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Articolo 494 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Dichiarazioni spontanee dell'imputato

Dispositivo dell'art. 494 Codice di procedura penale

1. Esaurita l'esposizione introduttiva, il presidente informa l'imputato che egli ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione [492 2] e non intralcino l'istruzione dibattimentale. Se nel corso delle dichiarazioni l'imputato non si attiene all'oggetto dell'imputazione, il presidente lo ammonisce e, se l'imputato persiste, gli toglie la parola(1).

2. L'ausiliario [126] riproduce integralmente le dichiarazioni rese a norma del comma 1, salvo che il giudice disponga che il verbale sia redatto in forma riassuntiva [140].

Note

(1) Si ricordi che se l'imputato viene ammonito, ma persiste nel comportarsi in modo da impedire il regolare svolgimento dell'udienza, è allontanato dall'aula con ordinanza del presidente ex art. 475.

Ratio Legis

La disposizione in esame trova il proprio fondamento nell'esigenza di garantire anche in questa fase un pieno diritto di difesa all'imputato.

Spiegazione dell'art. 494 Codice di procedura penale

In generale, l'imputato ha diritto, in ogni stato del dibattimento, a rendere dichiarazioni spontanee che ritenga opportune, purchè esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e non intralcino l'istruzione dibattimentale.

Il diritto di difesa dell'imputato impone una rilevante tutela ad opera del legislatore anche con riferimento alle dichiarazioni spontanee, posto che, al di fuori del diritto di fornire le prove della sua innocenza, è con tale strumento che l'imputato può chiarire certi aspetti della sua posizione, o porre in rilievo alcune considerazioni, senza il necessario rispetto delle cadenze processuali. Si ricordi inoltre che l'imputato ha sempre l'ultima parola. A riprova di quanto detto, l'art. 484 stabilisce che se si è proceduto in assenza dell'imputato all'interno dell'udienza preliminare, egli ha diritto a rendere tali dichiarazioni già nella fase degli atti introduttivi, senza che ciò pregiudichi le successive ed eventuali dichiarazioni. In tal modo egli “recupera” l'esercizio effettivo del diritto in parola.

Inoltre, se l'imputato dimostra che la sua assenza nel corso dell'udienza preliminare era dovuta ad incolpevole mancata conoscenza del processo, ai sensi del quarto comma dell'articolo 420 bis, egli è rimesso nel termine per chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta delle parti.

Ad ogni modo, l'imputato deve attenersi all'oggetto dell'imputazione, altrimenti il presidente lo ammonisce e, se egli persiste, gli toglie la parola.

Le dichiarazioni spontanee, anche per l'eventuale importanza che possono assumere, devono essere verbalizzate (si pensi alla confessione dell'imputato resa in tale momento), anche in forma riassuntiva su disposizione del giudice.

Massime relative all'art. 494 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 33666/2014

La facoltà dell'imputato di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione, va coordinata con la previsione del comma sesto dell'art. 523 cod. proc. pen., in base al quale l'interruzione della discussione può essere giustificata solo dall'assoluta necessità di assunzione di nuove prove, talché, non essendo assimilabili le dichiarazioni spontanee dell'imputato a nuove prove, deve escludersi la facoltà dello stesso imputato di rendere dette dichiarazioni, fermo restando il suo diritto di avere la parola per ultimo, se lo richiede.

Cass. pen. n. 25239/2001

Il criterio distintivo tra l'omicidio volontario e l'omicidio preterintenzionale risiede nell'elemento psicologico, nel senso che nell'ipotesi della preterintenzione la volontà dell'agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell'evento morte, mentre nell'omicidio volontario la volontà dell'agente è costituita dall'animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento è rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta (il tipo e la micidialità dell'arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la distanza di sparo, la parte vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta).

Le dichiarazioni spontanee, rese ai sensi dell'art. 494 c.p.p. da più imputati che si sono avvalsi della facoltà di non sottoporsi ad esame nel contraddittorio fra le parti, per quanto convergenti tra di loro, non sono idonee a svalutare l'efficacia probatoria di una chiamata in correità, resa da altro imputato, purché sorretta da ampi e pregnanti riscontri.

Cass. pen. n. 4384/1999

In tema di dichiarazioni difensive dell'imputato, poiché esse sono rimesse al potere discrezionale dello stesso, e poiché egli, in quanto titolare dello ius dicendi et postulandi, può articolare come meglio crede la sua difesa (sottoponendosi o meno ad esame e/o rilasciando dichiarazioni spontanee in qualsiasi momento del dibattimento), non grava sul giudice di merito alcun obbligo di acquisizione di dichiarazioni eventualmente rese dallo stesso imputato in altro processo connesso, in quanto egli ben avrebbe potuto direttamente difendersi innanzi al predetto giudice.

Cass. pen. n. 13682/1998

Le dichiarazioni spontanee rese ai sensi dell'art. 494 c.p.p., con le quali soggetti precedentemente avvalsisi della facoltà di non sottoporsi ad esame abbiano genericamente confermato quanto da essi dichiarato in fase di indagini preliminari e quindi anche le accuse all'epoca formulate a carico di terzi, non possono essere equiparate, ai fini di cui al combinato disposto dell'art. 238, commi 1 e 2 bis, c.p.p., a dichiarazioni rese in sede di esame e, pertanto, anche se ad esse abbiano assistito i difensori degli accusati, i relativi verbali non possono essere acquisiti ed utilizzati come prove.

Cass. pen. n. 10041/1998

Le dichiarazioni spontanee dell'imputato previste dall'art. 494 c.p.p. possono anche avere contenuto accusatorio nei confronti di coimputati, nel qual caso vengono a costituire vere e proprie chiamate in correità da valutarsi come elementi di prova a carico dei chiamati secondo la disciplina dettata dall'art. 192, comma 3, c.p.p.

Cass. pen. n. 1708/1994

La facoltà dell'imputato, sancita dall'art. 494, primo comma, c.p.p., di «rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione», va coordinata con le norme dettate dall'art. 523 c.p.p., che disciplina lo svolgimento della discussione finale e, segnatamente, con il sesto comma di detto articolo, in base al quale l'interruzione della discussione può essere giustificata solo dalla assoluta necessità di assunzione di nuove prove. Ne consegue che, in detta fase, non essendo assimilabili le dichiarazioni spontanee dell'imputato a nuove prove, deve considerarsi inoperante la facoltà dello stesso imputato di rendere dette dichiarazioni.

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Ubaldo C. chiede
sabato 19/01/2013 - Sicilia
“si vuole conoscere se a termini di legge si possono rivolgere all'imputato delle domande durante le sue dichiarazioni spontanee ed ancora,in sede di rinvio a giudizio durante il processo,in caso di capi d'imputazione che si vanno prescrivendo,si può chiedere al presidente di sezione del tribunale ove viene svolto il processo di dissequestrare dei beni sequestrati per quei capi già prescritti”
Consulenza legale i 28/01/2013
Il codice di rito contiene all’art. 494 del c.p.p. la disciplina delle dichiarazioni spontanee dell’imputato, prevedendo espressamente la facoltà del presidente di ammonirlo o di togliergli la parola se nel corso delle dichiarazioni l'imputato non si attiene all'oggetto dell'imputazione. Diversamente, non vi è alcun riferimento in merito alle domande che possono eventualmente essere rivolte all’imputato in tale sede.
L’unico dato legislativo che si riscontra è quello contenuto all’art. 506 del c.p.p. che dispone la facoltà conferita al presidente direttamente, quanto per suo tramite ad un componente del collegio, di chiedere chiarimenti ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici, alle parti private e, in aggiunta, alle persone indicate nell'art. 210 del c.p.p.. Tale richiesta deve intervenire a conclusione dell'istruzione dibattimentale, trattandosi di un potere subalterno. Occorre cioè che le parti abbiano esaurito le loro richieste probatorie (vedi, in merito, il richiamo alle letture) e ciononostante il presidente ritenga il materiale raccolto meritevole di ulteriore approfondimento. Si precisa, pertanto, che al giudice viene attribuito il potere di intervenire, anche d’ufficio, per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni.
Ciò posto, si riscontra nella prassi che il giudice (presidente o altro componente del collegio) è solito rivolgere all’imputato, in sede di dichiarazioni spontanee, domande al fine di ottenere chiarimenti in merito alle dichiarazioni rilasciate.
In merito alla seconda parte del quesito si indica che, nel caso in cui un bene sia stato sequestrato, è possibile richiedere alla Procura competente la revoca del sequestro, depositando un’istanza motivata e supportata da adeguata documentazione che attesti la mancanza delle esigenze di mantenimento del vincolo. Idonee motivazioni sono ad esempio la non pertinenza e non conferenza del provvedimento ai fini della prova, oppure l’appartenenza ad un soggetto diverso dal responsabile del reato, oppure ancora la mancanza del pericolo di reiterazione del reato. La revoca del sequestro trova la sua disciplina al terzo comma dell’art. 321 del c.p.p., in base al quale il sequestro è immediatamente revocato a richiesta del pubblico ministero o dell'interessato quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal comma 1, ovvero se sussiste pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati.