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Articolo 599 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Provocazione

Dispositivo dell'art. 599 Codice Penale

[Nei casi preveduti dall'articolo 594, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori(1).](2)

Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall'articolo 595 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso(3).

[La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche all'offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute.](2)

Note

(1) Le offese devono essere reciproche ovvero tra loro deve sussistere un rapporto di dipendenza. Quindi è sufficiente che l'una sia conseguenza dell'altra e non dunque che siano tra loro contestuali.
(2) Comma abrogato dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7
(3) Viene qui richiamato l'istituto della provocazione, ovvero la stessa figura prevista dall'art. 62 n. 2, che qui però non attenua la pena, ma la esclude. Si tratta di un'esimente dalla natura giuridica controversa, identificata da alcuni in una causa di giustificazione, da altri in una causa speciale di non colpevolezza.

Ratio Legis

La disposizione contempla da un lato una causa di non punibilità della diffamazione, che quindi non viene più ritenuta meritevole di sanzione penale a fronte della reciprocità delle offese.

Brocardi

Lex videt iratum, iratus legem non videt

Spiegazione dell'art. 599 Codice Penale

Mentre ai sensi dell'articolo 62 n. 2, lo stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui rappresenta una mera circostanza attenuante, la norma in parola disciplina invece una vera e propria causa di esclusione della punibilità, qualora le parole diffamatorie siano pronunciato immediatamente dopo aver subito un fatto ingiusto ed in conseguenza di esso.

Massime relative all'art. 599 Codice Penale

Cass. pen. n. 26477/2021

In tema di diffamazione, la causa di non punibilità della provocazione non ha natura di scriminante ma di scusante, idonea ad eliminare solo la rimproverabilità della condotta dell'autore in ragione delle motivazioni del suo agire, ferma restando l'illiceità del fatto, imputabile a titolo di dolo, e la conseguente obbligazione risarcitoria nei confronti del soggetto leso. (In applicazione del principio la Corte ha riconosciuto la sussistenza dell'interesse della parte civile ad impugnare la sentenza d'appello che, in riforma di quella di primo grado, aveva assolto l'imputato a norma dell'art. 599, comma secondo, cod. pen., revocando le statuizioni civili).

Cass. pen. n. 4943/2021

In tema di diffamazione, ai fini della applicabilità della causa di non punibilità della provocazione di cui all'art. 599, comma secondo, cod. pen., l'illegittimità intrinseca che deve connotare il "fatto ingiusto" altrui non può essere individuata sulla base dei criteri che presiedono al riconoscimento dell'illegittimità di un atto amministrativo, ma si configura solo in comportamenti che "ictu oculi" non possano, neppure astrattamente, trovare giustificazione in disposizioni normative ovvero nelle regole comunemente accettate della convivenza civile.

Cass. pen. n. 17941/2020

Sussiste l'interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione che abbia riconosciuto l'esimente di cui all'art. 599, comma secondo, cod. pen., atteso che la parte civile una volta deciso di perseguire i propri interessi in sede penale, ha diritto ad opporsi, attraverso i rimedi impugnatori, ad una pronunzia diversa da quella cui avrebbe aspirato, pur se priva di efficacia preclusiva all'azione civile ai sensi dell'art. 652 cod. proc. pen.

Cass. pen. n. 27922/2018

Ai fini dell'applicabilità dell'esimente della provocazione di cui all'art. 599 cod. pen., non costituisce "fatto ingiusto", rispetto alle offese poi indirizzate alla persona offesa e riferite al suo aspetto fisico, la condotta della stessa vittima della diffamazione, la quale, durante una conferenza stampa, quale difensore civico, esercitando il proprio diritto di critica politica, abbia fatto riferimento alla condanna dell'autore della diffamazione per il reato di associazione mafiosa. (Nella specie, la Corte ha ritenuto irrilevante che la persona offesa non avesse correttamente richiamato il titolo del reato attribuito all'imputato).

Cass. pen. n. 21133/2018

In tema di ingiuria e diffamazione, la causa di non punibilità della provocazione di cui all'art. 599, comma 2, cod. pen. sussiste, non solo quando il fatto ingiusto altrui integra gli estremi di un illecito codificato, ma anche quando consiste nella lesione di regole di civile convivenza, purché apprezzabile alla stregua di un giudizio oggettivo, con conseguente esclusione della rilevanza della mera percezione negativa che di detta violazione abbia avuto l'agente. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che integrasse l'esimente in parola l'intenzione di un datore di lavoro di procedere al licenziamento di alcuni dipendenti, in conseguenza del cui annuncio l'imputato, nel corso di un'assemblea sindacale, aveva adoperato espressioni offensive all'indirizzo del medesimo).

Cass. pen. n. 7244/2016

Ai fini del riconoscimento dell'esimente della provocazione nei delitti contro l'onore, sebbene sia sufficiente che la reazione abbia luogo finchè duri lo stato d'ira suscitato dal fatto provocatorio, non essendo necessaria una reazione istantanea, è richiesta tuttavia l'immediatezza della reazione, intesa come legame di interdipendenza tra reazione irata e fatto ingiusto subito, sicchè il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l'odio o il rancore. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto sussistente lo stato d'ira per le offese pronunciate all'indirizzo della persona offesa lo stesso giorno della condotta provocatoria, a seguito di un incontro casuale in strada, ma non per le dichiarazioni diffamatorie rese ai giornali il giorno dopo, le quali, persa la natura di sfogo immediato per l'ingiustizia subita, avevano assunto la veste di mera ritorsione vendicativa).

Cass. pen. n. 30502/2013

In tema di reati contro l'onore, la causa di non punibilità della provocazione sussiste in presenza dell'immediatezza della reazione, concetto questo che va inteso in senso relativo, richiedendo che tra l'insorgere della reazione ed il fatto ingiusto altrui vi sia una reale contiguità temporale.

Cass. pen. n. 42933/2011

Ai fini dell'applicabilità dell'esimente della provocazione di cui all'art. 599 c.p. non costituisce "fatto ingiusto" l'esercizio di un diritto.

Cass. pen. n. 31177/2009

Integra il fatto ingiusto idoneo a determinare l'integrazione dell'esimente di cui all'art. 599 c.p., la condotta di colui che instauri una relazione sentimentale con il coniuge dell'offensore, contrastante con l'obbligo di fedeltà reciproca dei coniugi stabilito dall'art. 143, comma secondo, c.c.

Cass. pen. n. 21709/2009

In tema di ingiuria, costituisce fatto ingiusto idoneo ad integrare l'esimente della provocazione la condotta dell'ingiuriato che intraprenda autonomamente l'attività demolitoria di un manufatto asseritamente illegittimo, invece di sollecitare l'intervento dell'autorità, in quanto, a tal fine, la caratterizzazione di ingiustizia deve essere parametrata non già all'ipotetica illegittimità del comportamento di controparte, quanto piuttosto alla conformità della condotta dell'ingiuriato alle ordinarie regole del vivere civile, le quali esigono che l'illegittimità sia accertata ed eventualmente rimossa nelle forme di L..

Cass. pen. n. 21455/2009

In tema di ingiuria, la causa di non punibilità della provocazione sussiste non solo quando il fatto ingiusto altrui integra gli estremi dell'illecito civile o penale, ma anche quando esso sia lesivo di regole comunemente accettate nella civile convivenza. (Fattispecie in cui è stata ritenuta rilevante ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità la violazione delle regole deontologiche che devono informare i rapporti tra due avvocati).

Cass. pen. n. 40256/2008

In tema di ingiuria, il fatto ingiusto altrui idoneo ad integrare la causa di non punibilità della provocazione di cui all'art. 599, comma secondo, c.p. può essere costituito anche dall'esercizio di un diritto che si svolga con modalità ,le quali, alla stregua del costume sociale e delle regole della civile convivenza, siano vessatorie, sconvenienti e rappresentino espressione di iattanza, dispetto, rivalsa. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto limitativi e umilianti gli incontri tra padre e figlia sottoposti a condizioni puntigliosamente e rigorosamente imposte dalla ex convivente, madre della bimba, la quale imponeva sempre la sua presenza o quella di altro familiare, oltre che il luogo dell'incontro costituito dall'interno dell'abitazione con videoripresa delle sequenze degli stessi e conseguente pericolo di trasformare detti incontri in un rigido rituale, ha ritenuto integrata l'esimente della provocazione).

Cass. pen. n. 3131/2008

Deve riconoscersi la scriminante della provocazione prevista dall'art. 599, comma secondo, c.p. nel caso di una insegnante la quale, a fronte dell'ingiustificata accusa, rivoltale dalla madre di un'alunna, di usare un metodo d'insegnamento «hitleriano», aveva replicato dicendo alla donna che ella insegnava alla figlia a mentire.

Cass. pen. n. 43087/2007

In tema di delitti contro l'onore, l'esimente della provocazione (art. 599, comma secondo, c.p.) è applicabile anche nel caso in cui la reazione dell'agente sia diretta contro persona diversa dal provocatore, quando quest'ultimo sia legato all'offeso da rapporti tali da giustificare, alla stregua delle comuni regole di esperienza, lo stato d'ira e, quindi, la reazione offensiva; essa è, invece, inapplicabile quando l'offeso sia un mandatario, preposto ad una mansione di ufficio cui non abbia la possibilità di sottrarsi. (Fattispecie relativa a un impiegato esecutivo tenuto ad un comportamento comunicativo per sè non offensivo di una decisione altrui, ancorchè ingiusta, al quale non possa sottrarsi per obbligo d'ufficio).

Cass. pen. n. 31470/2007

In tema di ingiuria, sussiste l'esimente della provocazione di cui all'art. 599, comma secondo, c.p., nel caso in cui lo stato d'ira che ha provocato la reazione ingiuriosa sia stato determinato dalla richiesta di un pagamento non dovuto e contrario alle norme di civile convivenza. (In applicazione di questo principio la S.C. ha escluso la punibilità della reazione offensiva di un dirigente di una azienda sanitaria locale nei confronti di altro dirigente che gli aveva richiesto di pagare direttamente le spese di un necrologio pubblicato a nome, tra gli altri, di entrambi, richiesta contraria non solo alle norme giuridiche ma anche alle regole di civile convivenza, considerato che tali spese possono rientrare in quelle di rappresentanza consentite ad un ente pubblico solo quando il necrologio sia pubblicato a nome dei vertici istituzionali dell'ente e non già a nome di un rilevante numero di dirigenti o funzionari).

Cass. pen. n. 8097/2007

Ai fini dell'integrazione dell'esimente della provocazione, l'immediatezza della reazione deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle stesse modalità di reazione in modo da non esigere una contemporaneità che finirebbe per limitare la sfera di applicazione dell'esimente in questione e di frustarne la ratio e tanto più deve considerarsi il tempo necessario alla reazione quando questa assuma la forma della diffamazione; ne deriva che per l'integrazione della provocazione è sufficiente che l'azione reattiva sia condotta a termine persistendo l'accecamento dello stato d'ira provocato dal fatto ingiusto altrui e che tra l'insorgere della reazione e tale fatto sussista una reale contiguità temporale, senza che occorra che la reazione si esaurisca in una reazione istantanea. (In applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha escluso l'esimente di cui all'art. 599, comma secondo, c.p. — nei confronti di un soggetto che aveva inviato ad alcuni professori di una Università un plico contenente alcuni stralci del diario della moglie ed una missiva con appellativi offensivi della reputazione di quest'ultima, il tutto dopo averne scoperto il tradimento con il cognato — ritenendo che i tempi intercorsi tra la scoperta della relazione (3 agosto 1999) e la diffusione del plico succitato (successivo 4 agosto) non consentissero di configurare l'immediatezza necessaria ad integrare l'esimente in questione).

Cass. pen. n. 13735/2006

Nei delitti di ingiuria e di diffamazione la scriminante costituita dalla provocazione postula che la risposta reattiva sia pronta e immediata, nel perdurare dello stato d'ira; tuttavia il concetto di immediatezza, ai fini della predetta esimente, non è da intendersi nel senso che la reazione debba attuarsi nello stesso momento in cui si riceve l'offesa, bensì in senso relativo, essendo sufficiente che essa abbia luogo finche duri lo stato di reazione suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove il ritardo nel dare la risposta sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l'offesa. (Fattispecie in tema di diffamazione commessa mediante pubblicazione di un articolo subito dopo la precedente pubblicazione, da parte della persona offesa, di altro articolo ritenuto, dalla Corte, motivo di provocazione a causa della ingiustizia delle accuse all'imputato in esso contenute).

Cass. pen. n. 33643/2005

In tema di ingiuria (art. 594 c.p.), sussiste l'esimente della provocazione di cui all'art. 599, comma secondo, c.p., nel caso in cui lo stato d'ira che ha provocato la reazione ingiuriosa sia stato determinato — nel contesto di una banale controversia di risarcimento di danni, modesti e perdipiù controversi — dalla minaccia di riferire la vicenda alla stampa, con conseguente pubblicità negativa e con ripercussioni sull'attività lavorativa svolta dalla controparte, in quanto ciò costituisce fatto ingiusto perché del tutto sproporzionato rispetto al preteso diritto; ne deriva che, in tal caso, il comportamento ingiurioso tenuto dal destinatario della minaccia non è punibile in virtù dell'esimente della provocazione di cui all'art. 599, comma secondo, c.p.

Cass. pen. n. 46317/2004

In tema di ingiuria, il riconoscimento della causa di non punibilità fondata sul carattere reciproco delle offese (art. 599, comma primo, c.p.) è rimesso all'apprezzamento discrezionale del giudice, il quale, peraltro, qualora vengano allegati gli estremi della stessa, è tenuto a giustificare il mancato esercizio del proprio potere.

Cass. pen. n. 30839/2003

In tema di ingiuria, l'applicazione della causa di non punibilità fondata sul carattere reciproco delle offese (art. 599, primo comma, c.p.) è interamente rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, non necessita di sollecitazione da parte dell'interessato e può intervenire ad opera del giudice di appello anche nel caso in cui l'omesso riconoscimento nel giudizio di primo grado non abbia costituito oggetto di specifica doglianza nei motivi di gravame.

Cass. pen. n. 34616/2002

In tema di reciprocità delle offese, può beneficiare della speciale causa di non punibilità prevista dall'art. 599, primo comma, c.p., anche colui che abbia ingiuriato per primo in quanto, considerandosi ciascuna offesa come pena dell'altra, il primo offensore, con l'ingiuria ricevuta, ha già subito una pena e tale reciprocità spiega la rinuncia dello Stato alla potestà punitiva.

Cass. pen. n. 17060/2001

In tema di ingiuria, l'applicazione della esimente di cui all'art. 599 c.p. è condizionata alla sola reciprocità delle offese e non anche alla loro punibilità, atteso che, il comportamento dell'agente viene scriminato in ragione dello stato di turbamento che l'offesa è in grado di provocare “nell'uomo medio”, con la conseguenza che è giuridicamente irrilevante che il comportamento di colui che ha provocato la reazione non sia assoggettabile a sanzione penale. (Fattispecie in cui le offese provenienti da un soggetto erano contenute in un atto giudiziario).

Cass. pen. n. 16729/2001

La speciale causa di non punibilità della «ritorsione» prevista dall'art. 599, comma 1, c.p., per il reato di ingiuria non trova applicazione per quello concorrente di molestie con il mezzo del telefono, commesso nel medesimo contesto, stante la non corrispondenza delle condotte punibili e dei beni giuridici protetti dalle rispettive norme incriminatrici.

Cass. pen. n. 1177/2000

Per la sussistenza dell'esimente della reciprocità di cui al primo comma dell'art. 599 c.p. non è necessario un rapporto di immediatezza delle accuse, ma è pur sempre richiesto che tra le stesse intercorra un evidente nesso di dipendenza nel senso che il secondo offensore offende solo perché il primo ha precedentemente offeso. (Fattispecie in cui si è esclusa la ritorsione, ritenendo che una lettera ingiuriosa, inviata 25 giorni dopo un alterco, costituisse espressione di una sedimentata situazione di astio per fatti pregressi e non potesse dar conto del necessario rapporto di interdipendenza).

Cass. pen. n. 6116/1996

In tema di esimente della provocazione nel delitto di diffamazione, il concetto di immediatezza, espresso dall'art. 599, comma 2, c.p., con la locuzione avverbiale «subito dopo», pur nella elasticità con cui dev'essere interpretato in relazione a ciascuna fattispecie, non può comunque trascurare la valenza probatoria del nesso eziologico tra fatto ingiusto e stato d'ira. Conseguentemente, il decorso di un considerevole lasso di tempo assume rilevanza al fine di escludere tale rapporto causale, e di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l'odio o il rancore a lungo covato. (Fattispecie di diffamazione a mezzo stampa, ove l'esimente è stata esclusa, poiché le pubblicazioni diffamatorie erano successive di «almeno un anno»).

Cass. pen. n. 6847/1994

L'esimente della provocazione nel delitto di diffamazione a mezzo stampa opera solo se la reazione si sia manifestata nello stato d'ira immediatamente seguito al fatto ingiusto altrui, a nulla rilevando la mancanza, in quel momento, di disponibilità dello strumento attraverso il quale si sarebbe dovuto attuare la reazione. (Fattispecie nella quale lo scritto costituente «reazione» era intervenuto due mesi dopo quello diffamatorio, la Suprema Corte, escludendo il ricorrere della provocazione, ha ritenuto irrilevante che esso fosse apparso a tale distanza di tempo dal fatto lesivo in quanto pubblicato su rivista bimestrale).

Cass. pen. n. 5111/1993

Ai fini della provocazione quale esimente speciale del reato di ingiuria, fatto ingiusto è quello intrinsecamente illegittimo, ossia contrario alle norme del vivere civile, in antitesi con i principi dell'ordinamento o del diritto naturale. In tal nozione rientra, pertanto, la condotta di colui che prosegua la costruzione di un muro, nonostante sia stato sottoposto a procedimento penale per il reato di usurpazione di suolo altrui e sia stato emesso provvedimento di sequestro del muro, a nulla rilevando il carattere provvisorio di tale misura cautelare.

Cass. pen. n. 4664/1992

In tema di riconoscimento dell'esimente della provocazione di cui all'art. 599 c.p., il fatto ingiusto altrui può costituire provocazione anche se diretto verso persona diversa da colui che reagisce, ma a costui legata, o verso un gruppo determinato di persone tra le quali colui che reagisce sia chiaramente incluso. Invece, dovendo trattarsi di un fatto che abbia la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell'animo dell'agente, non può ammettersi una reazione ingiuriosa o diffamatoria in presenza di una offensività diffusa nei confronti di un genere del tutto indeterminato di persone.

Cass. pen. n. 2886/1992

La causa di non punibilità della provocazione, prevista dall'art. 599, secondo comma, c.p. in tema di diffamazione, non rientra nelle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 152, secondo comma, c.p.p. Pertanto, in presenza di una causa estintiva del reato — nella specie amnistia — si impone la declaratoria di estinzione del reato per detta causa. (Fattispecie in tema di diffamazione a mezzo stampa).

Cass. pen. n. 874/1992

Perché il giudice possa applicare l'esimente della c.d. ritorsione di cui al primo comma dell'art. 599 c.p. è sufficiente che sussistano più ingiurie reciprocamente pronunziate, basta cioè che egli possa valutare come offesa il fatto reciproco. Non è necessaria alcuna proporzione, né assume rilevanza l'aspetto cronologico, oltretutto perché può essere dichiarato non punibile uno o entrambi degli offensori, cioè non soltanto colui che ha pronunziato l'ingiuria seconda in ordine cronologico, ma anche colui che per primo ha ingiuriato, poiché deve ravvisarsi nell'esimente in questione un caso eccezionale di rinunzia da parte dello Stato alla potestà punitiva, in quanto ciascuna offesa è considerata pena dell'altra e quindi non è più necessaria l'applicazione di una pena per ristabilire l'ordine violato. Infatti, non è giusto punire colui che ha risposto all'ingiuria in quanto egli in luogo di offendere ha punito; così come non è giusto punire colui che ha ingiuriato per primo, poiché con l'ingiuria ricevuta ha già subito una pena.

Cass. pen. n. 11708/1988

In tema di ingiuria, la causa di non punibilità per reciprocità delle offese, implica, in sede civile, l'estinzione ope legis per compensazione delle pretese creditorie, a sensi dell'art. 1241 c.c.

Cass. pen. n. 6675/1988

La causa di non punibilità prevista dal comma primo dell'art. 599 c.p. è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito che può non esercitarlo anche se ricorrono le condizioni richieste dalla legge; invero la concessione del beneficio non costituisce un diritto soggettivo dell'interessato che può solo fare istanza perché tale potere venga esercitato, ma non censurare in cassazione un'eventuale pronuncia negativa, neanche se concorrono le condizioni richieste dalla predetta norma.

Cass. pen. n. 3761/1988

Ai sensi dell'art. 599, primo comma, c.p. il giudice, in caso di reciprocità delle offese, può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori, cioè non soltanto colui che ha pronunciato l'ingiuria seconda in ordine cronologico, ma anche colui che per primo ha ingiuriato, poiché deve ravvisarsi nella esimente in questione un caso eccezionale di rinunzia da parte dello Stato alla potestà punitiva, in quanto ciascuna offesa è considerata pena dell'altra e, quindi, non è più necessaria l'applicazione di una pena per ristabilire l'ordine violato. Infatti, non è giusto punire colui che ha risposto all'ingiuria in quanto egli, in luogo di offendere, ha subito; così come non è giusto punire colui che ha ingiuriato per primo, poiché con la ingiuria ricevuta ha già subito una pena.

Cass. pen. n. 13942/1986

Per l'applicabilità dell'esimente della provocazione, prevista per i reati di ingiuria e di diffamazione del secondo comma dell'art. 599 c.p., occorre che la reazione sia conseguenza di un fatto che per la sua intrinseca illegittimità o per la sua contrarietà alle norme del vivere civile abbia in sé la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell'animo dell'agente. L'esimente in questione può anche configurarsi sotto il profilo della putatività, ai sensi dell'art. 59 c.p. (circostanze non conosciute o erroneamente supposte) qualora ricorra una ragionevole, anche se erronea, opinione dell'illiceità del fatto altrui, ma in tal caso si richiede che l'errore sia plausibile, ragionevole e logicamente apprezzabile.

Cass. pen. n. 13273/1986

In tema di ingiurie, non riveste il carattere della provocazione, valutabile come esimente, la minaccia della vittima del reato di sporgere querela per le offese ricevute ove l'imputato avesse insistito nella sua condotta illegale.

Cass. pen. n. 9939/1984

La provocazione, quale attenuante prevista dall'art. 62 n. 4 c.p., non può essere obiettiva per l'espressa esclusione della putatività contenuta nel secondo comma dell'art. 59 c.p. in relazione alle circostanze attenuanti e aggravanti. Non vi è invece alcuna ragione per escludere dalla sfera di applicazione dell'art. 59, comma terzo, c.p., relativo alla positiva valutazione delle circostanze putative di esclusione della pena, la provocazione prevista dall'art. 599 c.p. quale «causa di non punibilità» per i reati di ingiurie e diffamazione.

Cass. pen. n. 10495/1981

Nell'esimente della ritorsione il concetto di immediatezza, pur non identificandosi con quello di «contestualità», non può neppure essere inteso in senso così lato da comprendervi l'esplosione di un covato rancore per un fatto pregresso.

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Vincenzo L. chiede
venerdì 15/07/2016 - Lazio
“Una lettera di Protesta e Reclamo, alla Titolare del Supermercato "T.", la ho inviata per conoscenza ai CARABINIERI, COMMISSARIATO e PROCURA, perciò CITATO con gli artt. 594 e 595 c.p. e non CALUNNIA, infatti obbligata a rispondere in 15 gg. oppure tacito assenso, è tutto vero!.
La Q. aveva assoldato il Sostituto Procuratore!, il GDP mi ha promesso la Sentenza in SETTEMBRE 2016, LIBERANDOMI dall'ACCUSA, ma cosa dovrò fare per essere ben risarcito dalla Q. e dalla sua DIFFAMANTE (nei Negozi ho 8 saldi testimoni con LETTERE) COLLABORATRICE?, le quali unite al detto P.M., formano 3 in ASSOCIAZIONE per DELINQUERE!.
Saluti.

Consulenza legale i 30/07/2016
Se si è ben compreso il quesito, si tratta di stabilire se in caso di assoluzione in sede penale, colui che è stato a suo tempo denunciato e che infine è risultato vittorioso possa avanzare domanda risarcitoria nei confronti del denunciante ed in che modo.

Ebbene, va distinto a tal proposito il diritto alla rifusione delle spese affrontate per il giudizio penale dal diritto al risarcimento del danno per essere stato ingiustamente denunciato.

La rifusione delle spese del giudizio penale – che spetta legittimamente a colui che è stato assolto - va richiesta al Giudice penale, che ne ha la competenza funzionale, altrimenti non si potrà più avanzare tale domanda in un successivo e separato giudizio civile. Sul punto si è pronunciata la Corte di Cassazione con ordinanza abbastanza recente, la n. 20313 del 9 ottobre 2015.

Per quanto riguarda, invece, il diritto ad essere risarciti perché si è stati “vittima” di un processo che poi si è risolto con l’assoluzione, l’ordinamento purtroppo non lo riconosce.

L’imputato, prima denunciato per un reato e poi assolto dal giudice, non può infatti chiedere il risarcimento del danno a chi lo ha querelato, perché la denuncia di un reato non è mai fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, anche in caso di proscioglimento o di assoluzione del denunciato.

Le ragioni sono due:
1) ad ogni cittadino è riconosciuto il diritto di agire (in via civile o penale) a tutela dei propri diritti: pertanto sanzionare l’azione giudiziaria, anche se infondata, equivarrebbe a limitare tale diritto;
2) nel processo penale, l’azione è portata avanti non dalla parte (come invece avviene nel giudizio civile), ma dallo Stato, nella persona degli organi inquirenti e della Procura della Repubblica; dunque, a rigore, si dovrebbe ritenere solo lo Stato il soggetto responsabile per l’azione penale infondata.

Esiste, tuttavia, una specifica deroga, che si configura in caso di calunnia.
Il soggetto assolto, infatti, può chiedere il risarcimento del danno al denunciante se questi abbia agito con dolo, e più precisamente con lo scopo di calunniare l’altra persona che ben sapeva essere innocente. Spetta però al denunciante darne la non facile prova, che non può consistere, evidentemente, nella sola sentenza di assoluzione.
Perché scatti la calunnia, che è fonte di responsabilità e di risarcimento (la relativa azione si prescrive di cinque anni), è necessario che il denunciante fosse a conoscenza dell’innocenza dell’incolpato e che ciò nonostante lo abbia ugualmente querelato o denunciato. Inoltre la calunnia scatta solo se il denunciante/querelante abbia effettivamente messo in moto la macchina giudiziaria (quindi, l’accusa infondata deve essere stata presentata non a un soggetto qualsiasi, ma a un magistrato o a qualsiasi altra autorità obbligata per legge a comunicarlo al magistrato, come per esempio i carabinieri).

Quanto sopra illustrato trova conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità (ovvero la Corte di Cassazione): si vedano tra le molte, Tribunale Pesaro, sez. I, 06 maggio 2016, n. 326; Cass. Civ. 25 maggio 2004 n. 10033; Cass. Civ del 23 gennaio 2002 n. 750; G.d.P. Napoli, sez. Pozzuoli, 27 novembre 2015 n. 7056.