratto di apprendistato, poi interrotto non per mancato superamento della prova, ma per mere ragioni economiche.

In conclusione, potrebbero esserci diversi profili di illegittimità in tutta la gestione del rapporto.

Gli stessi potrebbero essere contestati al datore di lavoro tramite una lettera, anche eventualmente con l’intervento di un legale. Successivamente, si potrebbe valutare di intraprendere un azione legale per il riconoscimento, sussistendone i presupposti, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Oppure si potrebbe segnalare la situazione all’ispettorato del lavoro.

Anonimo chiede
mercoledì 22/02/2017 - Trentino-Alto Adige
“Il giorno (omissis) sono assunta con autocertificazione da assistente amministrativa per il posto che invece è di coadiutrice amministrativa scolastica. Le mansioni della cat. B includono tipi di servizi della cat. C assistenti di laboratorio scolastico come l'inventario e la catalogazione, trattamento dati che può diventare a servizio del collegio docenti e degli alunni anche in risposta al rilievo dei viaggi, dei risultati di primo trimestre, con attenzione ai rapporti con le famiglie. La Dirigente il giorno in cui scrive il verbale di non superamento del mio periodo di prova ha di fronte in ufficio ripristinato in 20 gg, files sui viaggi coerente e migliorato, serie di collaborazioni utili, ma essa depista di continuo, aggiungendo cose mai dette persino dalla sua diretta collaboratrice. Al recesso, omette la relazione del (omissis). Mi ammalo e accuso del mobbing. Torno, concludo il ripristino e i files. Recede dopo avermi pesantemente calunniata davanti a pubblico ufficiale nella signora (omissis) ma intanto mi priva di motivazione del recesso. È diffamazione, discriminazione? Io sono certissima di aver fatto quanto richiesto nei limiti tecnici e che essa discrimina con menzogne e aggiunte in verbale non profferite dai diretti collaboratori e coadiutori. Sono abilitata all'insegnamento e ritengo il mio servizio ad alunni e insegnanti prezioso. Ho maturità con max voti in (omissis), laurea in (omissis), abilitazione con voto (omissis), un master breve in (omissis). Lei può inoltrare ricorso al Giudice del Lavoro?”
Consulenza legale i 24/02/2017
Il coadiutore amministrativo di categoria B “svolge, nell'unità operativa di assegnazione, attività amministrative quali, ad esempio, la classificazione, l’archiviazione ed il protocollo di atti, la compilazione di documenti e modulistica, con l'applicazione di schemi predeterminati, operazioni semplici di natura contabile, anche con l'ausilio del relativo macchinario, la stesura di testi mediante l'utilizzo di sistemi di video-scrittura o dattilografia, attività di sportello”. Così viene definito in generale nel Contratto Collettivo Nazionale dei dipendenti pubblici.

Ai sensi dell’art. 2096 c.c. e del CCNL di categoria, è ben possibile che il datore di lavoro ed il lavoratore convengano un periodo di prova. Tale periodo deve essere di durata determinata e non può in ogni caso superare i sei mesi (o il diverso e minor termine di cui al CCNL). Il patto di prova deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità dello stesso e sottoscritto da entrambe le parti.

Peculiarità di tale elemento accidentale del contratto di lavoro è che tanto il datore di lavoro tanto il lavoratore hanno la facoltà di recedere dal contratto senza obbligo di preavviso, senza giusta causa o giustificato motivo, in ogni momento, salvo che sia stabilita una durata minima del periodo di prova. Si tratta pertanto di una libera facoltà di recesso, che però non pregiudica i diritti di fine rapporto spettanti al lavoratore.

Naturalmente il lavoratore potrà contestare la legittimità del recesso del datore di lavoro, ad esempio allorquando “risulti che non è stata consentita la verifica del comportamento e delle qualità professionali per l’inadeguatezza della durata della prova o per altri motivi” (C. Cass., sez. lav., 13/9/2003 n. 13498). Inoltre, il lavoratore potrà parimenti contestare il recesso qualora lo ritenga determinato da un motivo illecito o discriminante, vale a dire da un motivo non collegato all’esperimento del periodo prova, bensì legato ad elementi “esterni” (C. Cass., SS. UU., sent. n. 11633/2002).

In altre parole, posto che il mancato superamento del periodo di prova non richiede motivi determinati per l’esercizio del diritto di recesso, prima di depositare ricorso al Giudice del Lavoro occorrerebbe raccogliere qualche elemento di prova in modo da dimostrare che tale recesso sia stato illegittimo (l’ideale sarebbe qualche testimonianza di qualche collega disposto a confermare il tutto in tribunale). Infatti, in tali casi l’onere della prova spetta al lavoratore che impugna il recesso e c’è il concreto rischio di una sentenza sfavorevole che addirittura potrebbe condannare il lavoratore ricorrente alla rifusione delle spese processuali dell’azienda ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
Si badi: ciò vale allorquando questo patto di prova sia previsto nel Suo contratto, in forma scritta e sottoscritto da Lei e il datore di lavoro – in caso contrario infatti il patto di prova non esisterebbe e pertanto si tratterebbe di un normale licenziamento.

G. R. chiede
venerdì 30/12/2022 - Calabria
“L'esonero dal periodo di prova, previsto dall'art. 25, co. 2, del CCNL Funzioni Locali 16/11/2022 (rimasto pressoché immutato rispetto alla disposizione contenuta nel precedente CCNL), può essere negato dall'Ente nei confronti del neo assunto che lo richieda avendo già superato detto periodo di prova nella medesima Area e profilo professionale presso un'altra amministrazione pubblica del medesimo comparto?
Il quesito è posto al fine di comprendere se l'Ente ha discrezionalità in tale scelta o se in presenza di un soggetto in possesso dei requisiti previsti debba accordare obbligatoriamente l'esonero qualora venga richiesto da quest'ultimo.”
Consulenza legale i 09/01/2023
L’art. 25, c. 2, CCNL Funzioni locali prevede che “Possono essere esonerati dal periodo di prova, con il consenso dell’interessato, i dipendenti che lo abbiano già superato nella medesima Area e profilo professionale oppure in corrispondente profilo di altra amministrazione pubblica, anche di diverso comparto. Sono esonerati dal periodo di prova, con il consenso degli stessi, i dipendenti che risultino vincitori di procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, presso la medesima amministrazione, ai sensi dell’art. 22, comma 15, del D. Lgs. n. 75/2017 e art. 52, comma 1 bis del D.Lgs 165/2001”.

La lettera della legge non sembra lasciare adito a dubbi circa la discrezionalità dell’amministrazione nella scelta di far svolgere o meno un periodo di prova.

Infatti, mentre per i dipendenti vincitori di procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, presso la medesima amministrazione, vengono usate le parole “sono esonerati” (nessuna discrezionalità da parte dell’Amministrazione), nel medesimo comma circa i dipendenti che abbiano superato detto periodo di prova nella medesima Area e profilo professionale presso un'altra amministrazione pubblica del medesimo comparto vengono le usate le parole “possono essere esonerati”.

Pertanto, in quest’ultimo caso le parti hanno lasciato la scelta alla discrezionalità dell’amministrazione, con il consenso dell’interessato.

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