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Articolo 135 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Forma e contenuto del decreto

Dispositivo dell'art. 135 Codice di procedura civile

Il decreto è pronunciato d'ufficio o su istanza anche verbale della parte (1).

Se è pronunciato su ricorso, è scritto in calce al medesimo.

Quando l'istanza è proposta verbalmente, se ne redige processo verbale e il decreto è inserito nello stesso.

Il decreto non è motivato (2), salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge (3); è datato ed è sottoscritto dal giudice o, quando questo è collegiale, dal presidente (4).

Note

(1) Di norma, il decreto è pronunciato in assenza di contraddittorio tra le parti, ovvero inaudita altera parte, come ad esempio accade nella giurisdizione volontaria (art.737), nei provvedimenti cautelari (art.672, IV comma) e nei decreti d'ingiunzione (art.641). Tuttavia, vi sono dei casi in cui è necessario ascoltare le parti per la pronuncia di alcuni decreti (si pensi, in particolare, all'ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, sulla quale si pronuncia il tribunale con decreto motivato sentite parti e pubblico ministero: art.274, II comma).
(2) Anche se la norma indica che il decreto è privo di motivazione, è necessario tenere in considerazione il disposto di cui all'art. 111 Cost. secondo il quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Proprio per tale ragione sovente accade nella prassi che il decreto sia, anche se solo sommariamente, motivato.
(3) Ad esempio, si pensi al decreto motivato con il quale si abbreviano i termini di comparizione (art. 163bis, II comma) o con il quale si rigetta la domanda d'ingiunzione del creditore (art.640, II comma) o ancora con il quale il giudice provvede in caso di sequestro anteriore alla causa (art.672, IV comma). In queste ipotesi, se è omessa la motivazione, il decreto è nullo.
(4) Diverse risultano le modalità con cui il decreto viene portato a conoscenza delle parti. Infatti, sono le singole disposizioni che in alcuni casi prevedono la semplice comunicazione (art.163bis, 179), altre volte la notificazione (art.297, 302) o ancora l'inserimento nel fascicolo d'ufficio (art.77 disp.stt.) o infine l'affissione (art.54 e art. 80 disp. att.).

Ratio Legis

La norma disciplina il decreto quale provvedimento del giudice caratterizzato dal fatto di essere pronunciato in assenza di contraddittorio, salve le ipotesi in cui è prevista la preventiva audizione delle parti (si cfr.art. 273 del c.p.c., art. 421 del c.p.c.), adottato d'ufficio o su istanza di parte. Il codice di rito fornisce una disciplina assai scarna del decreto. Invero, risulta difficile una esatta determinazione della sua autonomia funzionale a causa dell'ampia varietà dei provvedimenti sui quali il legislatore detta la forma del decreto. In alcuni casi, il decreto risulta essere l'espressione di una categoria di provvedimenti giurisdizionali sia contenziosi (procedimenti monitori e cautelari) sia non contenziosi (emessi cioè nell'ambito dei provvedimenti in camera di consiglio); in altri, invece, è espressione di provvedimenti non aventi carattere giurisdizionale, di natura, cioè, meramente ordinatoria (come, ad es., il decreto di designazione del giudice istruttore ad opera del presidente del tribunale (art. 168 bis del c.p.c.).

Spiegazione dell'art. 135 Codice di procedura civile

Come l’ordinanza, anche il decreto assolve ad una funzione interna al processo e, almeno normalmente, non presuppone il contraddittorio tra le parti.
La forma del decreto viene utilizzata per tutti i provvedimenti che devono essere pronunciati in camera di consiglio (nell’ambito della c.d. volontaria giurisdizione), ma anche nel procedimento contenzioso, in cui può svolgere funzione decisoria (è questo il caso del procedimento monitorio di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c.), funzione ordinatoria (cfr. art. 415 del c.p.c.) o cautelare (art. 669 sexies del c.p.c.).

A differenza dell’ordinanza, invece, il decreto non necessita di motivazione, salvo i casi in cui questa sia espressamente richiesta dalla legge (così il terzo comma della norma in esame); parte della dottrina ha a tal proposito ritenuto che la norma sarebbe in contrasto con il primo comma dell’art. 111 Cost., il quale dispone che tutti i provvedimenti devono essere motivati.

Non si fa qui alcun espresso riferimento alla sottoscrizione del giudice, ma è chiaro che questa, anche se non richiesta, costituisce un requisito formale indispensabile.

Per quanto concerne l’efficacia del decreto, deve osservarsi che generalmente i decreti cautelari, ordinatori e amministrativi hanno efficacia immediata, mentre quelli di volontaria giurisdizione diventano efficaci una volta decorso il termine per il reclamo, a meno che il giudice non disponga per ragioni di urgenza che debbano avere efficacia immediata.

E’ estremamente difficile riuscire ad individuare una regola generale che possa valere per il controllo e la modificabilità dei decreti, essendo previsto un sistema molto vario; in linea generale può dirsi che non si applicano ai decreti i principi di revocabilità e modificabilità, anche se sussistono nel corpo del codice di procedura civile parecchie eccezioni a tale regola (es. si veda l’art. 669 sexies del c.p.c.).

Massime relative all'art. 135 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 21800/2013

La motivazione del decreto, ove necessaria, come nel caso in cui tale provvedimento sia emesso per definire un procedimento in camera di consiglio, non dev'essere ampia come quella della sentenza, né succinta, come quella dell'ordinanza, ma può ben essere sommaria, nel senso che il giudice, senza ritrascriverli nel decreto, può limitarsi ad indicare quali elementi, tra quelli indicati nell'istanza che lo ha sollecitato, lo abbiano convinto ad assumere il provvedimento richiesto, essendo comunque tenuto, in ottemperanza all'obbligo di motivazione impostogli dall'art. 111, sesto comma, Cost., a dar prova, anche per implicito, di aver considerato tutta la materia controversa. (Fattispecie relativa a decreto del tribunale di liquidazione del compenso a curatore fallimentare).

Cass. civ. n. 1600/2003

Il decreto con cui la corte d'appello provvede, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, sulla domanda di equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo può essere sorretto da una motivazione soltanto sintetica, essendo a tal fine sufficiente che il giudice dia conto dei criteri in base ai quali ha fondato il proprio convincimento richiamandosi – salvo i casi in cui la durata è di per sè sola così eloquente da rendere ictu oculi superfluo ogni altro rilievo – ai canoni indicati nell'art. 2, comma secondo, della legge citata, ossia facendosi carico di valutare la complessità delle questioni trattate nello specifico processo e il comportamento in esso tenuto dai soggetti menzionati nella predetta disposizione, senza che sia in alcun modo necessario ripercorrere analiticamente tutti i passaggi del processo della cui durata si discute.

Cass. civ. n. 13762/2002

Il principio secondo il quale i provvedimenti aventi veste di sentenza possono contenere una motivazione concisa e non necessitante di espliciti riferimenti a tutte le argomentazioni, allegazioni e prospettazioni delle parti (che devono per implicito aversi per disattese se incompatibili con la soluzione giuridica adottata e l'iter argomentativo) è applicabile, a più forte ragione, ai provvedimenti diversi dalle sentenze, ed in particolare ai decreti (nella specie, decreto di liquidazione del compenso al commissario giudiziale di una procedura di amministrazione controllata), la cui motivazione ben può essere sommaria, nel senso che il giudice, senza trascriverli, può, nel provvedimento, limitarsi ad indicare i fatti e gli elementi, fra quelli portati al suo giudizio (o che, comunque, possa incidere su di esso), che lo abbiano convinto ad assumere il provvedimento stesso.

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